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Novembre 28, 2015

 

Distrutte tre chiese in Sudan: «Non possiamo tacere l’odio religioso»

di Benedetta Frigerio

 

Gli edifici sono stati demoliti a fine ottobre, ma già l’anno scorso altri erano stati confiscati dal governo. L’Aclj chiede al mondo di non chiudere gli occhi

 

Una sarebbe stata stata costruita su un terreno pubblico, l’altra su un territorio riservato al commercio, la terza invece è stata distrutta senza ragioni. Si tratta dell’ultima di una serie di demolizioni, avvenuta un mese fa in Sudan e resa nota in questi giorni dall’American center for law and justice (Aclj). L’Aclj ha spiegato che la persecuzione religiosa è causata dall’islamismo e dall’imposizione della sharia a tutta la popolazione perpetrata dal presidente sudanese Omar al Bashir.

La Chiesa sudanese di Cristo a Omdurman è stata distrutta dalle autorità il 27 ottobre, mentre la Chiesa luterana del Sudan, nell’area di Karari, è stata demolita senza preavviso il 21 ottobre per motivi commerciali, sebbene la moschea costruita a lato sia rimasta al suo posto. Dal 17 invece, la Chiesa luterana del Sudan a Gadaref, non solo non esiste più, ma con lei sono finite in macerie anche i suoi arredamenti, oggetti e le sacre scritture.

 

LAPIDATI E PICCHIATI. Già nel 2014 altre sette chiese avevano subìto attentati o erano state distrutte, eppure, nonostante le denunce, la persecuzione è continuata. Appena prima dell’arresto, avvenuto l’8 di giugno, di Ishag Andrawes, il direttore di una scuola cattolica a Omdurman, Tut Knony, pastore della Chiesa sudanese presbiteriano evangelica, era intervenuto così: «È loro abitudine distruggere le chiese. Non siamo sorpresi». Knony aveva poi spiegato che «quasi tutti i pastori» del paese erano già «stati lapidati e picchiati».

 

CONDANNE A MORTE. Solo qualche mese fa due pastori protestanti avevano rischiato la morte, così come Meriam Yahya Ibrahim, la cristiana rifugiata negli Stati Uniti l’estate scorsa. «Il governo del Sudan persegue le persone per apostasia». Per questo motivo, Aclj ha sottolineato che «non dobbiamo fermarci finché il governo sudanese non adempirà alle obbligazioni internazionali per garantire le libertà fondamentali alle persone di ogni credo religioso». Sopratutto, «non possiamo dimenticare i nostri fratelli e sorelle in Sudan».

 

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