Manifesto di Rivolta Femminile
di Carla Lonzi


Carla Lonzi: Il Femminismo, Avanguardia Filosofica di Fine Secolo.
di Franco Restaino


Manifesto di Rivolta Femminile
di Carla Lonzi


Tratto da La Nonviolenza è in Cammino
Da Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982, pp. 13-22, riproponiamo ancora una volta il manifesto di "Rivolta Femminile" del luglio 1970, uno dei testi fondamentali della riflessione femminista in Italia.


Carla Lonzi e' stata un'acutissima intellettuale femminista, nata a Firenze nel 1931 e deceduta a Milano nel 1982, critica d'arte, fondatrice del gruppo di Rivolta Femminile. Opere di Carla Lonzi: Sputiamo su Hegel, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982; Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978; Scacco ragionato, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1985. Opere su Carla Lonzi: Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990


 
"Le donne saranno sempre divise le une dalle altre? Non formeranno mai un corpo unico?" (Olympe de Gouges, 1791)
 
La donna non va definita in rapporto all'uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra liberta'.
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L'uomo non e' il modello a cui adeguare il processo di scoperta di se' da parte della donna.
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La donna e' l'altro rispetto all'uomo. L'uomo e' l'altro rispetto alla donna. L'uguaglianza e' un tentativo ideologico per asservire la donna a piu' alti livelli.
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Identificare la donna all'uomo significa annullare l'ultima via di liberazione.
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Liberarsi per la donna non vuol dire accettare la stessa vita dell'uomo perche' e' invivibile, ma esprimere il suo senso dell'esistenza.
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La donna come soggetto non rifiuta l'uomo come soggetto, ma lo rifiuta come ruolo assoluto. Nella vita sociale lo rifiuta come ruolo autoritario.
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Finora il mito della complementarieta' e' stato usato dall'uomo per giustificare il proprio potere.
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Le donne son persuase fin dall'infanzia a non prendere decisioni e a dipendere da persona "capace" e "responsabile": il padre, il marito, il fratello...
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L'immagine femminile con cui l'uomo ha interpretato la donna e' stata una sua invenzione.
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Verginita', castita', fedelta', non sono virtu'; ma vincoli per costruire e mantenere la famiglia. L'onore ne e' la conseguente codificazione repressiva.
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Nel matrimonio la donna, privata dal suo nome, perde la sua identita' significando il passaggio di proprieta' che e' avvenuto tra il padre di lei e il marito.
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Chi genera non ha la facolta' di attribuire ai figli il proprio nome: il diritto della donna e' stato ambito da altri di cui e' diventato il privilegio.
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Ci costringono a rivendicare l'evidenza di un fatto naturale.
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Riconosciamo nel matrimonio l'istituzione che ha subordinato la donna al destino maschile. Siamo contro il matrimonio.
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Il divorzio e' un innesto di matrimoni da cui l'istituzione esce rafforzata.
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La trasmissione della vita, il rispetto della vita, il senso della vita sono esperienza intensa della donna e valori che lei rivendica.
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Il primo elemento di rancore della donna verso la societa' sta nell'essere costretta ad affrontare la maternita' come un aut-aut.
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Denunciamo lo snaturamento di una maternita' pagata al prezzo dell'esclusione.
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La negazione della liberta' d'aborto rientra nel veto globale che viene fatto all'autonomia della donna.
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Non vogliamo pensare alla maternita' tutta la vita e continuare ad essere inconsci strumenti del potere patriarcale.
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La donna e' stufa di allevare un figlio che le diventera' un cattivo amante.
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In una liberta' che si sente di affrontare, la donna libera anche il figlio e il figlio e' l'umanita'.
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In tutte le forme di convivenza, alimentare, pulire, accudire e ogni momento del vivere quotidiano devono essere gesti reciproci.
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Per educazione e per mimesi l'uomo e la donna sono gia' nei ruoli della primissima infanzia.
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Riconosciamo il carattere mistificatorio di tutte le ideologie perche' attraverso le forme ragionate di potere (teologico, morale, filosofico, politico) hanno costretto l'umanita' a una condizione inautentica, oppressa e consenziente.
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Dietro ogni ideologia noi intravediamo la gerarchia dei sessi.
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Non vogliamo d'ora in poi tra noi e il mondo nessuno schermo.
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Il femminismo e' stato il primo momento politico di critica storica alla famiglia e alla societa'.
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Unifichiamo le situazioni e gli episodi dell'esperienza storica femminista: in essa la donna si e' manifestata interrompendo per la prima volta il monologo della civilta' patriarcale.
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Noi identifichiamo nel lavoro domestico non retribuito la prestazione che permette al capitalismo, privato e di stato, di sussistere.
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Permetteremo quello che di continuo si ripete al termine di ogni rivoluzione popolare quando la donna, che ha combattuto insieme con gli altri, si trova messa da parte con tutti i suoi problemi?
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Detestiamo i meccanismi della competitivita' e il ricatto che viene esercitato nel mondo dalla egemonia dell'efficienza. Noi vogliamo mettere la nostra capacita' lavorativa a disposizione di una societa' che ne sia immunizzata.
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La guerra e' stata da sempre l'attivita' specifica del maschio e il suo modello di comportamento virile.
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La parita' di retribuzione e' un nostro diritto, ma la nostra oppressione e' un'altra cosa. Ci basta la parita' salariale quando abbiamo gia' sulle spalle ore di lavoro domestico?
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Riesaminiamo gli apporti creativi della donna alla comunita' e sfatiamo il mito della sua laboriosita' sussidiaria.
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Dare alto valore ai momenti "improduttivi" e' un'estensione di vita proposta dalla donna.
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Chi ha il potere afferma: "Fa parte dell'erotismo amare un essere inferiore". Mantenere lo "status quo" e' dunque un suo atto d'amore.
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Accogliamo la libera sessualita' in tutte le sue forme, perche' abbiamo smesso di considerare la frigidita' un'alternativa onorevole.
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Continuare a regolamentare la vita fra i sessi e' una necessita' del potere; l'unica scelta soddisfacente e' un rapporto libero.
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Sono un diritto dei bambini e degli adolescenti la curiosita' e i giochi sessuali.
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Abbiamo guardato per 4.000 anni: adesso abbiamo visto!
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Alle nostre spalle sta l'apoteosi della millenaria supremazia maschile. Le religioni istituzionalizzate ne sono state il piu' fermo piedistallo. E il concetto di "genio" ne ha costituito l'irraggiungibile gradino.
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La donna ha avuto l'esperienza di vedere ogni giorno distrutto quello che faceva.
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Consideriamo incompleta una storia che si e' costituita sulle tracce non deperibili.
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Nulla o male e' stato tramandato dalla presenza della donna: sta a noi riscoprirla per sapere la verita'.
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La civilta' ci ha definite inferiori, la chiesa ci ha chiamate sesso, la psicanalisi ci ha tradite, il marxismo ci ha vendute alla rivoluzione ipotetica.
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Chiediamo referenze di millenni di pensiero filosofico che ha teorizzato l'inferiorita' della donna.
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Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo per la riproduzione dell'umanita', legame con la divinita' o soglia del mondo animale; sfera privata e "pietas". Hanno giustificato nella metafisica cio' che era ingiusto e atroce nella vita della donna.
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Sputiamo su Hegel.
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La dialettica servo-padrone e' una regolazione di conti tra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civilta' patriarcale.
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La lotta di classe, come teoria di classe sviluppata dalla dialettica servo-padrone, ugualmente esclude la donna. Noi rimettiamo in discussione il socialismo e la dittatura del proletariato.
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Non riconoscendosi nella cultura maschile, la donna le toglie l'illusione dell'universalita'.
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L'uomo ha sempre parlato a nome del genere umano, ma meta' della popolazione terrestre lo accusa ora di aver sublimato una mutilazione.
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La forza dell'uomo e' nel suo identificarsi con la cultura, la nostra nel rifiutarla.
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Dopo questo atto di coscienza l'uomo sara' distinto dalla donna e dovra' ascoltare da lei tutto quello che la concerne.
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Non saltera' il mondo se l'uomo non avra' piu' l'equilibrio psicologico basato sulla nostra sottomissione.
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Nella cocente realta' di un universo che non ha mai svelato i suoi segreti, noi togliamo molto del credito dato agli accanimenti della cultura. Vogliamo essere all'altezza di un universo senza risposte.
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Noi cerchiamo l'autenticita' del gesto di rivolta e non la sacrificheremo ne' all'organizzazione ne' al proselitismo.
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Comunichiamo solo con donne.
 
Roma, luglio 1970

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Carla Lonzi: Il Femminismo, Avanguardia Filosofica di Fine Secolo.
di Franco Restaino


Il seguente saggio di Franco Restaino, che La Nonviolenza è in Cammino, ha ripreso dalla rivista telematica "Per amore del mondo", n. 2 (nel sito www.diotimafilosofe.it), precedentemente apparso nel volume Le avanguardie filosofiche in Italia nel XX secolo, a cura di P. Di Giovanni, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 269-286.


Franco Restaino, nato ad Alghero (Sassari) nel 1938, docente universitario prima a Cagliari e poi a Roma; "i suoi interessi di ricerca hanno riguardato prevalentemente le filosofie inglese, scozzese, francese e statunitense degli ultimi tre secoli. Ha intrapreso anche studi sull'estetica (avendola insegnata per dieci anni) e negli ultimi anni ha ripreso ed esteso le sue ricerche (iniziate negli anni Sessanta su Vailati) sull'area italiana, occupandosi degli sviluppi del positivismo. Attualmente continua le sue ricerche sulla recente filosofia inglese e statunitense, sui rapporti tra filosofia di lingua inglese e filosofie europeo-continentali e sul pensiero femminista". Tra le opere di Franco Restaino: La fortuna di Comte in Gran Bretagna. I. Comte sansimoniano, in "Rivista critica di storia della filosofia", XXIII, 1968, 2; II. Comte scienziato, ibidem, XXIII, 1968, 4; III. Comte filosofo, ibidem, XXIV, 1969, 2; IV. Comte pontefice, ibidem, XXIV, 1969, 4; J. S. Mill e la cultura filosofica britannica, La Nuova Italia, Firenze 1968;Scetticismo e senso comune. La filosofia scozzese da Hume a Reid, Laterza, Roma-Bari 1974; Note sul positivismo italiano (1865-1908). Gli inizi (1865-1880), in "Giornale critico della filosofia italiana", LXIV, 1985, 1; Il successo (1881-1891), ibidem, LXIV, 1985, 2; Il declino (1892-1908), ibidem, LXIV, 1985, 3; David Hume, Editori Riuniti, Roma 1986; Filosofia e postfilosofia in America. Rorty, Bernstein, MacIntyre, Angeli, Milano 1990; Storia dell'estetica moderna, Utet, Torino 1991; Storia della filosofia, fondata da N. Abbagnano, in collaborazione con G. Fornero e D. Antiseri, vol. IV, tomo II, La filosofia contemporanea, Utet, Torino 1994, poi Tea, Milano 1996; "Esthetique et poetique au XVIIIe siecle en Angleterre", in Histoire des Poetiques, a cura di J. Bessiere, E. Kushner, R. Mortier, J. Weisberger, Presses Universitaires de France, Paris 1997; "La filosofia anglo-americana", in La filosofia della seconda meta' del Novecento, a cura di G. Paganini, Piccin-Vallardi, Padova 1998; in collaborazione con A. Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia Scriptorium, Torino 1999; Storia della filosofia, 4 voll., Utet Libreria, Torino 1999; La rivoluzione moderna. Vicende della cultura tra Otto e Novecento, Salerno Editrice, Roma 2001.



 
La scelta di questo tema puo' apparire bizzarra o provocatoria; necessita quindi di un chiarimento.
Il tema generale del convegno fa riferimento alle avanguardie della filosofia italiana del Novecento. A parere di chi scrive, se si intende il termine "avanguardia" nel suo significato corrente (un gruppo di persone che propone tesi originali che danno luogo a una scuola, corrente o movimento nel campo letterario, filosofico, artistico o altro), e' molto difficile denominare col termine "avanguardia" una qualche scuola o corrente filosofica del Novecento italiano (1). Pensiamo alle figure e scuole emergenti via via lungo il secolo e alle denominazioni con le quali si suole designarle: pragmatismo (nelle versioni Papini-Prezzolini e Vailati-Calderoni), neoidealismo (nelle versioni crociana e gentiliana), spiritualismo, marxismo, esistenzialismo, ermeneutica, storicismo, filosofia analitica, tutte con poche o molte articolazioni interne.
Si tratta veramente di avanguardie che propongono qualcosa di originale rispetto a quanto veniva teorizzato e praticato in altre scuole o correnti della stessa denominazione in altre aree della cultura filosofica? O non si tratta invece di una "importazione" o di una "reviviscenza" di posizioni teoriche gia' presenti (talvolta nella stessa cultura filosofica italiana), anche se in forme diverse, nella cultura filosofica internazionale? Personalmente sono del parere che si debba rispondere positivamente alla seconda delle due domande appena formulate.
Questa posizione potra' apparire riduttiva e addirittura lesiva del "buon nome" della nostra cultura filosofica, ma solo a chi "misura" i contributi teorici di essa alla produzione filosofica mondiale con occhi o pregiudizi "nazionalistici". E' sufficiente dare uno sguardo alle storie della filosofia, ai dizionari, ai "panorami" e alle enciclopedie della stessa disciplina, apparsi negli ultimi anni e decenni nelle aree culturali che hanno segnato piu' incisivamente la produzione teorica originale degli ultimi due secoli (Germania, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti d'America), per riscontrarvi la scarsa o nulla presenza di autori italiani (2). Una sospetta convergenza antiitaliana? Crediamo di no. E' una realistica constatazione e presa d'atto del fatto che il ricco e variegatissimo dibattito filosofico del nostro Novecento (e di gran parte dell'Ottocento) non e' sfociato in grandi elaborazioni teoriche riconoscibili o riconosciute come tali nel mondo filosofico internazionale.
Non e' sfociato, si puo' aggiungere, neppure in opere divenute "classiche", alle quali cioe' si ritorni in maniera ricorrente al di la' della cerchia ristretta degli storici specialisti o dei laureandi impegnati nella ricostruzione dei "dettagli" delle vicende della cultura filosofica italiana contemporanea. Si pensi, per esempio, alla circolazione delle opere dei "capiscuola" della filosofia italiana dell'ultimo secolo e del precedente. Quali e quante di queste opere sono attualmente in circolazione, nei cataloghi dei "libri in commercio"? Credo che sarebbe difficile farne un elenco, anche breve. E' piu' facile, semmai, trovare in circolazione opere di autori che hanno operato al di fuori delle principali correnti filosofiche italiane del secolo e che vengono "lanciati" con una certa fortuna da qualche editore prestigioso (si pensi a un Michelstaedter, a un Rensi); autori che comunque non hanno lasciato tracce consistenti nel dibattito filosofico contemporaneo.
L'Italia del Novecento non ha dunque avuto nessuna avanguardia filosofica? Credo che si debba riconoscere, senza recriminazioni o irritazioni, che le cose sono andate proprio cosi', almeno per quel che riguarda la produzione dei filosofi maschi.
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Secondo chi scrive, infatti, l'unica eccezione riguarda il pensiero di orientamento femminista prodotto nel nostro paese, contemporaneamente al e non in dipendenza dal pensiero femminista di area statunitense, inglese e francese, dagli anni Settanta a oggi.
In questo caso si e' trattato, e si tratta, di una vera e propria avanguardia filosofica che in consonanza con altre avanguardie di orientamento affine in altre aree della cultura internazionale ha prodotto e continua a produrre significative e originali elaborazioni teoriche; le quali sono risultate riconoscibili e vengono riconosciute in quel ricco e variegato mondo del pensiero delle filosofe anche se non ancora (o almeno non nella misura dovuta) in quello del pensiero dei filosofi.
Che cosa e' stato e che cosa e' il pensiero femminista italiano, formatosi in maniera originale negli stessi anni nei quali si e' andato formando quello statunitense, inglese, francese? Esistono ormai testi riccamente documentati in questo settore di studi, e ad alcuni di essi rimandiamo in nota (3). Richiamiamo qui soltanto alcuni suoi caratteri qualificanti ed elementi di informazione con riferimento anche al pensiero femminista non italiano.
Il pensiero femminista italiano e' nato all'interno del movimento femminista, formatosi nella seconda meta' degli anni Sessanta, come nei piu' avanzati paesi del mondo occidentale, in seguito al distacco rapido e crescente di gruppi di giovani militanti (prevalentemente studentesse universitarie) dai partiti e movimenti di sinistra (parlamentare ed extraparlamentare) accusati di "maschilismo" sia nella teoria sia nella pratica.
Il distacco di tali gruppi di giovani militanti ha portato come conseguenza, in Italia e negli altri paesi sopra nominati (Usa, Gran Bretagna, Francia), la formazione di un numero consistente di esperienze militanti locali che rifiutano la centralizzazione (tipica dei partiti e movimenti "maschilisti") e praticano invece l'elaborazione di tecniche di discussione e di elaborazione teorica (gruppi di autocoscienza) e pratico-politica alternative, "femministe" appunto.
Il decentramento dell'attivita' teorica e politica non ha impedito affatto la ricerca e l'individuazione di obiettivi comuni di lotta e rivendicazione politica e legislativa: parita' di trattamento economico con i maschi, pari opportunita', divorzio, aborto, consultori, asili d'infanzia e altri ancora hanno contrassegnato per una quindicina d'anni la lotta femminista in tutto il mondo occidentale. Tali obiettivi integravano quelli tradizionali, risalenti al primo femminismo internazionale (dalla meta' dell'Ottocento al 1920 circa), relativi alla rivendicazione della uguaglianza giuridica rispetto ai cittadini maschi sulle questioni del diritto al voto, dell'accesso all'istruzione di livello superiore e universitario, dell'accesso alle libere professioni e altri ancora.
La crescita politica, organizzativa (sempre decentrata, col rifiuto del concetto di "capi" del movimento) e teorica negli anni intorno al 1970 ha portato al privilegiamento di tematiche radicalmente nuove rispetto a quelle del primo femminismo che puntava alla uguaglianza dei diritti e delle condizioni di trattamento economico delle donne rispetto a quelli riconosciuti ai maschi. Nasce allora quello che viene definito comunemente femminismo "radicale", il cui intento di fondo, nei diversi paesi in cui si forma contemporaneamente, anche se con accenti teorici differenziati, e' quello appunto di andare "alla radice" delle cause che hanno reso la donna, storicamente e non "naturalmente", inferiore all'uomo (4). Radice che non e' soltanto, come riteneva il primo femminismo, giuridica ed economica.
La sfera della sessualita' viene riconosciuta e individuata, intorno al 1970 in tutti i movimenti femministi occidentali, come quella nella quale sta la "radice" della inferiorita' imposta alla donna dal dominio dell'uomo, dominio chiamato pressoche' da tutte le femministe "patriarcalismo". Non l'appartenenza di classe, o quella di razza, che pure costituiscono nel passato e nel presente cause importanti della inferiorita' delle donne, ma essenzialmente la sfera della sessualita', con la proiezione della differenza di "sesso" (anatomica, fisica) nella differenza di "genere" (cioe' di ruolo sociale, familiare), costituisce per il nuovo femminismo degli anni Sessanta-Settanta la vera "radice" di quella inferiorita'.
Il nuovo femminismo (nuovo rispetto a quello entrato in crisi e "in sonno" dopo il 1920), o anche, come viene chiamato comunemente, il femminismo della "seconda ondata" (la prima ondata e' quella esauritasi nel 1920), concentra quindi nella sessualita' (tematica considera "tabu'" nel primo femminismo, con alcune isolate eccezioni nel primo Novecento nel campo anarchico e socialista, si pensi a Emma Goldmann) le sue riflessioni, analisi, elaborazioni teoriche, dalle quali emergeranno anche le rivendicazioni pratiche, politiche, legislative. In meno di dieci anni la produzione teorica del femminismo radicale sviscera in tutti i suoi aspetti e conseguenze la tematica della sessualita' non in maniera monolitica ma con ricche articolazioni interne e accenti differenziati, e talvolta conflittuali, su temi specifici quali la maternita', l'omosessualita', la famiglia, la razza.
L'articolazione e la differenziazione interne al femminismo radicale, caratterizzato inizialmente dall'appartenenza delle militanti alla classe media (prevalentemente studentesse universitarie, status che in alcuni paesi e' immediatamente segno di privilegio sociale), alla razza bianca e alla pratica eterosessuale, aumentano rapidamente - soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, paesi di forte presenza multietnica e di pronunciata divisione classista - con l'emergenza di gruppi di giovani femministe portatrici di condizioni diverse (di razza, di classe, di pratica sessuale) (5).
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Il femminismo italiano si e' formato e sviluppato, contestualmente a quello internazionale, affrontando negli stessi anni buona parte degli stessi problemi (per ragioni ovvie e' mancata una elaborazione relativa alle questioni della razza, in un paese nel quale la presenza multietnica si sarebbe realizzata soprattutto negli anni Ottanta e Novanta).
Si deve precisare pero' che nel femminismo italiano, negli anni della fase "radicale", hanno prevalso (con l'eccezione di Carla Lonzi, su cui ci soffermeremo) discussioni ed elaborazioni teoriche relative a tematiche e rivendicazioni di carattere politico generale (divorzio, aborto, consultori, parita' di trattamento economico) per le quali l'area italiana era un po' in ritardo rispetto ai paesi piu' avanzati quali gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia. Soltanto negli anni Ottanta, con l'affermarsi di alcune riviste a circolazione nazionale ("DWF", "Sottosopra", "Memoria"), di alcuni centri di elaborazione divenuti punti di riferimento per un dibattito teorico nazionale (Libreria delle donne di Milano, gruppo Diotima di Verona) e soprattutto in seguito all'influenza decisiva (oltre che alla frequente presenza personale nel caso di Luce Irigaray) delle idee provenienti in particolare dalla Francia (la stessa Irigaray, J. Kristeva, H. Cixous) e in generale dall'area anglosassone, il femminismo italiano ha affrontato nella maniera piu' matura gli stessi temi che negli stessi anni e nei seguenti avrebbero caratterizzato gli sviluppi piu' originali della produzione teorica femminista, o "postfemminista". Possiamo citare qui le teoriche femministe italiane piu' internazionalmente conosciute negli ultimi quindici anni: da L. Muraro ad A. Cavarero, da T. De Lauretis a R. Braidotti (queste ultime operano da decenni quasi esclusivamente fuori d'Italia).
A fianco ad esse opera un numero consistente di pensatrici che da una parte tengono vivo il dibattito teorico interno al femminismo e dall'altra contribuiscono ad estendere le tematiche di ricerca e di riflessione, storico-filosofica oltre che teoretica, anche in ambito universitario. Per quanto infatti non esistano in Italia i dipartimenti dedicati agli Women's Studies e ai Cultural Studies, che in area soprattutto anglosassone ospitano numerose ricercatrici di orientamento femminista, sono sempre piu' numerose, giovani e meno giovani, le ricercatrici impegnate nel lavoro filosofico di orientamento femminista. Il volume citato in una nota, quello degli indici e degli abstracts dei venticinque anni di vita della rivista "DWF", pubblicato nel 2001, puo' costituire una base iniziale di informazione sulla varieta' e ricchezza di ricerche e riflessioni nell'ambito degli sviluppi piu' recenti del pensiero femminista italiano.
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Nel quadro di questo itinerario del femminismo italiano, qui sommariamente ricordato, spicca, nella fase iniziale del movimento, la figura di Carla Lonzi, la prima femminista "teorica" della fase "radicale" del femminismo italiano, la prima lucida e ostinata sostenitrice della tesi della "differenza sessuale" quale rivendicazione alternativa a quella della uguaglianza fra donne e uomini.
Carla Lonzi (1931-1982) e' stata, fin dall'inizio del 1970, la principale animatrice del gruppo femminista romano formatosi in quell'anno e autodenominatosi "Rivolta Femminile". Nel ricco panorama di gruppi femministi di quegli anni Rivolta Femminile si caratterizzava per un distacco aperto dalle rivendicazioni e dalle lotte politiche e per un altrettanto aperto privilegiamento del lavoro di elaborazione teorica. Carla Lonzi non era, allora, della generazione piu' giovane della militanza femminista, aveva dietro di se' un'attivita' di studiosa affermata nel campo della critica d'arte, e il suo impegno teorico nella militanza femminista costitui' una svolta importante nella sua vita, i cui problemi esistenziali lei stessa mise a nudo nella produzione diaristica e filtro' in quella poetica (6).
I suoi scritti teorici di rivendicazione femminista sono relativamente pochi, risalgono agli anni 1970-1972 e sono contenuti nel volume dal titolo Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, pubblicato dalla casa editrice del gruppo, Rivolta Femminile, Milano 1974. Il titolo del libro fa riferimento ai due saggi piu' noti e piu' organici dell'autrice, rispettivamente del 1970 e del 1971. Esso contiene anche il Manifesto di Rivolta Femminile con il quale il gruppo si fece conoscere affiggendolo in molte parti di Roma nel luglio del 1970 e altri brevi scritti fra i quali uno sull'aborto e uno sul significato dell'autocoscienza nei gruppi femministi.
Il Manifesto di Rivolta Femminile contiene in nuce i motivi di fondo del pensiero di Carla Lonzi, che potrebbe riassumersi con la frase "per la differenza, contro l'uguaglianza", ovviamente da chiarire e precisare, come faremo in questo scritto, seguendo e analizzando i testi dell'autrice. Il suo pensiero si articola quindi, come vedremo subito: in una critica radicale del sistema di dominio patriarcale, di cui individua e critica fortemente i pilastri ideologici nel passato e nel presente; in una critica radicale del matrimonio e della eterosessualita', pratiche entrambe imposte da quel dominio; in una rivendicazione della differenza irriducibile della donna e di pratiche sessuali assolutamente libere, "polimorfe" come dira' con riferimento anche alla sessualita' infantile e adolescenziale; in una teorizzazione infine della esistenza di due categorie di donna: quella clitoridea (libera dalle imposizioni eterosessuali maschili e patriarcali, disponibile ad una libera sessualita' polimorfa) e quella vaginale (soggetta alle pratiche eterosessuali imposte dal dominio patriarcale e miranti al solo piacere maschile); in un invito infine alle donne a liberarsi dall'istituzione del matrimonio, dalla soggezione alle pratiche eterosessuali vaginali, e a intraprendere la via clitoridea della libera sessualita' polimorfa che cerca e trova il piacere femminile nella liberta' dal dominio patriarcale.
Il pensiero di Carla Lonzi, che solo molti anni dopo sarebbe stato valutato nella sua importanza teorica dal femminismo italiano, costituisce un momento di effettiva "avanguardia" rispetto alla cultura filosofica dominante e anche allo stesso femminismo italiano nella sua fase iniziale. Esso affronta in maniera nuova, e propone in maniera nuova, i problemi centrali del femminismo radicale, formulando teorizzazioni per molti aspetti simili a quelle che le piu' avanzate teoriche femministe andavano formulando in area anglosassone e francese. Su questo punto e' sufficiente controllare le date dei principali contributi teorici di quelle aree, per i quali rinvio alla raccolta recentissima curata da Barbara A. Crow, Radical Feminism, gia' citata in nota.
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Prima di esaminare e documentare il pensiero di Carla Lonzi nei suoi temi piu' significativi ritengo utile riportare alcune frasi incisive e "forti" dal Manifesto del luglio del 1970 che preannuncia, come si diceva, i motivi di fondo del suo pensiero, in uno stile non argomentativo ma con affermazioni brevi, lapidarie, spesso felicissime. Su differenza e uguaglianza: "La donna e' l'altro rispetto all'uomo. L'uomo e' l'altro rispetto alla donna. L'uguaglianza e' un tentativo ideologico per asservire la donna a piu' alti livelli. Identificare la donna all'uomo significa annullare l'ultima via di liberazione" (7). Su matrimonio e famiglia: "Verginita', castita', fedelta', non sono virtu'; ma vincoli per costruire e mantenere la famiglia. L'onore ne e' la conseguente codificazione repressiva"; e piu' avanti: "Riconosciamo nel matrimonio l'istituzione che ha subordinato la donna al destino maschile. Siamo contro il matrimonio" (pp. 12-13; per comodita', d'ora in avanti citeremo direttamente e non in nota le pagine del volume in cui si trovano i passi riportati o cui si fa riferimento). Sull'origine antica e sulla permanenza del dominio patriarcale: "Abbiamo guardato per 4000 anni: adesso abbiamo visto!" (p. 16, una delle frasi "fulminanti" piu' felici); e ancora: "Alle nostre spalle sta l'apoteosi della millenaria supremazia maschile. Le religioni istituzionalizzate ne sono state il piu' fermo piedistallo", con la precisazione poco piu' avanti: "La civilta' ci ha definite inferiori, la Chiesa ci ha chiamate sesso, la psicanalisi ci ha tradite, il marxismo ci ha vendute alla rivoluzione ipotetica" (p. 16, anche questa una delle frasi piu' felici). Sulla responsabilita' dei filosofi nel teorizzare e perpetuare ideologicamente il dominio patriarcale: "Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo per la riproduzione della umanita', legame con la divinita' o soglia del mondo animale; sfera privata e pietas. Hanno giustificato nella metafisica cio' che era ingiusto e atroce nella vita della donna"; e ad esemplificazione di tale tesi generale, i bersagli sono Hegel e Marx: "Sputiamo su Hegel. La dialettica servo-padrone e' una regolazione di conti fra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civilta' patriarcale. La lotta di classe, come teoria rivoluzionaria sviluppata dalla dialettica servo-padrone, ugualmente esclude la donna. Noi rimettiamo in discussione il socialismo e la dittatura del proletariato" (p. 17) (8).
I brani riportati non hanno bisogno di commento. Non sono i documenti di uno "sfogo" personale ma costituiscono i "titoli" dei temi di fondo della riflessione dell'autrice, che ora seguiremo in maniera piu' dettagliata.
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La cornice generale nella quale trovano spazio e sviluppo i temi piu' significativi della riflessione di Carla Lonzi e' costituita, come si e' visto, dalla coppia uguaglianza-differenza e dal rifiuto, in questa coppia concettuale, del primo termine di essa. L'uguaglianza, abbiamo accennato, era stato l'obiettivo di fondo del primo femminismo (quello, per intendersi, delle "suffragette"): il movimento delle donne aveva fatto propri, aveva preso sul serio, i principi che le teorie liberali, democratiche, socialiste e comuniste, tutte proposte da pensatori maschi, avevano avanzato nell'eta' moderna e contemporanea, e aveva chiesto al potere politico, sociale, economico e culturale dei maschi di essere "coerente" con quei principi e di metter fine alla discriminazione nei confronti delle donne in tutti i settori e gli aspetti della vita dello stato. Nelle societa' capitalistiche piu' avanzate, e in quelle richiamantisi al socialismo e al comunismo, nel secolo appena concluso, la legislazione statale aveva risposto positivamente a tali richieste, anche se spesso fra la legislazione formale e le pratiche di fatto la distanza era grande e la discriminazione nei confronti delle donne persisteva e persiste.
Con la ripresa del movimento delle donne negli anni Sessanta, in una parte di esso continua forte la richiesta di uguaglianza giuridica, politica, economica, non soddisfatta completamente dalla legislazione fino ad allora "conquistata"; nella parte piu' giovane e piu' politicamente avanzata di quel movimento l'obiettivo dell'uguaglianza viene invece messo ai margini o respinto e si cerca semmai una risposta al perche' del sussistere della differenza e della discriminazione nei confronti delle donne nonostante molta parte della legislazione le neghi. E' il femminismo radicale: quello che diventera' in tempi brevissimi maggioritario e tentera' di andare appunto "alle radici" del problema relativo al sussistere delle discriminazioni che rendono la condizione della donna inferiore a quella dell'uomo. Le radici vengono subito individuate non nelle cause politiche, legislative, economiche, culturali (cause non negate ma considerate secondarie) ma in quelle legate alla sfera della sessualita': al dominio sessuale dell'uomo sulla donna nelle forme molteplici assunte nel corso della lunga storia di esso.
Carla Lonzi e' la prima femminista, in Italia, a collocarsi in maniera originale sul piano teorico in questa nuova fase radicale del femminismo. Nel suo pensiero la critica molto forte delle ideologie (religiose, filosofiche, politiche, psicanalitiche) non e' mai separata dalla tesi di fondo secondo la quale "dietro ogni ideologia noi intravediamo la gerarchia dei sessi" (p. 14). Alla luce di questa tesi di fondo nell'importante saggio Sputiamo su Hegel l'obiettivo dell'uguaglianza, non a caso proposto inizialmente dai pensatori maschi nelle loro varie ideologie sotto il tema dell'universalismo dei diritti, appare alla Lonzi o secondario o addirittura fuorviante rispetto all'obiettivo primario che deve muovere dalla differenza. Secondario, perche' l'oppressione della donna "non si risolve nell'uguaglianza, ma prosegue nell'uguaglianza. Non si risolve nella rivoluzione, ma prosegue nella rivoluzione" (p. 20). Fuorviante perche' "per uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella societa' mediante il riconoscimento che essa possiede capacita' uguali a quelle dell'uomo. Ma il chiarimento che l'esperienza femminile piu' genuina di questi anni ha portato sta in un processo di svalutazione globale del mondo maschile. Ci siamo accorte che, sul piano della gestione del potere, non occorrono delle capacita', ma una particolare forma di alienazione molto efficace. Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere" (ivi).
Carla Lonzi propone quindi, in maniera ricorrente, di andare al di la' del fuorviante obiettivo dell'uguaglianza e di muovere dal concetto e dal fatto della differenza non per piangerci su' e rammaricarsene (come una parte del femminismo radicale avrebbe fatto agli inizi) ma per ricavarne obiettivi di rivendicazione e di lotta non solo piu' avanzati ma genuinamente "femministi". L'uguaglianza, sottolinea infatti, "e' un principio giuridico: il denominatore comune presente in ogni essere umano a cui va reso giustizia. La differenza e' un principio esistenziale che riguarda i modi dell'essere umano, la peculiarita' delle sue esperienze, delle sue finalita', delle sue aperture, del suo senso dell'esistenza in una situazione data e nella situazione che vuole darsi. Quella tra donna e uomo e' la differenza di base dell'umanita'" (pp. 20-21). E ancora, con accenti piu' forti: "La differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia. (...) Non possiamo cedere ad altri la funzione di sommuovere l'ordinamento della struttura patriarcale. L'uguaglianza e' quanto si offre ai colonizzati sul piano delle leggi e dei diritti. E quanto si impone sul piano della cultura. E' il principio in base al quale l'egemone continua a condizionare il non-egemone. (...) L'uguaglianza tra i sessi e' la veste in cui si maschera oggi l'inferiorita' della donna" (p. 21).
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Il saggio Sputiamo su Hegel che stiamo esaminando (anch'esso, come il Manifesto di Rivolta Femminile, dell'estate 1970) e' dedicato in buona parte ad un'analisi critica delle tesi di Hegel, Marx, Freud sulla condizione della donna e sul suo ruolo nella societa', presente e futura, oltre che ad una rapida ricostruzione del dibattito tra Lenin e le comuniste femministe russe (in particolare Clara Zetkin) criticate da Lenin perche' proponevano obiettivi sbagliati e fuorvianti rispetto a quelli indicati da lui e dal gruppo dirigente del partito comunista. Si tratta di pagine importanti sul piano della discussione teorica e della precisazione delle tesi della Lonzi, ma l'analisi di esse non e' possibile in questa sede. Ci limitiamo pertanto a riferirne alcuni passi o conclusioni, teoricamente significativi.
La Lonzi individua una continuita' fra le riflessioni hegeliane sulla dialettica servo-padrone e quelle marxiane sulla lotta di classe: in entrambe il concetto e il ruolo della donna appaiono emarginati rispetto ad una teoria complessiva che non nasconde affatto i suoi caratteri essenzialmente maschilisti.
Su Hegel, per esempio, scrive: "Nel principio femminile [il riferimento e' qui alla nota trattazione hegeliana del ruolo della donna, nella Fenomenologia dello Spirito] Hegel ripone l'apriori di una passivita' nella quale si annullano le prove del dominio maschile. L'autorita' patriarcale ha tenuto soggetta la donna e l'unico valore che le viene riconosciuto e' quello di esservisi adeguata come a una propria natura" (p. 25). E ancora, dopo analisi acute e profonde su alcuni momenti della Fenomenologia dello Spirito e sul suo significato piu' generale (e qui appare evidente l'accettazione dell'interpretazione di tale testo fornita da A. Kojeve), Carla Lonzi afferma: "Nella concezione hegeliana il Lavoro e la Lotta sono le azioni da cui parte il mondo umano come storia maschile. Lo studio dei popoli primitivi offre invece la constatazione che il lavoro e' una attribuzione femminile mentre la guerra e' il mestiere specifico del maschio. (...) La specie dell'uomo si e' espressa uccidendo, la specie della donna si e' espressa lavorando e proteggendo la vita" (pp. 50-51). In quest'ultima affermazione, precisata e arricchita da altre, appare una forte anticipazione teorica rispetto al valore "positivo" della differenza rappresentata dal ruolo storico della donna rispetto a quello negativo (guerre, stermini) rappresentato dall'uomo: temi che una parte consistente del femminismo a livello internazionale avrebbe approfondito alcuni anni dopo, anche se un primo preannuncio c'era stato, senza pero' essere stato ripreso e sviluppato, nello scritto di Virginia Woolf del 1938, Le tre ghinee.
Su Marx, che secondo la Lonzi prosegue le riflessioni hegeliane trasferendo la tematica della dialettica servo-padrone in quella della lotta di classe, le critiche non sono meno incisive e forti. Ridurre l'oppressione della donna a quella piu' generale delle classi oppresse (ultima, il proletariato) e' sbagliato sul piano storico, teorico e politico: "La donna e' oppressa in quanto donna, a tutti i livelli sociali: non al livello di classe, ma di sesso. Questa lacuna del marxismo non e' casuale, ne' sarebbe colmabile ampliando il concetto di classe in modo da far posto alla massa femminile, alla nuova classe. Perche' non si e' visto il rapporto della donna con la produzione mediante la sua attivita' di ricostituzione delle forze-lavoro nella famiglia? Perche' non si e' visto nel suo sfruttamento all'interno della famiglia una funzione essenziale al sistema dell'accumulo di capitale? Affidando il futuro rivoluzionario alla classe operaia il marxismo ha ignorato la donna e come oppressa e come portatrice di futuro; ha espresso una teoria rivoluzionaria dalla matrice di una cultura patriarcale" (p. 24). Carla Lonzi procede ad una ricostruzione fortemente critica dell'analisi della donna nei testi piu' significativi di Marx e di Engels in cui viene affrontata tale tematica, per continuarla in relazione a Lenin e al socialismo sovietico (in particolare nelle pp. 30 e segg.), sostenendo che "la ripresa della liberazione della donna non avviene oggi nei paesi socialisti, dove la struttura sociale ha assunto rigori da alto medioevo mediante l'imposizione dei miti patriarcali riabilitati dalla rivoluzione, ma all'interno degli stati borghesi nei quali il crollo dei valori puo' compiersi soltanto attraverso l'intervento femminista. Esso infatti si compie come crollo della concezione e della realta' patriarcali, nel quale esito viene a manifestarsi la corrosione non solo della borghesia, ma di un tipo di civilta' maschile" (pp. 33-34).
Il filone di pensiero hegelo-marxista, e le teorizzazioni e pratiche dei regimi socialisti (oltre che il pensiero di Freud, al quale la Lonzi muove critiche molto forti) hanno infatti lasciato intatto il pilastro principale del dominio patriarcale, la famiglia. Cio' appare particolarmente grave nella pratica dei sistemi sedicenti socialisti che hanno negato le prospettive avanzate nel 1884 da Engels nel suo noto libro L'origine della famiglia, della proprieta' privata e dello stato, particolarmente apprezzato in ambito femminista in quanto prospettava la dissoluzione dei ruoli nell'ambito della famiglia con l'avvento della rivoluzione socialista e con la presa del potere da parte del proletariato. Contrariamente alle promesse e alle aspettative sul piano teorico, "la dittatura del proletariato ha dimostrato a sufficienza di non essere portatrice della dissoluzione dei ruoli sociali: essa ha mantenuto e consolidato la famiglia quale centro in cui si ripete la struttura umana incompatibile con qualsiasi mutamento sostanziale dei valori. La rivoluzione comunista e' avvenuta su basi politico-culturali maschili, sulla repressione e la strumentalizzazione del femminismo, e deve adesso far fronte a quella rivolta contro i valori maschili che la donna vuole portare fino in fondo, oltre la dialettica delle classi interne al sistema patriarcale" (p. 34).
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Il tema della famiglia e' ricorrente nei testi di Carla Lonzi ed e' legato a quello del dominio sessuale maschile, a quello del lavoro domestico svolto gratuitamente oltre il lavoro fuori casa, a quello della maternita', a quello della critica molto forte alle teorie e analisi di Freud.
Abbiamo gia' citato, all'inizio dell'esame del pensiero della Lonzi, alcune frasi radicalmente negative sulla famiglia e sull'istituzione matrimonio "che ha subordinato la donna al destino maschile" (p. 12). Carla Lonzi afferma piu' volte il rifiuto del matrimonio come istituzione, e della famiglia come luogo della schiavitu' della donna: "La donna e' sottoposta tutta la vita alla dipendenza economica prima della famiglia del padre, poi di quella del marito. Ma la sua liberazione non consiste nel raggiungere l'indipendenza economica, ma nel demolire quella istituzione che l'ha resa piu' schiava e schiava piu' a lungo degli schiavi" (p. 45). La Lonzi vede anche nel pensiero di Freud una persistenza dell'ideologia patriarcale che confina la donna nell'ambito della famiglia con le motivazione le piu' varie ma tutte convergenti nella volonta' di mantenerla soggetta non solo ai poteri ma anche ai desideri e al piacere dell'uomo (da qui la tematica, come vedremo piu' avanti, della donna vaginale - matrimonio, eterosessualita', dominio e piacere maschili - e della donna clitoridea - liberta' sessuale e piacere della donna). Anche la tesi del complesso di Edipo viene considerata e criticata in questo ambito di affermazioni e valutazioni: "La famiglia e' l'istituzione in cui si sono espressi i tabu' di cui l'uomo adulto ha sempre circondato i rapporti liberi tra la donna adulta e il giovane. La psicanalisi ha riproposto questa situazione nei termini di tragedia [complesso di Edipo] che le aveva decretato l'antichita'. La tragedia e' una proiezione maschile perche' nel momento in cui l'uomo e' spinto dai suoi cicli di vita verso nuovi oggetti sessuali, non sopporta che la donna manifesti una sua conformazione dei desideri e che qualche ripercussione si verifichi nell'ambito dei suoi possessi. (...) Dietro il complesso di Edipo non c'e' il tabu' dell'incesto, ma lo sfruttamento di questo tabu' da parte del padre a sua salvaguardia" (pp. 41-42). Sono brani molto profondi, seguiti da altri, che per ragioni di spazio non possiamo riportare e analizzare, nei quali la tematica della famiglia, del dominio sessuale maschile, della imposizione di un solo partner sessuale (il marito) alla donna, privata del piacere dalla imposizione di una sola pratica sessuale (la penetrazione vaginale), della maternita' (una frase a p. 40 e' molto significativa in proposito: "non e' il figlio che ci ha fatto schiave, ma il padre"), viene sviluppata in maniera originale e con forti motivazioni teoriche oltre che di esperienza reale.
 
Con queste ultime tematiche entriamo in quello che costituisce lo sviluppo piu' significativo e innovativo del pensiero di Carla Lonzi, preparato da alcuni brevi scritti e attuato nel saggio piu' lungo e organico dal titolo La donna clitoridea e la donna vaginale, del 1971. In questi ultimi scritti teorici l'autrice prende di petto le questioni centrali relative alla sessualita': dalla maternita' all'aborto, dalla critica dell'eterosessualita' "vaginale" imposta dal dominio patriarcale come unica e "naturale" pratica sessuale alla rivendicazione di una sessualita' libera e polimorfa come pratica di autonomia femminile e di liberazione da quel dominio.
Le tesi di fondo di questo aspetto centrale e radicale del pensiero di Carla Lonzi compaiono in forma piu' breve nello scritto Sessualita' femminile e aborto, e in forma piu' lunga e piu' riccamente argomentata nel saggio La donna clitoridea e la donna vaginale. Entrambi gli scritti sono dell'estate 1971.
Il tema dell'aborto, nel primo dei due saggi, viene affrontato in maniera radicale e originale, nel senso che l'autrice rifiuta la rivendicazione politica, rivolta sostanzialmente ai maschi, di legalizzazione dell'aborto, e perviene a proposte che coinvolgono soltanto il mondo femminile, al quale spetta di mettere in pratica quella liberta' sessuale che renda obsoleto il problema della legalizzazione dell'aborto da parte di un parlamento maschile.
Carla Lonzi va subito al cuore del problema con un interrogativo rivolto alle donne e con una risposta articolata che pone le premesse delle conclusioni originali e atipiche, in quel momento, rispetto alla generale richiesta di legalizzazione dell'aborto da parte del movimento femminista: "Le donne abortiscono perche' restano incinte. Ma perche' restano incinte? E' perche' risponde a una loro specifica necessita' sessuale che effettuano i rapporti col partner in modo tale da sfidare il concepimento? La cultura patriarcale non si pone questa domanda poiche' non ammette dubbi sulle leggi 'naturali'. Evita solo di chiedersi se in questo ambito cio' che e' 'naturale' per l'uomo lo e' altrettanto per la donna. (...) Ma noi sappiamo che quando una donna resta incinta, e non lo voleva, cio' non e' avvenuto perche' lei si e' espressa sessualmente, ma perche' si e' conformata all'atto e al modello sessuale sicuramente prediletti dal maschio patriarcale, anche se questo poteva significare per lei restare incinta e quindi dover ricorrere a una interruzione della gravidanza" (pp. 68-69). Le donne sono quindi costrette all'aborto perche' sono costrette a una pratica sessuale, imposta dal sistema patriarcale come unica "naturale", che porta alla gravidanza.
E perche' il sistema patriarcale ha imposto tale pratica sessuale? Questa e' l'altra domanda chiave la cui risposta porta l'autrice alle tesi piu' radicali sulla sessualita'. Secondo la Lonzi alla base della imposizione patriarcale della eterosessualita' vaginale sta il piacere dell'uomo, ricercato e attuato alle spese di quello della donna, esclusa dal piacere in questa pratica: "Nel mondo patriarcale (...) l'uomo ha imposto il suo piacere. Il piacere imposto dall'uomo alla donna conduce alla procreazione ed e' sulla base della procreazione che la cultura maschile ha segnato il confine tra sessualita' naturale e sessualita' innaturale, proibita o accessoria e preliminare. (...) Noi dobbiamo assolutamente intervenire con la coscienza che la natura ci ha dotate di un organo sessuale distinto dalla procreazione e che e' sulla base di questo che noi troveremo la nostra autonomia dall'uomo come nostro signore e dispensatore delle volutta' alla specie inferiorizzata, e svilupperemo una sessualita' che parta dal nostro fisiologico centro del piacere, la clitoride" (p. 69).
Prima di passare, nel saggio successivo sulle due categorie di donna, alle tesi piu' generali e radicali fondate sulla distinzione tra sessualita' vaginale imposta e sessualita' clitoridea libera, la Lonzi conclude le sue considerazioni su sistema patriarcale, sessualita' vaginale, concepimento e aborto, evidenziando le conseguenze ultime, sulla donna, della sessualita' "naturale" imposta dal piacere maschile: "Il concepimento dunque e' frutto di una violenza della cultura sessuale maschile sulla donna, che viene poi responsabilizzata di una situazione che invece ha subito. Negandole la liberta' di aborto l'uomo trasforma il suo sopruso in una colpa della donna. Concedendole tale liberta' l'uomo la solleva della propria condanna attirandola in una nuova solidarieta'" (p. 70). Queste due ultime frasi indicano una profonda consapevolezza, da parte di una donna "liberata", della complessita' del problema relativo al concepimento, alla gravidanza, all'aborto, e preannunciano la proposta di autonomia "radicale" della donna, e delle sue pratiche sessuali e di piacere, dal dominio patriarcale: dominio che non si limita a "provocare" gravidanze non volute dalla donna, ma giunge alla colpevolizzazione della donna e addirittura alla perpetuazione di quel dominio sia negandole sia concedendole la liberta' di abortire. Sia il concepimento sia l'aborto, nel sistema patriarcale, appaiono "gestiti" dall'uomo: "Sotto questa luce la legalizzazione dell'aborto chiesta al maschio ha un aspetto sinistro poiche' la legalizzazione dell'aborto e anche l'aborto libero serviranno a codificare le volutta' della passivita' come espressione del sesso femminile e a rafforzare cio' che sottintendono e cioe' il mito dell'atto genitale concluso dall'orgasmo dell'uomo nella vagina" (p. 71).
E' a questa situazione, perdurante da migliaia di anni, che la Lonzi si ribella a nome di tutte le donne schiavizzate dal sistema patriarcale; ed e' a questa situazione che essa contrappone una possibile via d'uscita proprio a partire dalla sfera della sessualita', affermando che la donna "gode di una sessualita' esterna alla vagina, dunque tale da poter essere affermata senza rischiare il concepimento" (p. 70). La donna puo' e deve mirare, per liberarsi dal dominio patriarcale che trova il suo fondamento nella sfera della sessualita', a una civilta' in cui si pratichi una libera sessualita' polimorfa; una sessualita' cioe' non vincolata all'eterosessualita' vaginale con finalita' o conseguenze procreative, ma tale per cui "da luogo della violenza e della volutta' [maschile] la vagina diventa, a discrezione, uno dei luoghi per i giochi sessuali. In tale civilta' apparirebbe chiaro che i contraccettivi spettano a chi intendesse usufruire della sessualita' di tipo procreativo, e che l'aborto non e' una soluzione per la donna libera, ma per la donna colonizzata dal sistema patriarcale" (p. 75).
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Dalle premesse poste nel breve saggio su Sessualita' femminile a aborto muove lo sviluppo organico del pensiero di Carla Lonzi realizzato nel piu' noto saggio La donna clitoridea e la donna vaginale. In esso l'autrice perviene a conclusioni radicali, alla esaltazione di un libertarismo sessuale della donna, alquanto "inattuale" nel momento in cui venne proposto, ma in linea con alcune delle posizioni piu' radicali e piu' avanzate che a livello internazionale venivano proposte anche se non largamente condivise (9). Soltanto qualche anno dopo, con l'emergere pubblico del dibattito sull'omosessualita' femminile e con la rivendicazione di questa quale vera pratica di liberazione dal sistema patriarcale, le tesi di Carla Lonzi avrebbero avuto una qualche eco (10).
Il saggio della Lonzi si presenta anche con aspetti "didattici", nel senso che spiega in termini elementarissimi, con estrema chiarezza, la "meccanica" fisiologica della sessualita' femminile, dei suoi organi, dei suoi modi e dei suoi diversi tipi di piacere e di orgasmo, utilizzando anche illustrazioni sui dettagli fisiologici e anatomici, per muovere verso un discorso teorico e di rivendicazione culturale e politica di estrema radicalita'.
Premesso che "il sesso femminile e' la clitoride, il sesso maschile e' il pene"; che "la vagina e' la cavita' del corpo femminile che accoglie lo sperma dell'uomo e lo inoltra nell'utero affinche' avvenga la fecondazione dell'ovulo"; che "il momento in cui il pene dell'uomo emette lo sperma e' il momento del suo orgasmo"; che "nell'uomo dunque il meccanismo del piacere e' strettamente connesso al meccanismo della riproduzione"; la Lonzi individua e indica subito la "differenza" essenziale tra la sessualita' maschile e quella femminile: "Nella donna meccanismo del piacere e meccanismo della riproduzione sono comunicanti [cioe' la clitoride e' vicina ma non identica alla vagina], ma non coincidenti" (p. 77). Ma questa differenza e' stata negata dalla pratica eterosessuale vaginale imposta dal sistema patriarcale, che ha negato autonomia e legittimita' al piacere clitorideo, condannandolo come innaturale o come infantile (Freud) e in alcuni casi negandolo alla radice (la Lonzi aveva fatto riferimento, in pagine precedenti, alle pratiche di clitoridectomia in alcune aree del mondo islamico).
Ora, continua la Lonzi, "la donna si chiede: su quale base si e' postulato che il piacere clitorideo esprime una personalita' femminile infantile e immatura? Forse perche' esso non risponde al modello sessuale procreativo. Ma il modello procreativo non e' quello in cui si e' cristallizzato il rapporto eterosessuale - anche quando il fine procreativo viene accuratamente evitato - secondo la netta preferenza del pene-egemone? Dunque il piacere clitorideo deve il suo discredito al fatto di non essere funzionale al modello genitale maschile" (p. 81). La donna e' stata costretta, nel sistema patriarcale di ultramillenaria durata, ad accettare e a introiettare anche sul piano psichico il primato, anzi il carattere esclusivo, della eterosessualita' vaginale, funzionale al piacere e al dominio maschili. La via della liberazione della donna passa per il rifiuto di questa eredita' codificata da tutte le forme di ideologia e divenuta patrimonio psichico della stessa donna, passa per la "conquista" della sessualita' clitoridea, unanimemente condannata e demonizzata nel sistema patriarcale: "Per godere pienamente dell'orgasmo clitorideo la donna deve trovare un'autonomia psichica dall'uomo. Questa autonomia psichica risulta cosi' inconcepibile per la civilta' maschile da essere interpretata come un rifiuto dell'uomo, come presupposto di una inclinazione verso le donne. Nel mondo patriarcale dunque le viene riservato in piu' l'ostracismo che si ha per tutto cio' che si sospetta un'apertura all'omosessualita'" (p. 83).
A questo punto Carla Lonzi puo' proporre la contrapposizione che da' il titolo al saggio e che costituisce l'alternativa di fronte alla quale le donne devono operare la loro scelta essenziale: per o contro il sistema patriarcale, per o contro la liberta' della donna e la liberazione da quel sistema: "Dal punto di vista patriarcale la donna vaginale e' considerata quella che manifesta una giusta sessualita' mentre la clitoridea rappresenta l'immatura e la mascolinizzata, per la psicoanalisi freudiana addirittura la frigida. Invece il femminismo afferma che la vera valutazione di queste risposte al rapporto col sesso che opprime e' la seguente: la donna vaginale e' quella che, in cattivita', e' stata portata a una misura consenziente per il godimento del patriarca mentre la clitoridea e' una che non ha accondisceso alle suggestioni emotive dell'integrazione con l'altro, che sono quelle che hanno presa sulla donna passiva, e si e' espressa in una sessualita' non coincidente col coito" (pp. 83-84).
Tutto il saggio ruota su questa contrapposizione, affrontata con l'analisi dei suoi aspetti fisiologici, psichici, sociali (l'istituzione matrimonio e la necessita', per la donna liberata, di uscirne). Largo spazio e' dedicato alla critica della psicoanalisi nelle versioni di Freud e di Reich. La Lonzi non accetta l'identificazione di donna clitoridea e di donna omosessuale. Il rifiuto dell'eterosessualita' fondata e codificata sulla penetrazione vaginale non e' il rifiuto dell'eterosessualita'. La Lonzi insiste anzi sul fatto che la vagina, per quanto sia organo erogeno "moderato", costituisce uno dei possibili luoghi di "giochi" erotici e sessuali con l'uomo. L'autrice non rifiuta il rapporto sessuale della donna con l'uomo, ma il carattere "passivo" di tale rapporto, per cui "per provare l'orgasmo durante il coito la donna deve avere dell'uomo un'idea che trascenda l'idea che essa ha di se stessa e convincersi di stare con un uomo all'altezza dell'alta idea che essa ha dell'uomo" (p. 108).
La Lonzi mira a una liberazione della donna che comporti non piu' la passivita' nel rapporto sessuale con l'uomo ma la liberta' di iniziativa, la "rinegoziazione" del rapporto eterosessuale: "Nella seduta amorosa la donna non deve aspettare dall'uomo delle maldestre iniziative sulla clitoride che la disturbano, ma deve mostrare lei stessa quale e' la carezza ritmica preferita che, ininterrotta, la porta al punto del godimento. Il rapporto con una donna che vuole il piacere clitorideo come piacere sessuale in proprio non presuppone una tecnica e gesti erotici inusitati, ma un diverso rapporto tra soggetti che riscoprono le loro fonti del piacere e i gesti ad esse convenienti. L'uomo deve sapere che la vagina e', per la donna, una zona moderatamente esogena e adatta ai giochi sessuali, mentre la clitoride e' l'organo centrale della sua eccitazione e del suo orgasmo" (p. 113).
Va da se' che tutte le forme di erotismo e di autoerotismo devono essere a disposizione della donna liberatasi dal dominio patriarcale. Nello scritto precedente la Lonzi aveva indicato nella libera sessualita' polimorfa l'orizzonte della nuova donna liberata. In questo piu' organico saggio ripropone in forme piu' riccamente sviluppate questo tema, esteso a tutti gli esseri umani, compresi i bambini (nel Manifesto di un anno prima aveva scritto: "Sono un diritto dei bambini e degli adolescenti la curiosita' e i giochi sessuali", p. 16): "Il sesso e' una funzione biologica essenziale dell'essere umano e vive di due momenti: uno personale e privato che e' l'autoerotismo, uno di relazione che e' lo scambio erotico con un partner" (p. 113). Anche l'autoerotismo e' quindi una delle forme "essenziali" di quella funzione biologica che e' il sesso, e anche in questa sfera la donna e' stata "inferiorizzata" dal sistema patriarcale: "L'interdizione all'autoerotismo ha colpito duramente la donna poiche' non solo l'ha privata o l'ha disturbata in questa realizzazione di se', ma anche l'ha consegnata inesperta e colpevolizzata al mito dell'orgasmo vaginale che per lei e' diventato 'il sesso'" (ivi).
Nella parte finale del saggio Carla Lonzi evita di presentare la donna clitoridea, liberata dal sistema patriarcale, come qualcosa di eccezionale, di eroico, da esaltare; anzi ritiene che la donna clitoridea debba essere la donna "normale" in una civilta' nella quale sia stato sconfitto il sistema patriarcale senza per questo mirare a un idealizzato e utopico sistema matriarcale. Una donna normale di fronte a un uomo normale: entrambi esseri sessuati, ma con le loro "differenze" da valorizzare e non da mortificare al servizio dell'uno/a o dell'altro/a: "La donna clitoridea non ha da offrire all'uomo niente di essenziale, e non si aspetta niente di essenziale da lui. Non soffre della dualita' e non vuole diventare uno. Non aspira al matriarcato che e' una mitica epoca di donne vaginali glorificate. La donna non e' la grande-madre, la vagina del mondo, ma la piccola clitoride per la sua liberazione. Essa chiede carezze, non eroismi; vuole dare carezze, non assoluzione e adorazione. La donna e' un essere umano sessuato. (...) Non e' piu' l'eterosessualita' a qualsiasi prezzo, ma l'eterosessualita' se non ha prezzo" (p. 118). E quel che fa la differenza, nei due tipi di sessualita' ed eterosessualita', e' la passivita' o l'assenza di questa: "La passivita' non e' l'essenza della femminilita', ma l'effetto di un'oppressione che la rende inoperante nel mondo. La donna clitoridea rappresenta il tramandarsi di una femminilita' che non si riconosce nell'essenza passiva" (p. 134).
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Qui possiamo dar termine al nostro contributo, che voleva essere prevalentemente informativo e che per tale motivo ha abbondato in riferimenti testuali numerosi e talvolta lunghi. Il pensiero di Carla Lonzi e' legato a un momento iniziale e radicale del femminismo, italiano e internazionale. Esso presenta forti momenti di originalita' e tratta temi che negli anni successivi avrebbero avuto sviluppi teorici riccamente diversificati, sia in Italia sia fuori d'Italia. Non e' un pensiero conosciuto o studiato nella filosofia fatta secondo il genere maschile. Non e' questo, pero', un limite di quel pensiero, ma di quella filosofia, che tarda ancora a prendere atto del fatto che il pensiero delle donne, dopo la Lonzi e grazie anche ad essa, ha raggiunto livelli di approfondimento e di ampiezza tematica, sia sul piano teorico sia su quello storiografico, che potrebbero portare nuova linfa ad una filosofia nel suo complesso vivacchiante da un po' di anni senza dare segni di una qualche originalita' (11).

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Note
1. Per una recente ricostruzione storico-teoretica del concetto di avanguardia si veda, del vol. di L. Ferry, Homo Aestheticus, Grasset, Paris 1990, il cap. "Le declin des avant-gardes: la postmodernite'", pp. 269-342.
2. Qualche anno fa ho segnalato e documentato ampiamente, in una rassegna di testi di questo genere di area inglese e statunitense, tale fatto. Si veda F. Restaino, La filosofia italiana vista dagli anglostatunitensi, in "Rivista di storia della filosofia", LIII, 1996, 4, pp. 921-942. Ai testi cui fa riferimento la rassegna si deve aggiungere, a conferma, la recente The Columbia History of Western Philosophy diretta da R. H. Popkin e scritta da una sessantina di autorevoli storici della filosofia, Columbia University Press, New York 1999.
3. Il testo piu' ricco e piu' documentato, che ricostruisce la formazione del pensiero femminista italiano dalla fine degli anni Sessanta e' quello a cura di P. Bono e S. Kemp, Italian Feminist Thought, Blackwell, Oxford 1991. Per indicazioni bibliografiche piu' aggiornate si veda F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia Scriptorium, Torino 1999. Una fonte preziosa di informazione e' la principale rivista femminista italiana, "DWF", per la quale si veda l'utilissimo volume, supplemento al n. 4/2000, curato da F. Perrone e V. Chiurlotto, DWF. 1975-2000. Indici & Abstracts, Utopia, Roma 2001.
4. Oltre alle opere indicate nelle bibliografie dei testi citati nella nota precedente si veda ora il vol. a cura di B. A. Crow, Radical Feminism. A Documentary Reader, New York University Press, New York 2000. E' la piu' ricca e articolata raccolta di testi, ragionatamente presentati, che documentano i principali temi di elaborazione teorica di questa fase del femminismo contemporaneo, collocabile negli anni 1967-1975.
5. Su questi aspetti nuovi che porteranno alla crisi del femminismo radicale intorno al 1975 e all'emergere di nuove elaborazioni teoriche sempre piu' raffinate e "accademiche" (per le quali e' diffusa la denominazione di "post-femminismo") contestualmente alla crisi del femminismo come movimento pratico-politico organizzato (anche se in maniera molto decentrata) si veda l'ottimo vol. di I.Whelehan, Modern Feminist Thought. From the Second Wave to "Post-Feminism", Edinburgh University Press, Edinburgh 1996. Ulteriori informazioni e indicazioni bibliografiche nel gia' citato vol. di F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe.
6. La biografia e l'attenta ricostruzione del pensiero teorico di C. Lonzi e' l'oggetto di un libro esaustivo di M. L. Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990. L'autrice ricostruisce con rigore e impegno, servendosi largamente della produzione diaristica, le vicende biografiche di C. Lonzi, morta relativamente giovane a causa di una lunga malattia incurabile.
7. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, Rivolta Femminile, Milano 1974, p. 11.
8. Una storia delle teorizzazioni dei filosofi sulla donna non e' stata ancora scritta, anche se molti contributi di studiose femministe nelle diverse aree della cultura internazionale e nazionale hanno contribuito a preparare i materiali per una tale storia. Recentemente tre studiose francesi, F. Collin, E. Pisier, E. Varikas, hanno curato il grosso volume (830 pagine) Les femmes de Platon a' Derida. Anthologie critique, Plon, Paris 2000. Il volume si raccomanda alla lettura sia per le accurate presentazioni di ogni autore, sia per l'intelligente scelta dei brani, sia per la ricchissima e aggiornatissima bibliografia di ampiezza internazionale. Dovrebbe essere una lettura obbligata, per le donne e per gli uomini che abbiano interesse alla filosofia.
9. La tematica relativa alla differenza tra pratiche sessuali centrate sulla vagina e quelle centrate sulla clitoride veniva proposta in un brevissimo scritto di Anne Koedt, circolato in forma di ciclostilato nel 1968 e pubblicato nel 1970 in una dimensione piu' lunga, dal titolo The Myth of the Vaginal Orgasm. Lo si trova nelle pp. 64-66 del volume gia' citato a cura di B. A. Crow, Radical Feminism, oltre che nelle pp. 333-343 del volume curato da M. Schneir, The Vintage Book of Feminism, Vintage, London 1994 (in questo volume lo scritto viene inquadrato nel dibattito aperto nel 1966 dal celebre libro inchiesta di W. H. Masters, V. E. Johnson, Human Sexual Response, nel quale per la prima volta si rendeva noto al grande pubblico che Freud e tutta la tradizione sessuologica avevano sbagliato nell'individuare la fonte del piacere e dell'orgasmo femminili nella vagina anziche' nella clitoride, fonte di piacere, secondo Freud, soltanto per la bambina e l'adolescente, la cui sessualita' avrebbe raggiunto la piena maturita' soltanto con il piacere e l'orgasmo vaginali; Freud concludeva anche che la frigidita' femminile dipendeva dal non voler abbandonare la fase clitoridea e dal rifiutare il rapporto con il maschio nella fase della penetrazione vaginale). Lo scritto di A. Koedt e' rivolto principalmente a confutare le tesi di Freud, e in questo compito e' stato molto efficace e fortunato in ambito femminista.
10. Su questo dibattito e sulla bibliografia relativa mi permetto di rinviare al gia' citato vol. di F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe.
11. Su questa sordita' della filosofia "maschile" rispetto ai contributi teorici provenienti dalla filosofia "femminile" e femminista mi permetto di rinviare al mio articolo Femminismo e filosofia: contro, fuori o dentro?, in "Rivista di storia della filosofia", LVI, 2001, n. 3, pp. 455-472.
 

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