Tempeste.
Il clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agire.
di James Hansen

Edizioni Ambiente 2010

Introduzione & Prefazione (download)


Stralcio dall’Introduzione
di Luca Mercalli

Le tempeste dei nipotini di Hansen
di Paolo Gabrielli e Stefano Caserini


Il Mondo dei Nipoti? Devastato da Tempeste
di Emanuele Bompan


Stralcio dall’Introduzione
di Luca Mercalli

 

Ventinove marzo 2001: è da qui che Hansen inizia a raccontare la sua esperienza di climatologo alle prese con la politica in occasione della convocazione a Washington della Task Force governativa sul clima. Due mesi  prima anch’io avevo vissuto la mia prima esperienza “ufficiale” con la politica e con lo stesso obiettivo: un modestissimo intervento in Consiglio provinciale di Torino il 30 gennaio, nell’ambito della giornata sui cambiamenti climatici organizzata dall’Unione province d’Italia. Non so quanto di quell’incontro sia rimasto ai distratti amministratori, ma devo dire che a livello locale, qualche traccia si direbbe sia riemersa in numerose azioni che tanto in Provincia di Torino quanto in altre province vengono ora compiute a sostegno dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili, sia pure tenendo conto che, come scrive Hansen, “l’ambientalismo di facciata è la risposta pressoché universale della politica al problema dei cambiamenti climatici”. A differenza di Hansen la mia attività di ricerca non è concentrata sulla modellistica del clima futuro, bensì sulla ricostruzione del clima passato, tramite la salvaguardia di antichi osservatori meteorologici, l’analisi di serie storiche e le campagne di misura sui ghiacciai alpini. Ho sempre dedicato circa la metà dei miei sforzi professionali alla diffusione delle informazioni, fondando la rivista specializzata Nimbus, tenendo conferenze, firmando articoli su quotidiani, partecipando a programmi televisivi, e parlando spesso con i politici, pur senza assumere posizioni di partito. In sostanza, facendo quanto Hansen auspica: “Il paleoclima, e specialmente i cicli delle ere glaciali, è qualcosa su cui dovreste comunque essere informati”.

Studiare e informare, stando lontani dalla politica, era ciò che pensavo nei primi anni Novanta, proprio come Hansen: “Quando la politica entra in una discussione, subito iniziano a reagire un sacco di forze. Io preferisco dedicarmi solo alla scienza. È più piacevole, specialmente quando si stanno ottenendo dei successi nelle proprie ricerche”. Ma un giorno, mentre percorrevo i piccoli ghiacciai del Carro, nel Parco nazionale del Gran Paradiso, capii che la politica aveva qualcosa a che fare con il loro rapido disfacimento. Se la temperatura aumentava per cause umane, per via del modello economico ed energetico, allora era la politica il mezzo per intervenire. Anche Hansen infatti è oggi convinto che “la scienza e la politica non possono essere separate”, ma io sento ancora molti colleghi che preferiscono vivere nella torre d’avorio della ricerca pura, credendo che intervenire in un dibattito politico equivalga a sporcarsi le mani. Ma allora a cosa servirebbe la scienza, almeno quella che ha a che fare con il benessere dell’umanità, che poi è quasi tutta? “Non volevo che i miei nipoti, in futuro, potessero guardarsi indietro e dire: il nonno aveva capito cosa stava succedendo, ma non è riuscito a spiegarlo abbastanza chiaramente”, questo ha spinto Hansen a esporsi. In quegli anni, sebbene la consapevolezza sul problema climatico non mancasse, l’argomento rimaneva tuttavia una curiosità scientifica e non provocava reazioni né da parte della politica, né del pubblico. Sui giornali iniziavano a comparire articoli sul riscaldamento globale, la copertina di Time con il titolo “The heat is on” è del 19 ottobre 1987, e anche in Italia, già nel 1991 su alcuni testi scolastici di fisica, come il noto Dal pendolo al quark di Ugo Amaldi, edito da Zanichelli, si cita il problema dell’effetto serra antropogenico invitando i giovani studenti a ridurre le emissioni di CO2 e a ricorrere alle energie rinnovabili. Vent’anni dopo, e sulla scorta di un’immensa mole di ricerca scientifica, le conclusioni sono sempre le medesime, semmai le conferme climatiche sono divenute via via più evidenti, ultime le alluvioni in Pakistan e gli incendi in Russia dell’estate 2010, che ancora non figurano in queste pagine. Ma sono forse i provvedimenti economici sul mercato dell’energia e delle emissioni emersi con il Protocollo di Kyoto che hanno suscitato e incoraggiato il cosiddetto negazionismo climatico, del quale Hansen è stato bersaglio. Senza peli sulla lingua, egli afferma che “il nostro più grande problema è dovuto all’influenza degli interessi dei gruppi di potere, incarnati da orde di lobbisti che indossano scarpe costose ed eleganti”, e “il più grande ostacolo alla soluzione del problema del riscaldamento globale rimane comunque il ruolo del denaro nella politica”. Per questo Jim sceglie di testimoniare (non di profetizzare) sui rischi che l’umanità corre per il proprio immediato futuro: “Ero preoccupato: le generazioni future avrebbero potuto guardarsi indietro e chiedersi come avevamo fatto a essere così stupidi da non fare niente”. A questo punto Jim incontra due problemi: la sua scarsa dimestichezza con gli incontri in pubblico (“anche se avevo cercato di migliorare la mia capacità di comunicare, mi sentivo ancora goffo e impacciato”) e il rischio di essere considerato un estremista (“un fattore che rafforza la reticenza potrebbe essere la preoccupazione di essere accusati di essere inutilmente allarmisti”). Ma supera entrambe queste remore concludendo che “gli scienziati possono rendersi utili facendo di tutto per comunicare al pubblico la questione dei cambiamenti climatici in maniera credibile e comprensibile”. Ed ecco che oltre alle sue conferenze, alle interviste e alla militanza contro le centrali a carbone, nasce pure questo libro, che è insieme un manuale sul clima, un vademecum sulla nostra vita futura, un umanissimo sfogo e un’autobiografia un po’ amara. Le soluzioni che Hansen traccia sono note da tempo, ma qui vengono poste in una prospettiva di maggiore urgenza: “La spina dorsale di una soluzione al problema del clima è una tassa uniforme sulle emissioni di carbonio”, in grado di far emergere senza bisogno di incentivi le energie rinnovabili e le buone pratiche di efficienza energetica. Anche la massiccia reintroduzione dell’energia nucleare è particolarmente caldeggiata da Hansen, e forse su questo punto a mio parere è opportuno riflettere ancora un po’, in quanto le scorie nucleari costituirebbero un’eredità lasciata ai nostri nipoti tanto scomoda quanto quella del caos climatico. Ma questa sua veemenza è in parte giustificata dal drammatico scenario che egli traccia con dovizia di dettagli: “Queste domande riguardano il quando, non il se. Se bruciamo tutti i combustibili fossili, le calotte glaciali si fonderanno completamente, con un innalzamento finale del livello del mare di 75 metri, e gran parte di questo processo si svolgerà nell’arco di qualche secolo”. Non è uno scherzo, e quanti fossero tentati di tacciarlo di allarmismo, troveranno in queste pagine la dimostrazione pacata e serena di queste crude affermazioni: non è uno scenario da fantascienza nato nell’immaginazione di Hansen o dei suoi colleghi, bensì il quadro della paleoclimatologia che semplicemente evidenzia che tutto ciò è già successo sul nostro pianeta allorché sono state superate alcune soglie di equilibrio nel sistema geosfera-biosfera. E la rapidità di liberazione di gas serra nell’atmosfera terrestre da parte delle attività umane è un fatto che non ha eguali nella storia nota, al punto che “se bruciamo anche le sabbie bituminose e l’olio di scisto, credo che la sindrome di Venere sarà una certezza matematica”. Il messaggio ottimista di un Hansen, sessantanovenne all’anagrafe ma ventenne nell’animo, è questo: “La resistenza civile potrebbe essere la nostra migliore speranza. È fondamentale che tutti partecipino, specialmente i giovani”. Alla fine dell’estate del 2007 ricevetti un fax dal Senato della Repubblica Italiana che mi convocava a un’audizione presso la XIII Commissione permanente territorio, ambiente, beni ambientali. La commissione della XV Legislatura era presieduta da Tommaso Sodano e la seduta pomeridiana n. 114 si intitolava: “Audizione del Presidente della Società meteorologica italiana nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle problematiche relative ai cambiamenti climatici e alle misure di mitigazione e di adattamento da adottare anche con riferimento agli anni successivi al 2012”. In piccolo, era un po’ come la task force di Washington. L’incontro era fissato per martedì 16 ottobre, il mio soggetto di esposizione era “I cambiamenti climatici: stato dell’arte”. In un tiepido e luminoso pomeriggio romano, arrivai con un po’ di trepidazione a Palazzo Madama, e fui cordialmente accolto tra le boiseries della saletta della Commissione ambiente. Allestimmo una piccola zona proiezioni e qui presentai una trentina di immagini a un gruppetto di senatori, assai pochi devo dire, alcuni scettici, altri convinti, tutti comunque interessati e corretti. Passata una mezz’ora tra curve termiche e ghiacciai in ritiro, conclusi la mia relazione ricordando che ci sono alcune possibilità tecnologiche utilizzabili già da ora per produrre energia senza emettere CO2. È vero, non sono sufficienti e ne dobbiamo sviluppare altre, non bisogna illudersi sul fatto che per esempio oggi si possa fare tutto con l’energia solare; però, molto si può fare con il risparmio energetico e se si imbocca la strada giusta, può anche essere conveniente, possiamo imparare tante buone pratiche prima di averne un’effettiva necessità. Mostrai la foto del mio tetto: la mia casa e il mio ufficio funzionano interamente a energia solare, e ricordai che la presentazione che avevo mostrato era stata scritta completamente a energia solare, come lo sono queste stesse pagine. Dopo aver risposto a alcune domande pertinenti, fui gentilmente congedato e rientrai a Torino in serata. Jim, dopo il suo intervento a Washington annota con un po’ di frustrazione: “La mia presentazione alla Task Force sul Clima era stata inutile”. In effetti anch’io durante il viaggio da Roma a Torino pensai, sospeso in volo sopra il Tirreno, che quel pomeriggio in Senato non fosse servito a nulla, ma almeno avrei potuto dire ai miei nipoti Marta, Francesco, Lia, Gaia, Nicolò e Jacopo che il loro zio aveva compiuto a fondo il suo dovere di cittadino e ricercatore consapevole e informato dei fatti.

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Le tempeste dei nipotini di Hansen
di Paolo Gabrielli e Stefano Caserini

Il primo libro divulgativo di James Hansen (NASA Goddard Institute), di cui è appena stata pubblicata l’edizione italiana, illustra l’effetto serra attraverso un’interessante prospettiva extra-planetaria e ne descrive le possibili degenerazioni catastrofiche. Nonostante questi scenari rimangano per ora ipotetici, la gravità delle possibili conseguenze pone seri motivi di riflessione di natura etica e pratica.

Quando due anni fa incontrai per la prima volta James Hansen al Byrd Polar Research Center di Columbus, Ohio (USA) mi diede l’impressione di un uomo che negli anni avesse coltivato, non senza una certa sofferenza, l’arte del sapersi difendere dalle sciabolate dei suoi detrattori. Così, dopo un pomeriggio passato presso una radio locale di Columbus a rispondere alle domande dei vari negazionisti locali, Hansen non batté ciglio quando, durante la conferenza serale, gli feci osservare come la frenata della crescita della concentrazione di metano in atmosfera non si conciliasse bene con l’idea, da lui propugnata, della possibile fusione dei clatrati di metano sui fondali marini. Un’osservazione scettica che però, dopo una giornata del genere, sarebbe stata percepita da chiunque come vero e proprio “fuoco amico”. Ne uscì con un debole: “Si però, nel 2007 il metano è ricominciato a crescere”. Era sicuramente molto affaticato.

A due anni da quella conferenza, Hansen ne riporta grossomodo i contenuti nel suo primo libro divulgativo intitolato “Storms of my grandchildren” (Le tempeste dei miei nipotini), di cui è appena stata pubblicata l’edizione italiana con il titolo “Tempeste”; il libro presenta nell’edizione in inglese un sottotitolo ancora più provocatorio: “The truth about the coming climate catastrophe and our last chance to save humanity” (La verità sull’imminente catastrofe climatica e la nostra ultima possibilità di salvare l’umanità). Fosse stato per il titolo mi sarei probabilmente fermato subito perché il fatto che nessuno abbia in mano la verità sul clima futuro, mi sembra una delle più solide certezze della climatologia. Quando però si parla anche dell’ ”ultima possibilità di salvare l’umanità”, beh… questo è un libro che, volenti o nolenti, è quasi obbligatorio leggere, soprattutto perché non è stato scritto da uno scienziato qualunque.

Fin dagli anni ‘80 James Hansen, oggi direttore del NASA Goddard Institute, fu tra i primi a comprendere appieno l’immediatezza dell’effetto dirompente delle emissioni dei gas serra in atmosfera, testimoniando anche di fronte al congresso americano. Nel suo libro Hansen sfodera le sue migliori abilità di comunicatore inquadrando l’effetto serra in un’ottica extra-planetaria, forse quella a lui più congeniale. A seguito dell’alterazione antropogenica dell’effetto serra, Hansen delinea poi tre ipotesi catastrofiche che ritiene inevitabili in un futuro non meglio precisato: 1) lo scioglimento delle calotte polari, 2) la fusione dei clatrati di metano sui fondali marini ed infine 3) la “sindrome di Venere” il cosiddetto “runaway greenhaus effect”. Secondo Hansen sarebbe solo questione di tempo…..

La riduzione di entrambe le calotte di ghiaccio polari sarebbe già in atto (si veda per esempio qui) e recenti sorprendenti osservazioni riguardanti la dinamica glaciale sia in Groenlandia che in Antartide (peraltro non prese in considerazione dai modelli dell’ultimo rapporto dell’IPCC ma citati invece dalla più recente Diagnosi di Copenhagen) supportano l’idea di un possibile collasso catastrofico di almeno parte delle calotte polari, tale da indurre un innalzamento del livello dei mari di diversi metri.

La fusione dei clatrati di metano a causa del riscaldamento delle acque dei fondali marini causerebbe l’emissione di una grande quantità di metano in atmosfera, con la conseguente formidabile amplificazione dell’effetto serra (ne abbiamo già parlato qui). Qualche segno precursore potrebbe essere infatti già stato individuato (si veda qui e qui). Tuttavia, anche se ad oggi non esiste una caratterizzazione soddisfacente delle variazioni di temperatura delle acque dei fondali oceanici, a causa dell’inerzia dinamica e termica di queste acque profonde, non sembra si possa concretizzare uno scenario imminente relativo alla fusione dei clatrati di metano e quindi al loro rilascio catastrofico in atmosfera con amplificazione dell’effetto serra.

L’ipotesi più remota propugnata da Hansen è quella della sindrome di Venere secondo la quale la Terra, in seguito all’alterazione dell’effetto serra, potrebbe riscaldarsi (attraverso una serie di feedback positivi) in maniera tale da prosciugare completamente gli oceani, disperdendo il vapore nello spazio. Tuttavia secondo diversi studiosi, questo scenario non sembra possa essere consistente con una possibile traiettoria nel diagramma delle fasi dell’acqua in quanto, ben prima che gli oceani evaporino completamente, gran parte del vapore acqueo si trasformerebbe in pioggia ritornando al suolo (David Archer, comunicazione personale). In altre parole, la Terra non avrebbe una temperatura iniziale sufficientemente alta (come invece Venere) per far evaporare gli oceani durante la degenerazione dell’effetto serra.

Come raccontato nel libro, ricevuta la richiesta di individuare un limite massimo di concentrazione di CO2 in atmosfera di sicurezza per il pianeta, Hansen indicò dapprima il valore di 450 ppm. Sulla base di una serie di considerazioni spiegate in un apposito capitolo (il ritiro delle calotte polari sarebbe già in atto, l’importanza dei feedback, ecc.) Hansen si è in seguito corretto, definendo quale limite più idoneo il valore di 350 ppm, inferiore all’attuale concentrazione di 390 ppm. Da notare come Hansen non ritiene di prendere in considerazione 280 ppm (livello olocenico preindustriale) quale valore certo di sicurezza. Inevitabilmente, con limiti di CO2 comunque così stringenti (350 ppm), Hansen cozza contro il rapporto dell’IPCC il quale delinea (in una maniera che Hansen definisce “conservativa”) scenari sostanzialmente lineari e comunque, almeno da un punto di vista matematico, non catastrofici. Secondo Hansen si tratterebbe di vera e propria “reticenza” da parte della comunità scientifica la quale tenderebbe a considerare virtuoso lo smorzamento sistematico delle conseguenze più pesanti degli studi climatici.

È da quest’ultima osservazione che deriva la provocazione maggiore lanciata da Hansen, secondo il quale il fine di salvare il pianeta dalla catastrofe climatica impone il dovere morale di dar voce ad intuizioni/ragionamenti qualitativi. Anche se magari poco accettabile scientificamente, si tratta questo di un atto etico/pratico condivisibile. Questo tipo di logica è già ampiamente applicata nell’ambito della sicurezza industriale, ad esempio. Per intenderci, nessuno ritiene necessario di elaborare un modello quantitativo predittivo di se e come la presenza di cerini in un magazzino di materie plastiche possa costituire un elemento di pericolosità. I cerini vengono interdetti e basta perché se no, come dice Hansen, è solo questione di tempo…..

Eliminare quindi le centrali a carbone per evitare l’inevitabile. Questo sembra il messaggio principale del libro di Hansen. E lo propugna togliendosi i panni dello scienziato ed indossando, coraggiosamente, quelli a lui forse meno congeniali dell’attivista che prima viene censurato dall’amministrazione Bush, e poi viene arrestato durante una manifestazione indetta contro la costruzione di una nuova centrale a carbone negli USA. Lo stesso libro è del resto un vero e proprio scritto militante che sembra essere rivolto direttamente ai senatori del congresso americano, suggerendo loro, neppure tanto velatamente, che il cambiamento climatico in atto è già un problema che li riguarda personalmente in quanto i loro figli e i loro nipoti ne sono e ne saranno parte in causa. La via di uscita indicata da Hansen è la carbon tax con una successiva ridistribuzione dei dividendi. Hansen evidenzia bene i limiti del “cap and trade” ma nello stesso tempo aggira il limite più grande della carbon tax ovvero quello della sua efficacia solo nel caso fosse applicata da tutti.

Un libro dunque provocatorio e discutibile quello di Hansen ma che probabilmente rimarrà un caposaldo della letteratura scientifica divulgativa. Un libro fastidioso, con importanti ipotesi ancora da provare, ma eticamente e praticamente ineccepibile.

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Sab, 27/11/2010

Il Mondo dei Nipoti? Devastato da Tempeste
di Emanuele Bompan

A colloquio con il grande climatologo James Hansen, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro "Tempeste (per i miei nipoti)" che preseterà a Roma e Milano a dicembre: «L’unica soluzione è tassare la CO2».

Negli Usa parlare scientificamente di clima significa James Hansen, Jim per gli amici. Uno degli scienziati Nasa che più si è dedicato alla ricerca sul cambiamento climatico, una voce eminente, osteggiata dai climanegazionisti di Bush e dalla lobby degli idrocarburi di Washington. I quali hanno tentato addirittura di intralciare la sua attività di ricerca nel dipartimento dell’agenzia spaziale. «Una figura straordinaria», lo definì Bill McKibben durante un’intervista a Terra. «Un personaggio singolare e travolgente, che un giorno l’umanità dovrà ringraziare». Hansen,  condannato ai riflettori per la sua battaglia contro il global warming, è un personaggio a tratti timido, riservato. Sarà in Italia nei prossimi giorni (il 2 a Milano alla rotonda della Besana, il 4 a Roma alla fiera dell a piccola editoria) per presentare il suo libro Tempeste, di Edizioni Ambiente. Di questo e delle sue battaglie abbiamo parlato ieri.
 


Dopo decine di articoli accademici, tanti diventati pietre miliari nella scienza dei cambiamenti climatici, ha deciso di scrivere un libro divulgativo. Come mai questa svolta?
Per il grande scarto tra gli studi sul riscaldamento globale e le sue conseguenze svolti dagli scienziati e quello che le persone attualmente sanno. Lo scopo del libro dunque è offrire informazione scientifica e chiara affinché tutti i lettori comprendano la gravità della situazione climatica. E perchè comprendano anche che i governi non stanno facendo il loro lavoro, sono ancora nel letto matrimoniale con l’industria dei combustibili fossili. Nel mentre sono diventati esperti di green-washing, si dichiarano ambientalisti ma fanno altro. Forse la cosa che più desidero che la gente veda è che finché non faremo pressione sui governi per cambiare direzione, ci stiamo comportando in maniera disonesta nei confronti dei nostri figli e nipoti.


Quale è dunque l’attuale situazione del clima e delle temperature globali? Il 2010 sarà l’anno più caldo da che esistono misurazioni? E quali sono le proiezioni per i prossimi anni? 
L’oceano Pacifico tropicale ha dato inizio alla fase di raffreddamento dovuta naturale oscillazione di El Niño/La Niña, questo motiva anche il fatto che c’è incertezza a stabilire se gli ultimi 12 mesi (gennaio-dicembre) sono stati un vero record di temperature (lo è stato per Gennaio-Ottobre). La frase di raffreddamento della Niña durerà fino a metà 2011, quindi non aspettiamoci un nuovo record il prossimo anno, anche se le misurazioni mostrano che lo sarà probabilmente il 2012, vista l’influenza del riscaldamento generato dall’uomo che si sovrappone alle oscillazioni naturali. Nel lungo periodo, gran parte degli scienziati ritengono che ci sarà sicuramente un aumento delle temperature medie di almeno alcuni gradi Celsius a causa dell’inerzia politica  e dello strapotere dell’industria dei combustibili fossili. I dati sono nel libro. Io credo che la gente debba svegliarsi e comprendere che possiamo seguire un modello energetico differente, lasciando gran parte del carbone e petrolio bituminoso nel suolo. La giustificazione che per il nostro benessere si deve consumare ogni goccia di combustibili fossili, detto francamente, è una stronzata. Se questo fosse vero che cosa succederebbe alla fine di questo secolo, quando i combustibili fossili finiranno: il mondo cadrà in miserabile povertà? Assurdo! Se noi creiamo una tassa sulle emissioni di CO2 e distribuiamo il ricavato al pubblico, avremo un grande piano di stimolo che renderà le energie pulite competitive sul piano economico e darà forza a una trasformazione della società verso  energie a zero emissioni. I discorsi sui green jobs non hanno senso senza una carbon tax, globale e costantemente in crescita.

Cosa succederà con la fine delle riserve di combustibili fossili alla terra? 
Lo sappiamo molto bene, il pianeta diventerà qualcosa di completamente diverso da come lo conosciamo. Non ci sarà più calotta artica, il livello del mare si innalzerà di 75 metri e gran parte delle specie saranno estinte. Quello che non sappiamo è quanto durerà questa caotica dinamica di transizione verso un pianeta desolato. Lo scioglimento dei ghiacci e il collasso degli ecosistemi sono problemi non lineari – ciò rende difficile dire quando il collasso inizierà. Ma se continuiamo come nulla fosse, questo caos occorrerà durante la vita dei miei nipoti. Per questo il titolo del libro è Storms of My Grandchildren (Le tempeste dei miei nipoti, ndr).
 


Quanto sono probabili nei prossimi decenni fenomeni di accelerazione improvvisa dei cambiamenti climatici? 
Quelli che si chiamano ”Abrupt climate change”, fenomeni con trasformazioni catastrofiche sono certi al 100%, se continuiamo in questa direzione. Alcuni giorni fa c’era un articolo a 9 colonne sul New York Times: “There Will Be Fuel”, (Ci sarà carburante, nda).Queste persone credono che inseguiremo ogni singola goccia di combustibili fossili: se facciamo come suggerisce l’articolo del Times allora non c’è speranza andiamo incontro a questi cambiamenti.


Nel libro racconta le pressioni subite dalla Nasa durante l’era Bush. E' cambiata l’atmosfera con Obama? 
Il governo non sta prendendo tutte le misure necessarie. Sono ancora succubi dell’industria fossile. La migliore speranza è che la Cina ammetta la gravità della situazione e la responsabilità e prenda la giusta strada. Forse alcuni governi europei daranno il loro supporto, ma non fermeremo l’effetto serra senza un pubblico informato che metta sotto pressione la politica per smettere con le loro chiacchere verdi e iniziare a fare sul serio.
 


Cosa dovrebbero fare i media per essere più efficaci?
Devono rispettare la scienza. Devono mostrare le questioni fondamentali. Inoltre ogni pazzo (il riferimento va soprattutto alle trasmissioni climanegazioniste americane) non merita la stessa esposizione mediatica e il diritto di confondere il pubblico.
 


Com’è possibile che in Usa, patria degli studi sui cambiamenti climatici, esista una scarsa consapevolezza del problema, tanto che alle recenti elezioni d sono stati eletti numerosi climanegazionisti?
Intanto ci sono gli interessi del denaro che vuole lo status quo. E gli scienziati non possono competere con i potentati economici. Basta vedere come hanno punito i climatologi per un errore alla pagina 7497 di un report (il riferimento è allo scandalo costruito a tavolino su un errore di dati in una ricerca della West Anglia Univerisity, ndr).


Oggi si parla di geo ingegneria per il clima, come l’iron-seeding, gli alberi modificati geneticamente per assorbire più CO2, le nuvole artificiali.
L’unica soluzione per preservare il pianeta com’era 10mila anni fa è lasciare i combustibili fossili dove sono. Nei prossimi negoziati si parlerà soprattutto di meccanismi di compensazione e di finanza climatica, si parlerà di CDM, REDD , tutti sistemi per scambiare emissioni in cambio di soldi. Tutto questo è green-washing, un inganno dipinto di verde, un tentativo per aggirare la vera questione. Tassare la CO2 è la soluzione. Vedremo.

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