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21 de marzo de 2014

 

Caso Luis Espinal Camps

di Patricia Doris Guillén Nolasco

giornalista e attivista dei diritti umani

 

Luis è una delle vittime degli interessi nascosti nei giorni dolorosi della dittatura, il cui omicidio è ancora sotto il mantello dell’impunità. Qualcuno ha dato l'ordine di torturarlo e ucciderlo; e questi atti sono crimini contro l'umanità che non si prescrivono.

 

Nella notte del 21 marzo 1980, Espinal stava tornando a casa dopo aver visto un film a teatro quando fu rapito da un gruppo paramilitare che lo ha portato al macello di Achachicala a La Paz, dove è stato torturato per cinque ore colpi, bruciature di sigaretta, scosse elettriche, costole e sterno fratturati e, infine, crivellato con 17 proiettili calibro 22. Il suo corpo è stato trovato da un contadino sulla strada per Chacaltaya. Il 28 marzo successivo, una denuncia preparata dall'avvocato Peñarrieta Aníbal Aguilar, che nelle sue parti salienti segnalava: "Il 22 marzo di quest'anno è stato trovato morto il Reverendo Padre Luis Espinal, vittima del reato più infame, che terminò con la fine di una vita umile e fraterna con i suoi simili, crimine commesso senza pietà ne misericordia, aumentando il senso di colpa con atteggiamenti estremi e malvagi, affidandosi per questo a privilegi e vantaggi che questa azione sarebbe scomparsa" Il memoriale prosegue con un'analisi delle cause del crimine efferato e i preparativi per un colpo di stato e continua con la sua richiesta: "Per queste ragioni, vi presento le accuse penali contro Luis Arce Gomez, Guido Benabides Alvizuri, Rafael Loayza, agenti della DOP e SIE noti in precedenza con i nomi e pseudonimi: Nayo, Beto Chacon, signor Atlas, Jorge Ramirez, Tombo Gemio, Laurel, Julio Torres, Torres Melquiades Vilela, Guillermo Moscoso, Goyo Ormachea, indiana, Galo Sandoval, el Abuelo e altri generali conosciuti e sconosciuti."

Un'azione che in 34 anni non ha avuto successo, gli assassini non sono stati imprigionati per questo crimine e le impunità, in questo caso, come in tanti altri, sono emerse vittoriose.

 

Chi era Luis Espinal Camps?

Un combattente per la giustizia e la verità che ha speso la sua vita per gli altri e per i suoi ideali come il cinema, il giornalismo e la difesa dei diritti umani, in una fase della nostra storia che rimane oscura.

Luis è nato a Barcellona, ??in Spagna, nel 1932, ha studiato filosofia e teologia. Nel 1964 ha studiato giornalismo televisivo dopo la laurea ha lavorato nella televisione spagnola in un ambiente di censura imposto dal governo di Franco, un fatto che lo ha spinto a dimettersi.

Il 6 Agosto 1968 è venuto in Bolivia per soddisfare le promesse sacerdotali e identificarsi in profondità con i boliviani, conseguì la nazionalità boliviana nel 1970. La sua esperienza in comunicazione, insieme con le sue qualità umane e sociali, sono state la base per incoraggiare l’opera che riflette la sua convinzione della giustizia sociale attraverso i suoi programmi radio, cinema, televisione e stampa, in cui denunciava l'ingiustizia sociale, gli abusi della dittatura e del sistema, in vista della lotta dei settori sociali per la conquista di uno spazio di libertà, uguaglianza e giustizia.

 

Una testimonianza di vita

Luis era testimone di tutto quello che ha predicato, per esempio, quando lavorava a Radio Fides, in un editoriale nel 1973 si riferì ai nuovi cardinali come al "più antico e decrepito Senato del mondo...", dal quale nessuno si è mai ritirato ne dimesso. Ricevette anche un avvertimento del Nunzio Apostolico del tempo.

Nella tv boliviana, Canale 7, aveva un programma chiamato En Carne Viva, durante una trasmissione ebbe un colloquio con i membri dell'Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), un fatto che non piacque a chi era al potere.

Dal quotidiano Presenza fu respinto per la sua rubrica critica cinematografica al sacerdote, protagonista di un film, il quale era più vicino al potere che al popolo. Da professore presso l'Universidad Mayor de San Andrés trasmise non solo la conoscenza, ma anche le sue qualità umane; faceva parte del gruppo pellicola Ukamau, che produsse diversi cortometraggi. Ha scritto una dozzina di libri sui suoi insegnamenti.

 

Il 17 marzo 1979 ha fondato il Semanario Qui Espinal, un giornale che esprimeva il punto di vista dei vari settori sociali, le sue pagine riflettevano e denunciavano i bassi livelli di reddito dei lavoratori; testimonianze di uomini e donne che vivevano la vita lentamente senza mai aver mangiato un buon pasto o ricevuto cure mediche, e senza il privilegio di andare a scuola o imparare a leggere. Ogni settimana, le pagine del settimanale Aquì denunciava l'abuso, la corruzione e la cattiva gestione dell’attuale governo e dell'amministrazione statale. "Il giornalista, prima di tutto, deve essere gli occhi e le orecchie della gente. Egli indaga e comunica le informazioni alle persone, di questo c’è bisogno per la vita democratica ...", scrisse in un editoriale.

 

Attivista per i diritti umani

Luis era un attivista dell'Assemblea Permanente dei Diritti Umani della Bolivia (APDHB) durante l'ultima fase della dittatura di Hugo Banzer. Nel 1977 condivise l'esperienza dello sciopero della fame al quotidiano Presenza, insieme a quattro minatori donne, Aurora de Lora, Luzmila de Pimentel, Nelly Paniagua e Angelica Flores, per chiedere un'amnistia generale per gli esuli, il riconoscimento dei sindacati e il ritiro dell'esercito dei centri minerari.

Quella sete di giustizia si estese a più di 2.000 picchetti, 528 ore di lotta del popolo della Bolivia segnarono la vita politica di Luis che, il 31 dicembre 1977, dichiarò: "Per inquadrare la mia esperienza politica durante questi giorni, devo chiarire due cose: primo, la mia posizione di piccolo intellettuale borghese che improvvisamente si sente completamente immerso in un'esperienza storica, completamente popolare e rivoluzionaria. Forse per la prima volta, sono stato utile al mio popolo. In secondo luogo, la mia condizione in Bolivia, sempre attaccato dal governo come un alieno indesiderabile, è accettata dal popolo; morire per un popolo può dare più documenti di cittadinanza di nascere in un villaggio."

Parole profetiche, che furono soddisfatte il 22 marzo 1980 dopo aver scritto le denuncie sul settimanale Aquì.

 


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21 de marzo de 2014

 

Caso Luis Espinal Camps

por Patricia Doris Nolasco Guillén

comunicadora y activista por los derechos humanos

 

Luis es una de las víctimas de los intereses ocultos en los dolorosos días de la dictadura, cuyo asesinato aún se encuentra bajo el manto de la impunidad. Alguien dio la orden para que se torture y se quite la vida de Espinal  y esos hechos son delitos de lesa humanidad que no prescriben.

 

La noche del 21 de marzo de 1980, Espinal regresaba a su casa después de ver una película en el cine cuando fue secuestrado por un grupo de paramilitares que lo llevaron al matadero de la zona Achachicala en La Paz, donde fue torturado por cinco horas con golpes, quemaduras de cigarrillo, picana eléctrica, fracturas de esternón y costillas y, por último, acribillado con 17 balazos. El 22 su cuerpo fue hallado por un campesino en el camino a Chacaltaya.

El 28 de marzo de ese año se presentó una denuncia preparada por el abogado Aníbal Aguilar Peñarrieta, que en sus partes salientes señalaba:

“El día 22 de marzo de este año apareció muerto el reverendo Padre Luis Espinal, víctima del más infame acto criminal que terminó con una vida humilde y fraternal con sus semejantes, crimen cometido sin piedad ni misericordia, aumentando toda culpa con actitudes tibias y malvadas amparándose para ello en privilegios y ventajas que en esta acción deben desaparecer”

El memorial continúa con un análisis sobre las causas del horrendo crimen y los preparativos de un golpe de Estado y continúa con su requerimiento:

“Por lo expuesto, presento querella criminal contra Luis Arce Gómez, Guido Benabides Alvizuri, Rafael Loayza, los agentes de la DOP y SIE conocidos por los anteriores bajo los nombres y seudónimos de: Nayo, Beto Chacón, Mister Atlas, Jorge Ramírez, el Tombo Gemio, el Gordo, Julio  Torres, Melquiades Torres Vilela, Guillermo Moscoso, Goyo Ormachea, el Indio, Galo Sandoval, el Abuelo y otros de generales conocidas y desconocidas”.

A 34 años la acción no prosperó, los asesinos no han sido encarcelados por este crimen y la impunidad en este caso, como en tantos otros ha salido victoriosa.

 

¿Quién era Luis Espinal Camps?

Un  luchador de la justicia y la verdad que gastó su vida en los demás y en sus ideales como el cine, el periodismo y la defensa de los derechos humanos, en una etapa de nuestra historia que permanece en la oscuridad.

Luis, nació en Barcelona, España, en 1932, estudió  filosofía y teología. En 1964 estudió periodismo audiovisual, después de terminar sus estudios trabajó en Televisión Española en un ambiente de censura impuesto por el gobierno de Franco, hecho que le impulsó a renunciar.

El 6 de agosto de 1968 llegó a Bolivia para cumplir con sus votos sacerdotales e identificarse de manera profunda con las bolivianas y bolivianos, se nacionalizó en 1970. Sus conocimientos en comunicación, sumados a su calidad humana y social, fueron la base para impulsar un trabajo que reflejó su convicción de justicia social a través de sus programas de radio, cine, televisión y prensa, en los que se denunciaba la injusticia social, los abusos de la dictadura y del sistema, en vista de la lucha de los sectores sociales por espacios de libertad, igualdad y justicia.

 

Un testimonio de vida

Luis era un testimonio de todo lo que predicaba, por ejemplo, cuando trabajó en Radio Fides, en un editorial en 1973 se refirió a los nuevos cardenales como “el senado más viejo y decrépito del mundo...”, del cual no se retractó y renunció. También recibió una llamada de atención del Nuncio Apostólico de esa época.

En Televisión Boliviana, Canal 7, tuvo un programa llamado En carne viva, en una emisión realizó una entrevista con miembros del Ejército de Liberación Nacional (eln), hecho que no agradó a quienes ostentaban el poder.

Del matutino Presencia fue despedido por una crítica en su columna cinematográfica sobre que el cura protagonista de un filme estaba más cerca del poder que del pueblo. De catedrático en la Universidad Mayor de San Andrés transmitió no sólo conocimientos, sino su calidad humana; formó parte del grupo cinematográfico Ukamau, produjo varios cortometrajes, escribió una docena de libros con sus enseñanzas. 

El 17 de marzo de 1979 Espinal fundó el Semanario Aquí, un periódico que manifestaba la opinión de los diversos sectores sociales, sus páginas reflejaban en son de denuncia los bajos niveles económicos de las y los trabajadores; testimonios de hombres y mujeres que apagaban su vida poco a poco sin haber comido un buen plato o haber recibido atención médica, sin el privilegio de pisar una escuela ni haber aprendido a leer.

Cada semana, las páginas del Semanario Aquí denunciaban el abuso y corrupción del gobierno de turno y el mal manejo en la administración del Estado. “El periodista, ante todo, ha de ser los ojos y oídos del pueblo. Él investiga y comunica al pueblo las informaciones que éste necesita para la vida democrática…”, escribió en uno de sus editoriales.

 

Activista de derechos humanos

Luis fue activista de la Asamblea Permanente de los Derechos Humanos de Bolivia (apdhb) durante la última etapa de la dictadura de Hugo Banzer. En 1977 vivió la experiencia en el piquete de huelga de hambre en instalaciones del matutino Presencia, junto a cuatro mujeres mineras, Aurora de Lora, Luzmila de Pimentel, Nelly Paniagua y Angélica de Flores, para exigir amnistía general para los exiliados, vigencia de las organizaciones sindicales y el retiro del ejército de los centros mineros.

Esa ansia de justicia se extendió a más de 2 mil piquetes de huelga, 528 horas de lucha del pueblo de Boliviano que  marcaron la vida política de Luis, quien, el 31 de diciembre de 1977, dijo: “Para enmarcar mi experiencia política, durante estos días, he de aclarar dos hechos: Primero, mi condición de intelectual pequeño burgués que de pronto se siente plenamente inmerso en una experiencia histórica, plenamente popular y revolucionaria. Tal vez, por primera vez, he sido útil para mi pueblo.

Segundo, mi condición de boliviano (siempre atacado por el gobierno como extranjero indeseable) y que se encuentra aceptado por el pueblo; morir por un pueblo puede dar más carta de ciudadanía que nacer en un pueblo”.

Palabras proféticas que se cumplirían el 22 de marzo de 1980 después de haber realizado denuncias  a través del Semanario Aquí.

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