http://www.agoravox.it/

giovedì 13 settembre 2012

 

Religioni contro, uno strumento per i giochi di guerra

di Enrico Campofreda

 

Nella soggettività e nella diversità le cosiddette primavere arabe mostrano un fattore comune: la presenza diffusa un po’ ovunque di forze filoccidentali, d’Islam moderato, fondamentalista e jihadista. Accade in nazioni come l’Egitto che ininterrottamente da venti mesi tiene alta la tensione ma sta compiendo passi concreti per riorganizzare il futuro e in situazioni, come la Libia, che il futuro se l’è visto confezionare all’estero. Le componenti d’ogni tendenza possono guidarle o introdurle con gesti clamorosi, cui non sono estranee sponde o vere e proprie ingerenze che offrono contropartite di vario genere. L’elemento scatenante della protesta antiamericana a Bengasi e al Cairo, e di tutte quelle che ne potrebbero o potranno seguire, sta nella goffa ma offensiva pellicola (e blasfema per gli islamici) “Innocence of Muslims”. Ennesima provocazione di chi continua a rinfocolare un campo ad alto potenziale conflittuale perché sui valori identificativi della fede esistono non solo partiti ma sistemi-nazione, costruiti o in evoluzione. Un punto sul quale gli iper laicisti pagano uno scotto culturale e filosofico. Sull’impostazione del nuovo volto che i Paesi delle rivolte arabe provano a darsi ciascuna componente, religiosa o laica che sia, gioca la sua partita.

Così come la gioca Al Qaeda, il convitato di pietra, alleato e nemico che da decenni Washington nutre, blandisce e combatte al tempo stesso. O così mostra di fare. La giocano potenze regionali e mondiali che sgomitano ed entrano in scena decidendo per il popolo ovvero sostituendosi a esso, com’è accaduto appunto in Libia e come sta accadendo da un anno in Siria. C’è poi la politica interna, che sempre cerca appigli in quella internazionale, e se si parla del momento clou della leadership mondiale – le presidenziali d’America – ecco che il quadretto si ricompone. Può apparire uno schema meccanico e semplicistico, in effetti lo è come lo sono, a volte, gli sviluppi di affari pur complessi. Al confronto Obama-Romney mancava il piatto forte della politica estera che a lungo ha mostrato il passo claudicante dell’amministrazione in chiusura di mandato. Metterne in evidenza le contraddizioni può produrre un possibile vantaggio nell’urna per i Repubblicani o comunque costringere anche i Democratici a riconsiderare certe morbidezze verso l’Islam politico. Perché esse si ritorcono contro i simboli di un’America che oltre a veder bruciare la propria bandiera e piangere un ambasciatore assassinato, brucia il sogno di continuare a controllare il mondo che le interessa. E il Medio Oriente energetico e geo-strategico continua a interessarle.

Nel mirino del focoso, per quanto scadente e sciocco film antislamico e delle incendiarie reazioni c’è l’ambivalente real-politik della coppia Obama-Clinton, capaci di sponsorizzare il governo Jalil e quello Mursi, laicismo filo occidentale e islamismo moderato. La cosa non piace ai neocon, alla lobby ebraica d’Oltreoceano come non piace ai jihadisti libici e ai salafiti egiziani che aprono le strade alle folle, quelle che incendiano ma non sparano almeno in questo caso (le milizie qaediste sono altro e vanno considerate a sé). E nel variegato quadro occorre, ad esempio, annotare che i jihadisti egiziani di Gamaa Islamya Movement, gli epigoni degli attentati che afflissero Mubarak negli anni Novanta, hanno censurato la protesta sotto l’ambasciata statunitense al Cairo (sic). E i rappresentanti della comunità copta hanno additato il fanatico reverendo Jones e l’iniziativa del film (inizialmente considerata frutto di loro finanziamenti) come un’offesa alla fede islamica e un palese tentativo di rilanciare conflitti religiosi. Che loro non vogliono, come non li vogliono i Fratelli Musulmani e forse neppure i salafiti, se questo significa interrompere la loro visione del mondo da introdurre attraverso leggi dello Stato. Domani è giorno di preghiera e di grandi raduni di piazza, vedremo se il percorso alla transizione riprenderà a macchiarsi di sangue e di simboli religiosi. In Egitto e altrove.

top