Prima Parte

 

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20 giugno 2016

 

Islamismo radicale: da decenni una strategia anti-Mosca

di Giovanni Giacalone

 

Corsi e ricorsi storici, nelle analogie e differenze tra il conflitto afghano/sovietico, la Guerra di Bosnia e il conflitto siriano. Sullo sfondo si stagliano le medesime strategie finalizzate al raggiungimento di scopi politici ed economici ben precisi, che a volte sfuggono all'occhio del lettore.

 

La storia mondiale, nel suo lunghissimo corso, è caratterizzata da eventi, situazioni che richiamano ad altri periodi storici con avvenimenti simili, seppur in contesto sociale, temporale e geografico differenti e a volte legati a tumulti, conflitti e gravi crisi politiche. Fenomeni che spesso vengono ricollegati alla teoria dei “corsi e ricorsi storici”.

In certi casi però tali avvenimenti sono prevalentemente legati a strategie operative ben precise che puntano a raggiungere determinati scopi politico-economici, strategie che a volte passano inosservate nel tempo nonostante gli elementi che li accomunano siano piuttosto evidenti.

Cos’hanno dunque in comune il conflitto afghano/sovietico (1979-89), la guerra di Bosnia (1992-1995) e il conflitto siriano (2011-2016)?

Se i contesti geografici, sociali, temporali e politici sono chiaramente distinti, ci sono dei comun denominatori che andrebbero invece attentamente esaminati:

- La contrapposizione di Washington a Mosca

- L’utilizzo di jihadisti per contrastare il nemico

- L’appoggio dell’Occidente e/o in particolare di Washington agli islamisti

- Il supporto finanziario di ambiti wahhabiti, in particolare dell’Arabia Saudita ai jihadisti.

Esaminiamo dunque questi comun denominatori, legati ai tre conflitti in questione, focalizzandoci su uno alla volta.

Prima parte: Il Conflitto afghano-sovietico (1979-1989)

La guerra tra i sovietici e i mujahideen afghani durò dieci lunghi anni, dal dicembre 1979 al febbraio 1989 ed è oramai ben noto come la tenace resistenza afghana sia prevalentemente dovuta al costante e sistematico supporto da parte degli Stati Uniti, per quanto riguarda il rifornimento di armi e l’addestramento dei guerriglieri. Un supporto che trova un nome ben preciso in operazione “Cyclone”, una tra le più lunghe e costose iniziative che la CIA abbia mai compiuto, con un fondo iniziale di 20–30 milioni di dollari all’anno nel 1980 fino ai 630 milioni all’anno nel 1987.

Un’operazione che puntò in maniera drastica su gruppi islamisti con base in Pakistan e legati all’ex presidente/dittatore Muhammad Zia-ul-Haq, anch’egli di chiara ideologia islamista, che regnò nel Paese dal 1977 alla sua morte, avvenuta nel 1988.

Come illustrava lo studioso James Wyndbrandt, fu proprio l’apparato di Zia a gestire e coordinare i jihadisti anti-sovietici, supportato da americani e sauditi.

Per Washington era fondamentale che Mosca perdesse la guerra in modo da accelerare il collasso dell’Unione Sovietica e per realizzare ciò non solo non si badava a spese, ma non ci si preoccupava neanche di chi si recava in loco a combattere. Non a caso in Afghanistan iniziarono a confluire migliaia di “arabi”, estremisti islamici, legati alla più rigida applicazione della Sharia e provenienti da nazioni come Arabia Saudita, Kuwait, Egitto e Algeria. Un’occasione d’oro per quei paesi che volevano togliersi dai piedi violenti sovversivi che rischiavano di diventare un serio pericolo per la stabilità dei rispettivi regimi. In Afghanistan serviva manodopera e non risultò difficile trovarla.

Tra gli elementi più attivi per la “causa” troviamo personaggi come il palestinese Abdullah Azzam, il miliardario saudita Usama Bin Laden, l’egiziano Ayman al-Zawahiri che, dopo una fase nei Fratelli Musulmani, si unirà alla Gamaa al-Islamiyya; se il primo diventerà “padre ideologico” della jihad globale, gli altri due saranno i vertici della ben nota al-Qaeda, sviluppatasi in Afghanistan proprio in conseguenza dell’operazione Cyclone; gruppo che diventerà il nemico numero uno di Washington.

Un’organizzazione di gran rilevanza per la raccolta fondi e il reclutamento di “mujahideen” per l’Afghanistan fu la Maktab al-Khidamat, fondata nel 1984 proprio dai tre personaggi citati prima. Non solo, ma MAK ebbe anche un ruolo di primo piano per la raccolta fondi di cui potrà poi beneficiare al-Qaeda negli anni ’90; non siamo noi a dirlo ma un rapporto della National Commission on Terrorist Attacks Upon United States del 2004:

“One offshoot of MAK in the United States, the Al Khifa Refugee Center in Brooklyn, facilitated the movement of jihadist fighters in and out of Afghanistan. After the defeat of the Soviets, MAK and Al Kifah continued the mission of supporting jihadist fighters throughout the world. According to the U.S. government, a number of the persons convicted in the first World Trade Center bombing were associated with the Al Khifa Refugee Center, as was Sheikh Omar Abdel Rahman, the “Blind Sheikh,” who is now serving a life sentence for his role in the foiled plan to bomb New York City tunnels and landmarks”.

Dunque una delle sedi della MAK era il Centro per i Rifugiati al-Khifa, che da un Brooklyn si occupava di facilitare gli spostamenti dei jihadisti anti-Mosca.

Da notare che tra i coinvolti figura anche lo “sceicco cieco” egiziano, Omar Abdel Rahman (anch’egli legato alla Gamaa al-Islamiyya, di cui era leader spirituale), attualmente in carcere negli Usa per terrorismo. Nel 2012 l’ex presidente islamista egiziano Mohamed Morsy invocò la liberazione dello “sceicco cieco”, dichiarando che avrebbe fatto tutto il possibile per farlo scarcerare. Lo stesso Morsy che trovò un inconsueto e tenace sostegno da parte dell’Amministrazione Obama, che puntò molto sugli ambienti islamisti per appoggiare le cosiddette “primavere arabe”.

Vi erano poi anche altre “organizzazioni” finite poi nel mirino della Commissione, come la Global Relief Foundation e la Benevolence International Foundation, entrambe con sede in Illinois, pubblicamente accusate dal governo federale, subito dopo l’11 Settembre, di aver fornito supporto ad al-Qaeda. Sempre secondo il rapporto della Commissione, l’FBI indagava da anni su queste ONG, ma i provvedimenti nei loro confronti vennero presi soltanto dopo i devastanti attacchi alle Torri Gemelle.

La GRF risultò molto attiva anche in contesti come quello bosniaco durante la guerra del 1992-1995 e in Cecenia durante la Prima Guerra anti-Mosca (1994-1996), con sedi a Bruxelles, Sarajevo, Zagabria e Baku. Chi conosce un po’ la storia dei conflitti di Bosnia e Cecenia non potrà evitare di notare l’importanza strategica di tali luoghi in quegli anni.

Teniamo inoltre ben presente la Gamaa al-Islamiyya egiziana, di cui facevano parte sia Ayman al-Zawahiri che Omar Abdel Rahman, perché ricoprirà un interessante ruolo anche nella guerra di Bosnia.

Per quanto riguarda i sauditi, il loro ruolo andava ben oltre il finanziamento e l’esportazione di jihadisti, visto che la propaganda radicale di stampo wahhabita garantiva a Riyadh l’egemonia sull’Islamismo afghano, con conseguente parziale influenza ideologica anche su quei miliziani che prenderanno Kabul anni dopo e che diventeranno noti come “Talebani”. Una strategia che i Sauditi tenteranno anche nei Balcani e in Siria, ma questo verrà esaminato nella prossima parte.

 

Seconda Parte

 

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28 giugno 2016

La guerra in Bosnia e la nascita del jihadismo nei Balcani

di Giovanni Giacalone

 

Se la guerra tra afghani e sovietici durò una decade, quella di Bosnia molto meno, dall’aprile 1992 al dicembre 1995. Ciò non impedì però a migliaia di mujahideen arabi, molti dei quali veterani dell’Afghanistan, di confluire in territorio bosniaco per affiancare quei musulmani autoctoni che non vedevano con favore tale presenza a causa della lettura fanatica, di stampo wahhabita, che i jihadisti divulgavano. I bosniaci avrebbero di gran lunga preferito ricevere armamenti, visto che gli uomini per combattere li avevano.  Ciò nonostante la comunità internazionale e in primis Stati Uniti, Nato, Onu ed Europa preferirono chiudere entrambi gli occhi davanti a quel pericoloso flusso di jihadisti che avrebbero poi posto le basi per la radicalizzazione islamista oltre Adriatico. La prova più evidente della presenza jihadista in Bosnia è l’unità “el-Mudzahid”, composta in prevalenza da jihadisti arabi, formata tra il 1992 e il 1993 e con base a Zenica. Tra i suoi membri vi erano fior di esponenti del terrorismo islamista legato al GIA algerino, alla Gamaa al-Islamiyya e ad al-Qaeda, come Abu Abdel Aziz “Barbaros”, Abu Maali, Anwar Shabaan (ex imam del Centro Culturale Islamico di viale Jenner) e Abu Hamza al-Masri (ex imam della moschea di Finnsbury Park, a Londra). Tra i personaggi che si sono aggirati in Bosnia in quegli anni per supportare la “resistenza” troviamo Usama Bin Laden, Khalid Sheikh Muhammad, Ayman e Muhammad al-Zawahiri e persino “Emir Khattab”, che nel 1996 si recherà in Cecenia a combattere contro i russi. Ingenti erano inoltre i finanziamenti che arrivavano ai jihadisti da ONG e organizzazioni come la al-Haramain, la TWRA, GRF ed altre ancora. In poche parole, l’intera “internazionale del terrore” era presente oltre Adriatico e sotto gli occhi di tutti e la domanda sorge lecita: perché?

Si potrebbe ipotizzare che dopo la fine della guerra afghana contro i sovietici, migliaia di jihadisti arabi si trovarono improvvisamente “disoccupati” e impossibilitati a rientrare nei propri paesi d’origine (Egitto, Algeria, Tunisia, Arabia Saudita, Kuwait, Pakistan ecc…) dove sarebbero diventati un pericolo per la stabilità e la sicurezza (e in alcuni casi lo diventeranno, come in Egitto e Algeria). Poco dopo scoppiò la guerra di Bosnia e risultò chiaro fin dall’inizio come l’Occidente stesse dalla parte dei croati e dei bosniaci, contro quei serbi che furono da subito visti come la “lunga mano” di Mosca nei Balcani, in un momento in cui, tra l’altro, la Russia si trovava nel pieno di una delle peggiori crisi economiche e politiche della sua storia.I jihadisti arabi potevano dunque essere ricollocati in un altro scenario di guerra (evitando così che destabilizzassero i regimi arabi alleati dell’Occidente) per essere utilizzati come proxy contro i serbi e indirettamente contro Mosca. Una strategia che verrà poi replicata a partire dal 1996 in Cecenia, contro i russi, tanto che il già citato Emir Khattab diventerà uno dei leader del jihadismo in Cecenia, prima di venire eliminato dall’FSB nel 2002. Il primo attentato islamista nella storia dei Balcani avverrà proprio a causa della presenza dei jihadisti giunti dall’”internazionale del terrore”, nell’autunno del 1995, con obiettivo una stazione di polizia locale. I due attentatori erano membri della Gamaa al-Islamiyya egiziana.

Dopo gli accordi di Dayton del 1995, molti di questi jihadisti si stabilirono nell’area e posero le basi per la diffusione dell’islamismo radicale, insediandosi in zone periferiche e dando vita a enclaves in posti come Gornja Maoca, Buzim, Zenica, Osve e beneficiando di ingenti fondi provenienti dal Golfo e grazie ai quali poterono radicalizzare un cospicuo numero di giovani bosniaci e tessere reti che diventeranno poi transnazionali. Il simbolo per eccellenza di questo fenomeno è l’odierna moschea wahhabita di Sarajevo che, curiosamente, è anche la sede diplomatica del Regno in Bosnia. In poche parole, i bosniaci convertiti al wahhabismo possono andare a pregare in “suolo saudita” a Sarajevo. Tra i predicatori bosniaci più noti, radicalizzati dagli arabi, ci sono Jusuf Barcic, Bilal Bosnic, Nusret Imamovic, Muhammad Fadil Porca, Mirsad Omerovic “Ebu Tejma”, Ibrahim Delic. Alcuni di loro hanno anche studiato in Arabia Saudita. La radicalizzazione in seguito influenzerà anche altri paesi limitrofi come Albania, Macedonia e Kosovo, con le relative differenze di contesto, diventando così una seria minaccia sia per la stabilità dei Balcani che per la sicurezza in Italia.

 

Fonti:

Wynbrandt, James (2009). A Brief History of Pakistan. Facts on File. p. 216. In his first speech to the nation, Zia pledged the government would work to create a true Islamic society.

http://www.9-11commission.gov/staff_statements/911_TerrFin_Monograph.pdf pp.87-92

http://www.9-11commission.gov/staff_statements/911_TerrFin_Monograph.pdf p.88

http://www.globalresearch.ca/sleeping-with-the-devil-how-u-s-and-saudi-backing-of-al-qaeda-led-to-911/5303313

http://www.theblaze.com/stories/2012/09/28/egypts-morsi-i-will-do-everything-in-my-power-to-secure-freedom-for-the-blind-sheikh/

http://www.9-11commission.gov/staff_statements/911_TerrFin_Monograph.pdf p.87

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