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15 maggio 2014

Sudan: cristiana condannata a morte

La donna, 27 anni, è incinta di otto mesi. Sarà impiccata

Un tribunale sudanese ha condannato a morte per impiccagione una donna cristiana con l'accusa di apostasia. Mariam Yehya Ibrahim, 27 anni è incinta di otto mesi. Il padre della donna è musulmano e la madre è cristiana. Il giudice le ha inflitto anche la pena di 100 frustate per adulterio. A difesa della donna nei giorni scorsi erano scese in campo numerose ambasciate dei Paesi occidentali e organizzazioni in difesa dei diritti civili che ne avevano chiesto l'immediato rilascio. Amnesty International ha ricordato che Mariam Yehya Ibrahim è stata cresciuta come cristiana ortodossa, religione della madre, in quanto il padre, musulmano, era assente fin dalla sua nascita. Successivamente la donna si era sposata con uno straniero cristiano, ma il tribunale di Khartoum l'ha condannata anche per adulterio perché il suo matrimonio con un uomo cristiano non è considerato valido dalla 'Sharia' e viene per l'appunto considerato un adulterio. Inoltre secondo la Sharia se il padre è musulmano, la figlia è automaticamente musulmana. Nel corso dell'udienza al tribunale di Khartoum il giudice ha chiesto alla donna di rinunciare alla fede per evitare la pena di morte: "Ti abbiamo dato tre giorni di tempo per rinunciare, ma tu continui a non voler tornare all'Islam e dunque ti condanno a morte per impiccagione", ha detto il giudice Abbas Mohammed Al-Khalifa rivolgendosi alla donna.

Amnesty International ha definito "ripugnante" la sentenza con cui oggi un tribunale sudanese ha condannato a morte per "apostasia" e alla fustigazione per "adulterio" una donna cristiana all'ottavo mese di gravidanza. "Il fatto che una donna sia condannata a morte a causa della religione che ha scelto di professare e alle frustate per aver sposato un uomo di una presunta religione diversa è agghiacciante e orrendo", ha dichiarato Manar Idriss, ricercatore sul Sudan di Amnesty International. "L'adulterio e l'apostasia - ha proseguito - non dovrebbero essere considerati reati. Siamo in presenza di una flagrante violazione del diritto internazionale dei diritti umani". Amnesty International che considera Meriam Yehya Ibrahim una "prigioniera di coscienza, condannata solo a causa della sua fede e identità religiosa", ne ha chiesto il suo rilascio "immediato e incondizionato".

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