Originale: Counterpunch
http://znetitaly.altervista.org
31 maggio 2014

Lo spettro dell’autoritarismo e il futuro della sinistra
C.J. Polychroniou intervista Henry A. Giroux
traduzione di Giuseppe Volpe

1. Si ritiene diffusamente che le società liberali avanzate stiano soffrendo una crisi di democrazia, un’opinione che tu condividi di vero cuore, anche se le ricerche empiriche, con la loro predilezione per il positivismo, tendono a essere più caute. In che modo c’è oggi meno democrazia, in luoghi come gli Stati Uniti, di quanta ce ne fosse, diciamo, venti o trent’anni fa?

Ciò cui abbiamo assistito negli Stati Uniti e in numerosi altri paesi dagli anni ’70 è l’emergere di una forma barbara di fondamentalismo del libero mercato, spesso chiamata neoliberismo, in cui non solo c’è un profondo disprezzo per i valori pubblici, i beni pubblici e le pubbliche istituzioni, ma anche l’abbraccio di un’ideologia del mercato che accelera il potere dell’élite finanziaria e delle grandi imprese svuotando contemporaneamente quelle culture e istituzioni formative necessarie perché una democrazia sopravviva. Le istituzioni egemoni della società in molti paesi, Stati Uniti compresi, sono oggi nelle mani di potenti interessi industriali, dell’élite finanziaria e di fanatici di destra il cui controllo soffocante sulla politica rende la democrazia corrotta e disfunzionale. Più specificamente, gli statunitensi vivono oggi sotto quella che il nuovo Papa ha condannato come la “tirannia del capitalismo sfrenato”, in cui le élite industriali, finanziarie e di governo plasmano la politica, aggrediscono i sindacati, mobilitano grandi estremi di ricchezza e potere e impongono un regime brutale di neoliberismo. Questo è un periodo che è privo di un qualsiasi senso di giustizia economica e sociale, un momento storico in cui le norme, i valori e, oltretutto, lo stesso linguaggio esistenti legittimano la produzione di zone di morte sociale e civile, sfere di morte mosse da una violenza folle radicata in un teatro distopico di crudeltà. Alcuni hanno sostenuto che gli statunitensi sono entrati in una nuova Età dell’Oro o in un’oligarchia, ma in realtà le cose sono molto più brutali di quanto questi termini suggeriscano. Questo nuovo periodo di barbarie politica, sociale ed economica ricorda più quelli che Hannah Arendt ha chiamato i “tempi bui”, una congiuntura storica radicata negli attributi rielaborati di un totalitarismo che succhia la vita, atteggiandosi svergognatamente a una versione aggiornata della democrazia. Il nuovo autoritarismo rafforza ciò che i politici conservatori, i gestori di fondi speculativi e i guru rifiutano di ammettere, cioè che negli Stati Uniti il contratto sociale e il salario sociale sono sotto sostenuto attacco di politici di destra e di intellettuali avversari del settore pubblico di entrambi i partiti politici. Inoltre le sfere e istituzioni pubbliche che sostengono le disposizioni sociali, il bene pubblico e tengono in vita valori pubblici sono sotto sostenuto attacco. Tali attacchi hanno prodotto non solo una gamma di politiche che hanno ampliato la miseria, la sofferenza e le difficoltà di milioni di persone, ma hanno anche posto in essere una crescente cultura di crudeltà in cui quelli che soffrono le sventure della povertà, della disoccupazione, dei posti di lavoro umili, della mancanza di una casa e di altri problemi sociali, sono oggetto sia di umiliazione sia di disprezzo.

Le società neoliberiste, in generale, sono in uno stato di guerra, una guerra scatenata dall’élite politica e finanziaria contro i giovani, i gruppi a basso reddito, gli anziani, le minoranze povere di colore, i disoccupati, gli immigrati e altri oggi considerati sacrificabili. Le libertà sono oggi ridotte a carne da macello per pubblicità insensate e slogan vuoti usati per mettere democrazia e capitalismo sullo stesso piano. Al tempo stesso l’idea stessa di libertà, uguaglianza e diritti civili è posta sotto sostenuta condanna proprio mentre il razzismo si sta diffondendo nella cultura come un incendio, specialmente per quanto riguarda le molestie della polizia contro giovani neri e latinoamericani. Un razzismo persistente si può costatare anche nella spirale di attacchi alle leggi sul diritto di voto, nell’incarcerazione di massa di maschi afroamericani e nell’aperto razzismo che è divenuto prominente tra i repubblicani di destra e i membri del Tea Party, gran parte del quale è indirizzato contro il presidente Obama e le minoranze povere. Contemporaneamente sono sotto attacco i diritti riproduttivi delle donne e c’è un continuo attacco contro gli immigranti.

C’è di peggio. L’istruzione a ogni livello è privata di finanziamenti e definita come luogo di addestramento piuttosto che come spazio di pensiero critico, dialogo e apprendimento critico. L’istruzione pubblica è sotto assedio delle forze della privatizzazione e dei sostenitori delle scuole parificate, rendendo l’istruzione pubblica una zona morta privata di curiosità, immaginazione e pedagogia critica. Il pensiero e l’apprendimento critico sono stati sostituiti programmi di test che impigriscono la mente proprio come gli insegnanti sono stati ridotti a commessi dell’impero. Contemporaneamente l’istruzione superiore è sotto massiccio attacco da parte degli apostoli dell’industrializzazione proprio mentre un’intera generazione è stata precipitata in un indebitamento che succhia la vita, soffoca l’immaginazione e riduce i giovani a una cultura di precarietà e a una lotta interminabile per la sopravvivenza. In aggiunta, la democrazia è avvizzita sotto l’emergere di uno stato di sicurezza nazionale e di guerra permanente. Ciò è evidente non solo nelle interminabili guerre all’estero, ma anche nell’approvazione di una serie di leggi quali il Patriot Act, la legge sui tribunali militari [Military Commissions Act], la legge sul bilancio della difesa [National Defense Authorization Act] e molte altre leggi che hanno fatto a brandelli il giusto processo e hanno dato al ramo esecutivo il diritto di detenere carcerati indefinitamente senza accuse o processo, autorizzano una lista presidenziale delle persone da uccidere e la conduzione di intercettazioni illegali. Naturalmente sia Bush sia Obama hanno rivendicato il diritto di uccidere qualsiasi cittadino sia considerato un terrorista o che sia venuto in aiuto del terrorismo. Gli assassinii mirati sono oggi attuati da droni che uccidono in misura sempre maggiore bambini, adulti e astanti innocenti. In modo simile, la guerra al terrore migra toccando ogni cosa sul suo cammino e non è più limitata a questioni di politica estera. Il terrorismo interno ha aperto nuove zone di guerra, operanti in base all’assunto che tutti gli statunitensi sono potenziali terroristi.

Un altro indice della china intrapresa dagli Stati Uniti verso la barbarie e l’autoritarismo è in mostra nell’ascesa dello stato razzialmente punitivo con il suo percorso scuola-carcere, la criminalizzazione di una gamma di problemi sociali, l’ascesa di un massiccio sistema carcerario, la crescente militarizzazione delle forze di polizia locali e il crescente uso di una continua violenza statale contro il dissenso giovanile e i cittadini comuni. Il carcere è oggi divenuto il modello di un genere di deriva punitiva che ha impattato sulle scuole pubbliche in cui ragazzini sono arrestati per aver violato qualcosa di così futile come un codice di abbigliamento. E’ anche evidente nell’amministrazione di numerosi servizi sociali in cui i poveri sono posti sotto costante sorveglianza e puniti per infrazioni minori. E’ anche in piena evidenza nella militarizzazione della vita quotidiana con la sua interminabile celebrazione dell’esercito, della polizia e delle istituzioni religiose, tutte tenute in alta stima dal pubblico statunitense, nonostante la loro innegabile natura autoritaria.

Come se non bastasse, e come ha chiarito Edward Snowden, gli Stati Uniti sono oggi uno stato di sorveglianza-sicurezza nazionale che raccoglie illegalmente enormi quantità di informazioni da fonti diverse su cittadini che non sono colpevoli di alcun crimine. C’è anche il vergognoso esercizio sotto Bush e, in misura minore, sotto Obama della tortura autorizzata dallo stato unita al rifiuto del governo di processare quegli agenti della CIA e  di altri servizi che hanno volontariamente praticato abusi sistematici che costituiscono crimini di guerra. Ciò che questa lista rappresenta è il fatto innegabile che negli ultimi quarant’anni gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco non solo contro la pratica della giustizia e della stessa democrazia, ma anche contro l’idea stessa della giustizia e della democrazia.

Ciò è massimamente evidente nel regno della politica. Il denaro oggi dirige la politica negli Stati Uniti e in numerosi altri paesi. Il Congresso ed entrambi i partiti politici maggiori si sono venduti al potere delle grandi imprese e sono divenuti completamente corrotti. Le campagne elettorali sono finanziate in larga misura dall’élite finanziaria, ad esempio dalla destra dei fratelli Koch, di Sheldon Adelson, da principali industrie della difesa come la Lockheed Martin e da principali istituzioni finanziarie come la Goldman Sachs. Come ha segnalato un recente rapporto dell’Università di Princeton, la politica di Washington, D.C., non ha nulla a che vedere con i desideri del popolo, ma è completamente decisa dai ricchi, dalle grandi imprese e dall’élite finanziaria, ciò che è stato reso ancor più agevole grazie alla sentenza Citizen United e a numerose altre leggi attuate da una maggioranza conservatrice presso la Corte Suprema.  Non dovrebbe perciò sorprendere che i ricercatori dell’Università di Princeton Martin Gilens e Benjamin Page siano giunti alla conclusione che gli Stati Uniti sono fondamentalmente un’oligarchia in cui il potere è esercitato da un ridotto numero di élite.

2. In altre parole tu non ritieni che abbiamo una crisi esistenziale della democrazia, prodotta da una crisi economica, con conseguenze impreviste e non intenzionali, bensì un’effettiva corrosione della democrazia, con effetti calcolati? E’ così?

Penso che abbiamo entrambe le cose. Non solo la democrazia è stata minata e trasformata in una forma di autoritarismo unica del ventunesimo secolo, ma c’è anche una crisi esistenziale che è evidente nella disperazione, nell’allontanamento dalla politica e una crisi di individualità che si è impossessata di gran parte della popolazione, particolarmente dopo l’11 settembre e la crisi economica del 2007. La crisi economica non si accoppia a una crisi di idee e molti si sono arresi a un’ideologia neoliberista che limita il loro senso di protagonismo definendoli principalmente come consumatori, li assoggetta a una cultura pervasiva di paura, li incolpa di problemi di cui non sono responsabili e li induce e credere che la violenza sia la sola forza mediatrice a loro disposizione; il quoziente di piacere è colonizzato e induce la gente ad assumere che lo spettacolo della violenza sia il solo modo in cui può provare un qualsiasi genere di emozione e piacere. Come interpretare diversamente i sondaggi che mostrano che la maggioranza degli statunitensi appoggia la pena di morte, la sorveglianza governativa, la guerra dei droni, il complesso industriale-carcerario, politiche di tolleranza zero che puniscono bambini? Stima, onore, intimità, compassione e cura degli altri sono oggi considerate dei pesi, proprio come l’interesse egoistico è divenuto più importante dell’interesse generale e del bene comune. L’egoismo, l’interesse privato e la celebrazione incontrollata dell’individualismo sono divenuti, come ha sostenuto Joseph E. Stiglitz, “la forma definitiva di altruismo”. Quella cui stiamo assistendo è una crisi esistenziale radicata nella distruzione delle solidarietà significativa, delle misure collettive di sostegno, e nello sradicamento di tutte le sfere pubbliche che aprono spazi di legami pubblici critici e compassionevoli. Una conseguenza del neoliberismo è che rende virtù la produzione di una crisi esistenziale collettiva, una crisi di individualità e protagonismo che prosciuga la democrazia della sua vitalità. Non c’è nulla di questa crisi che suggerisca che non sia collegata al funzionamento interno del capitalismo d’azzardo. La crisi economica ne ha intensificato le dimensioni peggiori, ma l’origine della crisi sta nelle radici del neoliberismo, particolarmente dal suo avvio negli anni ’70, quando la socialdemocrazia si è mostrata incapace di contenere la crisi del capitalismo e l’economia è divenuta la forza motrice della politica.

3. Nei tuoi scritti tu fai spesso riferimento allo spettro dell’autoritarismo. Vedi le democrazie liberali occidentali trasformarsi in un capitalismo in stile autoritario come in Cina, Russia, Singapore e Malesia, in un “fascismo amichevole” o in una democrazia oligarchica?

Ciascun paese svilupperà la propria forma di autoritarismo radicata nelle tradizioni storiche, pedagogiche e culturali più adatte alla sua riproduzione. Negli Stati Uniti ci sarà un aumento della repressione in stile militare per far fronte all’inevitabile crisi economica, ecologica e politica che s’intensificherà sotto il nuovo autoritarismo. In questo caso l’appello sarà in larga misura rivolto alla sicurezza, rafforzato da una cultura di paura, e ci sarà un appello intensificato al nazionalismo. Al tempo stesso questa “guerra materiale” sarà completata da una “guerra virtuale” prodotta con l’aiuto delle nuove tecnologie elettroniche di sorveglianza e controllo, ma ci sarà anche uno sforzo a tutto campo attraverso l’uso di pratiche pedagogiche di vari apparati culturali, che vanno dalle scuole e dalle vecchie forme dei media, da un lato, alle nuove modalità mediatiche e digitali di comunicazione, dall’altra, per produrre elementi della personalità autoritaria reprimendo contemporaneamente quanto più possibile ogni forma collettiva di dissenso e di lotta. La sovranità statale è stata sostituita dalla sovranità delle grandi imprese e questo costituisce quella che potrebbe essere chiamata una nuova forma di totalitarismo che Michael Halberstom ha detto una volta “perseguita l’ideale moderno di emancipazione politica”. Inoltre, come ha sostenuto Chris Hedges, “non è rimasta alcuna istituzione nazionale che possa essere descritta accuratamente come democratica”. Ciò che è unico in questa forma di autoritarismo è che è diretta da una classe criminale di élite finanziarie e politiche potenti che rifiutano di fare concessioni politiche. Le nuove èlite non provano alcuna fedeltà nei confronti degli stati nazione e non si curano dei danni che causano ai lavoratori, all’ambiente o al resto dell’umanità. Sono sociopatici folli, totalmente distanti da quello che il Movimento Occupy ha chiamato il 99 per cento. Sono la nuova comunità esclusiva che fluttua al di sopra dei confini, delle leggi e delle forme di regolamentazione nazionali. Sono una élite globale il cui compito consiste nel trasformare tutti gli stati nazione in strumenti servili disposti ad arricchire i ricchi e i potenti di questa mostruosa élite globale. Il nuovo autoritarismo non equivale soltanto a una crisi della democrazia; riguarda anche i limiti oggi posti al significato stesso della politica e la cancellazione delle istituzioni capaci di produrre protagonisti critici, impegnati e socialmente responsabili.

4. Il ruolo del neoliberismo nel ridurre la democrazia e distruggere i valori pubblici è un fatto innegabile, visto che l’economia del capitalismo neoliberista cerca di stabilire la supremazia dei valori delle imprese e del mercato sopra ogni altro valore politico e sociale. Molti dei tuoi libri costituiscono un attacco sistematico al progetto neoliberista. Tratti il neoliberismo come un paradigma politico coerente con un certo stadio dell’evoluzione del capitalismo o come filosofia particolare del capitalismo?

Il neoliberismo è uno stadio sia aggiornato sia più feroce del capitalismo predatorio e della sua ricerca del consolidamento globale del potere di classe, sostenuto dal fondamentalismo del libero mercato reso famoso da Friedrich Hayek e Milton Friedman, senza alcuna considerazione per il contratto sociale. Come ha sostenuto Robert McChesney, è liberalismo classico senza i guanti o, diremo, liberalismo senza sensi di colpa, una forma più predatrice di fondamentalismo del mercato che tanto feroce quanto è ortodossa nel suo disprezzo per la democrazia.

Il vecchio liberalismo credeva nelle misure sociali e in parte sollecitava le rivendicazioni di giustizia economica e sociale. Concessioni politiche ed economiche erano necessarie sotto il vecchio liberalismo al fine di preservare il potere e il controllo di classe. Tale paradigma è scomparso sotto la forza del capitalismo neoliberista globale. Il neoliberismo considera i discorsi di uguaglianza, giustizia e democrazia bizzarri, se non pericolosi e li deve o banalizzare, trasformandoli nel loro opposto orwelliano, o eviscerare dalla vita pubblica. Esso rappresenta più di un’intensificazione del liberalismo classico e in tal senso rappresenta una concentrazione, una congiuntura storica in cui gli elementi più spietati del capitalismo si sono riuniti per creare qualcosa di nuovo e di più predatorio, amplificato dalla finanziarizzazione del capitale e dallo sviluppo di una modalità di sovranità delle grandi imprese che non fa prigionieri.

5. Cinque anni fa, in un tentativo di analizzare la tragedia dell’uragano Katrina, hai inventato l’espressione ‘politica della sacrificabilità’. Consideri la ‘sacrificabilità’ un elemento sistemico del capitalismo neoliberista globale?

La guerra del neoliberismo contro lo stato sociale ha prodotto forme nuove di danni collaterali. Mentre le reti di sicurezza sono distrutte e sono minati i legami sociali, il capitalismo d’azzardo si affida a una versione del darwinismo sociale sia per punire i propri cittadini sia per legittimare la propria politica di esclusione e violenza. Ha anche dovuto convincere la gente che la nuova normalità è uno stato costante di paura, insicurezza e precarietà. Individualizzando il sociale, tutti i problemi sociali e i loro effetti sono codificati come difetti individuali di carattere, una mancanza di responsabilità individuale, e spesso una forma di patologia. La vita è oggi un teatro di guerra e come tale il numero delle persone considerate sacrificabili è cresciuto esponenzialmente e vi sono inclusi i bianchi a basso reddito, le minoranze povere, gli immigrati, i disoccupati, i senzatetto e una gamma di persone che sono considerate come una passività per il capitale e per il suo incessante perseguimento predatorio del potere e del profitto. Sotto il regime del neoliberismo gli statunitensi vivono oggi in una società in cui segmenti in continua espansione della popolazione sono assoggettati all’essere spiati, considerati potenziali terroristi e sottoposti a una condizione di illegalità statale e imprenditoriale in cui l’arroganza del potere non conosce limiti.

Mentre la società statunitense diviene sempre più militarizzata e le concessioni politiche diventano cimeli di uno stato sociale da tempo abbandonato, svuotato per servire gli interessi dei mercati globali, il senso collettivo di immaginazione etica e di responsabilità sociale nei confronti dei più vulnerabili o bisognosi di assistenza è considerato una debolezza o una patologia. Quella che è emersa sotto il regime del neoliberismo è un’idea di sacrificabilità in cui intere popolazioni sono oggi considerate in eccesso, relegate a zone di abbandono, sorveglianza e incarcerazione. La politica estrema della sacrificabilità è un elemento sistemico del capitalismo neoliberista attivamente dedita a forme di spoliazione dei beni, come è evidente nell’ondata di politiche di austerità all’opera in America del Nord e in Europa. La politica della sacrificabilità è anche uno dei più potenti principi organizzativi del neoliberismo che rende milioni che soffrono da esuberi sotto le sue politiche e pratiche dirette dal mercato, resi ridondanti dalle leggi di un mercato che scatena la violenza contro il 99 per cento a vantaggio della nuova élite finanziaria. Popolazioni sacrificabili sono ora consegnate a zone di esclusione terminale, abitando uno spazio di morte sociale e civile. Sono studenti, disoccupati, giovani e membri della classe dei lavoratori poveri e di quelli della classe media che non dispongono di risorse, lavoro o speranza. Sono i senza voce e i senza potere che rappresentano la presenza spettrale della vacuità morale e della natura criminogena del neoliberismo. Sono anche la sua maggiore paura e potenziale minaccia. Ciò che distingue in modo particolare questa congiuntura storica neoliberista è il modo in cui a giovani, particolarmente della minoranza povera o a basso reddito, è sempre più negato un qualsiasi posto in un contratto sociale già indebolito e la misura in cui non sono più visti come centrali riguardo al modo in cui molte società neoliberiste definiscono il loro futuro.

6. Adeguandosi alla realtà neoliberista le università di tutto il mondo si stanno sempre più trasformando in modelli di gestione e mercatizzazione. Quale impatto avrà probabilmente questa svolta sul ruolo tradizionale dell’università come sfera pubblica?

La crescente industrializzazione dell’istruzione superiore pone una minaccia sinistra al suo ruolo di sfera pubblica democratica e di spazio vitale in cui gli studenti possono imparare ad affrontare temi sociali importanti, a essere introspettivi e ad apprendere saperi, valori e idee centrali per approfondire e ampliare le capacità di cui hanno bisogno per essere protagonisti impegnati e critici. Nel neoliberismo l’istruzione superiore e pericolosa perché ha il potenziale di educare i giovani a pensare criticamente e a imparare come chiamare il potere a rispondere. Sfortunatamente con l’ascesa dell’università come impresa che oggi definisce ogni aspetto della direzione, dei programmi di studio, delle questioni finanziarie e di una quantità di altre politiche accademiche, l’istruzione è oggi in larga misura incentrata sull’addestramento e sulla creazione di una classe di manager d’élite e sullo svuotamento di quelle forme di conoscenza che fanno comparire quelle che potrebbero essere considerate forme pericolose di testimonianza morale e azione politica collettiva. Ogni disciplina, argomento, idea o pratica pedagogica di qualche valore che non serve le necessità strumentali del capitale è resa superflua o inutile, suggerendo che la sola conoscenza di qualche valore è quella benedetta dagli interessi commerciali e dai dettati del commercio. Al tempo stesso la sola pratica pedagogica di qualche valore è misurata dalla misura in cui può essere vista come una transazione commerciale. L’università industriale è l’espressione finale di una macchina di svuotamento dell’immaginazione, che impiega uno stile di potere autoritario gerarchico, imita una cultura imprenditoriale, rende infantili gli studenti trattandoli da consumatori e spoliticizza il corpo docente rimuovendo da ogni forma di direzione. Come sostiene William Boardman, la distruzione dell’istruzione superiore “da parte delle forze del commercio e della politica autoritaria è un triste esempio di come l’ethos democratico (educate ciascuno gratuitamente secondo le sue capacità) ha ceduto il posto allo sfruttamento (trasformando gli studenti in centri di profitto che hanno il fortunato vantaggio di alimentare la disuguaglianza)”. Particolarmente disgustoso è il tentativo dell’università industriale di scatenare una guerra all’istruzione superiore riducendo un numero esorbitante del personale docente ad aiuti a tempo parziale senza potere, indennità o sicurezza. Molti docenti a tempo parziale e non di ruolo negli Stati Uniti hanno titolo ai buoni alimentari e vivono appena sopra il livello di povertà. La morte lenta dell’università come centro di critica, una fonte fondamentale di educazione civica e un bene pubblico cruciale, rende disponibile la cornice fondamentale per l’emergere di una cultura formativa che produce e legittima una società autoritaria. L’industrializzazione dell’istruzione superiore rappresenta un grave attacco alla democrazia e fa crescere il genere di incoscienza che Hannah Arendt riteneva essere al cuore del totalitarismo. Uno sguardo su tale incoscienza è stato offerto recentemente all’Università Rutgers. Come spiegare altrimenti il fatto che l’Università Rutgers abbia recentemente offerto una laurea ad honorem a Condoleeza Rice offrendole contemporaneamente 35.000 dollari per tenere un discorso d’inaugurazione? Non c’è onore nel concedere una laurea prestigiosa a una criminale di guerra. Ma, di nuovo, l’istruzione superiore è oggi fermamente radicata in quello che il presidente Eisenhower definì un tempo il Complesso Accademia-Esercito-Industria. La cultura degli affari è divenuta il capitale culturale più valorizzato all’università, rendendo insensibile e sporcando tutto ciò che tocca.

7. Quale ruolo svolge la cultura popolare nella vita democratica contemporanea?

La cultura popolare è largamente colonizzata dalle imprese ed è sempre più utilizzata per riprodurre una cultura di consumismo, stupidità e analfabetismo. La cultura popolare prevalente è una macchina di distrazione e di privazione dell’immaginazione in cui emozioni di massa sono canalizzate a un’attrazione per gli spettacoli, soffocando ogni vestigia di immaginazione, promuovendo l’idea che qualsiasi atto di pensiero critico sia un atto di stupidità e offrendo l’illusione di protagonismo mediante stratagemmi come votare per American Idol. Ciò che è cruciale ricordare a proposito della cultura popolare è che non si tratta semplicemente d’intrattenimento, essa funziona anche per produrre particolari desideri, individualità e identità. E’ divenuta uno degli spazi più importanti e potenti di istruzione o di quella che io ho chiamato una forma oppressiva di pedagogia pubblica. Film, televisione, radio, videogiochi, giornali, reti sociali e media in rete non si limitano a intrattenerci; sono anche macchine d’insegnamento che offrono interpretazioni del mondo e in larga misura operano per produrre un pubblico con orizzonti politici limitati. Essi sia solleticano sia creano una sensibilità di massa che favorisce il mantenimento di un certo livello di consenso legittimando, contemporaneamente, i valori, le ideologie, i rapporti di potere e le politiche dominanti che sostengono regimi di neoliberismo. Ci sono numerosi registri attraverso i quali la cultura popolare produce soggetti disponibili a diventare complici della propria oppressione. La cultura della celebrità fa precipitare il pubblico nel privato e rafforza un certo livello di stupidità. Rimbambisce mentre seduce e promuove un genere di morte civica. La cultura della sorveglianza mina il concetto della riservatezza ed è largamente interessata a chiudere le persone in orbite soffocanti di privatizzazione e atomizzazione. Una cultura popolare militarizzata offre sia lo spettacolo della violenza sia un’immagine iper-virile di protagonismo come sia spazio d’intrattenimento sia forza mediatrice mediante la quale risolvere tutti i problemi. La violenza diviene oggi l’elemento più importante del potere e forza mediatrice nel plasmare le relazioni sociali. La cultura del mercato opera in larga misura per trasformare le persone in consumatori, suggerendo che l’unico dovere della cittadinanza è comprare. Questo è in larga misura un modo per allontanare le persone dalla politica e distrarle dal riconoscere le loro capacità di essere protagonisti criticamente impegnati e per svuotare qualsiasi idea di politica che esiga riflessione, responsabilità sociale e richieda coraggio civico.

Come sosteneva lo scomparso Stuart Hall, c’è anche una faccia sovversiva della cultura popolare, sia come spazio di resistenza e sia anche come sfera in cui l’istruzione diviene centrale per la politica. Ciò è stato particolarmente chiaro quando ha sostenuto che la sinistra “non ha il senso di una politica che sia educativa, di una politica che cambi il modo in cui le persone vedono le cose”.  Egli additava in parte la mancata presa sul serio, da parte della sinistra, dell’inconscio politico e della necessità di usare media, teatro, riviste in rete e nuovi canali alternativi. Al tempo stesso c’è un enorme valore pedagogico del dedicare attenzione alle rare rappresentazioni d’opposizione offerte all’interno dei media dominanti. In questo caso la cultura popolare può essere una risorsa potente nel disegnare la mappa del quotidiano e impegnarvisi criticamente, nel mobilitare narrazioni alternative al capitalismo, nell’attivare i bisogni vitali per produrre modi più critici e benigni di individualità. Film, televisione, notiziari, media sociali e altri strumenti di cultura possono essere utilizzati per rendere l’istruzione centrale per una politica che sia emancipativa e interamente dedita allo sviluppo di una cultura democratica formativa.  In gioco c’è la necessità per i progressisti non solo di comprendere la cultura popolare e i suoi apparati culturali come modalità dell’ideologia dominante, ma anche di prendere sul serio la cultura popolare come strumento per resuscitare l’immaginazione radicale e per rendere l’istruzione centrale per la politica in modo di cambiare il mondo di pensare, desiderare e sognare delle persone. Stanley Aronowitz è nel giusto nel sostenere che “l’istruzione sarebbe uno dei compiti cruciali di una formazione politica radicale” e dovrebbe lanciare un programma generale di educazione che vada dalla creazione di riviste e pubblicazioni in rete allo sviluppo di scuole alternative.

8. Mentre parliamo di una crisi della democrazia, alcuni autori parlano di una crisi del neoliberismo, probabilmente influenzata dalla recente crisi globale del capitalismo neoliberista. Ritieni che il neoliberismo sia in crisi?

Penso sia più appropriato sostenere che il neoliberismo crea le crisi e vi prospera. Le crisi aprono la porta a riforme neoliberiste radicali, alla sospensione di ogni norma governativa e alla costruzione di sostegno a politiche estreme che in condizioni normali non sarebbe consentito porre in atto. Basta pensare all’uragano Katrina e a come l’amministrazione Bush l’ha utilizzato per distruggere il sistema delle scuole pubbliche per sostituirlo con le scuole parificate. O a come l’11 settembre ha offerto un’occasione per entrare in guerra con l’Iraq tagliando contemporaneamente le libertà civili a vantaggio dei ricchi delle potenti imprese della difesa.

9. La ‘ritirata degli intellettuali’ non è un fenomeno recente, tuttavia è divenuta molto pervasiva, in parte a causa del crollo del socialismo e in parte a causa della mercatizzazione della società contemporanea nonché della ristrutturazione neoliberista dell’università. Secondo te, quanto è critica la ‘ritirata degli intellettuali’ nella lotta per il cambiamento sociale?

La gravità della ritirata degli intellettuali dall’affrontare temi sociali importanti aiutando i movimenti sociali e usando il loro sapere per creare una cultura formativa critica non può essere sopravvalutata. Sfortunatamente la fuga degli intellettuali dalla lotta contro il neoliberismo e contro altre forme di dominio si accoppia oggi all’ascesa di intellettuali antistatalisti che si sono venduti al potere delle imprese. Più specificamente il neoliberismo ha creato non solo un vasto apparato di relazioni pedagogiche che privilegia le liberalizzazioni, le privatizzazioni, la mercificazione e la militarizzazione della vita quotidiana, ma anche una legione di intellettuali contrari alla cosa pubblica che opera largamente nell’interesse dell’élite finanziaria. Anziché mostrare quello che non va nella democrazia, fanno tutto quanto possono per distruggerla.  Questi intellettuali sono sul mercato per l’élite finanziaria e non sono altro che marionette ideologiche che usano le proprie capacità per distruggere il contratto sociale, il pensiero critico e tutte le istituzioni sociali capaci di costruire valori non mercificati e sfere pubbliche democratiche. Considerano un pericolo sia la critica informata sia il dissenso collettivo. In quanto tali sono nemici della democrazia e sono cruciali nel creare individualismi e valori che accettino l’idea che il soggetto della storia è il capitale e non il popolo e che consumare è l’unico dovere della cittadinanza. Il loro obiettivo è normalizzare le ideologie, i modi di governo e le politiche che riproducono enormi iniquità e sofferenze per molti e privilegi esorbitanti e pericolosi per l’élite imprenditoriale e finanziaria. Sono gli apostoli di un’apologia dell’egoismo assoluto e presuppongono che qualsiasi atto di pensiero critico non sia che una forma di stupidità. Inoltre tali intellettuali sono sintomatici del fatto che il neoliberismo rappresenta una nuova congiuntura storica in cui le istituzioni culturali e il potere politico hanno assunto una vita interamente nuova nel plasmare la politica. Ciò che questo implica è che la sinistra nei suoi vari registri deve creare i propri intellettuali pubblici nell’istruzione superiore, nei media alternativi e in tutti quegli spazi in cui circola significato. Gli intellettuali hanno la responsabilità di collegare il loro lavoro a importanti temi sociali, di collaborare con i movimenti popolari e di impegnarsi nella formazione di politiche che avvantaggino tutti e non semplicemente pochi.  Al cuore di questo suggerimento vi è la necessità di riconoscere che le idee contano nella battaglia contro l’autoritarismo e che la pedagogia deve essere centrale per ogni concetto vitale di politica e lotta collettiva. Gli intellettuali pubblici hanno il dovere di lavorare per la pace globale, per la libertà individuale, per la cura degli altri, per la giustizia economica e per la partecipazione democratica, specialmente in tempi di violenza e tirannia legittimate. Sono completamente d’accordo con lo scomparso Pierre Bourdieu quando insisteva che è di enorme importanza politica “difendere la possibilità e la necessità dell’intellettuale, che è innanzitutto critico dello stato esistente delle cose. Non c’è vera democrazia senza un vero potere critico di opposizione”. L’idea stessa di essere un intellettuale pubblico impegnato non è estranea a che cosa significa essere uno studioso accademico, né una violazione di ciò, ma è centrale alla sua stessa definizione. In parole povere, gli accademici hanno il dovere di inserirsi nella sfera pubblica senza temere di prendere posizioni e di generare controversie, operando da testimoni morali, suscitando consapevolezza politica, e creando collegamenti a quegli elementi di potere e politica spesso celati agli occhi del pubblico.

10. Una domanda finale. Sei ottimista sul futuro della sinistra e della politica progressista in generale?

E’ impossibile essere di sinistra e al tempo stesso arrendersi alla normalizzazione di una visione distopica. Si deve essere ottimisti, ma anche realisti. Questo significa che non c’è spazio per un qualche genere di utopismo romanticizzato. Invece si deve essere motivati da una fede nella volontà dei giovani di lottare principalmente per un futuro in cui dignità, uguaglianza e giustizia contino e al tempo stesso si devono riconoscere le forze che ci impediscono tale lotta. Più specificamente la speranza deve essere alimentata dalla necessità di un’azione collettiva ponderata. Il potere non è mai completamente dalla parte del dominio e la resistenza non è un lusso, bensì una necessità. La sinistra, nei suoi vari registri, deve affrontare il tema della disuguaglianza economica, superare la propria frammentazione, sviluppare una formazione sociale internazionale per la democrazia radicale e la difesa della cosa pubblica, intraprendere modalità di autofinanziamento, prendere sul serio la natura educativa della politica e la necessità di cambiare il modo in cui le persone pensano, e sviluppare una nozione complessiva di politica e una visione che le corrisponda. La storia è aperta, anche se i cancelli si stanno richiudendo velocemente. Il problema, per me personalmente, non è essere pessimista, ma come userò, quali che siano, le risorse intellettuali di cui dispongo per rendere più difficile il peggio, lottando contemporaneamente per una società in cui la promessa della democrazia compaia nell’orizzonte delle possibilità.


C.J.Polychroniou scrive per Eleftherotypia. Una versione di questo articolo apparirà su Eleftherotypia in Grecia.


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Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/the-specter-of-authoritarianism-and-the-future-of-the-left/

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