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15 giugno 2013

Il settarismo e il nuovo discorso irrazionale di cui gli Arabi dovrebbero preoccuparsi
di Ramzy Baroud
Traduzione di Maria Chiara Starace

Il mio amico Hanna è siriano e si dà il caso che sia anche cristiano. Questo ultimo fatto era raramente importante, tranne ogni volta che desiderava vantarsi dei contributi degli Arabi cristiani alle culture del Medio Oriente. Naturalmente ha ragione. La moderna identità araba è stata formulata per mezzo di un’affascinante mescolanza di religioni, sette, e razze. Il Cristianesimo, come l’Islam è profondamente radicato in molti aspetti della vita araba. Inutile a dirsi, il vincolo tra Islam e Cristianesimo è semplicemente indistruttibile.

“Io sono cristiano, ma per quanto riguarda la cultura, sono ugualmente musulmano,” mi ha detto come introduzione a una sconsolante constatazione. “Ora, però, sono molto preoccupato.

La lista di preoccupazioni di Hanna è lunga. In testa a queste c’è il fatto che gli Arabi cristiani in alcune società arabe sono considerati sempre di più come ‘stranieri’ o ‘ospiti’ nelle loro stesse nazioni. A volte, come succedeva in Iraq, sono puniti da questo o quel gruppo estremista per avere adottato la stessa religione che fanatici statunitensi e gli occidentali sostengono di rappresentare. Si sono fatte saltare in aria le chiese come brutale castigo per una guerra disumana che il presidente George W. Bush e molti della sua razza sostenevano che fosse tra il bene e il male, usando i riferimenti religiosi più spudorati mentre attaccavano brutalmente l’Iraq, non risparmiando né i Musulmani né i Cristiani.

Durante i primi anni della guerra, molti intellettuali arabi sembravano sospettosi della divisione infame che gli Stati Uniti stavano innalzando tra le religioni, le sette e le comunità. Molti nei media arabi citavano esperienze storiche passate, quando altre potenze imperiali – cioè la Gran Bretagna e la Francia – ricorrevano allo stratagemma del dividi et impera. Questi tentativi della prima metà del ventesimo secolo hanno prodotto molto spargimento di sangue e ferite durature in molte comunità. Il Libano è un esempio palese quando l’Iraq che era predominante.

In risposta ai tentativi coloniali  di tenere occupati gli Arabi in conflitti interni, i nazionalisti arabi hanno discusso con un discorso che si è dimostrato di immenso valore per l’identità araba moderna. Per sfuggire ai tranelli delle divisioni religiose e settarie, e per sfogare le energie intatte delle società arabe, c’era un bisogno urgente di dettare un nuovo linguaggio che esprimesse un discorso politico pan-arabo unificante. Dopo la II Guerra mondiale, l’ascesa nel nazionalismo arabo è stata la forza con la quale cimentarsi, dall’Egitto, all’Iraq e alla Siria. E’stata una battaglia delle volontà che coinvolgevano le potenze imperialiste, affiancate in seguito dagli Stati Uniti. Anche le elite tribali locali combattevano per la loro sopravvivenza. Il discorso dei nazionalisti intendeva ispirare, a cominciare  dai discorsi tuonanti di Gamal Abdel Nasser, ai pensieri eloquenti di Michel Aflaq in Siria, Iraq e altrove.  Allora, almeno sembrava che importasse poco che Nasser fosse un musulmano sunnita egiziano e che Aflaq fosse un cristiano di confessione greco ortodossa.

Aflaq era profondo, e la sua insistenza sulla vitalità del carattere musulmano per gli Arabi, era un  testamento per una generazione di nazionalisti che da allora è quasi completamente sbiadita. Ha parlato dell’unità araba, non come un sogno lontano, ma come un meccanismo pratico per strappare la libertà da molte mani scellerate. “Quale libertà potrebbe essere più ampia e più grande che vincolarsi al rinascimento della propria nazione e della sua rivoluzione?” ha detto durante un discorso.  E’ una libertà nuova e severa che resiste alla la pressione e la confusione. La dittatura è un sistema precario, inadatto e contraddittorio che non permette la crescita della consapevolezza delle persone.”

Molte voci hanno fatto eco a quel sentimento nelle nazioni arabe vicine e lontane. I poeti hanno declamato la volontà dei combattenti per la libertà e gli artisti hanno rappresentato il linguaggio dei filosofi. Mentre i movimenti nazionalisti arabi alla fine frammentati, sono stati indeboliti o sconfitti, è sopravvissuta un’identità araba. Molto tempo dopo che era morto Nasser, e che anche Anwar Saddat aveva firmato gli accordi di Camp David, rompendo con il consenso arabo, gli scolari continuavano a cantare “Le terre natie arabe sono la mia paria, dal levante a Baghdad, da Naji allo Yemen e dall’Egitto al Marocco.”

Tuttavia la guerra per l’identità araba non è mai cessata, dato che ha continuato a manifestarsi in modi reali e figurati. Israele e le potenze occidentali, rivaleggiando per il dominio militare, l’influenza regionale e infine le risorse, hanno fatto del loro meglio per mandare in frantumi le poche apparenze che sostenevano un senso di unità tra nazioni arabe che sopravvivevano malgrado molti e forse insormontabili difficoltà.

La guerra civile libanese (1975-1990) ha lasciato profonde ferite che continuano a deteriorarsi. La guerra irachena è stata particolarmente dolorosa. Mentre il conflitto civile in Libano coinvolgeva sette ben demarcate, le alleanze erano in costante flusso. Però la guerra civile irachena, incoraggiata e sostenuta dal coinvolgimento diretto dell’America per indebolire la resistenza irachena all’occupazione di Stati Uniti e Gran Bretagna, era ben definita e brutale. I Musulmani Sciiti e Sunniti si sono impegnati in un’aspra battaglia quando le truppe statunitensi hanno gettato lo scompiglio a Baghdad. I membri di tutte le sette hanno pagato un grosso prezzo per avere combattuto, e questo ha anche danneggiato l’identità nazionale dell’Iraq e ha deriso la sua bandiera e l’inno nazionale. L’impatto socio politico di quella guerra è stato tanto grave, che ha fatto rivivere un discorso reazionario che ha costretto molte comunità a considerarsi come membri di un gruppo o di un altro, ognuno dei quali lotta per la sua esistenza.

Subito dopo la rivoluzione egiziana, ho camminato per le strade del Cairo, ripercorrendo con un gran senso di stordimento, il passato e il futuro incoraggiante. Un nuovo Egitto stava per nascere, un Egitto con ampio spazio per tutti i suoi figli. Un Egitto dove i poveri offrono la loro giusta parte, e dove i Musulmani e i Cristiani presto marcerebbero insieme, mano nella mano, come persone alla pari, costretti dalla visione di una nuova generazione e dalle speranze e dai sogni di molti altri. Non era un’idea romantica, ma pensieri ispirati da milioni di egiziani, da Musulmani con la barba che proteggevano le chiese del Cairo dai complotti del governo intesi a provocare tensioni religiose, ispirati dai giovani cristiani che proteggevano Piazza Tahrir mentre i giovani musulmani pregavano, prima che tutti insieme riprendessero la lotta per la libertà.

Malgrado la mia insistenza sull’ottimismo, trovo odioso il discorso politico attuale, radicalizzante e disfattista come non era mai stato in precedenza. Mentre le elite politiche musulmane sono nettamente divise tra Sciiti e Sunniti, attribuendo vari significati al fatto che uno è nato in questo o in quel modo, questa disputa è stata  intrecciata in un gioco di potere che ha distrutto la Siria, risvegliato passate animosità in Libano e rivitalizzato un conflitto già  esistente in Iraq, devastando ulteriormente proprio l’identità araba.

Il dilemma storico dell’Iraq, sfruttato dagli Stati Uniti per averne guadagni immediati, è ora diventato un dilemma di tutti i paesi arabi. I media arabi e medio orientali stanno fomentando quel conflitto usando una terminologia carica di settarismo e ossessionata dalla costruzione del tipo di divisioni che non porteranno altro che sfiducia, tristezza e guerra.

Far risorgere il nazionalismo arabo di Nasser e di Aflaq può non essere più possibile, ma c’è una necessità impellente di un discorso alternativo al tipo di estremismo intellettuale che giustifica con inquietante lucidità il massacro degli abitanti di un intero villaggio in Siria a causa della loro setta o della loro religione, Il mio amico Hanna ha tutte le ragioni di preoccuparsi, come dovrebbero averne tutti gli Arabi.


Ramzy Baroud (ramzybaroud.net) è un opinionista che scrive sulla stampa internazionale e dirige il sito PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è: My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata]. (Pluto Press).


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/sectarism-and-teh-irrational-new-discourse-why-arabs-must-worry- by-ramzy-baroud

Originale: Ramzy Baroud’s ZSpace Page

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