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Febbraio 18, 2016

 

Il coraggio di dire i contenuti politici dell’incontro Francesco-Kirill

di Rodolfo Casadei

 

Normalmente le cose si possono vedere da più punti di vista, e spesso il compaginamento di punti di vista diversi aiuta a una comprensione più completa dei fatti. L’incontro fra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill a L’Avana e la dichiarazione congiunta che hanno sottoscritto sono uno di quei casi. Indubbiamente l’incontro senza precedenti e il testo firmato dai due hanno anzitutto un significato ecumenico e pastorale che discende direttamente dal ruolo e dal ministero delle due personalità. Non per questo si dovrebbe rinunciare anche a una chiave di lettura politica degli avvenimenti, fermo restando che questa non è la più importante ed è quella più caduca, in quanto i processi politici sono più mutevoli e aleatori delle relazioni fra istituzioni millenarie di ispirazione divina.

Anche la lettura politica, poi, può e anzi dovrebbe avere gradi diversi. Che vanno da ciò che è ovvio ed evidente, ma anche superficiale, a ciò che appare più profondo e tendenzialmente duraturo. Una lettura politica obiettiva dei fatti porta facilmente alla conclusione che l’incontro dell’Avana ha portato vantaggi politici al governo russo. Si è scritto (per esempio da parte dell’Economist) che «la dichiarazione congiunta rilasciata dopo l’incontro si colloca in prossimità delle posizioni del Cremlino sui conflitti in Siria e Ucraina», ma in realtà la dichiarazione non fa un’analisi delle responsabilità politiche delle crisi in quei paesi, e si limita ad esecrare la violenza e il terrorismo, proprio per facilitare ogni possibile percorso di soluzione dei conflitti. I passaggi del testo di cui Putin e Medvedev non possono non compiacersi sono altri, soprattutto quello in cui i due capi religiosi scrivono:

«Rendiamo grazie a Dio per il rinnovamento senza precedenti della fede cristiana che sta accadendo ora in Russia e in molti paesi dell’Europa orientale, dove i regimi atei hanno dominato per decenni. Oggi le catene dell’ateismo militante sono spezzate e in tanti luoghi i cristiani possono liberamente professare la loro fede. In un quarto di secolo, vi sono state costruite decine di migliaia di nuove chiese, e aperti centinaia di monasteri e scuole teologiche».

Questo passaggio del testo rappresenta una legittimazione da parte di autorità religiose dell’azione politica di una successione di governi. Le presidenze e gli esecutivi Putin-Medvedev ricevono un encomio per il loro operato. Che risalta ancora di più per contrasto con quel che si dice subito sotto a proposito dei paesi dell’Europa occidentale:

«Allo stesso tempo, siamo preoccupati per la situazione in tanti paesi in cui i cristiani si scontrano sempre più frequentemente con una restrizione della libertà religiosa, del diritto di testimoniare le proprie convinzioni e la possibilità di vivere conformemente ad esse. In particolare, constatiamo che la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica».

In buona sostanza, Francesco e Kirill dicono che il governo russo promuove e protegge la libertà religiosa, mentre quelli occidentali la riducono progressivamente ed emarginano i credenti. Governi occidentali che, guarda caso, sono ai ferri corti con quello russo su una serie di questioni che vanno dall’Ucraina alla Siria, agli oleodotti, ai diritti civili, ecc. Il papa e il patriarca sottoscrivono che Putin è un governante più amichevole verso i cristiani di quanto lo siano quelli dei governi occidentali. Scusate se è poco, e scusate se questo non ha rilievo politico!

Quello sopra evidenziato è il contenuto politico più ovvio dell’incontro Francesco-Kirill, ma ce ne sono altri, a mio parere più importanti. Molti si sono chiesti perché, dopo aver rifiutato di incontrare in passato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, desiderosi di un riavvicinamento fra ortodossi e cattolici tanto quanto Francesco, il patriarcato di Mosca abbia stavolta accettato l’appuntamento. E si sono risposti che, da una parte, Kirill ha eseguito ordini provenienti da Putin, dall’altro, si è un po’ parato in vista del concilio pan-ortodosso di Creta del prossimo mese di giugno. L’incontro Francesco-Kirill aiuta il governo russo a uscire dall’isolamento in cui i paesi occidentali l’hanno relegato dopo l’occupazione della Crimea e toglie un argomento al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, amico di Roma da tempo, in vista dei dibattiti di Creta (il concilio pan-ortodosso non sarà una passeggiata per nessuno). Queste motivazioni hanno del vero, ma vanno inserite in una cornice più ampia, quella dell’affinità di visione dei rapporti di forza nel mondo che c’è fra il papa argentino e i russi in generale. Questa si coglie nel colloquio del Santo Padre col Corriere della Sera pubblicato poco prima del viaggio in Messico con la storica sosta a Cuba: «Sulle primavere arabe e l’Iraq», dice Francesco, «si poteva immaginare prima quello che poteva succedere. E in parte c’è stata una convergenza di analisi tra la Santa Sede e la Russia. In parte, è bene che non esageriamo perché la Russia ha i suoi interessi».

Ma anche senza esagerare, si scopre che anche sulla Libia c’è convergenza di analisi fra il Papa e Mosca: «Pensiamo alla Libia prima e dopo l’intervento militare: prima di Gheddafi ce n’era uno solo, ora ce ne sono cinquanta. L’Occidente deve fare autocritica». Questo approccio critico e disincantato alle politiche occidentali nel contesto internazionale è tipico di chi guarda il mondo europeo ed anglosassone dal di fuori. Le élite di governo del resto del mondo tendono a propagandarlo fra le masse anche attraverso il controllo capillare dei mezzi di comunicazione, ma non devono fare grossi sforzi, perché spontaneamente l’opinione pubblica si allinea alla retorica anti-occidentale: un misto di invidia e di memorie coloniali, di complesso di inferiorità e di insofferenza per l’egemonia politica e culturale occidentale, di ribellione alle imposizioni dall’esterno e di sciovinismo spinge qualche miliardo di esseri umani a guardare con una certa antipatia e con spirito ipercritico tutto quello che americani ed europei fanno. I latinoamericani, culturalmente occidentali ma politicamente anti-occidentali, sono nella posizione migliore per fare da portavoce al risentimento anti-occidentale nel mondo. Alla luce di queste considerazioni, non è sorprendente che il patriarcato di Mosca, evidentemente in stretto contatto col governo russo, abbia preferito aprire la partita del rapporto diretto con un papa argentino, piuttosto che con uno tedesco o con uno polacco. Se si riprende in mano la dichiarazione comune, si nota che l’Europa è presentata all’inizio come “Vecchio mondo” ed è sempre trattata in termini negativi o problematici; invece Europa orientale e America latina sono trattate sempre in termini positivi e di speranza; l’America del Nord non è nemmeno citata, ma ricompresa nella generica dizione “altri Continenti”. La scelta di Cuba come luogo dell’incontro non esprime esclusivamente l’opzione minimalista di un campo neutro rispetto a storiche contese intracristiane, ma la preferenza positiva per un soggetto politico che in passato ha rappresentato una sfida all’assetto di potere euro-atlantico e che oggi desidera la normalizzazione per non implodere ma che conta di poter preservare una sua diversità.

Che la Chiesa cattolica romana non sia più organica alla civiltà occidentale in termini di legittimazione religiosa del potere politico, economico e militare del blocco occidentale non è una novità e non è una notizia; che si stia oggettivamente spostando sulle posizioni di quelli che una volta si chiamavano Paesi Non allineati, l’altro ieri Brics e domani un altro nome per una costellazione diversa dalle precedenti ma ad esse imparentata, questa è sì una notizia. E poiché è umanamente (sottolineiamo: umanamente) probabile che i prossimi papi siano extraeuropei e non nordamericani, il riposizionamento politico internazionale della Chiesa cattolica anche dopo papa Francesco è praticamente una certezza. Questo comporterà, per la Chiesa, opportunità e problemi. La Chiesa avrà meno timori reverenziali e sarà più sicura di sé quando si tratterà di opporsi alle derive antropologiche contemporanee sulle materie bioetiche e della famiglia, nel mentre che sarà molto assertiva sui temi della giustizia sociale; sarà però più attaccabile per la sua prossimità a regimi illiberali o parzialmente autoritari. Non è escluso che in un futuro per niente lontano le problematiche suddette appaiano meno dirompenti di oggi, perché il tramonto dell’Occidente a quel punto sarà già iniziato e con esso quello dei termini della sua egemonia culturale. Nel bene e nel male.

 

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