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12.01.16

 

Crisi, rottura del sistema e trasformazione

di Marco Della Luna

 

Testo preparato per la conferenza organizzata dalla casa editrice Nexus e dal prof. A. Pala a Cagliari per il 17.01.16; la mia relazione è stata a braccio e si è in parte discostata da questo testo.

 

Ci troviamo in una crisi del sistema, che potrebbe farlo cadere, o semplicemente in una ordinaria crisi nel sistema, oppure (peggio ancora) in una crisi progettata e prodotta dal sistema per perfezionarsi e perpetuarsi?

Il genere umano può essere portato ad accettare condizioni di vita tali da farlo regredire a livelli subumani, o da farlo estinguere, in modo che si scongiuri il disastro ecologico?

Il capitalismo finanziario digitalizzato e globalizzato tende a smaterializzare ogni bene, merce, servizio, anche gli esseri umani, traducendoli in valori finanziari, ciè in simboli, in numeri, e a metterli online per moltiplicare il profitto contabile che esso per sua natura persegue, ignorando tutto il resto.

Il Cambiamento consisterà nell’essere tradotti in bits, bites e figures? Che altre trasformazioni ci saranno imposte per renderci idonei a questa traduzione? E che ragion d’essere resterà alla nostra vita biologica, dopo che questa smaterializzazione sarà state eseguita?

La logica impellente della massimizzazione del profitto non ammette (accetta solo provvisoriamente e tatticamente) limiti qualsivoglia (nemmeno morali) alla mercificazione di ogni cosa ed essere esistente o esistibile (futures), non ammette diritti inalienabili (che non possano essere alienati e venduti), non ammette quindi una natura umana (giuridica, genomica) data e intangibile, un uomo portatore di diritti incondizionati, perché di ciò che è incondizionato non si può fare trading, e ciò di cui non si può far trading non può generare profitto.

Perciò sono illogiche le posizioni, come quella della Chiesa (la quale è infatti anche, se non soprattutto, un’azienda di investimenti finanziari), che vorrebbero correggere il capitalismo finanziario per renderlo solidale e rispettoso dei diritti dell’uomo e della società, nonché dell’ambiente – cioè che vorrebbero che esso accettasse limitazioni al proprio imperativo categorico, ossia principio di massimizzazione del profitto contabile.

Premetto un breve testo dell’amico Paolo Coni, psichiatra e coautore di Neuroschiavi. Questo testo descrive il cambiamento che effettivamente sta avvenendo, soprattutto nell’uomo e nella società.

“Sono un grave paranoico e sto da anni pensando di mettere su un piano per assoggettare tutta la popolazione mondiale ai miei voleri. Il mio progetto consiste nel seguente decalogo:

1) Drogare la popolazione con sostanze d’abuso e farmaci;

2) Diminuire il QI generale favorendo programmi d’intrattenimento di massa demenziali, “divertendo” attraverso la solleticazione di impulsi primordiali

3) Distruggere ogni riferimento a tradizioni, cultura e religione, sbandierando, per prevenire obiezioni, che mi sto occupando di favorire la “cultura” della popolazione

4) Distruggere la scuola riempiendola di contenuti “alternativi” che confondono sugli obiettivi da raggiungere e fare screening psicologico-psichiatrici nelle scuole per individuare bambini disturbati da “normalizzare”

5) Rendere insicura la popolazione facendola invadere da masse informi e incontrollate, non integrabili

6) Fare proclami di integrazione e di accoglienza impossibili da gestire e, mentre la popolazione si sente invasa e impaurita, farla sentire ancora più insicura sbandierando l’apertura dei confini indiscriminata

7) Nel contempo, dopo aver fatto assaporare un periodo di benessere economico teso alla spesa incontrollata, con il denaro che ha sostituito i precedenti valori, provocare una “crisi” economica senza fine dove la popolazione fa fatica a tirare avanti e non ha più valori sostitutivi al denaro, che viene a mancare. Mostrare in parallelo gente viziata e ricchissima che guadagna stipendi da mille e una notte per tirare due pedate o cantare una canzoncina, o occuparsi del nostro bene pubblico

8) Distruggere quel che resta della famiglia, logorata da anni di leggi contrarie ad incentivarla e da un’ideologia del godimento che l’ha minata culturalmente, rendendola un optional arcobalenato 

9) Introdurre norme sempre più restrittive della libertà di pensiero, in nome della “democrazia”

10) Distruggere l’identità di genere fino dalle scuole, confondendo le idee su quelle che sono le basi della personalità individuale.”

Uno psicologo formatore professionista – non è Antonio Pala – mi spiegava che, nei corsi, nei seminari, non devi prospettare ai clienti un problema, se non hai anche la soluzione per questo problema da dar loro. Se enunci e analizzi il problema senza dare la soluzione, ti fai percepire come non padrone della situazione, non rassicurante, non valido, e perdi i clienti. Quindi, se c’è un problema di cui manca una soluzione, o non parli del problema, o inventi una soluzione bella, desiderabile, confortante e almeno astrattamente possibile, per quanto irrealistica, o non “falsificabile” – ad esempio, una soluzione “spirituale”. Devi sempre farti sentire come capace di controllare la situazione, come fonte di sicurezza; così i tuoi clienti avranno un bisogno permanente delle tue prestazioni per stare bene, per vincere, temporaneamente, la paura e la frustrazione.

Oggi siffatte soluzioni irrazionali o non verificabili trovano vasto favore nel pubblico, perché, di fronte a problemi molto grandi, gravi e minacciosi, da cui ci si sente sovrastati, si tende ad accettare soluzioni e speranze irrazionali, inverificabili, o anche magico-religiose.

Io non sono un formatore professionista, non è questa la mia fonte di reddito, quindi posso permettermi di parlare francamente senza inventare soluzioni che non ho.

Parlerò innanzitutto di alcune tipiche illusioni a cui vedo che molti tendono quando si confrontano con l’attuale situazione e con le sue fosche prospettive. Quando l’uomo si sente insoddisfatto, in pericolo e sfiduciato, anche delle proprie capacità di analisi razionale, tende a rivolgersi all’irrazionale, al pensiero consolatorio, per un aiuto o una speranza o una profezia, per poter pensare e progettare il proprio domani. E tende ad assumere un atteggiamento psicologicamente regressivo, infantile.

La prima illusione è che vi siano sistemi stabili, per loro natura durevoli se non permanenti, simili alle macchine, la cui condizione normale è funzionare uniformemente, e che a un certo punto vengono rotti da un qualche fattore sopravvenuto. Questa illusione suppone che vi siano, quindi, contrapposizioni tra sistemi, crisi, trasformazioni. In realtà non è così, è tutto un continuo divenire. Come meglio dirò in seguito, non vi sono, nella storia, sistemi stabili, perché in tutti i sistemi esistiti ed esistenti ci sono sempre processi trasformativi in corso, che magari non appaiono a tutti nella loro natura, causa, effetti, finché non assumono manifestazioni riconoscibili a tutti e si traducono in qualche evento materiale stravolgente, come una guerra che sostituisce un ordinamento formale con un altro ordinamento formale, una monarchia con una repubblica, per esempio. Lo Stato repubblicano italiano oggi si chiama ancora Stato italiano e ha la medesima bandiera anche se, rispetto a quando fu fondato, è divenuto una cosa qualitativamente diversa, avendo ceduto a enti non nazionali la sovranità monetaria, di bilancio, legislativa, e avendo così perduto quella sovranità e indipendenza senza cui uno Stato non è più tale, quindi avendo addirittura cessato, giuridicamente e politicamente, di essere uno Stato.

Per le predette ragioni, avrebbe più corretto rovesciare il discorso e dire che vi è un divenire di continua trasformazione a tutti i livelli, e che, in questo processo, si formano, ai livelli superficiali, immagini che rimangono riconoscibili per una certa durata temporale.

La seconda illusione è che “noi” facciamo le trasformazioni, il cambiamento. Soprattutto trasformazioni intenzionali, organiche, olistiche (in senso popperiano), ossia sostituzioni di un sistema vecchio con un nuovo sistema, come si sostituisce la scheda madre guasta di un computer con una nuova e più evoluta. Le trasformazioni, i cambiamenti, avvengono sì per effetto dell’interazione di azioni umane e di processi naturali (ad. es., i cambiamenti climatici che desertificarono il prima lussureggiante Nordafrica seimila anni fa), ma gli effetti, gli esiti dell’interazione delle azioni dei vari soggetti, generalmente, nel medio e lungo termine, non corrispondono affatto alle intenzioni né alle previsioni degli autori delle azioni. La storia non è una successione di decisioni o azioni di maggioranze. Il discorso “noi siamo il 999 per mille, voi siete l’l”, fatto ultimamente da Occupy, non ha funzionato, naturalmente. Anche su questo tornerò più ampiamente. Qui aggiungo qualche osservazione: negli ultimi tempi, la storia, intesa come analisi dei meccanismi del divenire e ricerca delle sue leggi o del suo senso, pare aver perso molta della sua capacità previsionale, cioè della capacità di indicare la direzione del divenire, di districarsi e di scegliere nel mare magnum delle possibili e alternative svolte dietro il prossimo angolo. Insomma, la storia ultimamente mostra sempre più il carattere aperto e non predeterminabile della vicenda del mondo.

Ciò si deve al fallimento, avvenuto alla prova dei fatti, dei due grandi paradigmi organici di interpretazione della storia, ossia di quello marxista (con la sua previsione di fine del capitalismo e di rivoluzione) e di quello liberal-capitalista (con la sua previsione di crescita costante del benessere e della libertà). Il terzo grande paradigma, quello cristiano, e in generale quello religioso, non viene mai smentito perché può sempre rinviare il momento della verifica finale. Pertanto le interpretazioni e le rassicurazioni religiose e magico-religiose tendono ad occupare lo spazio perduto dalle altre interpretazioni e rassicurazioni, quelle empirico-razionali.

Ma ultimamente, proprio grazie all’analisi della presente crisi, si sta diffondendo la consapevolezza di un nuovo modello esplicativo e previsionale, che è quello che presento nei miei scritti, soprattutto in Oligarchia per popoli superflui, in Neuroschiavi, in Cimiteuro: ossia il modello definibile come tecno-gestionale che chiamo “demotecnia” in analogia a “zootecnia”: un’élite sovranazionale dominante, detenendo il potere politico ed economico, e disponendo di una tecnologia idonea, ha assunto e conduce la gestione dall’alto e dal di fuori della popolazione terrestre in forme e con rapporti analoghi a quelli della zootecnica, grazie appunto al divario incommensurabile di conoscenze e di mezzi tecnologici a disposizione, simile a quello che divide l’allevatore dagli animali allevati, e alla sua capacità di pianificare e agire sottotraccia per raggiungere obiettivi di lungo termini, soprattutto in fatto di modificazione della società e della cultura. La presente crisi economica, come meglio dirò in seguito, è indotta volontariamente allo scopo di implementare questo sistema di gestione. E’ un’operazione di ingegneria sociale che mira non tanto al profitto quanto al controllo. Un siffatto sistema di dominazione è molto forte ma, come dirò, non per questo è assolutamente stabile o permanente.

La terza illusione è quella della giustizia, ossia di un potere giudiziario che abbia la forza e l’interesse per far valere o ristabilire la legalità e i diritti. Non c’è. Penso gli ingenui benintenzionati che studiano complesse e coraggiose denunce contro le illegalità del sistema e le presentano a qualche Procura della Repubblica, con alte aspettative. Regolarmente, queste iniziative finiscono nulla, ossia nelle sabbie giudiziarie. A prescindere dal fatto, ovvio, che i magistrati hanno poteri di intervenire su casi e responsabilità singole e non sistemiche, e dal fatto, pure ovvio, che non hanno un potere materiale nemmeno lontanamente paragonabile a quello degli interessi costituiti in potere statuale, essi in amplissima maggioranza sono fidelizzati al sistema degli interessi, che percepiamo come ingiusto, mediante la concessione di privilegi e prerogative. La loro funzione è piuttosto quella di mediare tra l’ordinamento reale del potere e dei suoi interessi, da una parte, e la legalità di facciata dall’altro, cercando di tener nascosto il primo e di preservare l’apparenza di legalità agli occhi della popolazione generale.

La quarta illusione è quella della magia delle parole, delle formule magico-giuridico, che, nella mente di chi ci crede, sarebbero capaci di alterare la realtà delle forze in campo, della potenza materiale, mentre è vero l’inverso, ossia che il diritto viene creato e plasmato dagli interessi e dai loro rapporti di forza materiale. Il diritto inizia dal rispetto del fatto, e non viceversa. In questa illusione si trovano coloro che pensano di poter ottenere trasformazioni pratiche del mondo (cioè rinunce ai soprusi che i potenti compiono per il loro tornaconto) usando formule, più o meno elaborate, altisonanti o astruse, invocanti la sovranità o l’indipendenza o la rivendicazione di particolari grafie dei nomi, etc.

Sebbene sia una forma di pensiero magico, ossia di un pensiero convinto che certe parole e concetti abbiano in sè il potere di modificare direttamente la realtà, questa però è pure un’illusione didatticamente benefica, perché avvia alla consapevolezza del problema fondamentale della teoria del diritto, e della filosofia politica, ossia il problema se e come il diritto e il potere di diritto si differenzi dal fatto e dalla potenza di fatto, materiale. E se e come e a quali condizioni lo Stato possa avere pretese di sovranità sugli uomini diverse da quelle basate sulla sua forza materiale di minaccia e coercizione. E quali siano i limiti della legittima azione del potere politico sugli esseri umani e sui loro diritti. I limiti delo legislatore positivo e il problema dell’esistenza di un diritto naturale.

Questa è una importantissima tematica, oggetto di studi e di elaborazione da quasi 25 secoli. Mi auguro che chi si interessa alla sovranità etc. cerchi di informarsi su questa materia, onde non trovarsi a prendere lucciole per lanterne e altri facili abbagli, rendendosi ridicolo, quando può dire, invece, cose sensate.

Eccoci alla quinta illusione, l’illusione ingegneristica, ossia quella dei tecnici e degli studiosi, soprattutto economisti, che hanno analizzato bene la situazione e hanno capito che cosa non va, che cosa non si deve fare, che cosa si deve invece fare, e si aspettano che sia i potenti che la parte pensante del popolo capisca le loro ragioni, quindi metta in atto i loro consigli. E insistono a propalarli in scritti, convegni, interventi pubblici, tentativi di entrare in qualche partito. Ma ciò che si aspettano non avviene – e la recente storia economica è piena di ottimi moniti e consigli (circa l’euro o la banca universale o la globalizzazione) rimasti puntualmente disattesi – ; e ciò perché A) i loro consigli mirano al bene comune e non a quello di chi ha il potere di decidere; B) il popolo ha la testa altrove, non si interessa, non capisce, se capisce poi dimentica, e in ogni caso non si organizza e non agisce e si appaga di contentini non strutturali che il potere elargisce al momento opportuno; C) i grandi sistemi supercomplessi non possono essere riparati ingegneristicamente come le macchine, non solo perché troppo complessi per essere capiti organicamente, ma anche perché contengono chi li vuole riparare e reagiscono alla sua azione.

Vi sono anche illusioni a base economica, soprattutto quella dei mercati liberi ed efficienti (ossia che prevengono o guariscono rapidamente le crisi economiche), illusione smascherata dai fatti oggi sotto gli occhi di tutti.

Vi è anche l’illusione opposta, quella statalista, ossia che l’intervento pubblico possa correggere il mercato agendo su di esso; questa illusione è dissolta dall’osservazione che anche lo Stato, persino lo Stato comunista, viene privatizzato, ossia che organizzazioni private si impadroniscono di esso (il Partito, la Mafia, il cartello bancario).

Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.

L’attuale situazione della società è veramente molto grave e con pessime prospettive, soprattutto perché la cosiddetta crisi economica appare ormai chiaramente come uno strumento volontariamente attivato e mantenuto per concentrare il reddito e la ricchezza, ma anche il potere politico, nelle mani di pochi grandi finanzieri che si deresponsabilizzano celandosi dietro istituzioni politiche ufficiali che essi hanno svuotato di potere effettivo; e al contempo per far accettare alla gente di avere meno diritti, meno libertà, meno dignità, meno benessere, e di essere governata da lontano e da soggetti irresponsabili. Insomma è una crisi indotta a scopi di ingegneria sociale. Appare altrettanto chiaro che, pertanto, non è possibile risolverla per le vie interne dell’ordinamento giuridico nazionale o internazionale, cioè ad esempio attraverso le elezioni e i parla menti, dato che esse sono interamente controllate dall’oligarchia al potere su scala globale. Quindi solo un’azione rivoluzionaria dal basso, una rivoluzione popolare, parrebbe idonea a risolvere il problema. Lo conferma il fatto che sono rimasti e rimangono completamente inascoltati, anche di fronte all’avverarsi delle loro previsioni, gli autorevoli economisti che, dagli anni ’70 ad oggi, hanno preavvertito le istituzioni dei disastri che sarebbero stati causati dalle riforme monetarie e bancarie in cantiere, perché hanno proposto e stanno proponendo rimedi razionali. Sono rimasti inascoltati perché parlavano dal punto di vista dell’interesse collettivo, non di quello dell’élite decidente. Molto semplice. Ed eccoci ritornati all’opzione rivoluzionaria. Ma questa opzione deve fare i conti con i dati della realtà storica seguenti.

Pensiamo alle grandi rivoluzioni popolari: quella francese, quella sovietica, quella cinese, quella nazista, quella khomeinista in Persia.

Tutte sono avvenute a furor di popolo, il popolo si aspettava di risolvere i suoi problemi, ma le cose sono andate diversamente, nel senso che il popolo ha subito un forte peggioramento della sua situazione. In Francia, dopo la rivoluzione, vi fu un ventennio di stragi, con il periodo del Terrore, poi delle guerre contro le coalizioni monarchiche, poi delle guerre napoleoniche, e intere generazioni di giovani furono annientate sui campi di battaglia. Alla fine, in Francia ritornò la monarchia – non è buffo? – e per giunta la Francia si ritrovò subalterna alla Regno Unito, cioè perse la sua indipendenza politica. Certo, la rivoluzione francese pose fine al feudalesimo e mise al potere il capitalismo. Negli altri esempi citati, sappiamo tutti che cosa avvenne a quelle nazioni dalle loro rivoluzioni popolari in termini di guerre, distruzioni, dittature, arretratezza.

Alle volte, in periodi di acuta crisi, nei quali era evidente una qualche particolare causa della crisi, gli interessi collettivi hanno ottenuto riforme a loro tutela contro gli interessi delle classi sfruttatrice dominanti. Cito come esempi le riforme dei Gracchi nella Roma antica e il Glass Steagall Act a seguito della crisi del ’29, entrambe tese a porre freno al saccheggio della società da parte della classe finanziaria. Ma poi, in tutti i casi di questo tipo, le classi dominanti, attraverso una pianificazione politica di medio e lungo termine, con azione di lobbying e corruzione, approfittando della cronica distrazione del popolo, hanno sempre recuperato le posizioni perdute e hanno portato avanti i loro interessi contro la popolazione subalterna. Ciò avvenne al tempo dei Gracchi, ed è avvenuto anche ultimamente, con l’abolizione del Glass Steagall Act nel 1999 e tutta una serie di riforme del diritto finanziario e bancario, che hanno permesso le megafrodi bancarie con cui i banchieri hanno realizzato e stanno realizzando enormi profitti a danno della collettività anche oggi e praticamente senza mai pagare il fio. Gli interessi concentrati e consapevoli vincono su sempre su quelli diffusi, nel medio e lungo periodo. Di solito però già anche nel breve periodo.

La via rivoluzionaria, nel mondo odierno, è peraltro impraticabile, sia perché l’oligarchia al potere a un enorme vantaggio tecnologico e militare su qualsiasi movimento popolare, disponendo non solo di argomenti ma anche di strumenti di monitoraggio e intervento capillari nella vita di ciascuno, il sogno di tutti i dittatori della storia; sia perché è un mondo interdipendente, perciò, quand’anche un paese insorgesse e se liberasse dai suoi oppressori finanziari e politici, verrebbe bloccato e messo in ginocchio nel giro di pochi giorni. Pensiamo inoltre che l’Italia è un paese e militarmente occupato dagli Stati Uniti con oltre 130 basi militari. E che dipende da forniture esterne per sopravvivere, innanzitutto dal petrolio, che si paga in dollari.

Siamo insomma condannati a restare stabilmente in questa situazione e in questo trend peggiorativo, che ci porta verso abissi di insicurezza, di privazione di diritti e libertà, di invasione delle nostre vite da parte di un potere tecnologico incontenibile, entro un regime alla Orwell?

Con ragionevole sicurezza, in base all’osservazione dei fatti storici, a questa domanda si può rispondere di no, poiché la storia ci mostra che i sistemi di potere, regni, imperi e repubbliche, così come le costituzioni e le condizioni giuridiche ed economiche, non sono mai stati stabili, non sono mai durati a lungo, soprattutto da quando l’umanità si è messa a commerciare e ha sviluppato varie tecnologie. Cioè da più di 25 secoli. Anche gli imperi apparentemente più solidi, più forti, più invincibili, sono crollati, si sono frantumati, perlomeno a causa di processi disorganizzati ivi interni. Senza bisogno di rivoluzioni popolari. Se esaminate per esempio la storia di Roma, dall’epoca monarchica a quella repubblicana a quella del principato e a quella del dominatus, cioè da Diocleziano in poi, vedrete che gli assetti costituzionali, economici, organizzativi, demografici, si trasformano incessantemente, e che le cose più costanti sono proprio i meccanismi che alimentano squilibri: la lenta demolizione dell’agricoltura e della popolazione in Italia, il trasferimento della ricchezza e del potere dall’aristocrazia terriera senatoriale alla classe finanziaria equestre, il travaso di oro da occidente a oriente (causato dal passivo della bilancia commerciale). .

Insomma, i grandi cambiamenti avvengono, sono sempre avvenuti, nella storia. Sono avvenuti non solo per effetto di azioni volontarie (collettive o individuali), ma pure e soprattutto per il concorso di forze e di processi molteplici, impersonali, perlopiù incompresi o fraintesi, perlopiù irresistibili, e solitamente con esiti diversi da quelli previsti, progettati, desiderati. Fattori di tipo climatico, economico, demografico o tecnico-scientifico. Pensate all’inaridimento delle fertili pianure nordafricane, al declino demografico della Grecia antica, al declino tecnologico dell’Impero romano, alla divaricazione economica operata dall’introduzione dell’Euro tra i paesi che lo usano.

Altra illusione abituale: l’uomo pensa che le cose continueranno ad andare in futuro nel modo in cui sono andate in passato, e mira sempre a raggiungere qualche assetto definitivo e sicuro, nel privato come nel pubblico: l’amore per sempre, il matrimonio indissolubile, il posto fisso, i diritti umani inalienabili, un’organizzazione statale perenne, definitiva, perfetta, come la repubblica progettata da Platone. O almeno destinata a durare 1000 anni, come il Reich vagheggiato da Hitler. Ma, al contrario, tutti gli assetti prodotti dall’uomo sono impermanenti, caduchi,  transeunti, provvisori. Come l’uomo stesso. Tutto scorre, giustamente osserva Eraclito. Non riusciamo a stabilizzare un tubo. Il grande Cesare Ottaviano Augusto aveva capito i difetti strutturali del possente sistema-paese che governava, e cercò di correggerli, ma non vi riuscì, e come lui non vi riuscirono molti, a Roma e altrove.

I grandi cambiamenti, le trasformazioni sistemiche, avvengono, ma solitamente sono molto diversi dai progetti di coloro che li causano: il divenire storico sfugge dal controllo e dalla pianificazione. Pensate per esempio alla I Guerra Mondiale: ognuna delle potenze che vi parteciparono aveva i suoi piani, le sue previsioni, le sue intenzioni, e tutte furono smentite dallo svilupparsi dei fatti. La guerra stessa assunse caratteri che nessuno aveva immaginato. Il suo esito fu… di innescare fascismo, nazismo e una II GM.

Invero, nessuno è mai riuscito a governare la storia, né a prevederla. Tanto meno ci sono riuscite le rivoluzioni popolari, le quali hanno bensì dato colpi e prodotto effetti, ma non gli effetti voluti e progettati, bensì gli altri e impreveduti – almeno per esse. Il comportamento collettivo è sempre miope e ottuso. I popoli non riescono a evitare fallimenti prevedibili. Anche l’attuale tecnocrazia globalizzata, come sistema di potere, è destinata a deteriorarsi, e a cadere, magari proprio perché primo poi le sfuggirà di mano la stessa tecnologia, che si sviluppa e moltiplica le sue capacità in modo praticamente è miracoloso – come Skynet della serie Terminator. Oppure forse cadrà per la sua contrarietà ai bisogni oggettivi, fisiologici, degli esseri umani: essa, guidata com’è dalla logica del bilancio, del rendimento annuale o comunque di brevissimo termine, sta forzando l’uomo e la comunità ad adattarsi a vivere secondo questo brevissimo termine, accettando la precarietà, la discontinuità, l’instabilità come caratteri di fondo dell’esistenza, e rinunciando alla sicurezza, alla progettabilità di lungo termine, alla stabilità, che sono esigenze oggettivamente insite nell’essere umano. E’ una violenza radicale e protratta, implementata attraverso il controllo delle istituzioni. Se scoppiamo, allora potremo dire davvero di essere noi il cambiamento. Oppure ancora è una catastrofe geofisica, climatica, ecologica, il fattore che sta per rimescolare le carte. La popolazione generale, anche buona parte di quelli con istruzione superiore, è consapevole del suo malessere, dell’insicurezza oggettiva in cui sempre più vive, di alcune malefatte compiute da certi potenti; ha una consapevolezza aneddotica, episodica, spesso personificata, dei mali del sistema; ma non è consapevole delle cause strutturali e non manifeste. Non saprebbe dove intervenire, anche potendo.

Quindi, mi direte, tu stai dicendo che non c’è niente da fare, per uscire dall’attuale situazione, perché non abbiamo la capacità di correggerla, e del resto essa prima o poi finirà da sé.

In effetti, più o meno è così. Più o meno, perché razionalmente e realisticamente ci sono alcune cose da fare, anche per cercare di fare in modo che l’uscita dall’attuale condizione sia verso una condizione non peggiore, magari migliore. Innanzitutto, bisogna fare cose per mettersi al riparo, per difendersi, a livello privato, personale. L’azione politica è pressoché inutile o controproducente, come dimostrano i casi di quei movimenti e di quei partiti che, dopo avere iniziato con grande promesse di rottura, o si sono spenti, oppure si sono omologati al sistema che dovevano abbattere, come in Grecia e in Spagna. Anche tra i grilli nostrani molti danno segni di volersi alleare col Partito Democratico per stabilizzarsi nel potere e nei suoi vantaggi. L’azione collettiva raramente parte e ancora più raramente è efficace, ma l’azione individuale o su scala di piccoli gruppi è fattibile, sul fronte della tutela della salute, del patrimonio, della libertà, considerando sempre anche l’opzione dell’emigrazione verso paesi che consentono una migliore tutela di questi valori. Certamente, di fronte a un drastico e rapido peggioramento della condizione di vita e del livello di dignità, a breve potrebbe anche porsi fortemente l’opzione del suicidio, del suicidio stoico, cioè dell’uomo che rifiuta di vivere privato della libertà e della dignità: pensiamo a Lucio Anneo Seneca che si suicida per non soggiacere agli arbitri e ai capricci di Nerone. Ma non preoccupatevi: pochissimi seguiranno Seneca, in ogni caso, perché gli uomini si adattano facilmente a una vita di pecore schiave, o di topi che sopravvivono arrangiandosi negli angoli bui.

Che cosa resta da fare, in positivo, dopo tanti “non podemos”? Proprio grazie a ciò che dicevo all’inizio, ossia alla indeterminatezza e libertà del divenire storico, alla sua apertura, non può mai venir meno la possibilità di entrare in modo rilevante in questo divenire. Poche verità storiche sono certe e comprovate come la potenza esercitata dalle idee nei millenni: Platone, Aristotele, Gesù, Galileo, Marx, Freud, Einstein, e Fra’ Luca Pacioli, l’inventore della partita doppia – solo per fare qualche nome – sono più che mai attuali e attivi, sono potentissimi… La Rivoluzione francese mancò gli obiettivi pratici di breve e medio termine, ma nel lunghissimo termine essa è – si può ben dire – ancora in svolgimento… nei cambiamento nel pensiero, nella coscienza collettiva, nelle dinamiche sociali… nell’aver creato una cosa che cosa prima assente, in Europa, dai tempi di Atene, ossia il pubblico dibattito politico. Assieme all’amico psichiatra Paolo Cioni, col saggio Neuroschiavi, ho cercato di dare un contributo mirato all’analisi e al contrasto ai mezzi di rimbecillimento e irreggimentazione di massa che tanta parte hanno nella governance sociale, nella compressione della libertà mentale e critica che è l’anima di quel dibattito. E in altri saggi, in solitaria oppure in cooperazione con qualche amico, ho diretto i riflettori su quello strumento di dominazione e sfruttamento sociale che è il potere monetario vestito nelle banche private, e sui suoi meccanismi occultati dalle prassi contabili oggi applicate, e la cui comprensione da qualche anno si viene ora diffondendo. La sua comprensione a livello perlomeno di classi imprenditoriali e intellettuali sarebbe un presupposto per un possibile rivolgimento strutturale della società, per una possibile fine del regime parassitario imposto dal capitalismo finanziario attraverso proprio quelle prassi contabili false, le quali sono alla base del fatto che esso è divenuto un perfetto strumento di dominio sociale: uno strumento che, da un lato, rende la società e l’economia e le istituzioni sempre più dipendenti da sé stesso e sempre più forzatamente obbedienti ai suoi dettami, perché sotto permanente ricatto di fatali conseguenze; e che, dall’altro lato, attraverso l’uso di moneta-debito progressivamente indebitante, sottrae alla società una quota sempre crescente di reddito, pubblico e privato, sotto forma di interessi, di bail out (saccheggio dell’erario) e bail in (saccheggio dei risparmi o investimenti finanziari). E’ una prigionia estorsiva sistemica, in via di perfezionamento, rispetto a cui le truffette del tipo Banca Popolare dell’Etruria sono soltanto incidenti dovuti all’avidità di banchieri locali, incidenti da coprire subito in qualche modo al fine di poter proseguire col perfezionamento del sistema, col piano di lungo periodo.

Prima della rivoluzione del 1789, i popolani francesi, sfruttati dai signori feudali, avevano fatto jacqueries, ossia assalti ai depositi di granaglie dei castelli sotto la spinta della fame – cioè avevano attaccato la sola superficie del problema. Questo equivale ai nostri movimentisti, agli indignados, a quelli che oggi manifestano contro i banchieri che li hanno fregati e chiedono rimborsi da parte dello Stato e carcere ai furbetti del credito e le dimissioni della bella ministra Boschi. Niente di risolutivo. Il salto di qualità che dalle jacqueries (le quali lasciano il tempo che trovano) portò alla vera rivoluzione, (che cambia invece il tempo), sia pur nel senso che abbiamo visto, avvenne allorquando, nell’agosto del 1789, alla guida del popolino, si misero intellettuali che sapevano dove mettere le mani, e allora gli insorti penetrarono nei castelli non per rubare la farina, ma per aprire i forzieri e distruggere gli atti di proprietà dei fondi terrieri in essi custoditi, facendo così crollare il sistema latifondista.

L’equivalente di questa operazione, oggi, potrebbe essere – dico: potrebbe – il pubblico smascheramento dei sistematici falsi in bilancio con cui i banchieri privati creano la quasi totalità dei mezzi monetari circolanti senza pagare su tale creazione alcuna tassa e senza assumersi le responsabilità politiche e sociali dell’esercizio di un tale primario potere pubblico, e la conseguente nazionalizzazione del sistema monetario-creditizio con la liberazione della società dalla moneta indebitante ora in uso. Ma ciò non credo possa partire dall’Italia, la quale non ha alcuna tradizione o predisposizione rivoluzionaria.

D’altronde, il vigente sistema di potere e pensiero, cioè il capitalismo finanziario, ha neutralizzato le tre principali matrici storiche del cambiamento:

-la ricerca scientifica, perché la controlla finanziandola e impadronendosi delle sue più rilevanti scoperte e innovazioni mediante il segreto militare e commerciale;

-le classi medie, perché le ha ampiamente dissolte livellandole a una condizione proletaria e precaria;

-i giovani, perché ha costruito un modello educativo, scolastico e sociale basato sulla gratificazione, la mancanza di disciplina, l’individualismo atomista, centrato sull’edonismo e sui bisogni primari, che li ha resi generalmente fragili, privi di un razionale progetto alternativo per la comunità, quindi inidonei a promuovere una rivoluzione.

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