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04/03/2016

 

“Scegliere significa schierarsi". L'eredità principale di Oscar Romero a trent'anni dalla sua morte

di Fabio Marcelli

 

"....Quella stessa Chiesa, impersonata nel Nicaragua degli anni Ottanta da Ernesto Cardenal, cui Woytila voltava le spalle per stringere la mano del boia Pinochet"

 

Sono passati già quasi trentasei anni da quel 24 marzo del 1980 in cui Oscar Arnulfo Romero, vescovo di San Salvador, veniva ucciso sull’altare da un killer inviato dal leader della destra D’Aubuisson. Il motivo: essersi opposto in modo militante alla dittatura e aver rivolto accorati pubblici appelli per il rispetto della giustizia sociale e dei diritti umani.

 

Da ultimo, quello, il giorno prima del suo assassinio, in cui invitava soldati e ufficiali a non eseguire gli ordini in contrasto con la legge di Dio. Un mese prima, il 24 febbraio 1980, aveva riconosciuto il diritto all’insurrezione, quando sono esauriti tutti i mezzi pacifici. Ma numerosi e sorprendenti sono gli spunti presenti nei suoi discorsi e nelle sue omelie.

 

La figura luminosa di Romero viene ricostruita in un libro recentemente pubblicato da Geraldina Colotti, già militante delle Brigate Rosse, detenuta politica per molti anni e ora giornalista del manifesto specializzata in questioni internazionali e latinoamericane in particolare. Si tratta di una lettura utile e importante per il contributo che dà alla conoscenza di un’epoca (le guerre civili centroamericane degli anni Ottanta) e di un personaggio per molti versi profetico.

 

Rigorosamente nonviolento, Romero non ha mai abbassato il tono delle sue denunce, ma ha svolto fino in fondo il suo ruolo evangelico di portatore di verità e giustizia fino a pagarlo con la vita. Scrive Geraldina a proposito del vescovo martire: “Scegliere significa schierarsi, denunciare le cause dell’ingiustizia. “Io denuncio soprattutto l’assolutizzazione della ricchezza” diceva il 12 agosto del 1979 “la ricchezza, la proprietà privata come assoluto intangibile”. Una ricchezza “frutto di razzia” da proteggere con la repressione.

 

Discorso di estrema attualità in un mondo dove sempre meno persone controllano ricchezze sempre maggiori e più spropositate. E di cui per molti versi si fa oggi interprete e continuatore Papa Francesco, la cui enciclica Laudato sì, secondo Geraldina, suggerisce “una denuncia forte delle asimmetrie sociali ed internazionali, delle guerre e delle grandi imprese multinazionali“. Molte sono state di recente le prese di posizione importanti di Francesco, si veda il recente viaggio in Messico, in cui ha speso parole dure contro le oligarchie e il benessere dei pochi e contro fenomeni tipici del capitalismo decadente e dipendente, come il narcotraffico.

O quello di poco meno recente in Ecuador, dove ha avuto parole importanti di riconoscimento delle lotte popolari.

 

Certamente, Papa Francesco è consapevole delle resistenze reazionarie interne alla Chiesa, dove settori ancora molto forti cospirano per mantenere il ruolo di servitori e coadiutori del potere oligarchico, ricevendone in cambio piccoli e grandi privilegi personali. E dove continuano a registrarsi sacche di corruzione e perversione, dalla piaga della pedofilia ai prelati in affari, al ruolo tuttora scarsamente chiaro dello Ior e istituzioni analoghe. Ovvero a difendere posizioni superate sul terreno delle libertà personali, con grande gioia di politici d’accatto come Alfano, Giovanardi, Adinolfi, ecc. che sulla sofferenza dei diversi vogliono costruire facili fortune politiche. O infine a non mettere le sconfinate risorse della Chiesa al servizio dei popoli: qualche passo avanti viene fatto, come l‘ambulatorio recentemente donato ai clochard.

 

Ma che si aspetta a mettere a disposizione dei poveri ben altre strutture, compreso l’attico di Bertone a Piazza Navona? In questo senso l’esempio di Monsignor Romero è fondamentale per intravvedere una Chiesa schierata fino in fondo a fianco del popolo, nei fatti e non solo a parole. Quella stessa Chiesa, impersonata nel Nicaragua degli anni Ottanta da Ernesto Cardenal, cui Woytila voltava le spalle per stringere la mano del boia Pinochet. Non mancano del resto molti esempi di sacerdoti martirizzati per essersi schierati a fianco del popolo, anche in tempi recenti, dalla Colombia alle Filippine.

 

Sembra in realtà che la Chiesa, come ogni altra istituzione umana, sia attraversata dalla dialettica della lotta di classe e terreno di contesa fra posizioni politiche diverse e a volte contrapposte. Quello che è certo è che la drammaticità dei tempi presenti, contrassegnati da una polarizzazione senza precedenti del potere e del reddito, rendono sempre più necessaria una Chiesa che, riscattando il contenuto rivoluzionario del messaggio evangelico, si ponga al servizio dei poveri e degli sfruttati contro il sistema dominante che li emargina e li condanna a un’esistenza non degna di esseri umani. Questo il principale lascito di Oscar Arnulfo Romero, il cui processo di beatificazione si è completato il 23 maggio dello scorso anno, e di cui si attende ora con impazienza, anche da parte di non credenti come il sottoscritto, la definitiva canonizzazione.

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