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26/03/2008

 

Lutero e gli Ebrei

di Francesco Lamendola  

 

La questione ebraica è sempre esistita in Germania per tutto il Medioevo e l'età moderna l'antisemitismo non è stato inventato da Hitler. Parrebbero verità lapalissiane; pure, nonostante tutto, qualche volta si ha l'impressione che sia necessario ricordarle.

 

La personalità che più potentemente ha contribuito al passaggio dell'Europa dal Medioevo alla modernità e che, al tempo stesso, più di ogni altra ha contribuito alla formazione dello spirito nazionale tedesco (nel senso, appunto, moderno del termine), è stata certamente quella di Martinus Luder, il protagonista della Riforma protestante; e anche questa è una verità lapalissiana e tuttavia, forse, un po' trascurata.

Lutero era uomo profondamente radicato nel Medioevo e profondamente radicato nell'orizzonte culturale tedesco, anzi, sassone e turingio. Del resto del mondo, egli non sapeva quasi nulla; delle Americhe, il "nuovo mondo" da poco scoperto dalle caravelle di Colombo, non parlava mai. Non sapeva quasi nulla di economia, di finanza, di cose militari; non si interessava alle arti, delle quali  era sostanzialmente ignorante, con la sola eccezione della musica, in cui vedeva un utile strumento per aggregare gli uomini nella comunità religiosa.

Figlio di un minatore, entrato nell'ordine agostiniano con tutta l'esuberanza e la passionalità del suo carattere, fortemente tedesco e fortemente popolano, circa le questioni sociali egli, in genere, condivideva il punto di vista delle classi umili - almeno fino al tragico spartiacque del 1525, con la guerra dei contadini e la sua violentissima presa di posizione contro di essi e a favore dell'autorità dei principi.

Sanguigno, collerico, addirittura furente nelle sue polemiche contro gli avversari, egli tendeva a ridurre ogni contrasto in chiave di scontro personale. Gli sfuggivano i fattori profondi della storia, le lente trasformazioni e la complessità della moderna economia capitalistica; vedeva ogni cosa in termini di bianco e nero e, soprattutto, vedeva ovunque la presenza del Diavolo, deciso a irretire gli uomini e a trascinarli sulla via del male e del peccato.

Questa fu anche la sua "spiegazione" della grande insurrezione contadina del 1525: non ne comprese affatto le antiche e profonde motivazioni; l'attribuì, invece, all'opera nefasta di alcuni "falsi profeti" - Thomas Müntzer in primis - che avevano seminato odio e malvagità nel cuore dei contadini, pervertendo le loro legittime aspirazioni ad un ritorno al Vangelo e alla costruzione di una società più giusta.

Se Lutero condivideva gran parte dei punti di vista dell'opinione pubblica tedesca - e solo così si spiega il successo travolgente della sua ribellione a Roma e al cattolicesimo, di cui la protezione dei principi riformati fu l'effetto e non la causa -, ne condivideva però anche le angustie, i malesseri e i pregiudizi.

 

Gli Ebrei non erano amati nella Germania del primo Cinquecento, né lo erano mai stati; ma non tanto per ragioni di tipo religioso (che, anzi, fornivano piuttosto l'occasione o il pretesto all'antisemitismo), quanto per ragioni economico-sociali. Gli Ebrei erano malvisti perché erano, generalmente, benestanti o addirittura ricchi, in un mondo artigiano e contadino afflitto da una cronica povertà; e, per giunta, prestavano denaro a usura. Perciò il sentimento diffuso nei loro confronti era il medesimo che accompagnava nobili e signori: una malcelata antipatia, che si spingeva fino alla violenza fisica. Lo scopo, sia nelle violenze contro gli Ebrei, che in quelle contro i signori, era sempre lo stesso: togliere ai ricchi per dare ai poveri.

Si trattava, per le classi popolari, di una forma elementare di ridistribuzione dei beni e di affermazione di un principio conculcato di giustizia sociale.

 

Un eccellente germanista italiano, allievo di Theodor W. Adorno e di Jürgen Habermas e della scuola di Francoforte, Claudio Pozzoli (nato a Milano nel 1942), autore di una ottima biografia di Lutero (Vita di Martin Lutero, Milano, Rusconi, 1983, 1993, p. 34-35), scrive:

 

"Per nobili e commercianti le strade erano più pericolose che per il popolo. La scorta era sempre necessaria. Non solo a causa della criminalità cosiddetta comune. Il loro nemico principale erano i Raubritter, i 'cavalieri predoni'. Nel sud della Germania e in particolar modo nella Svevia, questi cavalieri avevano ormai ben poco a che vedere col loro lontano passato. Erano rimasti indipendenti e vivevano lontano dalle città, nelle loro fortezze in mezzo alla natura selvaggia delle foreste. Ma la loro epoca volgeva al termine. Lo sviluppo economico delle città li aveva tagliati fuori. Si erano impoveriti e, per sopravvivere, assalivano convogli di merci, commercianti, potentati e trasporti di ogni genere, soprattutto quelli delle città, che avevano contribuito alla loro rovina e con cui erano entrati in conflitto.

"Protetti dalle loro terribili armature, uniti in bande che si formavano casualmente e per brevi periodi, attaccavano anche piccoli villaggi, cittadine indifese, violentando donne, distruggendo abitazioni, bruciando conventi. Per terrorizzare le vittime gli tagliavano le dita, le mani, talvolta anche i piedi. E quando le loro spedizioni arrivavano nei territori controllati da arcivescovi, come Magonza, potevano addirittura contare sull'approvazione del popolo. L'odio contro la Chiesa di Roma e contro i suoi rappresentanti in Germania portava spesso a conseguenze grottesche come l'ammirazione per un oppressore più crudele e più tirannico di quello dominante. Quest'odio, però, era dovuto al fatto che le istituzioni religiose erano padrone di un terzo circa del territorio tedesco e che i loro metodi di sfruttamento dei sudditi non erano in alcun modo meno brutali di quello di altri signori feudali.

 

"I contadini odiavano anche gli ebrei. Agli occhi degli abitanti dei piccoli centri di campagna e dei contadini, gli ebrei rappresentavano il denaro a caro prezzo, i debiti, gli interessi sempre troppo alti da pagare. Il fenomeno non era recente. Anche se erano ufficialmente sotto la protezione dell'imperatore, nel medioevo agli ebrei tedeschi era interdetta la maggior parte delle professioni. Il piccolo commercio e il prestito del denaro erano le loro principali attività. A partire dal 1492, l'anno della cacciata definitiva degli ebrei dalla Spagna, le città tedesche cominciarono a espellere tutti i cittadini di religione ebraica. All'inizio del 1500 solo a Francoforte, a Worms e a Praga esistevano ancora ghetti ebrei. A Strasburgo e ad Augusta gli israeliti potevano entrare di giorno: quando, alle sei del pomeriggio, suonava il 'corno degli ebrei', questi dovevano lasciare la città. Erano quindi costretti ad abitare nelle campagne senza il diritto di acquistare terra, di coltivarla o di diventare artigiani. Lontani dalle città e dal grande commercio, prestavano denaro ai più poveri, che per questo li odiavano. Non a caso il Bundschuhdei contadini chiedeva la fine dello strozzinaggio, dell'usura e la cacciata degli ebrei. I grandi banchieri erano lontani, nelle città. Gli ebrei erano vicini, a portata di mano, già da tempo bersaglio dei predicatori e dei fanatici religiosi. Potevano quindi essere colpiti facilmente. "

 

È possibile seguire l'evoluzione del pensiero di Lutero intorno alla questione ebraica lungo un arco di tempo di circa vent'anni, dal 1523 al 1542, poiché in quelle due date egli diede alle stampe due opuscoli nei quali esponeva, al solito in maniera molto diretta, i propri convincimenti riguardo agli ebrei.

Nel primo di questi due scritti, intitolato Cristo è nato ebreo, prevale un atteggiamento cauto e, tutto sommato, benevolo: gli ebrei non devono essere perseguitati, ma portati dai buoni esempi dei cristiani a convertirsi. Inoltre, i cristiani dovrebbero smetterla di propalare assurde storie che denigrano gratuitamente gli ebrei; e la legislazione secolare dovrebbe decidersi a riconoscere loro il diritto di accedere a qualunque professione. Se vengono lasciate loro solo l'attività finanziaria e quella commerciale, come stupirsi che si facciano prestatori di denaro?

Inoltre, benché il giovane Lutero avesse considerato l'usura uno dei peccati più odiosi e dei vizi più turpi della società, egli non fece mai l'equazione usura = ebraismo; e, mentre si scagliava contro la prima, si astenne dal lanciare alcun insulto all'indirizzo dei secondi.

 

Nel secondo scritto, invece, che porta il titolo significativo Sugli ebrei e le loro menzogne, il tono diviene estremamente violento e aggressivo. Lutero vi sostiene che gli ebrei desiderano segretamente la morte di tutti i cristiani e che, mediante il prestito ad usura, sono riusciti nell'impresa di rendere schiavi i Tedeschi in casa propria. Il rimedio non può essere che uno, e Lutero non esita a suggerirlo, anzi ad esigerlo dalle autorità secolari: la cacciata di tutti gli ebrei dalla Germania, senza alcuna misericordia, come atto di 'legittima difesa' da parte di un popolo sfruttato e oppresso dalle loro male arti.

Non solo: bisognerebbe dare alle fiamme le loro scuole e le loro sinagoghe, distruggere tutti i loro libri sacri e mettere i loro rabbini nella impossibilità di indottrinare le loro comunità. Solo così ci si potrebbe mettere al riparo dalla loro smodata brama di potere, che li porta a tramare incessantemente e perfidamente per ridurre in servitù il popolo che li ospita.

 

La contraddizione fra le due posizioni, quella del 1523 e quella del 1542, è netta e innegabile, come fa rilevare Claudio Pozzoli.

D'altra parte, tutto il mondo era cambiato radialmente in quei vent'anni, e ancor di più era cambiata la società tedesca. In mezzo c'era stata la guerra contadina, con i suoi eccessi e con la sua repressione sanguinosa (terminata nel 1526 con la distruzione dell'ultimo importante focolaio di resistenza antisignorile, il Tirolo di Michael Gaismair; che sarebbe caduto, qualche anno dopo, assassinato a Padova da sicari degli Asburgo).

Lutero, che aveva vissuto quegli eventi come la prova suprema e come lo spartiacque decisivo della sua predicazione e della sua vita, e che era passato da un iniziale sforzo di conciliazione tra le due parti a una posizione di condanna inesorabile e spietata dei contadini, aveva accentuato il suo pessimismo teologico e i tratti di misantropia e di livore del suo carattere, già naturalmente portato ad eccedere in ogni cosa, ad estremizzare le posizioni che potrebbero esser suscettibili di una riconciliazione.

Dopo che Lutero si era compromesso irreparabilmente schierandosi dalla parte dei principi, dei signori e del potere costituito, non gli restava altro da fare che accentuare la contrapposizione all'imperatore e al papa, pena il totale svuotamento della carica eversiva e innovatrice del suo movimento. In questa tarda fase della sua attività e del suo pensiero, Impero e cattolicesimo diventarono i suoi due massimi nemici, le sue bestie nere, e la polemica contro di essi venne a caricarsi delle tinte più incandescenti e truculente. Il papa, in particolare, non era per lui che lo strumento di cui il demonio cercava di servirsi per corrompere l'intera umanità, precipitandola nel fuoco dell'inferno. E gli ebrei, che godevano della speciale protezione dell'imperatore, principale sostegno del papa, non potevano essere da lui visti se non come una quinta colonna del nemico all'interno della "cittadella" riformata.

Il fatto che la sua rivoluzione religiosa fosse riuscita solo per metà, e che non solo non avesse  rovesciato la chiesa di Roma, ma anzi, in un certo senso, che l'avesse resa più forte e temibile di prima, accentuava la percezione della Riforma luterana come di un movimento bloccato e circondato di nemici; un movimento che, per difendersi e non perire, doveva stare continuamente all'erta, doveva vigilare contro tutti i nemici e tenersi pronto a colpire a sua volta.

È appena il caso di richiamare l'attenzione sulle analogie che esistono fra una tale condizione psicologica di Lutero, del Lutero anziano e sempre più rancoroso e ipocondriaco degli ultimi anni (sarebbe morto nel 1546), e quella della Germania nazista di quattro secoli dopo, specialmente dopo l'inizio della seconda guerra mondiale, quando i capi del Terzo Reich si sentivano, essi pure, come gli esponenti di un "ordine nuovo" sospeso sul fil di rasoio fra trionfo e disfatta totale e, pertanto, obbligati a procedere senza pietà nei confronti di ogni minaccia, e specialmente nei confronti del nemico interno numero uno: gli ebrei, appunto.

 

"Tre settimane prima di morire, da Eisleben dove era appena giunto, il vecchio Lutero scriveva alla moglie:«Quando la faccenda principale sarà sistemata, dovrò dedicarmi agli ebrei, per farli scacciare. Il conte Albrecht di Mansfeld è loro ostile, e li ha già messi al bando. Ma nessuno ancora li ha toccati. Se Dio vuole, voglio aiutare dal pulpito io conte Albrecht e confermare la proscrizione degli ebrei». Era il primo febbraio 1546.

"Una settimana più tardi, il 7 febbraio, il Riformatore scriveva alla moglie:«Oggi mi sin fatto sentire, a chi voleva sapere come la penso; e anche abbastanza forte, se deve servire a qualcosa». Dopo la predica, che fu trascritta dal famulus Johannes Aurifaber, Lutero aveva parlato degli ebrei in un breve discorso che porterà il titolo Ammonimento contro gli ebrei.Gli ebrei, disse il Riformatore, sono nostri nemici dichiarati, bestemmiano senza tregua il nome del nostro signore Gesù Cristo, chiamano prostituta la Vergine Maria e figlio di donnaccia il Cristo, «e se potessero ci ammazzerebbero tutti dal primo all'ultimo. E spesso lo fanno anche». Tuttavia «vogliamo agire cristianamente con loro, e offrire loro la fede cristiana».

 

"Da pochi mesi Martin Lutero aveva compiuto sessantadue anni. Era un vecchio malato, pieno di dolori e di paure. Il suo mondo, come il suo corpo, erano segnati dalla fine imminente. E di questa fine il Riformatore parlava spesso. In realtà la desiderava. Ed era già cominciata da tempo. È difficile stabilire da quando. Ma fu una brutta fine.

"E fu lunga. Coincise con il processo d'involuzione, travagliato e contraddittorio, che aveva portato il grande ribelle di Worms a diventare un vecchio professore di provincia, collerico, sanguigno, ipocondriaco, un uomo arrivato, un po' eccessivo in tutto, con il corpo gonfio tramandato dall'iconografia ufficiale: il «papa di Wittenberg».

"Nulla di meglio delle sue posizioni contro gli ebrei dimostra la reale portata di questa involuzione intellettuale, e il progressivo impoverimento della dimensione umana del Riformatore.

 

"Due date segnano questa degenerazione: 1523 e 1543. Vent'anni di distanza, le date di pubblicazione di due opuscoli:Cristo è nato ebreo, il primo, e Sugli ebrei e le loro menzogne, il secondo. Come sempre in Lutero, si possono trovare e sottolineare degli elementi di continuità anche negli scritti sugli ebrei, soprattutto se riportati al suo sistema  teologico. Ma queste sono cose secondarie per l'uomo Lutero e la narrazione della sua vita. La coerenza di fondo serve ai teologi, non alla storia.

"Fin dall'inizio Lutero fu contrario alla religione ebraica. Ebrei, musulmani, turchi, pagani, erano tutti miscredenti. A loro si aggiunsero prima i papisti, poi i teologi della rivoluzione, e infine gli anabattisti. Ciò che conta, però, è l'atteggiamento nei confronti di chi professava un'altra fede, i metodi e il linguaggio usato. E qui, nel lungo processo involutivo di Lutero, dai quaranta ai sessant'anni, la questione degli ebrei è solo uno dei tanti esempi del cambiamento radicale intervenuto nella psicologia del Riformatore.

"Cosa diceva Lutero nel 1523? L'obiettivo dello scritto Cristo è nato ebreo era di indurre i cristiani a cambiar il loro comportamento nei confronti degli ebrei, in modo da riuscire a convertirli. Il principio non era tanto quello della tolleranza religiosa, quanto quello  della tolleranza umana, e quindi delle conseguenze umane, pratiche e quotidiane, delle tolleranza o intolleranza ideologica.

"Il giovane Lutero prendeva decisamente le distanze dal trattamenti normalmente riservato agli ebrei fino allora. «I nostri folli papi, vescovi, sofisti e monaci, infatti, queste grandi teste d'asino,  hanno tenuto finora con gli ebrei un comportamento tale che ogni buon cristiano avrebbe voluto farsi ebreo. E se io fossi stato ebreo, e avessi visto la fede cristiana retta e insegnata da simili balordi e zotici, avrei preferito diventare un maiale piuttosto che farmi cristiano». Se invece gli ebrei saranno trattati umanamente e fraternamente, «è probabile che molti di loro diventino dei buoni cristiani». Noi cristiani non abbiamo alcun motivo di essere superiori agli ebrei: «In origine eravamo dei pagani, mentre gli ebrei appartengono alla stirpe di Cristo.  Non c'è patriarca, né profeta, né apostolo che provenga dalle schiere pagane. Appartengono tutti al popolo ebraico».

"Per allacciare un colloquio con gli ebrei, il Riformatore consigliava di procedere con metodi pedagogici. Era assolutamente da escludere l'uso della violenza. I cristiani dovevano smetterla di considerare gli ebrei come cani, e di diffondere calunnie insensate sul loro conto, come per esempio l'assurdità secondo cui gli ebrei, per non puzzare, dovevano bere sangue cristiano. Infine, si doveva eliminare ogni discriminazione sociale nei loro confronti, così che potessero esercitate tutti i mestieri, alla pari dei cristiani, e non fossero più costretti a continuare nella loro sordida attività di usurai. «E se anche molti si ostinano, che male fanno? Anche noi non siamo tutti buoni cristiani!». Nello scritto non c'è traccia di incomprensione, di durezza, né di rifiuto generalizzato del popolo ebraico. La pubblicazione conobbe un'ampia diffusione: nove ristampe nel solo 1523.

"In quel 1523 gli ebrei erano una minoranza perseguitata, senza potere e, soprattutto, non avevano intenzione di convertire i cristiani alla loro religione. Nei vent'anni fino al 1543 gli ebrei non cambiarono. Fu Lutero a cambiare.

 

"Nello scritto del 1542, l'unica cosa che sembra gli stia a cuore è di proteggere i cristiani dagli ebrei. Parlare con questi, per Lutero, non ha più nessun senso. «Non voglio mai più avere a che fare con gli ebrei: più si cerca di aiutarli, e più loro si ostinano e si arrabbiano». La storia dimostra che gli ebrei sono stati colpiti dalla condanna divina. Da quando Gerusalemme fu distrutta, da millecinquecento anni, «gli ebrei vivono nella miseria e nella sventura. Non hanno un loro stato». Inoltre, da allora, «non hanno più avuto profeti. Dio non parla più con loro».

"Il vecchio Lutero riscopre anche motivazioni economiche per l'antisemitismo. Non lo aveva mai fatto, nemmeno quando si era scagliato contro l'usura. L'obiettivo della sua critica erano i banchieri cristiani, i Fugger e i Welser. Ora invece afferma: «Il fiato gli puzza dei mucchi d'oro e d'argento, perché mai nessun popolo sulla terra è stato, è e sarà più avido degli ebrei, come si può vedere dalla loro maledetta usura». L'autorità manca ai suoi doveri, permettendo agli ebrei, veri padroni del paese, di sfruttare e di mantenere in schiavitù i cristiani. «Ebbene sì, essi tengono prigionieri noi, i cristiani, nel nostro stesso paese, ci fanno lavorare e sudare, mentre loro se ne stanno pigramente seduti vicino alla stufa, a mangiare e a ubriacarsi. Con la loro maledetta usura hanno imprigionato noi e tutti i nostri beni».Queste affermazioni sulla ricchezza e sul potere degli ebrei contrastavano sia con la realtà dell'epoca che con la stessa descrizione di Lutero, prima portata a prova della collera di Dio su questo popolo. La logica del pregiudizio ha una sua particolare incoerenza.

"Lo scritto del vecchio Riformatore si rivolgeva alle autorità. Fu la sua ultima vocazione quella di essere considerato consulente dei potenti. E alle autorità consigliava di far quello che nel 1938, quattrocento anni dopo, su ordine di Josef Göbbels, i nazisti faranno agli ebrei rimasti in Germania. Bisogna bruciare le loro scuole e le loro sinagoghe, scrisse il Riformatore, distruggere le loro case per costringerli a vivere nelle stalle come zingari, bisogna impedire ai rabbini d'insegnare privandoli prima di tutto dei loro libri. E se gli ebrei dovessero ritenersi insoddisfatti della loro condizione, allora li si dovrebbe scacciare, mandare in esilio, come già è stato fatto in Francia e in Spagna. Una sola cosa Lutero non chiese mai: la morte per gli ebrei. Tutto il resto sì.

 

"L'antisemitismo di Lutero non era molto diverso da quello dei suoi contemporanei, Erasmo e umanisti compresi. Fu, è vero, un antisemitismo religioso, e non razziale, come quello 'moderno' dei nazisti. Ma all'epoca le ideologie dominanti erano religiose, non avevano quindi bisogno di darsi una parvenza scientifica. Inoltre, il meccanismo psicologico del pregiudizi, l'identificazione in una minoranza di tutto il male e di tutto ciò che si ritiene negativo, per poter scaricare su questa la propria frustrazione e i propri sensi di colpa, è sempre lo stesso, sia che l'ideologia sulla quale si basa il pregiudizio si rifaccia a qualche religione, sia che abbia pretese scientifiche.

"La violenza verbale del vecchio Lutero non si limitò agli ebrei. Era diventato demagogo. L'autentica passione si era spenta, e le sue tendenze demagogiche presero il sopravvento. Il suo ultimo scritto, Contro il papato istituito a Roma dal diavolo, è fatto solo ormai di una monotona serie di insulti, che ha qualcosa di patologico. La differenza con gli ebrei, però, stava nel fatto che questi erano una minoranza oppressa, discriminata e maltrattata, mentre il cattolicesimo di Roma era forte, armato e in grado (…)  di controbattere.

"Inoltre, non tutti i riformatori tedeschi condividevano l'antisemitismo del vecchio Lutero.  Molti, come Andreas Osiander a Norimberga o Wolfgang Capito a Strasburgo, sostenevano piuttosto ciò che Lutero aveva detto nel 1523. Non sarà difficile, per l'antisemitismo del diciannovesimo e ventesimo secolo, usare gli scritti dell'ultimo Lutero per i suoi scopi. Ma saranno gli scritti di un sopravvissuto. Anche i sopravvissuti, però, possono fare la storia. Il vecchio Lutero ne è un triste esempio."

 

L'unica cosa che merita di essere sottolineata è che l'antisemitismo di Lutero, anche in questa fase più tarda (e critica) della sua vita e del suo pensiero, non assunse mai i caratteri di un razzismo biologico.

Egli era giunto a detestare gli ebrei per ragioni economico-sociali (la loro ricchezza, il loro supposto sfruttamento del popolo tedesco, il prestito a usura, condannato - del resto - da tutta la teologia medievale) e per ragioni ordine religioso (la loro protervia anti-cristiana); in quanto classe e in quanto religione, dunque, e non in quanto popolo.

In questo, si può istituire un interessante parallelismo con le idee di Michail Bakunin sul medesimo argomento, di cui ci siamo già occupati in un precedente lavoro (cfr. Francesco Lamendola, Bakunin e gli Ebrei, sempre sul sito di Arianna Editrice).

 

Il razzismo biologico verrà dopo, molto più tardi. Questa sarà l'originalità, se così la vogliamo chiamare, della politica antisemita del Terzo Reich. Ma sarà un'altra storia, in un'altra Europa e in un'altra Germania

In mezzo, le radicali trasformazioni economiche, sociali e culturali portate nel mondo dall'avvento della cosiddetta modernità.

Perché in questo risiede il vero, grande paradosso della figura e dell'opera storica di Martin Lutero: aver dato inizio alla rivoluzione moderna, lui così immerso nel clima spirituale del Medioevo e così totalmente sprovvisto di strumenti per comprendere il mondo, che non fossero quelli della cultura medievale.

Forse fu proprio per questo che, vecchio, si tirò in disparte, sempre più accigliato e chiuso in se stesso, senza riuscire a capire quasi nulla di quelle forze storiche che - a cominciare dalla rivolta contadina del 1525 - aveva potentemente contribuito a scatenare.

 

 

 

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