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24 January 2012

I bambini scomparsi di El Salvador
di Angelo Calianno

“La scomparsa costituisce una delle più perverse violazioni dei diritti umani. E’ la negazione al diritto di esistere, di avere un’identità. Cambia l’essere umano in un essere senza esistenza. E’ il più avanzato livello di corruzione e abuso di potere che abbassa i responsabili della legge e dell’ordine stessi a commettere crimini come metodo di repressione contro l’opposizione politica.”
(Niall MacDermot, Segretario generale della Commissione internazionale dei giuristi dal 1970 al 1990).

Spesso accade che, cercando o volendo scrivere delle storie, se ne incontrino altre che non avevamo previsto o calcolato, che si apra una porta a rivelarci orrori sconosciuti, storie che mai avremmo voluto raccontare ma che il caso o il destino ci ha affidato l’obbligo morale di diffondere. Questa è la storia dei bambini e delle bambine scomparsi durante la guerra civile di El Salvador tra il 1980 e il 1992, questa è la storia dei Desaparecidos salvadoregni.

La guerra in questione è quella che per 12 anni vide contrapposte le corrotte forze governative, coadiuvate e addestrate dalla CIA statunitense, ai ribelli del Fronte Farabundo Martí.

Questo conflitto non si limitò ai 75 mila morti sul campo: migliaia di persone tra cui la maggior parte bambini scomparvero senza lasciare traccia… almeno fino ad ora.
Anni dopo, infatti, si è scoperta e riconosciuta la “desaparición” come metodo sistematico ideato da governi e servizi segreti di estrema destra. Questo orribile sistema nacque negli anni ’30 e venne poi perfezionato con la desaparición di 35 mila argentini agli inizi degli anni ’80.

Ciò a cui mirava la desaparición era diffondere il terrore del potere tra i ribelli, i contestatori, i semplici liberali. Tutto questo continuava poi con la detenzione in campi di concentramento, torture con corrente elettrica, stupri ed ogni genere di violenza.
Durante la guerra del Salvador tutto questo assunse però una forma ancora più vile, la sparizione di bambini. Quasi mille bambini vennero strappati dalle braccia dei propri genitori durante i 12 anni di guerra, ma questo non era solo un modo per spaventare i sovversivi ma soprattutto per guadagnare soldi. Questi bambini infatti vennero venduti agli orfanotrofi stranieri per un prezzo che partiva da 5.000 dollari a bambino fino a 12.000 per i minori di un anno.

Esiste oggi in Europa (non ancora negli Stati Uniti) una legge sulla tracciabilità dei bambini che ne testimonia la storia e la provenienza, legge sottoscritta però solo nel 1999, cioè 7 anni dopo la vendita dei desaparecidos salvadoregni. Tutto fu messo a tacere, insabbiato, i responsabili e i funzionari corrotti della CIA ora vivono in ville di lusso a Miami grazie ai soldi guadagnati sul dolore, sul terrore.

Oggi qualcosa sta cambiando.
Nel 1994, un gruppo di 300 famiglie si organizzò per la ricerca dei propri cari scomparsi, nacque così l’associazione Pro Busqueda, che si occupa di rintracciare e contattare quelli che una volta erano bambini del Salvador e oggi sono giovani Americani, Italiani, Svizzeri, Europei.

Quando entro negli uffici dell’associazione Pro Busqueda a San Salvador c’è un gran da fare. Alle pareti sono appese foto in bianco e nero di bambini con nome e cognome scritti a mano, fogli di statistiche e mappe completano tutti gli uffici di questo luogo.
Marina Ortiz, coordinatrice delle informazioni, mi illustra l’attività dell’associazione:
Le nostre indagini si svolgono in tre fasi: l’investigazione sul luogo di scomparsa dei bambini attraverso l’incontro con possibili testimoni o chiunque ricordi qualcosa di quei momenti. Le ricerche proseguono sui registri di adozione dei Paesi dove possono essere stati venduti i bambini e infine, quando c’è il consenso dell’interessato, l’esame del DNA.
La mole di lavoro è incredibile e, grazie ai recenti successi, sono sempre più le persone che si rivolgono a Pro Busqueda per rintracciare i propri cari scomparsi. Al momento l’associazione indaga su 881 casi, 363 dei quali sono stati individuati e contattati. I Paesi dove più questi bambini vennero venduti sono Stati Uniti al primo posto seguiti proprio dall’Italia, e quindi nel resto dell’Europa occidentale.
In questa storia l’Italia ha la triste aggravante di impedire o rendere molto difficile il contatto tra l’associazione e i ragazzi che scomparvero dal Salvador per riapparire oggi, adulti, nel nostro Paese.

Marina Ortiz mi spiega ancora:
In Italia abbiamo molte difficoltà, al momento abbiamo localizzato 25 casi ma stabilire un contatto con loro è quasi impossibile per una forte barriera delle istituzioni e la poca collaborazione degli istituti di adozione o dei genitori degli adottati. La nostra missione non è di riportare questi ragazzi, oramai adulti, nel proprio Paese di origine ma semplicemente di informarli che esiste una famiglia biologica che vive ancora qui nel Salvador, raccontare davvero come andarono le cose e che non furono abbandonati, ma rapiti. La scelta su come agire poi, sarà soltanto loro.
I colpevoli di questa storia sono ancora tutti impuniti, molti di loro ora sono rispettabili uomini d’affari, altri continuano a vivere nascosti.

Concludiamo però con una storia piena di speranza.
Il 14 gennaio 2001, dopo 30 anni di assenza, Christopher Roulin, un ragazzo americano che parla esclusivamente inglese arriva nel piccolo villaggio di Tenancingo Cuscatlan nel Salvador. Ad aspettarlo c’è una donna di 85 anni di nome Felicita de Paz… sua nonna. Il ragazzo viene circondato dall’abbraccio di altri ragazzi, i suoi cugini. Il vero nome di Christopher è Porfidio Lopez e come tanti scomparve dal Salvador nel 1980 per essere dato in adozione negli Stati Uniti dopo l’assassinio dei suoi genitori.
Dopo lunghe ricerche Pro Busqueda è riuscita a rintracciare Christopher che ha voluto visitare i luoghi di origine e conoscere quella parte di famiglia che non sapeva di avere.
Molti sono stati i “rencuentros” organizzati grazie a Pro Busqueda, ma tanto, tantissimo c’è ancora da fare.

Un ex-guerrigliero nell’est del Salvador, al confine con l’Honduras, mi ha detto:
Si parla della fine della guerra, come se la fine di una guerra fosse mai possibile. Le guerre non finiscono mai per chi le ha vissute, ce le portiamo dentro con il dolore, i morti si piangono per anni. A chi come me invece è scomparso un figlio, un nipote, un fratello, una sorella, a noi nemmeno il diritto di piangere ci hanno lasciato, anche quello ci è stato portato via.


Un grazie particolare a Marina Ortiz e all’associazione Pro Busqueda per la collaborazione, a “Don” Carlo e lo staff della Estancia a San Salvador, a Ivàn e Carlos Di Perquine per le loro innumerevoli storie.

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