Padre Olivero

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24/08/2015

 

Padre «Charly» e la bellezza nella miseria delle villas argentine

di Daniele Banfi

 

Se non fosse per il soffitto della fiera ci sembrerebbe di fare una passeggiata nelle villas di Buenos Aires, i quartieri poveri della capitale argentina. Ad attenderci all'ingresso c'è lui - padre Carlos «Charly» Olivero - intento a sorseggiare il mate, la bevanda nazionale tanto cara a papa Francesco. Per Carlos è la seconda volta al Meeting di Rimini, la prima lo scorso anno per raccontare la sua esperienza di prete di periferia. Ora il racconto ha preso forma e visitando la mostra si è catapultati per un istante nel suo mondo fatto di bellezza nella miseria.

 

Padre Charly, quest'anno il titolo del Meeting parla di «mancanza». Nelle villas cosa significa questo termine? È solo una questione di povertà economica?

«Il cuore dell'uomo è unico. Tutti noi, da chi vive nelle villas a chi si trova nel lusso, è nella situazione in cui manca di qualcosa. Nella società odierna però il rischio è quello di rimanere anestetizzati dal consumismo. Attraverso di esso cerchiamo di riempire la mancanza del nostro cuore con beni materiali e comportamenti che non ci permettono di capire il vero desiderio di pienezza che alberga nel nostro cuore. Un sistema perverso in cui le villas sono la conseguenza. Oggi i miei ragazzi delinquono perché non possono altrimenti permettersi di possedere quei beni che promettono di riempire il loro cuore».

 

In che modo spezzare questo circolo vizioso?

«Prima una premessa: attraverso la droga e la prostituzione i nostri ragazzi perdono innanzitutto i rapporti umani a cominciare dalla famiglia. Rimangono profondamente soli. Il nostro compito è riassunto in un verbo tanto caro al Papa, “primerear”. Dobbiamo arrivare prima di loro, stare davanti al loro dramma. Dobbiamo entrare in rapporto diretto con loro. Lo facciamo non con grandi discorsi ma rispondendo ai loro bisogni. Un rapporto in grado di cambiarli al punto che come in una grande famiglia i vecchi aiutano i nuovi arrivati. Nelle periferie non c'è solo il negativo, ci sono anche tanti frutti positivi. Le persone devono solo poter essere messe nelle condizioni di sperimentare un abbraccio».

 

Con papa Francesco invita a spingerci verso le «periferie esistenziali». Quanto ha inciso nella tua vita questa espressione?

«Molto. Quando papa Francesco era arcivescovo di Bueons Aires mi trovavo in seminario. Nel 2002 Bergoglio ebbe l'intuizione di lasciare ai seminaristi la possibilità di costruirsi dei percorsi di formazione personalizzati. Grazie a questa decisione ho potuto recarmi nelle villas per sentirmi utile, per cercare di risolvere i problemi della gente. Ma è proprio vivendo con gli abitanti del quartiere che mi sono accorto che non posso più fare a meno di loro. Perché dentro situazioni difficili e di miseria ho sperimentato a pieno la mia povertà e l'amore di Cristo».

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