Vivere i cambiamenti climatici ... e reagire per il futuro
di Claude Villeneuve  e François Richard


Muzzio, Roma, 2008


Tratto da http://www.tecalibri.it/


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Prefazione all'edizione italiana



Nella primavera 2008, mentre si lavorava alla stesura di questa edizione italiana di Vivre les changements climatiques, la concentrazione atmosferica di biossido di carbonio aveva raggiunto le 388 parti per milione, un valore sconosciuto da almeno un milione di anni. Sul Nord Italia il 2007 si era da poco concluso come l'anno più caldo dall'inizio delle misure meteorologiche, che datano circa 1750, mentre al Sud veniva ricordato come l'anno degli incendi estivi devastanti e delle temperature fino a 47 gradi. Sulle Alpi si chiudeva inoltre l'ennesimo inverno avaro di neve, che preparava un'altra stagione negativa per i ghiacciai, in stato di profonda sofferenza con perdita di circa 1,5 metri di spessore per anno.

Una sequenza di indizi e segnali inequivocabili che via via stanno confermando la fase di riscaldamento in atto, preludio a un futuro più caldo e problematico sotto il profilo climatico e ambientale. Con questi nuovi elementi che ben si inquadrano nel contesto del IV rapporto IPCC, ampiamente citato in queste pagine, è evidente che i cambiamenti climatici sono già tra noi, e dobbiamo abituarci a "viverli". Che non significa certamente rassegnarsi a un futuro oscuro e catastrofico. Vivere i cambiamenti climatici comporta anzitutto comprendere il fenomeno sul piano scientifico – e in questo libro troverete gli strumenti per farlo – e quindi da un lato stabilizzare la concentrazione di gas serra per evitare il rischio di un degrado veloce e irreversibile degli ambienti terrestri, dall'altro adattarsi a un mondo in rapida evoluzione con opportune strategie che investono ogni settore, dal governo del territorio alla produzione energetica, agricola e industriale, dai trasporti e dall'edilizia ai meccanismi dell'economia e alle politiche demografiche.

Mai come oggi abbiamo avuto la possibilità di analizzare un problema di questa portata e di escogitare strategie per affrontarlo. Sarebbe inaccettabile perdere la sfida e l'opportunità di un grande rinnovamento, indubbiamente non facile da attuare, ma dai risultati che potrebbero essere rivoluzionari per l'assetto della società del futuro.

Tuttavia, senza una coscienza diffusa e condivisa tra la popolazione, sarà difficile affrontare la sfida con efficacia, così come a livello dirigenziale non dovranno mancare gli opportuni strumenti politici, economici e amministrativi.

Molti fenomeni in atto e previsti dall'altra parte dell'Atlantico, in Canada, e trattati in queste pagine, sono simili a quelli che si stanno osservando o sono attesi per il futuro nella regione alpina, ad esempio: riduzione dei ghiacciai e alterazione dei regimi idrologici, sofferenza degli ecosistemi forestali e maggiore rischio di incendi... Terre lontane, problemi comuni.

D'altronde, per affrontare una questione globale servono strategie e risposte globali.

Luca Mercalli

Presidente Società Meteorologica Italiana Onlus

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Prefazione

Il passato non è più una garanzia per il futuro



Da più di quarant'anni, ho potuto partecipare allo sviluppo delle scienze ecologiche come ricercatore, ma anche nell'ambito di grandi organizzazioni internazionali come l'UNESCO.

Ho visto nascere la preoccupazione ambientalista globale alla fine degli anni Sessanta e la messa a punto degli strumenti scientifici destinati a comprendere meglio i fenomeni che spiegano l'impatto, che oggi possiamo osservare, dell'umanità sul pianeta, sia esso nel campo della biodiversità o in quello dei cambiamenti climatici. Innumerevoli colloqui e riunioni scientifiche hanno portato sul tavolo della politica la degradazione dell'ambiente mondiale e le conseguenze probabili sull'avvenire dell'umanità. Questo è ciò che ha permesso, a partire dagli anni Settanta, l'adozione, un po' ovunque nel mondo, di legislazioni che permettessero di controllare, su scala locale, gli impatti dell'attività industriale. Non si era però ancora fatto cenno alle responsabilità globali. Si è dovuto attendere il rapporto Brundtland perché le Nazioni Unite, maldestramente, si dotassero di strumenti di gestione degli impatti globali dell'umanità. Come responsabile del programma scientifico della Conferenza di Rio nel 1992, ho visto negoziare dietro le quinte le convenzioni quadro sulla biodiversità e quelle sui cambiamenti climatici; un esempio notevole del modo in cui la politica su scala mondiale si mette la coscienza a posto attraverso un diluvio verbale di ossimori e dichiarazioni d'intenzioni, facendo credere che ciò permetterà di evitare le catastrofi annunciate dagli ecologisti.

La storia dell'umanità è costellata di crisi, di fronte alle quali le popolazioni hanno dovuto reagire per adattarsi o sparire. Malgrado tutto quello che vogliono farci credere, i periodi di stabilità sono stati l'eccezione. Neanche un secolo di calma nella storia del mondo: le guerre, le carestie legate alle condizioni climatiche sfavorevoli, le epidemie hanno colpito ogni generazione. Resistendo alle avversità, i nostri antenati hanno dato prova di immaginazione e d'inventiva per sopravvivere e tentare di preparare un mondo migliore per i loro figli. Questo costante adattamento alle condizioni locali e alle relative fluttuazioni spiega la ricchezza delle culture e la loro diversità. Globalmente, l'umanità non è mai stata così bene come nel presente e la transizione dall'era industriale a quella dell'informazione e della conoscenza lascia presagire più speranza che inquietudine per un miglioramento delle condizioni di vita dell'uomo nella biosfera. Come i nostri antenati, noi dovremo lottare per lasciare in eredità ai nostri figli un mondo che vogliamo migliore. A differenza di quelli, tuttavia, noi non siamo mai stati meglio attrezzati sul piano dell'informazione e della circolazione di idee, della potenza di calcolo e della capacità di comprendere il funzionamento dei sistemi che regolano la vita.

La visione determinista che, dalla rivoluzione industriale, gioca il ruolo del paradigma dominante può lasciarci credere che il progresso avviene in un solo senso, che la crescita è una condizione necessaria di sviluppo e che il futuro sarà una riproduzione migliore del passato. Il riscontro dei cambiamenti climatici indotti dall'attività umana lascia intravedere una situazione diametralmente opposta poiché è oramai acquisito che l'umanità, ovunque viva, dovrà assumersi le conseguenze del proprio successo ecologico. I segni di degradazione degli ecosistemi su scala planetaria incitano i partigiani dell'ecologia a predire che l'umanità stia correndo verso il disastro. Contrariamente a ciò che affermano gli allarmisti (anche loro deterministi come i partigiani del progresso continuo), l'umanità non sta correndo incontro alla propria rovina, ma dovrà adattarsi a un mondo globale che cambia sempre più velocemente. Questa situazione è portatrice di crisi, ma anche di opportunità.

È questo il messaggio che questo libro di Claude Villeneuve e François Richard ci propone attraverso una sintesi unica nella letteratura scientifica, combinando una divulgazione rigorosa, ma molto accessibile, a un ritratto completo e attualizzato delle dimensioni biofisiche, economiche, politiche e sociali che ci riguardano come cittadini del pianeta.

Il libro si dilunga a descrivere, illustrare, spiegare i legami tra lo sviluppo dell'umanità e le sue conseguenze sulla composizione dell'atmosfera, che influisce poi sulla ripartizione dell'energia tra i compartimenti dell'ecosfera, il che determina il clima di oggi e di domani. Vengono trattati sia i meccanismi fisico-chimici che quelli biologici con un linguaggio chiaro e accessibile, si stabiliscono le incertezze e il modo in cui i modelli di previsione ne tengono conto, le previsioni e le osservazioni, le sorgenti e gli impatti delle emissioni, gli strumenti internazionali messi a punto per coordinare l'azione dei paesi e le soluzioni, con le relative limitazioni.

Con il loro approccio pragmatico, gli autori raccomandano vivamente delle soluzioni locali, alla portata dei cittadini, informandoli sugli impatti delle loro abitudini di consumo e stabilendo chiaramente il legame tra i problemi che sono già all'ordine del giorno, quelli che ci lasciano scorgere i modelli e l'efficacia dell'azione individuale e collettiva. Senza allarmismo, ci permettono di comprendere la natura dei pericoli, i meccanismi relativi alla loro predizione, le incertezze legate alla scienza dei cambiamenti climatici e l'efficacia relativa delle soluzioni raccomandate per porvi un freno.

Senza dogmatismo, senza sproloquio, gli autori utilizzano un linguaggio sobrio e a tratti ironico per raccontare i fatti, lasciando al lettore il compito di giudicare. Soprattutto, non presentano mai un problema senza citare le soluzioni che sono alla portata del cittadino cosciente della sua responsabilità. Esponendo con chiarezza le tappe delle negoziazioni internazionali, si individuano gli attori e si forniscono i mezzi per comprendere i loro discorsi, le loro esitazioni e le prese di posizione politica.

Questo libro rappresenta uno strumento prezioso per comprendere e agire. Costituisce un appello a tutte le forze positive dell'umanità, al personale scientifico, ai giovani, ai professori e ai politici che si rispettino. La portata più ampia rispetto all'edizione precedente ne fa un mezzo che potrà essere utilizzato ovunque nel mondo.

[...]

Francesco di Castri

Direttore emerito di ricerca

CNRS, Montpellier, Francia

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Presentazione

Vi è già capitato di chiedervi dove va a finire la benzina che mettete ogni settimana nel serbatoio della vostra automobile? Poche persone in realtà vogliono saperlo, più preoccupate per il prezzo del carburante che per gli impatti prodotti dalla loro scelta di locomozione. Tuttavia, un'automobile che consuma 10 litri di carburante per percorrere 100 chilometri emette ogni anno in atmosfera 5 o 6 tonnellate di anidride carbonica (CO2 o diossido di carbonio), solo per citare questo inquinante che è strettamente legato al problema dei cambiamenti climatici.

Questo libro, rivolto ai cittadini di tutte le età, riguarda il nostro avvenire comune e mostra fino a che punto esso è legato alla qualità dell'ambiente della Terra. Descrive l'impatto sul nostro pianeta di gesti, in apparenza innocui, svolti da miliardi di persone. Spiega come gli scienziati propongano e i politici dispongano, ma soprattutto come, in linea di massima, il cittadino può esercitare un reale potere attraverso le sue scelte quotidiane di consumatore.

Il fenomeno dei cambiamenti climatici mi preoccupa da numerosi anni e vi ho dedicato una buona parte delle mie letture scientifiche. Autore di un primo libro sul tema nel 1990, membro del passato Programma Canadese sui Cambiamenti su Scala Globale ed ex redattore capo della rivista Ecodecision, ho avuto il piacere di assistere all'evoluzione dei cambiamenti climatici e di vedere accumularsi le prove, delinearsi le problematiche e svilupparsi gli strumenti di lotta alle emissioni di gas a effetto serra. L'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, il 16 febbraio 2005, segna l'inizio di una grande esperienza per l'umanità. Questa non è una questione solo scientifica ed è probabile che la scienza giocherà un ruolo importante, ma tutto sommato minore rispetto a quello politico e legato agli interessi economici.

I cambiamenti climatici rappresentano una questione complessa, ma i principi che permettono di affrontarli e di capirne l'importanza sono alla portata di chiunque, se gli si danno i mezzi per farlo. Non si tratta di un indottrinamento, di una ripetizione di slogan o di una professione di fede, ma di un appello all'intelligenza e al giudizio di ognuno. Di fronte al successo della prima edizione di Vivere i cambiamenti climatici e, successivamente, di Vivere i Cambiamenti Climatici. Cosa c'è di nuovo? e per le numerose domande pervenuteci, tanto dai giornalisti quanto dai colleghi, dagli studenti e dal grande pubblico, si è deciso, in questa nuova versione, di riprendere i concetti già trattati, precisare quelli che presentavano ambiguità e integrare la gran mole di nuovi dati che sono stati raccolti nel corso degli ultimi sei anni. Siamo fieri di proporre ai cittadini un mezzo che permetta loro di comprendere i cambiamenti climatici e di agire in un'ottica di sviluppo sostenibile per ridurre il loro contributo al problema e adattarsi a quella che si profila essere la più grande sfida ecologica nella storia dell'umanità. Abbiamo anche allargato gli orizzonti per adattarci a una clientela più internazionale. Numerosi esempi sono presi da lavori europei e di altri continenti. Abbiamo anche lasciato spazio a delle analisi sui programmi di lotta ai cambiamenti climatici un po' dappertutto nel mondo. Questa nuova edizione prende atto dei tre rapporti dell'IPCC pubblicati dall'inizio del 2007. I lettori interessati possono consultare la versione integrale di questi rapporti sul sito www.ipcc.ch. Per quanto ne sappiamo non esiste alcun riferimento più aggiornato su questo argomento.

Il nostro obiettivo non è fare la morale o criticare senza dimostrare o proporre delle soluzioni. Il professor di Castri, che ha partecipato a tutti i summit delle Nazioni Unite a partire da quello di Stoccolma, affermava a ragion dovuta: "Non bisogna limitarsi a criticare un sistema, ma bisogna criticarlo senza sosta per migliorarlo, facendo cose concrete sul campo, utilizzando le opportunità del sistema". Abbiamo seguito negli anni questo appello alla ricerca — e il presente libro illustra i risultati di diversi lavori e interventi che il lettore ha modo di apprezzare consultando il sito Internet della Cattedra di ricerca e d'intervento in Valutazione Ambientale dell'Università del Quebec a Chicoutimi (http://dsf.ugac.ca/eco-conseil).

In questo libro si cercherà di presentare sistematicamente lo stato delle conoscenze, descrivere le conseguenze temute, identificare le attività e i paesi responsabili del problema e, soprattutto, proporre delle soluzioni realistiche e vincenti sotto più aspetti. Così, se i cambiamenti climatici si rivelassero un errore scientifico, quelli che avessero agito con precauzione non sarebbero penalizzati.

[...]

Claude Villeneuve

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È chiaro fin d'ora che l'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto non cambierà granché nelle tendenze osservate durante gli ultimi vent'anni. Tuttavia, i progressi non sono insignificanti, anzi. L'istituzione di un mercato mondiale del carbonio non sarà efficace se non nell'ambito di accordi internazionali vincolanti, ma intanto, con questo strumento di mercato, si acquista fiducia. Il recupero e il sequestro di CO2 costituiscono l'oggetto di progetti concreti e di studi costruttivi. Anche se l'idea di un "carbone pulito" è ancora ben lontana dall'essere tecnicamente ed economicamente fattibile, sono in corso importanti sforzi di ricerca e sviluppo. Ciò che importa adesso, è di dare un segnale chiaro al mondo industriale e agli investitori per mettere la potenza del sistema economico al servizio della conservazione della nostra specie. Però è necessario fare ancora di più. I cittadini devono essere educati alla realtà dei cambiamenti climatici e all'importanza delle loro scelte individuali di consumo. I politici devono imparare a integrare il rischio climatico nelle loro decisioni. Si deve chiedere loro di prendere provvedimenti vincolanti ma giusti, che definiscano le nuove regole del gioco.

Del resto, di fronte all'accumularsi delle prove scientifiche, i decisori hanno sempre meno scelta.



Dalla conferenza di Exeter, i dirigenti del mondo hanno un'idea un po' più chiara di quello che ci aspetta nei prossimi decenni. La quarta serie dei rapporti dell'IPCC non ha fatto che confermare le risposte date alla domanda: Quando sarà troppo tardi? (vedi box 1.2). Il problema è posto chiaramente, rimane da risolverlo.



Cambiare rotta

Il compito che oggi incombe su di noi è colossale, ma possibile. Questo è almeno quello che ci indica l'ultimo rapporto del terzo gruppo di esperti dell'IPCC. Siamo in una situazione paragonabile a quella di un equipaggio che deve manovrare un enorme vascello, per far sì che riesca a evitare gli scogli. Prima di tutto, occorre identificare il pericolo, prendere coscienza delle manovre richieste, mobilitare le squadre, dare gli ordini e aggrapparsi alla barra del timone, ma soprattutto mantenere il sangue freddo. Prima saranno prese le decisioni, maggiori saranno le probabilità di evitare la collisione. Purtroppo, non ci sono scialuppe di salvataggio sul nostro pianeta. Dipende da noi la capacità di reagire adesso per prevedere un futuro vivibile per tutti.

Teniamo a mente che la catastrofe annunciata non è che una ipotesi. Finché la collisione non si è verificata, resta solo una eventualità, più o meno probabile. La peggiore strategia dopo l'attendismo sarebbe il disfattismo. Di fronte ai fatti, non serve a niente negare. Bisogna prenderne atto e agire.

I cambiamenti climatici ci offrono un'occasione straordinaria di imparare a gestire il pianeta come un tutto unico e non più come un mosaico di Paesi indipendenti, duri difensori delle proprie prerogative territoriali. La protezione del clima ci obbliga a tenere negoziati internazionali, a fissare obiettivi comuni, a sostenerci vicendevolmente per aiutare i Paesi che non riescono a rispondere ai più fondamentali bisogni dei propri cittadini. I cambiamenti climatici ci obbligano a una riflessione sul ruolo della scienza nella nostra società. Non siamo più al tempo in cui il giudice che mandava Lavoisier alla ghigliottina aveva dichiarato perentorio: "La Repubblica non ha bisogno di sapienti!" Oggi più che mai, il mondo ha bisogno di scienziati, fisici, astronomi, oceanografi, glaciologi, chimici e biologi per esplorare l'universo del possibile e comprendere la meccanica del pianeta. Ma il mondo ha bisogno anche di ingegneri e di architetti per inventare macchine ed edifici più efficienti, di informatici per smaterializzare l'economia, di politici e di diplomatici per far entrare in vigore accordi efficaci, di medici per prevenire gli impatti negativi del nuovo clima sulle popolazioni vulnerabili, e pure di agronomi e di forestali, così come di artisti e poeti per mettere in moto la fantasia. Ognuno può, nella misura delle proprie competenze, sentirsi coinvolto in questa sfida. Ecco un obiettivo che ci dovrebbe unire!

Questo libro è destinato a un grande pubblico, desideroso di capire le cause e la posta in gioco dei cambiamenti climatici. Abbiamo tentato di divulgare l'argomento senza sacrificare il rigore necessario per cogliere appieno la portata dei lavori che vi sono esposti. Ci siamo sforzati di dare la definizione dei termini di uso più corrente, di spiegare i fenomeni fisici, chimici e biologici che determinano l'evoluzione del clima in un linguaggio accessibile, portando esempi concreti. Abbiamo altresì tentato di esporre in maniera rigorosa l'evoluzione della Convenzione-quadro dell'ONU sui cambiamenti climatici, del suo principale strumento per applicarla, il protocollo di Kyoto, e le relazioni politiche fra i diversi protagonisti dei negoziati. Infine, abbiamo dato uno sguardo agli strumenti alla nostra portata per mitigare i cambiamenti climatici e adattarci a essi. Il lettore che vuole dedicarsi all'argomento vi troverà risposta alla maggior parte delle proprie domande e diventerà capace di capire in modo critico tutto quel che gli viene presentato dai mass-media. Specialisti e studenti universitari vi troveranno un quadro globale dell'argomento e una serie di strumenti e di riferimenti per ulteriori ricerche.

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Il digiuno dell'orso

Una delle conseguenze del riscaldamento climatico delle latitudini nordiche, che ha già cominciato a manifestarsi, è particolarmente illuminante. Ian Sterling e Andrei Derocher davano l'allarme già nel 1993 in un articolo della rivista scientifica Arctic. Verificandosi una diminuzione del ghiaccio nel Mar Glaciale Artico in un regime termico più caldo, si potrebbe assistere alla riduzione o persino alla scomparsa dell'orso polare (Ursus maritimus) alle latitudini più meridionali del suo areale di distribuzione. Nel 2004, gli stessi ricercatori hanno confermato questa tendenza, suffragata da osservazioni inquietanti per certe popolazioni di orso polare.



L'orso polare è un carnivoro predatore la cui sopravvivenza dipende essenzialmente dalla presenza del ghiaccio marino. Infatti, è sulla banchisa, specialmente quella che si forma ogni anno al di là del plateau continentale, che l'orso cattura le prede preferite, la foca dagli anelli (Phoca hispida) e la foca barbata (Erignathus barbatus). La stagione cruciale per l'alimentazione è la primavera, dall'inizio di aprile a metà luglio, quando ha luogo la riproduzione delle foche sui ghiacci. Durante questo periodo, gli orsi devono immagazzinare il massimo di riserve di grasso per sopravvivere al digiuno periodico al quale sono adattati e che può paragonarsi al letargo degli altri tipi di orsi.

Nutrendosi di una foca al giorno, di cui consumano quasi solo il grasso, gli orsi possono consumare quotidianamente l'equivalente di 25 kg di grasso. Per un carnivoro il cui maschio adulto pesa più di 400 kg e la femmina 280 kg, ciò non appare eccessivo, tanto più che, in seguito, il digiuno fa perdere agli orsi adulti circa un chilo di massa corporea ogni giorno.

I cambiamenti climatici osservati e temuti nell'Artico vanno a modificare il fragile ecosistema che si articola intorno al ghiaccio marino. E, ben inteso, malgrado una certa dose di incertezza, non è a vantaggio dell'orso polare che scompaia la base stessa di tale ecosistema. L'Artico ha già subito cambiamenti importanti, specie per quanto riguarda la formazione dei ghiacci annuali.



Nella parte occidentale della Baia di Hudson, per esempio, a primavera i ghiacci fondono fino a due settimane e mezza prima rispetto a trent'anni fa, e ciò in pieno periodo critico di alimentazione per l'orso polare. La formazione più tardiva dei ghiacci in autunno è il fenomeno parallelo alla loro precoce fusione. Il risultato per l'orso è una stagione di caccia più corta e un periodo di più prolungato digiuno, che ha come primo effetto di ridurre la sua riserva di grasso. Per le femmine, ciò può rendere impossibile il raggiungimento della soglia critica di massa corporea necessaria per assicurare la riuscita riproduttiva.



Oltre al ridotto tempo di caccia, gli orsi potrebbero ritrovarsi con meno prede a disposizione. Infatti, la riduzione dei ghiacci al di là del plateau continentale è ugualmente nefasta alle popolazioni di foche che vedono restringersi la qualità dei siti adatti alla riproduzione, spesso associati a zone ricche di nutrimento. Per le popolazioni di orso polare associate ai ghiacci permanenti dell'Artico centrale, l'accorciamento previsto della banchisa avrà come effetto di concentrare gli individui su territori sempre più ristretti. E un territorio più piccolo vuoi dire grande competizione, altro effetto negativo in prospettiva.

I ricercatori credono che la produttività delle zone che resterebbero libere dal ghiaccio potrebbe anche aumentare, ma al prezzo di un cambiamento della catena alimentare. La foca comune (Phoca vitulina), che si riproduce a terra, potrebbe poco a poco sostituirsi alla foca dagli anelli. Ma l'orso polare riuscirà ad adattarsi a questi cambiamenti? La fame può spingere gli orsi a cercare cibo altrove, ossia presso le comunità umane stabilitesi nel territorio artico, e laddove gli orsi e l'uomo entrano in concorrenza, gli orsi sono in genere i perdenti.

Parecchie previsioni fatte da Stirling e Derocher nel 1993 si sono avverate esattamente, e ora si può misurare un dimagrimento degli orsi polari nella parte sud del loro habitat e una diminuzione della capacità delle femmine di portare a termine le gravidanze.

L'orso polare è di certo una figura emblematica che attira la simpatia del pubblico e, per tale ragione, serve a illustrare in maniera un po' spensierata gli effetti del riscaldamento del pianeta. Ma dietro il simbolo, vi è la realtà di tutto un ecosistema che si sta sconvolgendo e la minaccia dell'estinzione delle sue specie più rappresentative. Ciò evidenzia pure a che punto gli effetti di un riscaldamento del clima siano imprevedibili e colpiscano lontano da coloro che ne sono i responsabili. E soprattutto non andate a raccontare a un orso polare affamato che è stato scelto per recitare il ruolo di canarino nella miniera di carbone che alimenta i cambiamenti climatici!

Il 28 dicembre 2006, il governo americano, in seguito a una minaccia di processo da parte di gruppi ecologisti, ha aperto un periodo di udienze di un anno sull'opportunità di iscrivere l'orso polare nella lista delle specie minacciate. Questo tentativo, se andasse a buon fine, potrebbe permettere di proseguire le procedure con il pretesto che l'assenza di azione concreta del governo federale nel campo della lotta contro i mutamenti climatici potrebbe minacciare l'habitat della specie. È facile immaginare gli argomenti e i cavilli che potrebbero seguirne innanzi ai tribunali. Si prevede molto lavoro per gli avvocati!



Più vicino al cielo?

Il pika (Ochotona princeps) è un piccolo roditore delle dimensioni di un criceto che vive sopra gli alberi, in montagna, nell'ovest del Canada e degli Stati Uniti. In questo settore, si notano modifiche della copertura nevosa negli ultimi 40 anni. Una ricerca pubblicata nel Journal of Mammology parla della scomparsa – attribuita ai mutamenti del clima – delle popolazioni di pika nella parte sud del loro areale di distribuzione. Contrariamente alla marmotta e allo Spermophilus artico, il pika rimane attivo tutto l'anno e dipende da una riserva di fieno che accumula nella propria tana durante l'estate. Le popolazioni di questo piccolo mammifero sono sparite o diminuite del 90% in gran parte del territorio suddetto, in cui abbondavano fino a 60 anni fa.



Una rondine non fa primavera

Si può affermare che i cambiamenti climatici hanno già esercitato, al di fuori dell'Artico, un'influenza sugli organismi viventi e sugli ecosistemi? La risposta a questa domanda è senz'altro positiva, e non ci si riferisce qui agli effetti delle transizioni fra periodi glaciali e interglaciali, bensì ai cambiamenti intervenuti nel corso dell'ultimo secolo.

Si verifica l'influenza del clima grazie a osservazioni e monitorando una specie in particolare e, altresì, grazie a studi su grande scala denominati "meta-analisi", che sono infatti sintesi di numerosi studi che vertono su organismi di ogni tipo. Raccogliendo le voluminose compilazioni di dati, si verifica in qual senso avvenga la risposta ai cambiamenti climatici. Le risposte degli organismi possono tradursi in una espansione dell'areale, in alterazioni della fenologia del ciclo di vita, in cambiamenti evolutivi, in cambiamenti fisici o fisiologici, in modifiche delle comunità o in disequilibri dei processi ecologici. Un numero crescente di studi e di meta-analisi dimostrano che le modifiche del clima esercitano delle pressioni sugli organismi e sulle comunità ecologiche, e per lo più la risposta corrisponde a ciò che è atteso in caso di riscaldamento del clima, come l'espansione delle specie verso latitudini più settentrionali.

Lo spostamento verso nord o in altitudine delle popolazioni di certe specie è del resto uno dei primi segni che il clima si scalda. In un clima più caldo, ci si aspetta infatti che le specie delle medie latitudini si portino più a nord nell'emisfero boreale e che le specie montane si inerpichino verso le vette. Ed è quanto rivelano due studi, specificando che l'81% delle 1700 specie studiate ha effettivamente allargato il proprio areale nella direzione prevista dal riscaldamento, e questo in entrambi gli emisferi. Meglio, si è stimato che questo spostamento avviene alla velocità di 6,1 km per decennio verso i poli o ancora, in montagna, di 6,1 m verso l'alto.



L'esempio della volpe rossa (Vulpes vulpes) nell'Artico è edificante. La volpe rossa è presente dappertutto nel Nord America e in Eurasia. È una specie opportunista che si trova in diversi tipi di habitat e che si nutre di una vasta gamma di prede e di altri alimenti (frutta, carogne ecc). Tuttavia non si adatta al freddo delle regioni artiche così bene come la "cugina" volpe artica (Alopex lagopus) che vi è confinata. Ora, il riscaldamento di alcuni gradi alle alte latitudini ha già permesso alla volpe rossa, più grossa, più aggressiva, di invadere il territorio della volpe artica, e quest'ultima, meno competitiva, non può che cedere il terreno.

Sull'Isola di Baffin, la volpe rossa ha già esteso il proprio areale di circa 1000 km verso nord. Il risultato, in un futuro che potrebbe essere molto vicino, è la possibile scomparsa della volpe artica, che non può portarsi più a nord, non più di quanto possa competere con la rossa cugina a sud.



Questo esempio illustra due fenomeni che avvengono in risposta al riscaldamento: l'espansione di una specie opportunista a spese di una o di parecchie altre e, a seguire, il rimpicciolirsi dell'areale occupato e la perdita di habitat delle specie del posto. Questi fenomeni sono stati osservati in particolare nei mammiferi, negli uccelli, ma anche negli insetti e in altri animali, vertebrati e invertebrati.

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