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05/09/2014

La vera guerra di religione sono la preghiera e l'amore
di Don Paolo Padrini

C'è un fraintendimento (più o meno volontario) quando si parla di "guerre di religione". E soprattutto c'è un colpevole - questa volta - ulteriore fraintendimento quando si addita come "buonista" (o peggio) chi si propone invece di cercare nel dialogo tra le religioni l'antidoto alle crisi interazioni come quale che stiamo vivendo ora in Iraq e Siria.

Fede e religione non sono la stessa cosa: quando spesso noi cattolici diciamo che non siamo una "religione" ma una "fede", diciamo bene. O meglio: ciò che si tenta di argomentare con questa distinzione (che ai più potrebbe sembrare superflua) è che l'espressione religiosa, che ha in sé manifestazioni sociali, di culto, politiche (con tutte le problematiche annesse), ha una radice molto più profonda in una fede che ne sostanzia e ne dovrebbe strutturare anche le manifestazioni pubbliche (religiose, appunto).

Quello che intendo dire - ovviamente esprimendo qui la mia personale posizione e ben disposto a metterla in discussione a fronte di pareri differenti - è che la "religione" e la "fede" sono concetti distinti anche se non separabili. Possiamo dire che siano concetti che debbano sempre essere tenuti in tensione, in relazione. Non solo: quello che voglio dire con forza, è che - a mio parere - tale "distinzione" (e una attenta riflessione sul rapporto tra dimensione religiosa e credenze di fede) dovrebbe essere ben chiara proprio in momenti di crisi come questi.

Ecco perché non si può - come Giuliano Ferrara scrive oggi 5 settembre sulle pagine del Foglio - annunciare che l'unica soluzione alla crisi "religiosa" Islamica sia una guerra "religiosa" (non chiamiamola santa, per cortesia!), confondendo di fatto i due piani (quello delle manifestazioni religiose che comprendono anche espressioni culturali/politiche e quello della fede nel proprio unico Dio).

Ed ecco perché non si può mettere di fatto sotto accusa l'atteggiamento di dialogo proposto da chi si impegna quotidianamente per un incontro tra le fedi, a sostegno della pace.

Questo dialogo è, proprio per le motivazioni che esprimevo prima, ancora più necessario, anzi, fondamentale. Dialogare sul piano della fede (e la preghiera continuamente chiesta ed esercitata da Papa Francesco è proprio il cuore di questa "politica" del dialogo) è l'unica leva per fare sì che anche il rapporto tra le religioni (con le loro strutture necessariamente anche politiche) possa portare frutti di pace. E questo accade perché la vita di fede è come la spina dorsale, il midollo, all'interno di ogni "corpo religioso".

La preghiera, il dialogo nella fede, è in questi termini "atto politico", capace di dare sostanza (e coscienza) alle scelte operative (per la pace o per la violenza) che ogni persona religiosa dovrà compiere, dal punto di vista personale e da quello della sua struttura sociale e politica.

C'è chi dice che le "religioni" sono spesso diventati strumenti di guerra e di morte. Se non mettiamo sempre, ermeneuticamente e "concretamente" in relazione la dimensione religiosa con quella della fede, questa affermazione diventa vera. Inesorabilmente vera. Ed anche la preghiera, che ha necessariamente una sua manifestazione pubblica e religiosa, può diventare a sua volta strumento di male (quante guerre abbiamo tutti benedetto?). Ma se ragioniamo così, noi continuiamo a rimanere nella confusione dei "livelli", commettendo errori enormi, e corriamo questi rischi perché dimentichiamo che è nel livello della coscienza illuminata dalla fede che deve riscoprirsi sempre il "cuore" del nostro vero vivere religioso. Così facendo trasformiamo di fatto la nostra fede in una realtà "mondana", nella quale Dio non c'entra nulla. E magari ci spingiamo - proprio nel nome di Dio , a postulare che l'uccisione dell'altro possa essere concepita come "elemento religioso" all'interno della propria fede.

Se questo è il nostro pensiero, quello che occorre fare (costantemente) è ciò che si chiama (ed i "papi" ce lo ricordano continuamente) purificazione del cuore, e concretamente purificazione del nostro modo di vivere la fede.

E ancora una volta torniamo alla importanza della cultura della pace e dell'incontro, che Papa Francesco continuamente propone, anche come forma di purificazione della fede. Una cultura che ha come motore propulsivo una vita di fede personale e comunitaria autentica, sempre interpellata dalla fedeltà all'uomo ed alla vita, sempre da purificare, sempre da perfezionare. Una fede che deve essere sempre orientata alla pace, e che deve così illuminare concretamente le scelte religiose, culturali e sociali.

Forse non sarò stato corretto, forse avrò detto cose incomplete e sbagliate... ma una cosa per me è chiara: la preghiera comune, la ricerca dell'unità tra i cristiani, del dialogo tra le fedi nel nome dell'unico Dio, è l'atto politico più grande che ora si possa fare. È la vera "guerra santa". Ai governi, alla diplomazia, alla politica, semmai, il compito di impedire che vengano compiuti atti illegali, crimini di guerra, e tutto quanto di disumano stiamo vedendo in questi giorni sui Media.

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