english version below

This article appears in the April 16, 2012 edition of The Nation

http://www.thenation.com

http://panopticonreview.blogspot.it

March 27, 2012

 

Assassinio e Vietnam Distrussero la Great Society

di Tom Hayden

 

La visione vincente di Port Huron, a chi discusse la strategia e la espose seriamente per portarla a termine, sembrava tutto possibile. Ma anche i migliori e i più brillanti tra i giovani radicali erano ostacolati dall’incapacità di prevedere il futuro. In primo luogo, ci fu l'assassinio di John Kennedy, che devastò la base razionale per la strategia. L'assassinio di un presidente, semplicemente non era stato preso in considerazione, in nessuno dei modelli a cui lavorammo seriamente per le riforme o la rivoluzione. Sia che l'uccisione di Kennedy facesse parte di una più ampia cospirazione, come molti credono ancora, o  meno, uno stato d'animo di paranoia si radicò nella Nuova Sinistra, in cui sembrava che ogni nozione di pacifici trasferimenti democratici del potere fossero illusori. Poteva essere un pio desiderio, ma credo che l'evidenza fu che Kennedy non avrebbe mandato 100.000 truppe di terra in Vietnam, come fece poi il suo successore, dopo aver promesso di non farlo. Per la maggior parte di noi, Kennedy, così come altri leader nazionali assassinati in quel decennio, tra cui il fratello di JFK Robert, King e anche Malcolm X, erano figure centrali nella trasformazione che speravamo di vedere realizzarsi. Il potere del movimento indipendente veniva prima, ma era anche necessario fare pressioni sul presidente da seguire, per riconoscere, legittimare e legalizzare la vittoria e perseguire una transizione verso una democrazia più partecipativa ed egualitaria.

 

La Dichiarazione di Port Huron aveva correttamente predetto che se la guerra nucleare con l'Unione Sovietica potesse essere prevenuta, ci sarebbe stata comunque una guerra civile internazionale, continua, tra gli stati mandatari degli Stati Uniti e quelli dell’Unione Sovietica. Cuba fu un punto di riferimento del genere, e il Vietnam ne divenne un altro. La guerra del Vietnam deviò l'attenzione dell'opinione pubblica e delle risorse drenate dalla guerra in erba alla povertà. Io ero uno tra molte centinaia che si trasferirono nei quartieri più vecchi delle città, per impegnarsi nell'organizzazione una comunità contro la povertà, gruppi che si insediassero come enti locali a Newark e nel New Jersey. Ma il Vietnam distrusse tutto ciò, facendo precipitare il nostro giovane movimento in cinque anni di progetto e di resistenza alla guerra, e provocando una escalation militante contro i suoi fautori. L'escalation in Vietnam fu accompagnata da centinaia di rivolte nelle comunità nere, con il costo di innumerevoli vite e miliardi di dollari sprecati. Ogni possibilità, per quanto remota o delirante, del nostro essere l'ala sinistra della Great Society di Johnson fu reso impossibile e respinto con disgusto. Le conseguenze per il riallineamento erano molto diverse dalle nostre previsioni. Come risultato del movimento per i diritti civili, ci fu una generazione di politici liberali bianchi come Jimmy Carter, Bill Clinton e Al Gore, insieme ad un enorme complemento di funzionari neri eletti dal Sud, dagli sceriffi locali ai membri del Congresso come John Lewis (un membro SNCC) e Jim Clyburn, vice presidente sotto Charles McDew del movimento studentesco del South Carolina State nel 1960. Il clima del terrorismo ufficialmente patrocinato rifluì nel Sud, e leader come il reverendo Jesse Jackson alla fine, si sarebbero impegnati in imponenti campagne presidenziali, cosa che sarebbe stata possibile nel secolo precedente. Barack Obama, nato nel 1961, l'anno in cui cominciarono i Freedom Rides, molto deve la sua elezione alle riforme sui diritti di voto che portarono a questo riallineamento. Come procuratore generale Eric Holder disse alla riunione del 2010 per il cinquantesimo di SNCC, "c'è una linea diretta da quel contatore di pasti fino all'Ufficio Ovale ed al ... Dipartimento di Giustizia in cui si trova il procuratore generale." D'altra parte, come Richard Flacks, un co-autore principale del Port Huron Statement PHS, notò, abbiamo sottovalutato un altro riallineamento, il volo degli elettori meridionali bianchi del Partito democratico, predetto da Johnson e incoraggiato nel 1968 dalla Strategia per il sud di Nixon. Ciò provocò un contaccolpo e due vittorie per i repubblicani (Nixon, Reagan) e la trasformazione degli elettori bianchi del Sud da solidi democratici, in solidi repubblicani. La guerra civile tra i cosiddetti rossi e blu continua ancora oggi, con le linee rosse stranamente disegnate intorno alla vecchio Confederazione e in gran parte dell'Occidente, dove sono state combattute le guerre indiane. Credo che la visione di Port Huron, di un’alleanza progressista sarebbe riuscita a portare un nuovo governo di maggioranza al potere nel 1964, con una buona probabilità di evitare la guerra del Vietnam, se non fosse per l'assassinio di Kennedy e la conseguente escalation di Johnso. Questo argomento può essere criticato come puramente ipotetico, ma esso cercò di catturare l'immensità del nostro sogno e come sembrava vicino alla nostra portata. E' anche una misura della profondità della disperazione in cui piombammo negli anni che seguirono, una disperazione che indugia ancora oggi tra coloro che hanno sperimentato sia la bella lotta che il suo frutto amaro. C'era un terzo ostacolo al sogno di PHS, oltre agli assassinii e alla guerra del Vietnam. In mancanza di un altro termine, era il sistema stesso, o il paradigma del potere che abbiamo sfidato, ma che non potevamo sconfiggere. Per Sistema intendo l’intersecarsi, anche se non coordinato, delle gerarchie di banche, aziende, i militari, i media e la religione dominante, allora come oggi, anche se oggi ci sono molte più donne e persone di colore ai livelli superiori. Questa è stata l’elite al potere descritta da Mills. Il suo concetto di potere era più ampio di quello di una mera classe dirigente economica. Era un’establishment molto più flessibile, anche liberale, che aveva presieduto la crescita della classe media bianca negli anni ‘50. Con Paradigma, intendo una comprensione del potere come egemonia culturale o il dominio di un sistema di pensiero a cui non sembra esserci alcuna alternativa. Il paradigma oppressivo che il PHS cercò di screditare fu la guerra fredda tra due blocchi impegnati in politica del rischio nucleare calcolato. Siamo stati la prima generazione nella storia a crescere con la bomba, ad imparare a nascondersi sotto i banchi o nei rifugi, ad essere esposti alla logica pazza di Mad (Mutual Absolute Disctuction) "Distruzione Reciproca Assoluta" e alla cinica realpolitik del “mondo libero” e del Blocco Sovietico a controllare le alleanze di autoritari servili. Siamo passati attraverso un’esperienza di pre-morte durante la crisi dei missili cubani. E conoscevamo la matematica spietata: le migliaia di miliardi spesi per le armi erano dollari che avrebbero potuto essere investiti nello sviluppo economico, nella sanità e nell'istruzione. Il Presidente Eisenhower aveva un nome per questo sistema: Il Complesso- Militare-Industriale e abbiamo notato che osò farne uso solo mentre stava lasciando l'ufficio. Questo paradigma in un primo momento ci ha congelato nella paura. L'eredità del maccartismo, se continuato negli anni ‘60, avrebbe significato che tutto il nostro lavoro, dai sit-in ai Freedom Rides allo Statement di Port Huron, sarrebbe stato emarginato come la presa di posizione sbagliata nella guerra fredda. La dichiarazione quindi, include un attacco di venti pagine a questa mentalità della guerra fredda, la metà dedicata ad una proposta per il disarmo nucleare graduale, la metà ad un atteggiamento di accoglienza verso le rivoluzioni anticoloniali. La nostra proposta era quella di de-escalare il confronto nucleare bipolare. Che, a differenza della maggior parte del liberalismo di sinistra del tempo, suggerivamo che il nostro governo era in parte da biasimare per la guerra fredda, negando che l'Unione Sovietica cercsse di conquistare il mondo con la forza. Ci fu un movimento per la pace in crescita, a cui molti, nelle nostre file, aderirono con entusiasmo.

 

 

Nonostante, o forse proprio a causa di ciò, la crisi nucleare di Cuba nel 1962, rese il presidente Kennedy un importante critico della guerra fredda prima del suo assassinio. Sembrava che la domanda di Students for a Democratic Society per nuove priorità venisse riconosciuta quando Kennedy avviò e firmò il trattato per una moratoria parziale degli esperimenti nucleari con l'Unione Sovietica nell’ottobre 1963.

 


This article appears in the April 16, 2012 edition of The Nation

http://www.thenation.com

http://panopticonreview.blogspot.it

March 27, 2012

 

Assassination and Vietnam Destroy the Great Society   

By Tom Hayden

 

The Port Huron vision of winning seemed entirely possible to those who debated the strategy and set forth earnestly to carry it out. But even the “best and brightest” among the young radicals were thwarted by our inability to predict the future.    First, there was the assassination of John Kennedy, which devastated any rational basis for strategy. The assassination of a president simply wasn’t factored into any models we took seriously about reform or revolution. Whether or not the Kennedy killing was part of a larger conspiracy, as many still believe, a mood of paranoia took root in the New Left, in which it seemed that any notions of peaceful democratic transfers of power were illusory. It may be wishful thinking, but I believe the evidence is that Kennedy would not have sent 100,000 ground troops to Vietnam, as his successor did (after promising not to). For most of us, Kennedy, as well as other national leaders assassinated that decade, including JFK’s brother Robert, King and even Malcolm X, had been central figures in the transformation we hoped to see. The power of the independent movement came first, but it was also necessary to pressure the president to follow, to recognize and legitimize and legalize the victory and pursue a transition to a more participatory and egalitarian democracy.    The Port Huron Statement correctly predicted that if nuclear war with the Soviet Union could be prevented, there still would be an ongoing “international civil war” between proxies of the United States and Soviet Union. Cuba was one such focal point, and Vietnam became another. The Vietnam War diverted public attention and drained resources from the budding War on Poverty. I was one of many hundreds who moved into inner-city neighborhoods to engage in community organizing against poverty, establishing groups that took over local boards in Newark, New Jersey. But Vietnam wrecked all that, plunging our young movement into five years of draft and war resistance, and provoking an escalated militancy against the warmakers. The Vietnam escalation was accompanied by hundreds of uprisings in black communities, with the cost in lives still uncounted and billions of dollars wasted. Any possibility, however remote or delusional, of our being the left wing of Johnson’s Great Society was rendered impossible and was rejected in disgust.    The consequences for realignment were far different from our predictions. As a result of the civil rights movement, there came a generation of white liberal politicians like Jimmy Carter, Bill Clinton and Al Gore, along with a huge complement of black elected officials from the South, from local sheriffs to Congressmen like John Lewis (a SNCC member) and Jim Clyburn (vice chair under Charles McDew of the South Carolina State student movement in 1960). The climate of officially sponsored terrorism ebbed in the South, and leaders like the Rev. Jesse Jackson would eventually run impressive presidential campaigns where none had been possible in the previous century. Barack Obama, born in 1961, the year the Freedom Rides began, very much owes his election to the voting rights reforms that brought about this realignment. As Attorney General Eric Holder said at SNCC’s fiftieth reunion in 2010, “there is a direct line from that lunch counter to the Oval Office and to the…Department of Justice where the attorney general sits.”    On the other hand, as Richard Flacks, a principal author of the PHS, has noted, we underestimated another realignment: the flight of white Southern voters from the Democratic Party, predicted by Johnson and encouraged by Nixon’s 1968 “Southern strategy.” This resulted in two backlash victories by Republicans (Nixon, Reagan) and the transformation of the white South from solid Democratic to solid Republican. The civil war between so-called red and blue continues to this day, with the red lines eerily drawn around the Old Confederacy and much of the West where the Indian wars were fought.    I believe the Port Huron vision of a progressive alliance would have succeeded in bringing a new governing majority to power in 1964, with a likelihood of avoiding the Vietnam War, were it not for the murder of Kennedy and Johnson’s subsequent escalation of it. This argument may be criticized as purely hypothetical, but it tries to capture the immensity of our dream and how close it seemed to our grasp. It is also a measure of the depths of despair we fell to in the years to come, a despair that lingers today among those who experienced both the beautiful struggle and the bitter fruit.    There was a third obstacle to the PHS dream, besides the assassinations and the Vietnam War. For want of another term, it was the system itself, or the powerful paradigm we defied but could not defeat. By “system” I mean the intersecting (though not coordinated) hierarchies of banks, corporations, the military, media and religion, dominant then as now (though there are far more women and people of color at the upper levels today). This was the “power elite” described by Mills. His concept of power was broader than that of an economic ruling class. It was an establishment far more flexible, even liberal, that had presided over the growth of the white middle class in the 1950s.    By “paradigm” I mean an understanding of power as cultural hegemony or dominance, a thought system in which there seems to be no alternative. The oppressive paradigm the PHS tried to discredit was the cold war between two blocs engaged in nuclear brinkmanship. We were the first generation in history to grow up with the Bomb, to learn to hide under desks or in bomb shelters, to be exposed to the mad logic of “mutual assured destruction” and the cynical realpolitik of “free world” and Soviet blocs controlling alliances of servile authoritarians. We went through a near-death experience during the Cuban missile crisis. And we knew the grim math: the trillions spent on weapons were dollars that could have been invested in economic development, healthcare and education. President Eisenhower had a name for this system—the military-industrial complex—and we noted that he dared name it only as he was leaving office. This paradigm at first froze us in fear. The legacy of McCarthyism, if continued in the 1960s, would mean that all our work, from the sit-ins to the Freedom Rides to the Port Huron Statement, would be marginalized as taking the wrong side in the cold war.    The Statement therefore included a twenty-page attack on this cold war mentality, half devoted to a proposal for phased nuclear disarmament, half to a welcoming attitude toward anti-colonial revolutions. Our proposal was to de-escalate the bipolar nuclear confrontation. We differed with most of the left-liberalism of the time by suggesting that our own government was partly to blame for the cold war, and by denying that the Soviet Union sought to take over the world by force. There was a growing peace movement, which many in our ranks eagerly joined. Despite, or perhaps because of, the nuclear near-miss over Cuba in 1962, President Kennedy became an important critic of the cold war before his assassination. It appeared that the SDS demand for new priorities was being recognized when Kennedy initiated and signed a partial nuclear test ban treaty with the Soviet Union in October 1963.

top