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Friday, March 11, 2016

 

La conversione di Rutilio Grande

 

Dire “Rutilio Grande” e “conversione” ci fa pensare all’impatto che l’uccisione di padre Rutillio Grande ha avuto sul Beato Oscar A. Romero, cosa che Papa Francesco lo chiama il grande miracolo di padre Grande. Ma dovremmo pensare della conversione che viene prima di questo, la conversione di Rutilio Grande. Lo stesso Papa Francesco ci mostra la prova di tale conversione: “Lasciò il centro per andare alla periferia.”

 

Il Santo Padre parla di sapienza, e lo stesso Padre Grande ammette che il suo processo di conversione è stato completato con il suo inserimento pastorale nella parrocchia periferica, dove Grande ha dichiarato di aver vissuto due conversioni: la prima dopo il Vaticano II, e la seconda quando lasciò il seminario dove era stato rettore e assume la parrocchia periferica nella sua città natale di Aguilares. “Lasciò il centro per andare alla periferia.” O come spiega padre Salvador Carranza, “possiamo dire semplicemente che l’entrata in squadra in Aguilares segna il passaggio del Mar Rosso dell’esodo o del ritorno in Galilea dei seguaci di Gesù”.

 

Facendo questa riflessione, nel 39° anniversario dell’assassinio di Padre Grande questo 12 marzo, ci chiediamo se questa morte sia già vicina ad essere riconosciuta come un martirio, e se ci si poteva aspettare un annuncio in tal senso, nel contesto di questo anniversario. Fonti vicine al processo hanno confermato al Super Martyrio che la causa procede lentamente, ma non per ragioni sottostanti, solo per l’ordinaria burocrazia che caratterizza questi processi. D’altra parte, il Super Martyrio ha saputo che la documentazione dei tre miracoli attribuiti al Beato Romero annunciati dalla Chiesa salvadoregna ai primi di ottobre dello scorso anno è appena stata inoltrata al Vaticano nel mese di gennaio. Si tratta di due donne e un uomo recuperati da un cancro incurabile, e da un coma. Il progresso delle due cause, Grande e Romero, è coordinato per cercare di ottenere i due insieme. Sempre insieme, Romero e Grande!

 

La conversione di padre Grande ha grandi analogie con la conversione di Mons. Romero. Ad esempio, la svolta decisiva nella conversione di Romero è la sua decisione di rompere i rapporti con il governo. Chiaramente, da marzo 1977 Mons. Romero mostra completa mancanza di fiducia nella buona fede e nella credibilità dello Stato salvadoregno. Lo stesso è evidente nel pensiero di Rutillio Grande, e la differenza è contrassegnata dal confronto di due sermoni importanti del sacerdote.

 

La prima è l’Omelia nella festa della Trasfigurazione, che ha dato Grande nella cattedrale di San Salvador nel mese di agosto 1970. Invitato a decantare questo importante discorso nella vita nazionale, davanti il clero diocesano e i grandi governanti, P. Grande pose la sua fiducia nella buona fede dei padri del paese, esortando fraternamente alla conversione:

Si può essere pienamente sicuri che l’On. Presidente della nostra Repubblica, qui presente, e tutti i governi costituiti, che questa linea chiaramente evangelica, questa linea del Papa e di tutti i vescovi della Chiesa universale, avrà sempre la collaborazione della Chiesa nel nostro Paese, in modo da conseguire insieme, congiuntamente, la trasfigurazione totale, completa e vera di tutti e di ciascuno degli abitanti di questa terra sacra, dove siamo nati, che amiamo, e per il cui bene dobbiamo tutti impegnarci ...

La Chiesa nel suo ambito e il governo nel suo, con il rispetto reciproco per le rispettive aree legittime, devono collaborare in modo efficace, con coraggio e con urgenza al fine di promuovere leggi giuste, oneste e corrette, come previsto dalla sovranità del popolo secondo l’articolo 1 della nostra costituzione.

Sette anni più tardi, nel suo famoso “Sermone di Apopa,” il Padre Grande ci permette di vedere che ha lasciato indietro tutta l’ingenua convinzione che il governo possa essere un partner della Chiesa nella ricerca della pace sociale.

Abbiamo detto che esiste anche nel paese, in questo paese, una falsa democrazia nominalista. Se ne parla molto, la bocca è piena di democrazia. Ma il potere del popolo è il potere di una minoranza, non il popolo! Cerchiamo di non illuderci! ...

 

Nessuna minoranza privilegiata nel nostro Paese ha, in modo cristiano, una ragion d’essere solo per se stessa, ma secondo la stragrande maggioranza che compone il popolo salvadoregno. Né le minoranze religiose hanno ragion d’essere, né le élite coscienti del nostro cristianesimo, compresi i loro leader laici e i ministri ordinati o le minoranze che sostengono il potere politico, economico o sociale. Non hanno motivo di essere, se non dal punto di vista del popolo!

 

Profeticamente, il “Padre Tilo” mette in dubbio anche la legittimità della Chiesa quando diventa una minoranza religiosa, un’elite del cristianesimo e accusa la gerarchia di diventare un partner del potere oligarchico in queste circostanze. Quando prima, Padre Grande ha parlato di una collaborazione tra l’elite religiosa e l’elite di governo, ora si avverte che tale collaborazione non deve mai imporre la propria visione sulle gente, ma deve agire “secondo la stragrande maggioranza che compone il popolo salvadoregno”.

 

Infatti, prima di gravitare verso la periferia, Padre Rutilio Grande aveva un posto garantito in pieno centro. I suoi studi e la sua formazione erano privilegiati: Venezuela, Quito e Panama, poi Spagna e Belgio. La sua ascesa nel seminario di San José de la Montaña rivolta lo portava verso l’alto: lavorò come insegnante, animatore pastorale e prefetto di disciplina. Avrebbe potuto diventare un grande pensatore, un manipolatore di opinioni all’interno della classe superiore, plasmare il discorso politico e il pensiero dei governanti. Ma “padre Tilo” decise di discostarsi da tale ruolo ed avvicinarsi ai poveri e agli emarginati. Tornando nella sua città natale.

“La grandezza dell’uomo non sta nella grande città, ne nei titoli, nella ricchezza, o nel denaro,” predicò il Beato Romero nel primo anniversario di padre Grande a El Paisnal. “La vera grandezza ... non è di essersene andato da qui per essere più ricco in un’altra città, ma nel tornare al suo popolo, amare la sua propria gente, essere più umano. Questa è la vera grandezza. Il vero sviluppo non sta nell’avere di più, ma nell’essere di più”. (Omelia del 5 marzo 1978.)

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