Se fossi una pecora verrei abbattuta?
di Liliana Cori

Editore Scienza Express 2012


Se fossi una pecora verrei abbattuta?
di Pietro Greco


“Se fossi una pecora, verrei abbattuta?” In libreria il manuale di monitoraggio umano
di Alessandro Delfanti


http://www.scienzainrete.it
31 gennaio, 2012

Se fossi una pecora verrei abbattuta?
di Pietro Greco

«Se fossi una pecora, verrei abbattuta?», si chiede una signora in Campania dopo aver conosciuto i dati sulla contaminazione del sangue dei lanosi mammiferi che brucano nei dintorni di una fabbrica chimica dismessa. Dando espressione a una preoccupazione diffusa, gli uomini come le pecore sono vittima dell’inquinamento diffuso. Ma su cosa e quanto è fondata questa preoccupazione? Cosa sappiamo e cosa abbiamo diritto di sapere sulla qualità dell’ambiente nel quale viviamo e sui pericoli per la nostra salute?

È a queste domande che risponde, con grande chiarezza e completezza, il libro che Liliana Cori, antropologa in forze all’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, nel libro – intitolato, per l’appunto, Se fossi una pecora verrei abbattuta? – da poco pubblicato con l’editore ScienzaExpress.

Un libro prezioso per svariati motivi. In primo luogo perché è un agile, ma completo manuale sulla valutazione del rischio sanitario connesso all’inquinamento ambientale. Liliana Cori passa in rassegna le principali fonti di rischio e il modo, scientificamente corretto, di monitorarlo. Fornendo una mappa, preziosa appunto, per navigare nel mare tempestoso di numeri e di dati forniti da enti i più diversi che inondano i media, passando indenni tra la Scilla del catastrofismo e la Cariddi del minimalismo.

In secondo luogo Liliana Cori ci offre una prima mappa delle fonti di inquinamento ambientale. Ricordandoci che viviamo in un paese, l’Italia, che conta 1.350 comuni che ospitano 12.600 siti inquinanti accertati di vario tipo, che coprono una superficie pari al 3% di quella complessiva del paese. Una superficie superiore, per intenderci, a quella dell’intera Umbria.

Sono numeri da scandalo. Ma Liliana Cori non si ferma alla contemplazione dello scandalo. Propone di fare di necessità virtù. Di partire da questa autentica emergenza per provare a fare dell’Italia un «laboratorio di bonifica». Che mobilita il meglio delle sue competenze scientifiche per mettere a punto tecnologie le più avanzate per bonificare in sicurezza i propri siti inquinati. Queste tecnologie potrebbero essere esportate e costituire la base di una nuova economia, sostenibile, della conoscenza.

Ancora, nel suo libro Liliana Cori affronta il tema, non meno decisivo in quella che Ulrich Beck ha chiamato «la società del rischio»: la percezione del rischio. Che, come dimostra una serie ormai vasta di studi, è legata a fattori oggettivi – la presenza di fattori di rischio, la loro natura – ma anche di fattori soggettivi. Anche se gli elementi soggettivi sono razionalmente fondati – dipendono dalla natura degli elementi di rischio, dalla loro distribuzione, dalla possibilità di evitarli, dalla irreversibilità dei danni, dalla confusione delle fonti di informazione – spesso divergono dalla valutazione tecnica del rischio. Liliana Cori dimostra che questa divergenza è massima quando chi percepisce il rischio ha una scarsa fiducia nelle istituzioni che dovrebbero tutelarlo. È il caso di molti cittadini italiani che abitano in alcune regioni – la Campania e la Sicilia, per esempio – in cui questa sfiducia è strutturale. Ed è alimentata da una scarsa cultura alla trasparenza da parte delle autorità: ambientali, sanitari e e politiche.

È questo, infine, l’altra dimensione approfondita da Liliana Cori. La comunicazione del rischio, premessa fondamentale di una matura cittadinanza scientifica. Nella società del rischio, è ormai riconosciuto a livello di leggi e regolamenti internazionali, quello di «sapere tutto su tutto» è un diritto emergente e inalienabile. Eppure questa cultura della trasparenza che trasforma noi tutti da sudditi in cittadini della società della conoscenza, manca ancora, in maniera clamorosa, in molte, in troppe strutture pubbliche: a livello nazionale, regionale e locale. Domina ancora la cultura paternalistica dell’ermetismo: i cittadini non sono culturalmente attrezzati per sapere tutto. Meglio che non disturbino il manovratore.

Dopo aver letto il libro di Liliana Cori ci accorgiamo che è questa cultura che non solo contribuisce a fare dell’Italia un’area ad alta intensità di fonti inquinanti, rubando una bella fetta del nostro presente di reale benessere. Ma, soprattutto, impedisce che l’Italia si trasformi in un «laboratorio di bonifica», rubando una bella fetta del nostro futuro di benessere: ambientale, sanitario e persino economico. 

top


http://www.ilfattoquotidiano.it
24 gennaio 2012

“Se fossi una pecora, verrei abbattuta?” In libreria il manuale di monitoraggio umano
di Alessandro Delfanti

Le sostanze che si depositano nei nostri corpi possono essere misurate. Così facendo gli stessi organismi possono trasformarsi in strumenti per monitorare l'ambiente in cui viviamo. Un manuale finalmente spiega come fare.

Per studiare la salute dell’ambiente in cui viviamo, quale termometro migliore del nostro stesso organismo? Le sostanze chimiche che si depositano nel nostro corpo si possono ritrovare nel sangue, nel latte, nei capelli. Infatti, molte di queste sono ‘conservate’ in varie parti del corpo, a seconda della vita che ognuno di noi conduce: dal lavoro all’alimentazione fino alle sostanze prodotte nel luogo in cui si vive. Ma cosa succede quando si tratta di sostanze nocive alla salute? Come capire da dove vengono? Liliana Cori è una ricercatrice dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche che nel suo libro “Se fossi una pecora, verrei abbattuta?” (16 €, Scienza Express Edizioni) spiega come funziona il biomonitoraggio umano, cioè lo studio dell’inquinamento attraverso l’analisi degli esseri umani che vivono in un certo territorio.

Da dove nasce l’idea del libro (e del titolo)?

“Se fossi una pecora, verrei abbattuta?” è la domanda di una donna che stava donando il suo latte per fare le analisi. Sapeva che nella sua zona, in Campania – una delle più inquinate da rifiuti tossici seppelliti illegalmente al confine tra le provincie di Napoli e Caserta – le pecore e altri animali erano stati abbattuti, e allora aveva bisogno di capire cosa stava dando da mangiare al suo bambino: gli avrebbe fatto male o bene? E cosa stava succedendo intorno? Una domanda che mi ha fatto pensare a quanto bisogno c’è di far circolare notizie sull’ambiente, su come e perché oltre all’aria, all’acqua, al suolo, adesso si comincia a misurare gli inquinanti direttamente nel corpo.

Quali sono gli inquinanti che si accumulano nel nostro corpo?

Non è facile dire cosa faccia più male, perché ci sono mille variabili in campo. Si possono cercare molti prodotti chimici (fino a 300) nel sangue delle persone, e gli effetti dipendono dalle dosi e dalla durata del contatto, quella che si chiama ‘esposizione’: ebbene, quando sappiamo che nella zona sono stati individuati composti chimici nell’ambiente, vogliamo sapere se e come le persone sono state a contatto e hanno accumulato sostanze inquinanti. Bisogna capire se ci sono gruppi della popolazione che sono più a rischio: ciò significa misurare e ripetere le analisi nel tempo. Una serie di composti che si vanno a cercare, come le diossine, il DDT, l’arsenico, il mercurio sono cancerogeni, e si sa che si fermano in diverse parti del corpo. Bisogna verificare se le persone li hanno assorbiti, quanto, e se è successo bisogna attivare una serie di controlli medici, e ripeterli nel tempo.

Dove vengono usate le persone come “termometri” della salute dell’ambiente?

Bè, sì, siamo termometri di tutto ciò che circola nel nostro ambiente. Negli Stati Uniti si fanno da molti anni ogni due anni le analisi di una gran quantità di inquinanti nel sangue di un campione molto sparso della popolazione. Si è visto molto bene il calo del piombo nelle benzine, perché appena è stato vietato ha cominciato a calare. Si è vista la diminuzione dei PCB, altri prodotti molto persistenti, del mercurio, si è visto man mano che miglioravano i filtri dei camini delle fabbriche che le quantità nelle persone analizzate diminuivano in modo impressionante.

Qual è il vantaggio rispetto ad altri tipi di analisi dell’inquinamento?

Le analisi del sangue, del latte materno, dei capelli permettono di sapere cosa è rimasto davvero nel corpo, di capire se ci sono fasce di popolazione più soggette all’inquinamento per poter da una parte prevenire l’esposizione di ulteriori persone, dall’altra per poter ridurre il rischio. Per le aree di cui ci siamo occupati, dove il pericolo viene da una serie di prodotti chimici bisogna fare due cose subito – oltre a mantenere sotto controllo le persone che si sono trovate ‘inquinate’ – bisogna bonificare, pulire dall’inquinamento e usare le migliori tecnologie per ridurre le emissioni di sostanze nocive.

Quanto dobbiamo preoccuparci?

Le analisi del sangue, del latte materno sono molto inquietanti per chi le fa, quindi si parte già molto preoccupati. Ma le informazioni che si raccolgono devono servire a conoscere meglio per capire cosa si può fare, perché tutti noi ci prendiamo la responsabilità di fare qualcosa e di sapere cosa chiedere alle autorità responsabili di prevenire e di ripulire l’inquinamento.

Cosa succede se il nostro corpo raggiunge livelli di inquinanti molto elevati?

Certo, con livelli ‘da abbattimento’ non c’è dubbio che bisogna chiedere ai medici di essere ancora controllati nel tempo, e di fare analisi varie, che dipendono dalle sostanze trovate. Bisognerà capire da dove vengono queste sostanze, e anche qui i gruppi di esperti che fanno le ricerche devono essere pronti a darsi da fare, e capire ciò che sta succedendo, e a dare consigli. L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia in ogni caso alle mamme di continuare l’allattamento dei bambini al seno, anche in presenza di inquinanti. Ma certo in zone particolarmente inquinate, o in caso di incidente industriale grave o contaminazione diffusa è necessaria un’attenzione maggiore, e anche il pediatra e il medico dovranno aiutare la madre a valutare il da farsi.

I cittadini possono contribuire alla difesa dell’ambiente in questo modo?

Ci sono molte cosa da fare, si possono riassumere dicendo che bisogna conoscere per contribuire a scegliere, ed è molto importante che i cittadini ragionino e agiscano nella loro collettività. Non si può fare nulla da soli, e bisogna evitare tutto ciò che ci isola o ci fa sentire diversi da tutti gli altri. Nessun problema come quelli ambientali è collettivo, e solo molti cittadini informati, che vogliano – come le pecore del mio libro – evitare di essere abbattute e pascolare in prati puliti possono chiedere con caparbietà e costanza di vivere in un ambiente più pulito, e fare la propria parte.

top