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17 ottobre 2015

 

Leonardo Boff e gli 80 anni di Fidel: confidenze

 

Leonardo Boff faceva ancora parte dell’ordine francescano quando ha scritto questa breve “confidenza” in occasione degli 80 anni di Fidel Castro. Una testimonianza che aiuta a capire il rapporto fra Fidel e la religione.

 

Quello che pubblico ora scandalizzerà e irriterà coloro a cui non piace Cuba né Fidel Castro. La cosa non mi preoccupa. Se non riesci a vedere il luccichio della stella nella notte scura, la colpa non è della stella, è tua. Nel 1985 l’allora cardinale Joseph Ratzinger mi impose, a causa del mio libro Iglesia: carisma y poder, un “silenzio ossequioso”.

Accettai la sentenza, non feci più lezione, non scrissi e non parlai in pubblico. Mesi dopo ho avuto la sorpresa di un invito del Comandante Fidel Castro che mi chiedeva di passare 15 giorni con lui sull’isola, durante le sue vacanze. Ho accettato immediatamente perché mi si offriva l’opportunità di riprendere i dialoghi critici che insieme a Fray Betto avevamo intavolato varie volte in precedenza.

Mi sono diretto a Cuba. Mi sono presentato al Comandante che, davanti a me ha telefonato immediatamente al Nunzio Apostolico con cui aveva rapporti cordiali e gli ha detto: “Eminenza, c’è qui frate Boff, sarà mio ospite per 15 giorni. Siccome sono disciplinato, non permetterò che parli e che dia interviste, così osserverà quello che il Vaticano gli impone: un silenzio ossequioso. Vigilerò affinché sia rispettato”. E così fu.

Per 15 giorni in macchina, in aereo o in una imbarcazione, mi ha fatto vedere tutta l’isola. Insieme al viaggio, scorreva la conversazione, assai libera, su mille questioni di politica, di religione, di scienza, di marxismo, di rivoluzione e anche di critiche al deficit di democrazia. Le serate erano occupate da una lunga cena, seguita da conversazioni impegnative che potevano fino ad alba ormai fatta. Qualche volta fino alle 6 del mattino. Allora si alzava, si stiracchiava un po’ e diceva: ”adesso mi faccio una nuotata di una quarantina di minuti e poi vado a lavorare”. Io annotavo i contenuti e poi, cotto, andavo a dormire.

Alcuni punti di quella convivenza mi sembrano importanti. Primo, la persona di Fidel. E’ più grande della sua isola. Il suo marxismo è prima etico che politico: come rendere giustizia ai poveri? Poi la sua buona conoscenza della teologia della liberazione. Aveva letto una montagna di libri, tutti annotati con un elenco dei termini e dei dubbi che discuteva con me. Sono arrivato a dirgli: “Se il cardinale Ratzinger capisse la metà di quello che capisce lei della teologia della liberazione, il mio destino personale e quello della teologia della liberazione sarebbero assai diversi.

In questo contesto ha confessato: “Mi convinco ogni volta di più che nessuna rivoluzione latinoamericana sarà vera, popolare e trionfante se non incorpora l’elemento religioso”. Forse a causa di questa convinzione, ha obbligato me e frei Betto a dare successivi corsi di religione e di cristianesimo a tutta la seconda linea di Governo, e alcune volte con tutti i ministri presenti. Questi veri corsi sono stati decisivi per fare arrivare il Governo ad un dialogo e a una certa “riconciliazione” con la Chiesa Cattolica e con le altre religioni a Cuba.

Per finire, una sua confessione: “Sono stato interno in una scuola dei gesuiti per vari anni; mi hanno insegnato la disciplina ma non mi hanno insegnato a pensare. In carcere, leggendo Karl Marx, ho imparato a pensare. A causa della pressione statunitense mi sono dovuto avvicinare all’Unione Sovietica, ma se allora avessi avuto una teologia della liberazione, l’avrei certamente abbracciata e applicata a Cuba”. E ha aggiunto: “Se un giorno tornassi alla fede della mia infanzia, lo farei per mano di frei Betto e di frei Boff”. Abbiamo raggiunto momenti di tale sintonia che per poco non recitavamo il Padre Nostro insieme.

Io avevo riempito quattro grossi quaderni sui nostri dialoghi, ma a Rio de Janeiro mi hanno rubato la macchina e si sono portati via tutto. Il libro che avevo immaginato non sarà più possibile scriverlo ma conservo il ricordo di un’esperienza ineguagliabile di un capo di stato preoccupato della dignità e del futuro dei poveri.

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