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inverno 2015

 

Il problema della succesione e della legittimazione religiosa

 

Ed è per questo che uno degli organismi più importanti, ma anche più potenti, dell’ISIS è il Consiglio della Sharia. In tale consesso vengono sviluppati controlli sulle attività degli imam, sulla qualità religiosa di ogni norma o legge che viene imposta alla gente, sul contenuto dei sermoni, sullo svolgimento dei tribunali (ovviamente tutti religiosi) e relativi processi, sull’indottrinamento dei quadri militari, sulla propaganda o il contenuto dei mass media, sugli insegnamenti e conduzione del sistema scolastico, sul controllo delle prigioni, sul tipo di punizioni infliggere ai prigionieri o agli ostaggi. Sotto queste ultime direttive, rientrano anche le macabre decapitazioni e la loro divulgazione. E, non ultima competenza, da questo Consiglio vengono emanate le fatwa .

Nella pratica, fatti salvi gli aspetti preminentemente militari sul terreno, tutto quello che concerne gli aspetti sociali/religiosi di questo erigendo califfato sono di stretta competenza del citato Consiglio. Tutte le decisioni più importanti passano comunque per questo organismo.

L’organismo è presieduto dallo stesso Abu Bakr al Baghdadi, include i due mufti designati dallo stesso Baghdadi sia per l’Irak (lo Sheykh Abu Abdullah al Kurdi) che per la Siria. Vi sono poi inclusi pochi altri esponenti religiosi, scelti tra quelli più qualificati, provenienti prevalentemente da Iraq e Siria. Da questo organismo centrale poi, a livello territoriale, dipendono altri Consigli della sharia di Wilayat che, in accordo con il Consiglio di livello superiore, controllano e prendono decisioni di competenza. All’interno del Consiglio della Sharia operano vari comitati articolati per materia.

Proprio per dare una più profonda caratterizzazione religiosa a questo organismo, i membri del Consiglio della Sharia sono/sarebbero ufficialmente 6, quanti erano ai tempi del Califfo Omar bin Khattab che decise, in procinto di morire, di designare un organismo di 6 persone che avrebbero dovuto scegliere il suo successore al loro interno.

 

 

Abu Bakr, nella foto sopra, nella storia dell’Islam, è stato il primo Califfo e di questa circostanza storica se ne è subito appropriato, nella sua identità, al Baghdadi. Il successore di Abu Bakr, quindi secondo Califfo, era stato il citato Omar bin al Khattab. Il Califfo Omar, che comunque è storicamente considerato un personaggio di indiscusso prestigio ed influenza nella storia dell’Islam, aveva anche stabilito che si procedesse alla designazione del suo successore non seguendo alcun retaggio o nepotismo di tipo familiare e che la scelta dovesse avvenire nell’arco di tre giorni ed al quarto giorno il nuovo Califfo avrebbe dovuto prestare giuramento.

Di interesse , anche per capire meglio la ricerca da parte di Al Baghdadi dell’Islam puro nella conduzione terrena delle sorti del suo Stato islamico, è che il Califfo Abu Bakr aveva designato direttamente il suo successore e quindi era verosimile che al Baghadi facesse lo stesso, mentre Omar bin Khattab aveva preferito scegliere un gruppo di persone al cui interno venisse poi designato il suo successore. Il Califfo Omar aveva giustificato la sua iniziativa dicendo che Mohammed, alla sua morte, non aveva designato alcun successore. Al Baghdadi, sotto questo aspetto, salta l’esperienza del Califfo Abu Bakr e si ricollega invece a quella, forse teologicamente più pura, del Califfo Omar.

Come detto, la legittimazione religiosa è un problema centrale, soprattutto da quando al Baghdadi si è autonominato Califfo nella moschea di Mosul, il 5 luglio 2014, e quindi ha assunto un ruolo che ha una precisa connotazione religiosa nella storia dell’Islam. Una decisione che a suo tempo era stata presa senza la previa consultazione del Consiglio della Sharia e quindi diventata oggetto anche di contrasto all’interno dello stesso mondo salafita. Il Consiglio, proprio perché disserta su questioni teologiche, diventa nei fatti anche l’interlocutore per tutte quelle accuse che piovono sull’operato di al Baghdadi da vari mufti della regione, in primis, recentemente, dal gran mufti dell’Arabia Saudita Sheykh Abdul Aziz al Sheykh (aveva etichettato l’ISIS come nemico numero uno dell’Islam) e da quello, ancora più autorevole e sempre negativo, del collega dell’Egitto Shawqi Allam (bisogna comunque anche citare, ad inizio 2015, il rifiuto dell’Università di Al Azhar di ritenere l’ISIS uno stato apostata).

Ma tutta questa ricerca di un significato religioso nelle vicende politico/militari/sociali deriva dal fatto che al Baghadi vuole e può giustificare le sue gesta solo ed unicamente se opera in un contesto di legittimazione nell’ambito del mondo musulmano di cui intende prendere la guida. Perché, agli occhi suoi e di chi lo segue, la guerra che conduce è una guerra di religione dove, come diceva uno dei più famosi teologi islamici del passato, Ahmad ibn Taymiyah (anche lui legato alla tradizione salafita), la guida è data dai libri sacri ma con il supporto della spada.

Ed anche qui è la spada, simbolicamente, che prende un ruolo centrale nelle decapitazioni. Quindi l’ISIS non cerca uno Stato qualsiasi ma uno Stato islamico.

In un domani in cui Abu Bakr al Baghdadi dovesse essere eliminato (il suo recente ferimento e tentativo di eliminarlo hanno reso il problema impellente. Senza dimenticare la fine che hanno fatto i suoi predecessori) già si saranno creati i presupposti per chi lo dovrebbe rimpiazzare. Una scelta che dovrebbe comunque seguire un criterio di competenze religiose e non esclusivamente militari.

Ma qui interviene, nell’organizzazione dello Stato centrale, che nel caso dell’ISIS è ben articolato tra funzioni e competenze, anche un altro organismo che, al pari del Consiglio della Sharia, avrà un ruolo centrale nella designazione del prossimo Califfo, ed è il Consiglio della Shura (o “Consiglio consultivo”). E’ un organismo che viene consultato anche per la designazione (o eventuale destituzione) di un Califfo. Anche qui prevale la tradizione islamica, poiché l’esigenza di un organismo di consultazione appare già nel Corano e negli scritti di Mohammed.

A detto organismo vi appartengono di diritto i due responsabili militari dell’organizzazione: quello dell’Iraq (era Abu Muslim al Turkmani alias Fadil Ahmad Abdullah al Hiyali, eliminato nel dicembre 2014, di cui non è noto il sostituto) e quello della Siria (Abu Ali Al Anbari, anche lui turkmeno come Hiyali e anche lui ex ufficiale di Saddam Hussein). Sono in pratica i diretti collaboratori del Califfo con cui viene condotta la guerra.

Questo dettaglio qualifica già la commistione, nella guida dell’ISIS, tra teologia e lotta armata. Entrambi gli organismi, Il Consiglio della Sharia ed il Consiglio della Shura sono quelli preposti alla scelta del Califfo. Inoltre il Consiglio della Shura, composto da un numero molto limitato di persone (meno di dieci individui, tra cui dei religiosi nominati personalmente da al Baghdadi a cui aggiungere i due citati capi militari, quindi la vera élite pensante e decidente dell’ISIS) è preposto alla supervisione degli affari di Stato, delle questioni militari (fornisce infatti raccomandazione sulla nomina dei membri del Consiglio Militare). Come organo di vertice, il Consiglio della Shura mantiene anche una ragnatela di contatti con i vari governatori, dal Consiglio stesso nominati, (inizialmente erano 8 Wilayat in Iraq ed altrettanti in Siria, ma ultimamente con le conquiste militari sono diventati 24) ed è quindi in grado di percepire ed analizzare le varie situazioni locali.

A livello centrale esistono anche altri organismi importanti come il Consiglio militare, il Consiglio di Sicurezza (dove fa capo anche l’attività di intelligence), la Commissione dei mass media (importante per il ruolo di propaganda ma svolge anche una funzione di gestione dei predicatori), una Commissione della Sharia (presiede al controllo dei tribunali a livello centrale, distrettuale e cittadini) e il Gabinetto (assimilabile ad un governo). Questi ultimi hanno ovviamente la loro importanza ma non tanto quanto il Consiglio della Sharia e quello della Shura che costituiscono il vero vertice decisionale dell’ISIS.

Quando al Baghdadi era rimasto ferito nel raid aereo americano, il suo posto era stato temporaneamente assunto da Abu Ala al Afri (nome di battaglia di Abdul Rahman Mustafa al Qaduli). A parte il fatto che non è stato ancora accertato che questo ex insegnante di nazionalità irachena, sodale di Osama bin Laden, membro di al Qaida con esperienze di guerra in Afghanistan sia ancora vivo (le autorità irachene avevano divulgato la notizia di averlo ucciso senza fornirne le prove il 13 maggio scorso) ma bisogna sottolineare che comunque, stante la precarietà della sopravvivenza dei propri capi, l’ISIS si sia attrezzato con un sistema di sostituzioni/avvicendamenti nel caso che un uomo di vertice venga eliminato.

Sotto questo aspetto al Baghdadi si è comportato diversamente dai suoi predecessori (soprattutto al Zarqawi) mantenendo, come gli altri, una struttura centralizzata, ma creando anche un sistema di decentralizzazione del potere che oltre alla figura dei vari vice, permette una autonomia decisionale anche a livello periferico.

Le motivazioni di tutto questo sono essenzialmente due: Al Baghdadi inserisce il suo ruolo in un disegno messianico che non inizia o finisce con lui (quindi deve creare le condizioni per la prosecuzione nel tempo del suo progetto); c’è poi il problema del controllo di un vasto territorio (una popolazione di circa 8/10 milioni di abitanti, esteso per oltre 200.000kmq) in una situazione di guerra e quindi non in grado di essere fattivamente gestito a livello centrale.

Essendo, come accennato, una guerra di religione, Corano e Hadith sono l’unica fonte di interpretazione dell’operato dell’ISIS. E qui, al Baghdadi, circondato e supportato dagli imam a livello centrale e periferico, ogni volta che vince, conquista o almeno combatte è nella giusta causa di Allah. I suoi combattenti, in una religione che non contempla il libero arbitrio ma la predestinazione, nell’esaltazione della guerra, ritengono di portare avanti il disegno di Allah. In questo aspetto, il martirio è nella logica delle cose. Una guerra che non prevede strada di ritorno. E siccome al Baghdadi sa bene che le alternative sono la vittoria o la morte, lui si è attrezzato per quello che dovrebbe capitare dopo la sua dipartita. In estrema sintesi, la storia dell’ISIS non finirà con l’eliminazione dell’autoproclamato califfo. E recentemente, in un intervento pubblico al Pentagono il 6 luglio, anche il Presidente americano Obama si è espresso in tal senso, definendo la guerra con l’ISIS una “campagna di lunga durata”.

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