Libertà
a cura di Carlo Galeotti


Nuovi Equilibri, Viterbo, 2004


Tratto da http://www.tecalibri.it/

LIBERTA E DITTATURA DELLA MAGGIORANZA
di Carlo Galeotti
Viterbo, 13 febbraio 2004

Ogni fatto o atto della vita e della conoscenza

è reato per chi fonda il suo imperio sul proibire

tutto a tutti, coltello alla cintola.

Carlo Emilio Gadda

Ha ragione Popper: nell'idea corrente di democrazia c'è un fraintendimento. Un fraintendimento che può portare alla dittatura della maggioranza. E mai come oggi ci si può rendere conto di quanto sia pericoloso questo fraintendimento. L'idea che la democrazia, intesa in senso occidentale, sia figlia del rispecchiamento della "volontà popolare" in chi governa è il seme di tutte le dittature. L'idea che si possa raffinare il volere di tutti i cittadini nella volontà di chi li guida non solo è falsa e impossibile, ma, come mostra la storia del Novecento e non solo, è pericolosa. È pericolosa soprattutto l'idea che a maggioranza si possa decidere qualsiasi cosa. Non è così. Non è così in uno Stato di diritto.

E sì, perché una volta stabilito che la maggioranza può decidere qualsiasi cosa, che qualcuno è in grado di interpretare la volontà della maggioranza, allora quel qualcuno può qualsiasi cosa. Anche perseguitare la minoranza.

E allora va detto con chiarezza: le democrazie occidentali non sono tali perché governano le maggioranze. Che la maggioranza governi direttamente non accade mai. Chi governa può non aver avuto la maggioranza dei consensi.

Anzi, nelle democrazie occidentali, spesso non governano le maggioranze né chi dice di interpretarle. E questo è vero persino su un piano empirico. In Italia il sistema maggioritario, per farè un esempio, fà governare anche chi non ha la maggioranza dei consensi dei cittadini. I nostri governi si reggono spesso sul voto di una minoranza. E così accade o può accadere in Inghilterra, per fare un altro esempio. Accade invece spesso nelle dittature che il governo sia appoggiato dalla stragrande maggioranza dei cittadini.

E allora cosa distingue una democrazia da una dittatura? Certamente non il consenso della maggioranza dei cittadini a chi governa. Distingue una democrazia le regole che si dà e la struttura istituzionale che si dà.

Se si dà leggi che permettono a tutti gli individui, a tutte le minoranze, di essere libere allora si è in una democrazia. Se, come dice Popper, è possibile mandare a casa il governante che ha agito male senza spargimento di sangue, allora si è in una democrazia. O, sarebbe meglio dire, in uno Stato di diritto. È, in altre parole, la libertà che contraddistingue uno Stato di diritto. È la libertà individuale. È la libertà della minoranza.

Oggi in Italia il rischio di una deriva plebiscitaria è evidente. La cultura di parte della destra che sta al governo è da questo punto di vista preoccupante. Non di tutta la destra, va sottolineato. In questa destra cè un pezzo di cultura laica - liberale che non può non accorgersi di certi pericoli.

È diffusa l'idea che la maggioranza possa decidere qualsiasi cosa. Anche di mandare al governo chi in uno Stato di diritto non potrebbe andarci per ovvi motivi di incompatibilità.

In uno Stato di diritto alcune cose non possono accadere perché si metterebbe a rischio la libertà dei cittadini. Nessuna maggioranza può decidere di togliere una sola libertà fòndamentale anche a un solo cittadino. Le limitazioni delle libertà non a caso non si decidono a maggioranza ma in base alle leggi.

L'Italia oggi è un caso classico di democrazia a libertà limitata. Di democrazia in cui la libertà va scemando. Troppo spesso si è creduto che la democrazia sia sinonimo di libertà. Non è così. Lo dimostra la storia e lo dimostra I'Italia di Berlusconi in cui viene a mancare proprio uno degli strumenti fondamentali per la difesa della libertà e del diritto: la divisione dei poteri. Troppi poteri in una sola persona sono un pericolo concreto per la libertà.

Questa raccolta di scritti, in gran parte di orientamento liberale ma non solo, vuole essere uno strumento di difesa per il singolo cittadino nell'Italia di Berlusconi. Un'Italia che pullula di una miriade di piccoli satrapi che hanno avuto in sorte d'essere eletti dal "poppolo'; per citare Gadda, e che pensano che allora si possa fare ciò che si vuole. Perché si è interpreti della "volontà popolare". Ebbene, benché sia stato detto mille volte, va ribadito che questa "volontà popolare" non esiste. E che non è possibile distillarla in alcun modo. Esistono solo gli individui e i loro diritti.

Per continuare a vivere in uno Stato di diritto, è opportuno allora tornare ai classici: da Pericle a Mill, da Popper a Sen.


Piero Gobetti
IL FASCISMO
[1922]

Le ragioni dell'opposizione

Lo spirito della nostra indagine ci potrebbe esentare dal compito di discorrere del fascismo, che fu individuato, nelle pagine precedenti, come una parentesi storica, come un fenomeno di disoccupazione nell'economia e nelle idee connesso con tutti gli errori della nostra formazione nazionale.

Il presupposto di questo libro è che l'Italia riesca a trovare in sé la forza per superare la sua crisi e riprendere quella volontà di vita europea che parve annunciarsi, almeno in certi episodi, col Risorgimento. Quindi accade che le nostre obbiezioni al fascismo siano tutte pregiudiziali e scorgano l'errore dove gli apologisti indicano i meriti, nella capacità che ebbe il movimento, in un'ora di sospensione e di incertezze, di porre termine alla tensione degli Italiani e di comprometterli in una banale palingenesi di patriarcalismo quando la solennità della crisi imponeva ai cittadini l'imperativo categorico della coerenza, della libera lotta politica, dell'autogoverno. Il ministero Facta apparirà allo storico come la più curiosa delle ironie e quasi la caricatura di un volere provvidenziale che dava agli Italiani un governo debole e rinunciatario perché i cittadini sapessero affrontare le responsabilità inevitabili della lotta politica e dell'iniziativa statale.

Finché la lotta dei partiti nati nel dopo-guerra rimaneva indecisa tutte le possibilità del futuro erano salve. Il fascismo ci ha tolto quest'incubo; e mentre gli Italiani fallivano al loro esame di serietà moderna il genio della stirpe ha ripreso tra i residui dell'avventuroso Rinascimento la leggendaria figura del condottiero di milizie che dà ai servi inquieti una paterna disciplina.



Elogio della ghigliottina

Nella "Rivoluzione Liberale" del 23 novembre 1922 questo nostro stato d'animo impopolare era così descritto:

Il fascismo vuol guarire gli Italiani dalla lotta politica, giungere a un punto in cui, fatto l'appello nominale, tutti i cittadini abbiano dichiarato di credere nella patria, come se col professare delle convinzioni si esaurisse tutta la praxis sociale. Insegnare a costoro la superiorità dell'anarchia sulle dottrine democratiche sarebbe un troppo lungo discorso, e poi, per certi elogi, nessun miglior panegirista della pratica. L' attualismo, il garibaldinismo, il fascismo sono espedienti attraverso cui l'inguaribile fiducia ottimistica dell'infanzia ama contemplare il mondo semplificato secondo le proprie misure.

La nostra polemica contro gli Italiani non muove da nessuna adesione a supposte maturità straniere; né da fiducia in atteggiamenti protestanti o liberisti. Il nostro antifascismo prima che un'ideologia, è un istinto.

Se il nuovo si può riportare utilmente a schemi e ad approssimazioni antichi, il nostro vorrebbe essere un pessimismo sul serio, un pessimismo da Vecchio Testamento senza palingenesi, non il pessimismo letterario dei cristiani delusione di ottimisti. La lotta tra serietà e dannunzianesimo è antica e senza rimedio. Bisogna diffidare delle conversioni, e credere più alla storia che al progresso, concepire il nostro lavoro come un esercizio spirituale, che ha la sua necessità in sé, non nel suo divulgarsi. C'è un valore incrollabile al mondo: l'intransigenza e noi ne saremmo, per un certo senso, in questo momento, i disperati sacerdoti.

Temiamo che pochi siano così coraggiosamente radicali da sospettare che con queste metafisiche ci si possa incontrare nel problema politico. Ma la nostra ingenuità è più esperta di talune corruzioni e in certe teorie autobiografiche ha già sottinteso un insolente realismo politico obbiettivo.

Noi vediamo diffondersi con preoccupazione una paura dell'imprevisto che seguiteremo a indicare come provinciale per non ricorrere a più allarmanti definizioni. Ma di certi difetti sostanziali anche in un popolo "nipote" di Machiavelli non sapremmo capacitarci, se venisse l'ora dei conti. Il fascismo in Italia è un'indicazione di infanzia perché segna il trionfo della facilità, della fiducia, dell'entusiasmo. Si può ragionare del ministero Mussolini: come di un fatto d'ordinaria amministrazione. Ma il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l'autobiografia della nazione. Una nazione che crede alla collaborazione delle classi; che rinuncia per pigrizia alla lotta politica, dovrebbe essere guardata e guidata con qualche precauzione.

[...] Si può credere all'utilità dei tutori e giustificare Giolitti e Nitti, ma i padroni servono soltanto per farci ripensare a La Congiura dei Pazzi ossia ci riportano a costumi politici sorpassati. Né Mussolini né Vittorio Emanuele Savoia hanno virtù di padroni, ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi. È doloroso dover pensare con nostalgia all'illuminismo libertario e alle congiure. Eppure, siamo sinceri sino in fondo, c'è chi ha atteso ansiosamente che venissero le persecuzioni personali perché dalle sofferenze rinascesse uno spirito, perché nel sacrificio dei suoi sacerdoti questo popolo riconoscesse se stesso. C'è stato in noi, nel nostro opporsi fermo, qualcosa di donchisciottesco. Ma ci si sentiva pure una disperata religiosità. Non possiamo illuderci di aver salvato la lotta politica: ne abbiamo custodito il simbolo e bisogna sperare (ahimè, con quanto scetticismo) che i tiranni siano tiranni, che la reazione sia reazione, che ci sia chi avrà il coraggio di levare la ghigliottina, che si mantengano le posizioni sino in fondo. Si può valorizzare il regime; si può cercare di ottenerne tutti i frutti: chiediamo le frustate perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia perché si possa veder chiaro. Mussolini può essere un eccellente Ignazio di Loyola; dove c'è un De Maistre che sappia dare una dottrina, un'intransigenza alla sua spada?



La capitis deminutio delle teorie

Nessun De Maistre, nessuna dottrina nella letteratura apologetica del fascismo.

Per il fascismo le teorie sono ideologie piacevoli che bisogna improvvisare e subordinare alle occasioni. Le avventure riescono più seducenti che le idee, e queste perdendo la loro dignità e autonomia sono ridotte a funzioni servili.

[...]

Il liberismo infatti fissa come limite naturale all'economia la mediazione politica, la quale ha parimenti le sue necessità ed esigenze autonome: sembrerebbe dunque che la giusta critica agli avventati scioperi di cattivi politicanti e al facilonismo massimalista non autorizzasse senz'altro l'esaltazione del sindacalismo giuridico, in omaggio a un vagheggiato governo dei produttori! Invocare un governo di produttori mentre solo la proporzionale potrebbe agire mirabilmente come strumento di lotta politica e di formazione libera dei partiti significa spaventarsi della libertà e rifugiarsi nelle medioevali consolazioni corporative. Quest'odio dei fascisti verso la politica in omaggio all'idillio letterario e al pratico adattamento economico è il peggior indice della decadenza dei nostri costumi e della mollezza dei caratteri che invocano, come riposo, il ritorno del Medio Evo. La costituzione del Carnaro fu il primo avvertimento; poi collaborazionismo e fascismo, guardia regia e squadrismo furono gli assidui espedienti della tremula fantasia.

Il governo di Mussolini esilia nei conventi la critica, offre ai deboli una religione di Stato, una guardia pretoriana, un filosofo hegeliano a capo delle scuole; nello Stato etico annulla le iniziative. All'Italia immatura offre una culla che potrebbe essere la tomba delle coscienze civili diventate private dopo aver eliminati provvisoriamente alleandosi ancora una volta con la plutocrazia, i due problemi che sarebbero stati la Bastiglia del popolo italiano: i rapporti tra lo Stato e le classi operaie; l'incontro e l'antitesi tra industria e agricoltura.

Chi parla oggi di liberismo e di problema meridionale? La Monarchia ha seppellito i democratici e la lotta politica. I discorsi sui governi delle competenze e dei tecnici hanno la stessa natura delle prediche sulla grazia divina e lo spirito santo: valsero a rubarci una costituzione che volevano migliorare e a edificare un nuovo monumento di paterna teocrazia.

Ma il discorso delle teorie non è necessario quando predomina una questione di istinti assolutamente spensierati. I simboli riescono più significativi delle idee.

Mussolini

Mussolini è stato l'eroe rappresentativo di questa stanchezza e di questa aspirazione al riposo. La sua figura di ottimista sicuro di sé, le astuzie oratorie, l'amore per il successo e per le solennità domenicali, la virtú della mistificazione e dell'enfasi riescono schiettamente popolari tra gli Italiani.

È difficile immaginario altrimenti che sotto le spoglie di un audace condottiero di compagnie di ventura; o come il capo primitivo di una selvaggia banda posseduta da un dogmatico terrore che non consenta riflessioni. La sua vittoria, tra il disorientamento degli altri, si spiega esaurientemente pensando alle sue qualità risolutive di tattico.

Gli manca il senso squisitamente moderno dell'ironia, non comprende la storia se non per miti, gli sfugge la finezza critica dell'attività creativa che è dote centrale del grande politico. La sua professione di relativismo non riuscì neppure a sembrare un'agile mistificazione: troppo dominante vi avvertì ognuno la sconcertata ricerca ingenua di un riparo che eludesse l'infantile incertezza e coprisse le malefatte. Coerenza e contraddizioni sono in Mussolini due diversi aspetti di una mentalità politica che non può liberarsi dai vecchi schemi di un moralismo troppo disprezzato per poter essere veramente sostituito. Egli rimane perciò diviso e indeciso tra momenti di una coerenza troppo dogmatica per non riuscire goffa e sfoghi di esuberanza anarchicamente ingiustificati. Ha bisogno di un mondo in cui al condottiero non si chieda di essere un politico. Lottare per una idea, elaborare nella lotta un pensiero, è un lusso e una seccatura: Mussolini è abbastanza intelligente per piegarvisi, ma gli basterebbe la lotta pura e semplice senza i tormenti della critica moderna.

[...]

In un consesso internazionale di impenetrabili l'inferiorità di Mussolini, attore più che artista, tribuno più che statista, è palese poiché egli non sa che specchiarsi nella propria enfasi. La sua eloquenza, la forza del polemista, non sanno battersi sul terreno delle ironie e dei sottintesi, restano smontate appena dal comizio e dalla sala di scherma si passi all'arguta conversazione e alla snervante schermaglia insidiosa delle parole. Mussolini è a suo agio soltanto quando parla al buon popolo e ne ascolta i desideri o lo rimbrotta con fiero cipiglio per le sue monellerie. L'ordinaria amministrazione con la sua monotonia è un altro fiero nemico del presidente; se egli non avesse un piacevole divertimento nelle trovate sportive che gli riconciliano la popolarità il compito quotidiano sarebbe snervante e senza risorse.

Carlo Rosselli
LA LOTTA PER LA LIBERTÀ
[1930]

La formula socialismo liberale suona all'orecchio di molti, usi alla terminologia politica corrente, come una stonatura. La parola liberalismo ha servito purtroppo a contrabbandare merci di così varia specie e natura, e fu a tal punto per il passato orto borghese, che mal si piega oggi il socialista ad impiegarla. Ma qui non è che si voglia proporre una nuova terminologia di partito. Si vuol solo ricondurre il moto socialista ai suoi principi primi, alle sue origini storiche e psicologiche. Si vuol solo dimostrare come il socialismo, in ultima analisi, sia filosofia di libertà.

Passò d'altronde il tempo in cui politica borghese e politica liberale-liberista si identificavano. In tutto il mondo le borghesie non sono più liberiste e non sono più necessariamente liberali. Quanto più il moto proletario s'afferma e si rafforza nelle masse il senso attivo della libertà, e tanto più la borghesia, nelle sue frazioni più retrive, tenta di sottrarsi alla disciplina e al metodo della libertà. Gli stessi nuovi orientamenti della produzione moderna - razionalizzata meccanicizzata teocratica -, sacrificatrice della personalità umana nell'operaio, costringono i socialisti a una funzione, anche nel senso tradizionale della parola, liberale. Verrà giorno in cui questa parola, questo attributo, sarà rivendicato con orgogliosa consapevolezza dal socialista: sarà quello il giorno della sua maturità, della sua conseguita emancipazione almeno nella sfera dello spirituale.



Nella sua più semplice espressione il liberalismo può definirsi come quella teoria politica che, partendo dal presupposto della libertà dello spirito umano, dichiara la libertà supremo fine, supremo mezzo, suprema regola della umana convivenza. Fine, in quanto si propone di conseguire un regime di vita associata che assicuri a tutti gli uomini la possibilità di un pieno svolgimento della loro personalità. Mezzo, in quanto reputa che questa libertà non possa essere elargita o imposta, ma debba conquistarsi con duro personale travaglio nel perpetuo fluire delle generazioni. Essa concepisce la libertà non come un dato di natura, ma come divenire, sviluppo. Non si nasce, ma si diventa liberi. E ci si conserva liberi solo mantenendo attiva e vigilante la coscienza della propria autonomia e costantemente esercitando le proprie libertà.

La fede nella libertà è al tempo stesso una dichiarazione di fede nell'uomo, nella sua indefinita perfettibilità, nella sua capacità di autodeterminazione, nel suo innato senso di giustizia. Il liberale veramente tale è tutt'altro che uno scettico. È un credente, anche se combatte ogni affermazione dogmatica; è un ottimista, anche se ha della vita una concezione virile e drammatica.

Questo in sede astratta. In sede storica il discorso si complica perché il liberalismo ha una storia ideale e pratica che, nel suo svolgersi, ha dato vita a una straordinaria messe di esperienze e di provvisorie teorizzazioni. Nato dal pensiero critico moderno, ebbe la sua prima affermazione con la Riforma religiosa. Nelle atroci guerre di religione, in cui gli uomini si dilaniarono in nome delle opposte fedi e degli opposti dogmi, nacque, come il fiore sulle rovine, la libertà di coscienza religiosa. Cattolici e protestanti, incapaci di sterminarsi a vicenda, acconsentirono alla tregua e riconobbero a tutti gli uomini il diritto di professare il culto che più loro conveniva. Il principio di libertà si allargò alla vita della cultura nei secoli XVII e XVIII per effetto del progresso scientifico e di quel movimento di ascensione economica e intellettuale della borghesia che culmina nell' Enciclopedia; e trionfò finalmente in sede politica con la rivoluzione dell' '89 e la sua Dichiarazione dei diritti dell'uomo; per tendere infine ai tempi nostri ad informare di sé tutta la vita sociale, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue parti, nella sfera economica in particolare, per far sì che la libertà, teorica proclamazione universale rispondente in fatto all'interesse di pochi, diventi veramente patrimonio di tutti.

Il socialismo non è che lo sviluppo logico, sino alle sue estreme conseguenze, del principio di libertà. Il socialismo, inteso nel suo significato più sostanziale e giudicato dai risultati - movimento cioè di concreta emancipazione del proletariato - è liberalismo in azione, è libertà che si fa per la povera gente. Dice il socialismo: l'astratto riconoscimento della libertà di coscienza e delle libertà politiche a tutti gli uomini, se rappresenta un momento essenziale nello sviluppo della teoria politica, ha un valore ben relativo quando la maggioranza degli uomini, per condizioni intrinseche e ambientali, per miseria morale e materiale, non sia posta in grado di apprezzarne il significato e di valersene concretamente. La libertà non accompagnata e sorretta da un minimo di autonomia economica, dalla emancipazione dal morso dei bisogni essenziali, non esiste per l'individuo, è un mero fantasma. L'individuo in tal caso è schiavo della sua miseria, umiliato dalla sua soggezione; e la vita non può avere per lui che un aspetto e una lusinga: il materiale. Libero di diritto, è servo di fatto. E il senso di servitù aumenta in pena ed ironia non appena il servo di fatto acquista coscienza della sua libertà di diritto e degli ostacoli che la società gli oppone per conseguirla. Ora di questi individui, dice il socialista, era piena la società moderna allorquando il socialismo nasceva; di questi individui ancor oggi è composta in regime capitalistico buona parte della classe lavoratrice, priva d'ogni diritto sui suoi strumenti di lavoro, d'ogni compartecipazione alla direzione della produzione, d'ogni senso di dignità e di responsabilità sul lavoro - dignità e responsabilità, primi scalini della scala che conduce dalla schiavitù alla libertà.

È in nome della libertà, è per assicurare una effettiva libertà a tutti gli uomini, e non solo a una minoranza privilegiata, che i socialisti chiedono la fine dei privilegi borghesi e la effettiva estensione all'universale delle libertà borghesi; è in nome della libertà che chiedono una più equa distribuzione delle ricchezze e l'assicurazione in ogni caso ad ogni uomo di una vita degna di questo nome; è in nome della libertà che parlano di socializzazione, di abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio, della sostituzione del criterio di socialità, dell'utile collettivo, al criterio egoistico, dell'utile personale, nella direzione della vita sociale. Tra una libertà media estesa all'universale, e una libertà sconfinata assicurata ai pochi a spese dei molti, meglio, cento volte meglio, una libertà media. Etica, economia, diritto concordano in questa conclusione.

Il movimento socialista è dunque il concreto erede del liberalismo, il portatore di questa dinamica idea di libertà che si attua nel moto drammatico della storia. Liberalismo e socialismo, ben lungi dall'opporsi, secondo voleva una vieta polemica, sono legati da un intimo rapporto di connessione. Il liberalismo è la forza ideale ispirarrice, il socialismo la forza pratica realizzatrice.

Amartya Sen
LA LIBERTÀ E IL NOSTRO FUTURO
[2002]

Il futuro del mondo, ritengo, è intimamente connesso al futuro della libertà nel mondo. E questo per due ragioni distinte: la libertà è sia un fine di primaria importanza sia un mezzo determinante del progresso. Ciò che è cruciale per il futuro del mondo è il consolidamento delle diverse istituzioni che contribuiscono ad accrescere la libertà economica, politica, sociale e culturale. La strada per il nostro futuro ci deve essere indicata da una visione integrata della libertà, una prospettiva che tende ad andare perduta nei dibattiti su mercati, globalizzazione, democrazie, opportunità sociali, diffusione dell'informazione e rapporri inrernazionali. Ognuno di questi temi è importante, ma il loro insieme deve essere collocato in un contesto più ampio. Proprio come i tre uomini ciechi che, nell'antica storia indiana, cercavano di definire un elefante descrivendo quello che ciascuno poteva toccare o percepire, tutti individuano qualcosa in modo corretto, eppure esiste una descrizione più esaustiva di cui andare in cerca.

Libertà come fine e come mezzo efficace

Noi attribuiamo valore alla libertà di avere le cose che desideriamo e di decidere autonomamenre quale sia il nostro bene. Come esseri umani adulti, non vogliamo che altri - nella parre di "tutori" - scelgano per noi o stabiliscano cosa dovremmo considerare come nostro bene. La libertà è dunque un fine di cruciale importanza, il cui ruolo non è pregiudicato dal fatto che ciascuno di noi potrebbe voler sottoscrivere un elenco di «ciò che è bene" diverso da quello di altri. Potremmo non apprezzare le stesse cose e tuttavia concordare sull'imporranza della libertà di ciascuno nel perseguire i propri obiettivi. L'accettazione universale del valore della libertà non richiede la puntuale coincidenza delle preferenze.

Si prenda in esame l'idea di "sviluppo", spesso considerato il criterio fondamentale per valutare il progresso. Se la nostra visione dello sviluppo è sufficienremenre ampia, l'idenrificazione è abbastanza ragionevole. In questo senso più comprensivo, tuttavia, lo sviluppo non può davvero consistere nell'aumento della quantità di oggetti d'uso inanimati, come nel caso di una crescita del PIL (o del reddito personale), dell'industrializzazione, del progresso tecnologico o della modernizzazione sociale. Naturalmente si tratta di conquiste importanri - spesso decisive - il cui valore deve tuttavia essere fatto dipendere dall'effetto che esercitano sulla vita e sulle scelte delle persone coinvolte. Poiché queste ultime sono esseri umani responsabili, in ultima istanza l'interrogativo da porre è se siano libere di fare cose cui, a ragion veduta, attribuiscono valore.

Considerare la libertà un obiettivo da conseguire è senz'altro un buon punto di parrenza, per la nostra analisi. Ma non dobbiamo fermarci qui. La relazione fra libertà e progresso va ben oltre l'idea che la prima sia un fine del secondo. La libertà è anche il principale mezzo per arricchire le nostre vite. Un particolare tipo di libertà può essere, infatti, uno strumento molto efficace per accrescere libertà di altro genere. L'idea che la libertà sia un fine irrinunciabile e allo stesso tempo il più efficace mezzo del progresso spiega il motivo per cui il futuro del mondo è soprattutto il futuro della libertà nel mondo. Come ogni tipo di libertà conrtibuisce ad aumentarne altre, libertà diverse si sostengono vicendevolmente.

L'effettiva possibilità, cioè la capacitazione, di ottenere ciò che una persona considera importante può dipendere dalle opportunità economiche, dalle libertà politiche e dai servizi sociali, così come dalle condizioni preliminari di buona salute, di istruzione di base e di incoraggiamenro e sostegno dell'iniziativa. Queste opportunità sono in larga misura complementari e tendono a rinforzare l'una la portata e l'utilità dell'altra. Ad esempio, la libertà politica e la democrazia consentono alle persone di protestare contro le catastrofi economiche (il che ha una connessione con il fatto riconosciuto che nei paesi democratici non si sono mai verificate carestie). Allo stesso modo, opportunità sociali quali l'istruzione e i servizi sanitari aumentano la libertà di partecipare all'attività economica, che è un elemento centrale della libertà economica. Le connessioni sono molto estese e portano a considerare, in via di fatto, l'agire libero e sostenibile come motore dello sviluppo.



Paura della libertà

È piuttosto interessante notare che la libertà è non solo tra le idee più rispettate, ma anche tra le più temute. La libertà porta con sé sia opportunità sia responsabilità. Mentre le prime possono essere gradite, le seconde generano a volte ansia e preoccupazione. Questo conflitto ha impegnato molti eminenri psicologi e le loro riflessioni sono senza dubbio interessanti.

Vorrei, tuttavia, azzardare la supposizione che, in un contesto puramente individuale, la circostanza di persone che temono la libertà nella propria vita sia piuttosto infrequente. Chi teme la libertà, perlopiù, teme piuttosto la libertà altrui: quella delle classi inferiori scontente, delle masse rurali offese, delle donne che lamentano il malumore per il "posto" loro assegnato, del giovane ribelle che rifiuta di essere compiacente e remissivo, del dissidente che protesta contro l'ordine esistente e dei gruppi di opposizione che chiedono una stampa libera e libere elezioni. È soprattutto la libertà degli altri ad aver preoccupato chi ha sviluppato argomenti contro la libertà (senza tuttavia far mostra di voler rinunciare alla propria). Questo vale per le dittature, incluse quelle militari, e per gli intellettuali autoritari, tra cui i molti pensatori che hanno variamente difeso quanto hanno descritto come "ordine", "disciplina" o "sacrificio necessario" in opposizione a "libertà", "sfrontatezzà' e "licenza".

La libertà è un concetto ampio, dal contenuto eterogeneo. L'opposizione alla libertà può prendere molte forme diverse. Ad esempio, alcuni strenui difensori della libertà del commercio e delle transazioni sono, allo stesso tempo, piuttosto scettici - se non ostili - nei confronti delle libertà politiche e democratiche. Altri difendono con sufficiente vigore la democrazia, ma non vedono alcuna particolare difficoltà nel negare le più elementari libertà di commercio e di scambio. Altri ancora sono ben disposti verso le libertà economiche e politiche, ma non attribuiscono grande importanza a opportunità sociali come l'istruzione primaria, che garantisce alle persone la libertà di leggere e scrivere, di comprendere i propri diritti, di gestire il proprio bilancio e di formarsi giudizi politici, utilizzando in modo migliore l'informazione disponibile. Alcuni libertari mostrano un'ammirevole saldezza nella difesa della libertà contro la tirannia, ma non vedono alcuna significativa privazione della libertà nel lasciare bambini analfabeti senza scuole, persone malate senza servizi sanitari o poveri intraprendenti senza accesso al microcredito o ad altri mezzi per entrare a far parte dell'economia di mercato. Taluni vorrebbero persino ridurre l'uso del termine "libertà" alla non-interferenza, ignorando la significativa interpretazione - presentata tra gli altri da Aristotele - secondo la quale la libertà riguarda ciò che le persone sono in grado o non sono in grado di fare (e non semplicemente ciò che altri impediscono loro di fare).

Osservazioni conclusive

Per guardare alle prospettive e ai bisogni futuri con adeguata chiarezza e profondità, una concezione incentrata sulla libertà presenta molti vantaggi rispetto a punti di vista più convenzionali. Primo, fornisce il contesto per interpretare il progresso individuale e sociale sulla base dei suoi obiettivi fondamentali piuttosto che dei suoi strumenti più immediati. L'aumento delle capacità di vita e delle libertà, ha un rilievo intrinseco che lo distingue, ad esempio, dall'incremento della produzione di merci o dalla crescita del PIL.

Secondo, una concezione incentrata sulla libertà offre anche lucide indicazioni strumentali, perché libertà di diversa specie si sostengono vicendevolmente. Mettere a fuoco le connessioni fra libertà di diverso tipo ci conduce molto oltre la prospettiva limitata delle singole libertà isolate. Viviamo in un mondo di molte istituzioni (tra le quali il mercato, il governo, la magistratura, i partiti politici, i media, ecc.) dobbiamo fare in modo che si possano supportare e rafforzare tra loro, anziché ostacolarsi a vicenda.

Terzo, questa prospettiva più ampia ci consente di distinguere tra l) gli interventi repressivi dello Stato che soffocano la libertà, l'iniziativa e l'impresa, e depotenziano l'agire individuale e la cooperazione e 2) il ruolo di supporto dello Stato nell'allargamento delle libertà di fatto degli individui (ad esempio, garantendo l'istruzione pubblica, le cure sanitarie, le reti di sicurezza sociale, le agevolazioni del microcredito, buone politiche macroeconomiche, salvaguardando la concorrenza industriale e assicurando la sostenibilità epidemiologica e ambientale).

Quarto, un approccio incentrato sulla libertà può concorrere a fornire una visione adeguatamente ampia ed estensiva delle esigenze degli esseri viventi. La libertà in senso largo comprende i diritti civili e le opportunità economiche e sociali da un lato e, dall'altro, l'eliminazione di fondamentali illibertà come la fame, l'analfabetismo, le malattie non assistite e altre situazioni di assenza di garanzie sociali. Abbiamo bisogno di un approccio integrato ai problemi e alle prospettive del mondo futuro. È di importanza cruciale superare la visione frammentata di chi sostiene solo libertà di natura particolare, negando l'importanza delle libertà di altra specie (in alcuni casi considerando in effetti dannosi altri tipi di libertà). Occorre una nozione chiara dell'interdipendenza di libertà di diversa specie e del loro ruolo di reciproco sostegno.

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