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22 marzo 2011

Rivoluzione Eurasiatica:
La “Quarta Profezia” di Aleksandr Dugin
a cura di A. Fais e F. Della Sala
traduzione dal russo di M. Startseva

Aleksandr Dugin è uno dei più controversi e affascinanti esponenti dell’ultima disincantata generazione degli intellettuali sovietici. Abbandonati i progetti militari che il padre aveva in mente per lui, Dugin prende una sua strada e si dedica agli studi filosofici. Affascinato dal pensiero tradizionale di autori quali Guenòn ed Eliade, si avvicina molto presto alla geografia sacra. Questo incontro segnerà gran parte del suo futuro, introducendolo allo studio della geopolitica e della strategia, senza per questo mai abbandonare i suoi precedenti campi di interesse. Dopo aver animato culturalmente i fermenti patriottici e neo-sovietici nei terribili anni di Eltsin, Dugin comincia a prendere sempre più le distanze dall’attivismo politico, per concentrarsi sullo studio e sulla promozione di quello storico filone di pensiero eurasiatista sospeso tra i secoli XIX e XX,  che trova ancora molti favori all’interno di alcune stanze del Cremlino e dello Stato Maggiore.

[Andrea Fais]: Benvenuto Professor Dugin. Tra un anno si vota per le presidenziali in Russia. Come si stanno muovendo gli schieramenti politici e quali sono i soggetti che potrebbero maggiormente rappresentare gli interessi nazionali della Federazione nel caso in cui salissero alla guida del Cremlino?

Non ho quasi nessun dubbio che Putin possa ritornare al potere. Però non subito, ma prendendo una pausa per permettergli di trattare. Al riguardo di Medvedev, è evidente che si tratti di un occidentalista e un liberale, come Gorbaciov e Eltsin. La domanda è: perchè Putin lo avrebbe nominato? Non aveva nessuna popolarità prima del 2008 e non aveva nessuna importanza politica. O questo è un gioco da parte di Putin (nominare un governatore temporaneo non legittimo per il popolo e gradito all’Occidente), oppure è stato un errore di calcolo. Penso che sia stato più un disegno, ma un disegno poco degno e pericoloso. Abbiamo soltanto perso tempo grazie a questa strategia, abbiamo perso il ritmo per le riforme nazionali. In ogni caso, Medvedev è un errore di Putin, forse fatale. Putin e la legittimità della sua politica probabilmente avranno fallito irreversibilmente alla fine del periodo 2008-2012. Considerando la possibilità di perdere o meno il potere, tutto ciò potrebbe diventare una mossa fortunata per Putin. Negli anni 2000, Putin aveva avviato le riforme nazionali necessarie, una correzione radicale del corso degli anni ‘90. Ha compiuto tante azioni importanti spesso perfino salutari, ma non le ha mai portate a conclusione, lasciando tutto sempre a metà strada ed oggi inizia a cogliere i frutti di questa incoerenza.

[Andrea Fais]: Com’è noto, Lei da anni è uno dei più autorevoli esponenti dei cosiddetti ambienti neo-eurasiatisti, non di rado molto influenti all’interno delle istituzioni politiche russe. Tuttavia, l’Eurasiatismo è una corrente culturale molto complessa e variegata al suo interno, avviata nei primi decenni del secolo scorso, come sviluppo e superamento del “bizantinismo” di autori ottocenteschi quali Alekseij Chomjakov e Konstantin Leont’ev. Quali implicazioni e quali risvolti può avere l’idea eurasiatica per la Russia e per l’intero continente, nel mondo attuale?

Ho scritto tanti libri e centinaia di articoli dedicati alla questione ’Eurasiatismo’. Credo che sia l’unica ideologia possibile per la Russia moderna. Il suo significato sta nel fatto che la Russia non rappresenta un paese, ma un’intera civiltà, non è Oriente nè Occidente, non è modernità e non è arcaismo, ma qualcosa di originale. Per questo la Russia deve svilupparsi sulla propria via, non copiare il liberalismo occidentale, il capitalismo, la democrazia e la retorica dei diritti umani. Abbiamo la nostra filosofia, la nostra religione, cultura, antropologia e ontologia. La Russia è una civiltà indipendente, la quale non deve essere paragonata a nessun paese europeo, ma alla Cina o all’India, concepita cioè come un intero continente culturale. Diversamente dal panslavismo e dal bizantinismo, l’eurasiatismo riconosce l’importanza delle culture non-slave ed etniche e delle religioni non ortodosse (compreso l’islam, il buddismo ecc. …) e li colloca in una dimensione onnicomprensiva. L’eurasiatismo, al contempo, non vede nel periodo sovietico della nostra storia soltanto un’ideologia totalitaria materialistica estranea, come risultato di una trama politica, ma la volontà del popolo russo verso l’unità, la comunione, l’identità collettiva, la conciliazione. Da qui ha inizio il nazional-bolscevismo. In un senso più ampio l’eurasiatismo ha, a mio parere, un’importanza mondiale, così come ogni cultura e civiltà può trovare il suo posto in questa filosofia e strategia.

[Federico Della Sala]: La teoria Eurasiatista da Lei supportata mira ad un sistema globale multipolare. Ci può spiegare quali sono le differenze tra un sistema unipolare e uno multipolare? Quali sono i vantaggi per gli individui, i popoli e le nazioni se si venisse a creare un’organizzazione globale multipolare?

L’idea del sistema unipolare intende il fatto che per tutte le società esiste solo un unico insieme di valori: individualismo, mercato, democrazia parlamentare, ideologia dei diritti umani, sviluppo tecnologico, accumulo di beni e liberalismo. Tutti questi valori sono stati realizzati in Occidente e sopratutto negli USA. Tutto sembra dover essere relativo al modello della società occidentale americana. Gli Usa e l’Occidente diventano l’esempio assoluto e costituiscono la base di un governo mondiale. Il sistema unipolare presume la graduale de-sovranizazzione e uniformazione del mondo. Questa tendenza non è compatibile né con la preservazione dell’indipendenza dello Stato né con la preservazione di una cultura delle origini. Il mondo unipolare è sponsorizzato da agenti filo-americani globalisti, liberalisti, pronti a sacrificare le loro società per un’utopia del mondo globale, basato sulla totale atomizzazione dell’essere umano. Gli individui possono avere vantaggi ed aumentare i propri comfort, per avere successo. Però le culture, le civiltà, le tradizioni vengono cancellate. Anche gli Stati sono soggetti ad una liquidazione graduale. Per questo, tutto dipende dalla forma di identità. Se una persona si crede solo un individuo, la globalizzazione e l’unipolarismo possono dargli questa possibilità (ma questo non è assolutamente garantito). Se per egli, Etnos, Cultura, Stato, Società, Tradizioni, Confessioni, ecc. … hanno un’importanza, l’unipolarismo non è adatto a lui. La multipolarità permette alle società di conservare la propria unicità, per la maggior parte dell’umanità tutto ciò ha un valore. Quindi combattere contro la globalizzazione, l’unipolarismo e l’americanizzazione è il nostro compito comune, compito di tutta l’umanità.

[Andrea Fais]: Tra il 1989 ed il 1991 l’intero pianeta assistette a quella che Putin ha definito “una delle più grandi catastrofi geopolitiche del secolo scorso”, cioè il crollo dell’Unione Sovietica e del Blocco Socialista di cui era guida. Sul piano politico, economico e, soprattutto, strategico, cosa ha significato quel triennio così sconvolgente per la Russia, per il suo cosiddetto “estero vicino” e per il mondo intero?

La fine del mondo bipolare ha significato l’arrivo del momento unipolare (Krauthammer). Dal punto di vista geopolitico è stata la vittoria del Mare sulla Terra, il trionfo della talassocrazia. Il capitalismo liberale e l’americanismo sono diventati globali e sono divenuti dei fattori senza alternative. Non sono nè marxista nè comunista, ma l’Unione Sovietica rappresentava un mondo migliore di quello capitalistico. Gli Stati Uniti sono un vero impero del male. Quando l’URSS fu disintegrata e la Russia cercò di integrarsi nel mondo occidentale negli anni ‘90, sono stati anni terribili per noi. Con l’arrivo di Putin, la situazione è cambiata in meglio. Ci siamo resi conto di quanto è ingiusto, cinico e vigliacco lo stile di vita americano. Abbiamo visto la diffusione della Nato ad Est (Est Europeo, ndr), abbiamo visto i doppi criteri (di valutazione geopolitica, ndr) riguardo al terrorismo internazionale e l’aggressività americana. La Russia divenne debole e perse il controllo sul suo estero vicino. Il paese ha continuato a degradarsi e a crollare (Cecenia). Putin ha cercato di fermare la disintegrazione, rivolgendosi agli Usa con più durezza, e rafforzando le posizioni della Russia a livello internazionale. Ha cominciato a cercare alleanze con le forze continentali in Europa. Come risultato, l’Occidente ha avuto una reazione isterica ed ha iniziato a demonizzarlo. Ma come ho già detto, si è fermato a metà strada.

[Federico Della Sala]: Da un punto di vista geopolitico come potrebbe intervenire la Russia per mutare gli equilibri di un’Europa a direzione statunitense? E da un punto di vista culturale come riuscire a proporre una visione eurasiatista nell’Europa occidentalista? Occorre una profonda rivoluzione culturale?

L’eurasiatismo per l’Europa è l’europeismo. La Russia-Eurasia non ha bisogno di un’Europa eurasiatista, ma di un’Europa europeista, libera dalla dittatura americana, forte, indipendente e orientata verso i propri interessi geopolitici. L’Europa autonoma e indipendente dagli Stati Uniti, con una sua forza geopolitica ed economica – questo è l’ideale per l’eurasiatismo. Nella migliore ipotesi, questa Europa continentale potrebbe essere un alleato e partner strategico per la Russia. E come minimo un polo autonomo del mondo multipolare insieme ad altri. Come realizzarlo? Bisogna liberarsi dall’imbragatura atlantista americana. Bisogna trovare il modo di sviluppare una strategia comune per gli europei ed il mondo islamico. Bisogna superare le contraddizioni tra la destra e la sinistra, le quali non corrispondono a niente. Bisogna giungere ad un’identità europea. Dobbiamo ricordare le radici culturali europee e le loro origini, le tradizioni. Ma questo devono farlo gli europei, non i russi. Se in Europa non avviene questa rivoluzione, nei prossimi dieci anni sparirà come fenomeno di civiltà.

[Andrea Fais]: Nel 1993 si consuma una delle più gravi tragedie sociali della Russia contemporanea. Schiacciata dal neo-nato regime liberista, la popolazione scende in piazza ritrovando una straordinaria unità patriottica tra i militanti filo-sovietici e i nazionalisti pan-russi, fermati soltanto dai proiettili della polizia e dell’esercito di Eltsin, che poco dopo decise di cannoneggiare l’edificio di quel parlamento che stava per sfiduciarlo. Quale fu il Suo contributo teorico alla stesura del programma del rinato Partito Comunista Russo di Gennadij Zyuganov e, soprattutto, al giorno d’oggi cosa è restato nel panorama politico russo dell’esperienza del Fronte di Salvezza Nazionale?

Ho aiutato a preparare il programma dei neo-comunisti di Zyuganov. Ho partecipato al Fronte di Salvezza Nazionale, ero nel palazzo del governo e in Ostankino nell’ottobre del 1993. Lì abbiamo perso. I leader dell’opposizione popolare non erano all’altezza di affrontare la situazione. In tutti quei giorni, si erano uniti nel contrastare l’ultraliberismo, l’americanismo, l’oligarchismo e la russofobia di Eltsin e delle persone che lo circondavano. Non c’era un programma positivo in quel momento, tutto è fallito e non ho bei ricordi di quei giorni. Il Partito Comunista e altre organizzazioni politiche hanno fallito completamente. Oggi non hanno una forza politica, ma costituiscono soltanto un simulacro. Nella Russia politica si muovono usando altre strade – non con l’aiuto di un’organizzazione, ma con i partiti. Ora sono concentrato sullo sviluppo del Movimento Eurasiatista, sullo sviluppo intellettuale, sociale, filosofico, etno-sociale e geopolitico, sulla Quarta Teoria Politica che si contrappone al liberalismo, superando comunismo e fascismo. Finché non avremo un programma solido basato sulle analisi delle nuove condizioni (post-moderne), non potremo cambiare nulla.

[Federico Della Sala]: In Europa i gruppi neo-nazionalisti si sono spesso opposti al processo federativo Europeo, come avvenne in Francia. Altre volte, specialmente durante la Guerra Fredda, gli stessi nazionalisti, tramite lo spauracchio dell’anticomunismo, hanno spesso contribuito alla causa liberale che, sul piano strategico, si riflette nelle posizione atlantiche, come ad esempio accadde in Italia con il Movimento Sociale Italiano. Secondo Lei, alla luce dei recenti cambiamenti geopolitici i nazionalismi europei potrebbero diventare validi sostenitori della causa eurasiatista, e quindi rinnovarsi ideologicamente, o, al contrario, diverrebbero strenui nemici? Quali sono quindi i pregi e i vantaggi del nazionalismo moderno?

Credo che l’eurasiatismo e il nazional-bolscevismo avrebbero potuto essere molto attuali in ambito antagonistico nell’odierno panorama nazionalistico europeo. Esistono già questi gruppi in Italia, Francia, Grecia e nei paesi esteuropei. Prototipi di questo filone, si possono trovare nei non-conformisti degli anni 30 (Mounier, Denis de Rougemont), in parte anche Bataille, Leiris, Quine, nella Rivoluzione Conservatrice, e successivamente al 1945, in Europa Meridionale con Thiriart e GRECE di Alain de Benoist. Al giorno d’oggi oltre al movimento eurasiatista mi attraggono Alain de Benoist, Alain Sorail, Kristian Bushe, con le cui analisi mi trovo in pieno accordo. Probabilmente si può attendere un’evoluzione positiva del Front National francese di Marine Le Pen. Ci sono anche alcuni movimenti interessanti tra gli antiamericani e antiliberali di sinistra. Il vecchio nazionalismo ormai non è più attuale. Si ha la necessità di un nuovo nazionalismo europeo o soltanto europeismo, il quale potrebbe unire la tradizione e la giustizia sociale, vale a dire la rivoluzione. Bisogna stabilire i nemici e gli amici. I nemici dell’Europa sono gli Stati Uniti, il liberalismo, l’universalismo, il materialismo, l’economismo, il tecnicismo, l’atlantismo. Questo è un male. Gli amici dell’Europa sono la tradizione, lo spiritualismo, il continentalismo, il pluralismo dei valori, la multipolarità. Penso che si debba realizzare una revisione fondamentale del nazionalismo. E de Benoist in questo senso è il migliore in circolazione.

[Federico Della Sala] Le lezioni sociologiche, economiche e filosofiche di Marx e Lenin sono fondamentali. Nel sistema socio-economico odierno quali sono gli aspetti ancora attuali di quelle teorie? E quali sono invece gli aspetti che andrebbero rivisti o abbandonati? E’ possibile quindi una rilettura di quelle opere senza scadere nel dogmatismo fine a se stesso che, almeno qui in Italia, ha sempre dato vita a sacche politiche ideologizzate abbastanza inermi davanti ai problemi reali e attuali della modernità?

La sociologia di Marx è fondamentale, come lo è l’analisi del capitale e del proletariato. Lenin ha una bella ed efficace teoria della rivoluzione. Però tutti e due sono obsoleti. Non vedo il senso dello scavare nel passato. Il comunismo è importante perchè nega il liberalismo e richiama il combattimento contro il capitalismo. Questo possiamo accoglierlo. Vale la pena recepire anche il carattere olistico che ha il socialismo. Però il materialismo, il progressismo e l’ateismo sono assolutamente irrilevanti e bisogna abbandonarli, dal momento che, dal punto di vista filosofico, seguono le orme della cultura a-critica positivistica del XIX secolo. Sono convinto che il fascismo e l’ideologia della terza via siano ancora più inadeguati. Il liberalismo è un male assoluto, sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista pratico moderno. L’alternativa del liberalismo la si deve cercare non nel passato ma nel futuro, non nelle teorie politiche vecchie, ma nelle nuove. In particolare nella Quarta teoria, la quale corrisponderebbe alle condizioni della post-modernità e sarebbe basata sull’analisi politica e storica del XX secolo, in linea con le conclusioni della Nuova era. Abbiamo bisogno di un nostro post-modernismo. Sviluppare questa linea dovrebbe riguardare personalità tanto di sinistra quanto di destra, tutti quelli che cercano un’alternativa alla liberalizzazione globale e all’egemonia americana. Oggi neo-comunismo e neo-fascismo vengono sfruttati dal nemico. Bisogna fare un passo decisivo nel futuro.

[Andrea Fais]: Sono passati tanti secoli da quando, anticipando la massima del monaco Filoteo, Ivan III decise di recuperare il mito della Terza Roma, dalle ceneri dell’Impero Bizantino ormai sulla via della dissoluzione; tuttavia quest’idea, come anche Lei ha spesso sottolineato, non è mai morta, forse nemmeno durante l’era sovietica, malgrado il distacco apparentemente molto netto tra sfera politica e sfera religiosa. Oggi in Russia come viene percepito questo specifico carattere imperiale e qual’é la posizione della Chiesa Ortodossa in merito?

La posizione della Chiesa coincide con la mia. La Terza Roma è un ideale, per la Russia ortodossa è come un esempio della vita socio-politica ed è il culmine della nostra storia nazionale. Questa idea è la quintessenza per la coscienza politica e storica russa. Questa “translatio imperii” ci ha fatti diventare così come siamo adesso. La Terza Internazionale è stata la paradossale edizione comunistica della Terza Roma.

[Federico Della Sala]: La creazione del modello eurasiatista comprende anche una nuova organizzazione economico-sociale? Lei ha pensato ad una possibile struttura economica che si opponga concretamente al modello capitalistico e liberoscambista?

Certo che si. La cosa più importante è di mettere al centro dell’economia valori non materiali. Lo ha spiegato benissimo il sociologo francese Louis Dumont. Il capitalismo è basato sull’importanza del rapporto tra l’individuo e la proprietà privata, vale a dire tra il soggetto privato e l’oggetto privatizzato (il dualismo cartesiano ai confini dell’individualità). Su questo è basata la teoria e la pratica economica moderna del capitalismo ed anche la teoria critica del comunismo (Dumont dimostra eccezionalmente l’individualismo metodologico, il quale è la base dell’analisi economica marxista). Il modello alternativo dell’economia non deve accentuarlo, ma deve accentuare i rapporti sociali tra gli uomini. La produzione, la distribuzione e la consumazione dei valori materiali è solo un punto di valutazione dell’essere sociale. Mettendo questo al centro dell’attenzione, ci troviamo in una trappola metodologica. Nel mio libro “Fine dell’Economia” ho dimostrato in dettaglio che un modello ottimale economico esiste nelle società che mettono l’economia alla periferia dell’attenzione e non viceversa. Meno noi pensiamo all’economia, più efficace sarà il sistema economico. In questo senso sono rilevanti i lavori di Georges Bataille sull’economia dei valori e sulle funzioni sociali della vittima. La parte accidentale, cioè i valori aggiunti, va liquidata ritualmente in forma di orgia e sacrificio.

[Andrea Fais]: Tra la fine del 1998 e la prima parte del 1999, Evgenij Primakov spaventò l’Occidente, quando, da Primo Ministro in carica, sostenne la necessità di costituire un nuovo blocco continentale con Cina e India, capace di ripristinare un equilibrio nei rapporti di forza internazionali, rispetto allo strapotere globale acquisito da Washington. Dopo la fine delle rilevanti crisi sino-sovietiche della Guerra Fredda, secondo Lei, la nascita della Shanghai Cooperation Organization potrebbe avere finalmente posto solide premesse per un’alleanza strategica Mosca-Pechino a lungo termine?

La necessità di formare un blocco politico-militare come alternativa alla NATO deriva direttamente dalla teoria eurasiatica. L’idea di Primakov non è stata realizzata fino alla fine. La SCO è stata il passo più importante in questa direzione. La Cina è un partner della Russia nel mondo multipolare. È molto probabile che sia il passo più importante, ma nello stesso tempo è una minaccia demografica. L’arte della politica sta nel bilanciamento tra l’uno e l’altro aspetto. Come partner strategico eurasiatico, migliore potrebbe essere il Giappone, se uscisse dal controllo americano.

[Federico Della Sala] L’operaio descritto da Junger è forse una delle figure antropologiche più caratteristiche del ‘900. In Europa oggi sembra che l’operaio abbia perso molte delle particolarità delineate da Junger, tanto da confondersi magistralmente nella massa socialdemocratica. Qual è quindi l’importanza e il ruolo dell’operaio nel 2000?

Credo che questa figura non esista più. L’Operaio rappresenta il mondo moderno, anche se è un suo mondo particolare. Ai giorni di oggi è arrivata la post-modernità e l’industria è stata sostituita dalla società informatica. Penso che abbiamo bisogno di una nuova figura al posto dell’Operaio. Propongo in questa qualità alcuni concetti come: Soggetto Radicale (quello che cambia quando cambia tutto), Pre-Uomo (un concetto anticipato dell’uomo), Angelo (angelologia politica al posto della teoria politica di Schmitt).

[Andrea Fais]: In più di un’occasione, Lei ha valutato positivamente l’epopea di Stalin alla guida dell’Unione Sovietica, evidenziandone l’accentuato carattere grande-russo impresso sul suo pensiero marxista-leninista e u na pa rziale vicinanza agli ambienti del Patriarcato, rafforzata i n ma niera determinante dagli incontri del leader sovietico coi metropo liti, nel pieno della Grande Guerra Patriottica. Un sondaggio di pochi anni fa e la richiesta di canonizzazione da parte di alcuni ambienti politici e religiosi, hanno lasciat o stupefatti quegli analisti occidentali che ancora oggi annoverano lo statista bolscevico tra i dittatori più spietati. Che idea hanno i Russi, giovani e meno giovani, di Stalin?

Stalin è diventato oggi un mito popolare russo. Nessuno lo considera come una figura storica. Lui è stato un grande leader di un grande paese. Confrontandolo alla Russia di oggi con i suoi leader miserabili, Stalin è un titano. Il suo culto cresce insieme alla lotta degli gnomi russofobici liberali contro di lui ed insieme all’odio dell’Occidente. Non cerco assolutamente di idealizzare Stalin, ma questo è un dato di fatto.

[Federico Della Sala]: Secondo Lei esistono delle differenze nette tra il capitalismo novecentesco e il turbo – capitalismo odierno, come lo definirebbe Luttwak? Quali sono quindi le dirette conseguenze di queste dinamiche globali sull’individuo? Il sociologo Zygmunt Bauman afferma che il capitalismo globale ha dato vita a due classi distinte: una extraterritoriale, liquida, simbolo dell’alta finanza e della velocità, l’altra, senza voce in capitolo nelle faccende politiche che contano, relegata negli spazi urbani delle periferie metropolitane. In questi luoghi l’individuo si estranea dal resto della società, covando i suoi miseri egoismi e le sue paure sociali. Quanta importanza ha riformare la comunità in questo sistema capitalistico?

Le affermazioni di Luttwak e Bauman a riguardo delle condizioni della post-modernità le considero corrette e giuste. Questa fase del capitalismo corrisponde al post-modernismo. Credo che il capitalismo sia un male assoluto in tutte le sue manifestazioni, moderne (società industriale) e post-moderne (società informatica). Il capitalismo non va riformato ma dev’essere liquidato. Una società, basata sulla figura normativa di un uomo economico in tutti le sue versioni, è disgustosa. Però il turbocapitalismo è molto più cattivo, aggressivo, velenoso ed invasivo del capitalismo precedente. Ed è per questo che mette in evidenza molto di più il suo male. In questo senso possiamo dire “peggio è, meglio è”, dove c’è il rischio, c’è la salvezza. Bisogna fare un passo in avanti ed attraversare il confine dei “tempi indigenti” (sui quali ha scritto Hölderlin e sui quali ha commentato Heidegger in Holzwege) e non cento passi indietro.

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