LA NONVIOLENZA CONTRO LA GUERRA
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Supplemento straordinario de "La nonviolenza e' in cammino"


Ogni Vittima Ha il Volto di Abele.

Pulsione, Ragione, Inibizione. Per Un'Inibizione Diffusa Umanata e Civile della Guerra
di Flavio Manieri.

Flavio Manieri e' psicologo clinico, psicoanalista, scrittore, docente universitario, professore di Psicologia dell'Educazione, direttore del Laboratorio di Clinica della Formazione, professore di Psicologia del linguaggio e della comunicazione. www.flaviomanieri.it
 
La forma che ha piu' frequentemente assunto, nel Novecento, l'angosciosa domanda sul perche' della guerra e' stata decisiva per la risposta che ne e' conseguita. Essa infatti rivela, anche negli ingegni piu' acuti, di la' dal lavoro di riflessione e argomentativo, cui ha dato luogo, i limiti contraddittori della risposta possibile.
Nello scambio epistolare del 1932 fra Einstein e Freud, pubblicato col titolo di Warum Krieg? (appunto, Perche' la guerra?), La domanda piu' urgente che comporta una questione di vita o di morte per la civilta', e' formulata dal primo come: "c'e' un modo per liberare gli uomini dalla fatalita' della guerra?". Se al termine "fatalita'" diamo tutto il suo significato concreto e storico di evento inevitabile e funesto, la domanda su come "liberarne gli uomini" e', nei fatti, senza risposta. Se Freud, poi, sottolinea che quella "fatalita'" va riportata a una pulsione biologicamente costitutiva degli esseri umani, e gia' nelle sue " Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte" (1915) aveva riconosciuto la necessita' biologica e psicologica del dolore per l'economia della vita umana, il tentativo di "liberarne gli uomini" non puo' che ridursi a pure dichiarazioni occasionali di "condanna". Come puo' l'uomo, e la realta' in cui vive - lo stesso Jung l'aveva intuito nel 1945 - liberarsi dalla fatalita' che lo costituisce? Ne' peraltro essa potrebbe cambiare senza che sia il singolo individuo a cambiare. E cambiare fin nelle sue radici archetipiche, a partire dall'archetipo del nemico, che egli dalla nascita si porta dietro. Esso esprime una dimensione filogenetica, ma alcuni post-junghiani, come Anthony Stevens, ammettono possa essere plasmato da due fattori, l'indottrinamento operato dalla cultura circostante e i processi di repressione familiari nei confronti di cio' che e' estraneo.
Questa e' una posizione presente anche in psicoanalisti che fanno riferimento al pensiero di un'allieva di Freud, Melanie Klein. Lo studio dei bambini nella Klein aveva consentito di arretrare, fin nel primo anno di vita, le fasi dell'evoluzione libidica che danno forma alla relazione d'oggetto e ai piu' arcaici vissuti del corpo materno. Vissuti d'identificazione, internalizzazione, rispetto a un'immagine oggettuale buona, divisa dai suoi aspetti insoddisfacenti, cattivi, che vengono tendenzialmente rifiutati ed espulsi verso l'esterno (fase schizo-paranoide). Queste matrici delle dinamiche aggressive che scattano scaricando le ansie di un oggetto cattivo, persecutorio, interno, verso obiettivi esterni, sono responsabili latenti dei comportamenti distruttivi umani, fino alle reazioni di guerra. Su di essi tendera' ad alitare poi una dimensione depressiva, gravida di colpa, difficilmente riorientabile, nella sostanza, verso una condizione davvero pacifica, se non talvolta, per via di un nuovo insight psicoanalitico. Dalle tesi di Money-Kyrle a quelle di Fornari, nella sua Psicoanalisi della guerra, la responsabilita' all'interno dei gruppi che desiderano la guerra, rimane personale e profonda. Anche se, sul piano social-politico, sostenute da razionalizzazioni concettuali, e da ideologie forti ed emotive. Per Fornari queste dovrebbero essere controllate repressivamente da apposite organizzazioni.
Fermi restando i conflitti fra gli uomini per le loro differenze e per le loro diseguaglianze, come le incitazioni all'espressione dell'ostilita', quello che le guerre attuali sono andate dimostrando - e che nonostante l'evidenza delle cose, non ci consentono di adattarci alla guerra - e' la "scarsa moralita'" degli Stati verso l'esterno e la crescente loro brutalita' nelle guerre. Questo consente di capire cio' che "in tempo di pace si potrebbe capire solo per caso": cioe' che "lo Stato proibisce all'individuo di commettere iniquita', non perche' desideri abolirle ma perche' vuole averne il monopolio".
Il testo della lettera di Einstein s'ispira, infatti, esplicitamente a un militanten Pazifismus e la risposta di Freud - oltre le valutazioni che puo' avanzare dal punto di vista della nuova ricerca psicoanalitica - finisce per arenarsi sull'ammissione che la contrarieta' alla guerra resta propria di coloro che costituzionalmente la rifiutano e ne hanno orrore. In un modo "idiosincratico", quali "amici dell'umanita'", essi "non la possono sopportare piu'".
Entro questo quadro, deciso dalla forma della domanda, giocano una serie di riflessioni dei due autori pacifisti, destinate a confermare nelle loro idee i lettori che nei confronti del pacifismo hanno simpatia. L'effetto sugli altri, che sono in genere proprio coloro che la guerra promuovono, rimane pressoche' letterario, sottolineando l'impasse implicito nella forma della domanda einsteiniana.
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Facevano ostacolo di fatto proprio le osservazioni lucide e realistiche che Einstein aveva analizzato sul piano politico-sociologico e Freud sul piano psicologico e delle pulsioni profonde.
Una soluzione che Einstein ipotizza e' quella di far ricorso alla giustizia di alte corti, per dirimere le eventuali controversie internazionali. E tuttavia questi non puo' evitare, al proposito, di segnalare la frequente relazione fra giustizia e forza, per quanto riguarda le variabili che intervengono sull' esercizio della prima e sulla possibilita' che essa raggiunga il suo effettivo obiettivo. Del pari, vengono segnalate le difficolta' degli Stati ad accettare decisioni che limitino la propria piena sovranita', come una serie di ostacoli non solo psicologici, dalla sete di potere politico, all'occasione di ampliare gli interessi personali, fino alla messa in atto di processi di asservimento di massa alle cupidigie di minoranze, attraverso vere e proprie "psicosi collettive". D'altro canto, com'e' stato evidente anche dalle recenti dichiarazioni di guerra americane, queste sono mosse partendo da una posizione di evidente vantaggio militare asimmetrico, e sono subite da paesi piu' deboli ma piu' ricchi di materie prime. Solo nel mondo antico le nazioni a rischio, per l'oltracotanza dei piu' prepotenti, potevano talora sperare - come narravano i loro poemi di riferimento - nell'alleanza di dei olimpici, perche' l'equilibrio distrutto venisse restaurato.
In ogni modo, come sintetizza Luca Canali per l'ideologia militare di Cesare, nel Diario segreto di Giulio Cesare, "La differenza fra buongoverno e malgoverno e' nella qualita' delle mete, e solo in parte dei metodi per raggiungerle, fondati il piu' possibile sul giusto limite della inevitabile violenza. Del resto non e' violenza anche quella privata, esercitata dal ricco sul povero, dal piu' ricco sui piu' poveri, dal meno povero sul piu' povero?". In effetti, gli fa aggiungere: "Solo gli illusi possono pensare a un procedere storico fondato sulla pace e la solidarieta' fra i popoli e gli individui".
Freud conviene che a poco possono le istituzioni di controllo internazionali, se non gli viene conferito il potere necessario e incontestabile per agire. Una forza che, per la prevedibile resistenza della parte sanzionata, esprime un "inevitabile" e "fatale" quoziente di violenza.
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Occorre dire che, con spirito illuminista, Einstein aveva suggerito l'utilita' di adoperare opportuni metodi educativi, al fine di dirigere l'evoluzione psichica in senso resistenziale, rispetto alla psicosi dell'odio e della distruzione.
Le cose, sotto questo profilo, sono andate in una direzione completamente opposta. Spettacoli e televisione per bambini si sono sempre piu' orientati - in modo subdolo - a utilizzare le scene aggressive, spesso paradossalmente distruttive dei cartoon, come veri e propri appetizers. Il fine: "pompare" attraverso l'incremento di tensione, la dimensione aggressiva presente nel piccolo, i relativi conflitti e paure profondi. E non e' vero - come l'esperienza clinica dimostra - che il tasso d'incongruita' presente nel disegno - in questi casi esasperati e insistiti (esibizioni di mostruosi denti aguzzi, a pieno schermo, incidenti ripetuti, velocita' delle sequenze, ecc.) -  puo' risolversi, attraverso una scarica catartica, nel riso. Piu' spesso, l'angoscia implicita nel procedimento cerca una sua elaborazione attraverso la ripetizione. In luogo di essere fuggiti, questi cartoon (e' l'effetto indotto dalle componenti "appetizzanti") sono ricercati, generando da un lato un processo di fidelizzazione, dall'altro una dinamica di "adattamento" ambientale.
Questi cartoon provengono, in gran parte, da paesi e ambienti che valorizzano la forte concorrenza (con poche o nessuna regola), l'aggressivita' libera e la guerra di supremazia, e vengono molto sostenuti nei paesi "alleati". Sono diffusamente caratterizzati da plot poveri o inesistenti, sostituiti dal pulsare di situazioni elementari bipolari, in cui i personaggi prevalgono alternativamente infliggendosi l'un l'altro, a turno, e per tutto il tempo del video, vendette feroci. Non facciano velo i nomi infantili e iperingenui dei personaggi (Tom e Jerry, il gatto e il topo; il passerotto Titti, ecc.). Tutto e' spinto ai limiti, per lucrare un lungo effetto sorpresa, nel ciclico, senza-fiato, soccombere - vendicarsi sadico - trionfare, oltre la capacita' del bambino di elaborarne i particolari.
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Emergono, inoltre, nel discorso di Freud due osservazioni. La prima, e' che rispondendo a una pulsione biologica profonda all'odio e alla distruzione, la stessa uccisione del nemico tende a soddisfare un'inclinazione naturale, talvolta ridotta alla sua sola intimidazione o alla riduzione in schiavitu'. La diseguaglianza delle forze fra comunita' e all'interno della stessa comunita' tende a generare l'idea di diritti ineguali, e in particolari condizioni la violenza si esprime come violenza interna della comunita', sostenuta dal relativo diritto. La seconda osservazione e' relativa alla ammissione che la guerra "non sarebbe un mezzo inadatto alla costruzione dell'agognata pace 'eterna'", perche' da' luogo a unita' piu' ampie di popoli. Anche se questo cede ben presto a un destino di frammentazione e di conflitti.
Le pulsioni fondamentali - al pari delle forze primitive teorizzate da molte filosofie antiche - sono anche per Freud la tendenza a conservare e unire, l'Eros, e quella a distruggere, espressione dell'aggressivita', descritta come pulsione di morte. Ambedue le pulsioni sono per Freud indispensabili e necessitano ciascuna di un quoziente dell'altra per raggiungere il proprio obiettivo. Quest'aggressivita' puo' essere rivolta verso gli oggetti esterni, in senso affermativo o distruttivo, o anche positivamente verso l'interno, generando un controllo istintivo, che se non raggiunge eccessi "malsani", si esprime in forma di coscienza e di responsabilita'. Due dinamiche possono derivarne: quella del rafforzamento dell'intelletto, e quella dell'interiorizzazione dell'aggressivita'.
La guerra potrebbe allora "sembrare conforme alla natura, pienamente giustificata sul piano biologico". Perche' allora ripudiarla? Perche' eliminarla - attraverso una missione impossibile - dalla storia dell'uomo? Perche' uccide, disonora. Noi diremmo, costringe a regredire in una condizione disumana. Ma non e' solo questione di idiosincrasia di alcuni illuminati, amici dell'umanita'.
La Chiesa aveva, per esempio, riconosciuto una forma di guerra giusta, quella di difesa dei popoli nei confronti di aggressioni, e in nome di una pace espressione di una verita' unica (basti pensare, a questo proposito, ai testi sulla guerra giusta di Aristotele e alla posizione moderna sulla guerra, in assenza di verita' uniche, di Emanuele Severino).
E', infatti, raro che uno Stato, in movimento aggressivo verso un altro, perda l'occasione per dare una veste virtuosa o di necessita' difensiva alla propria azione. Perfino quando la guerra viene addirittura definita "preventiva", e cioe' anticipante il possibile conflitto distruttivo dell'altro.
Gia' negli Adagia Erasmo da Rotterdam aveva segnalato questa contraddizione fra lo spirito evangelico e la prassi di una Chiesa "il cui pensiero era rimasto sepolto sotto la filosofia di Aristotele. La Chiesa con il tempo si e' accresciuta in ricchezza e potere, il Vangelo e' cosi' divenuto in pratica un'ideologia del possesso e del dominio". In nome della conversione. Icona di tutto questo, che gli rimane fortemente impressa, nel suo viaggio italiano del 1506-7, e' l'entrata in Bologna del Papa armato, da trionfatore, che si riverbera nel suo Iulius exclusus. In quest'operetta, Giulio II armato si presenta di fronte alla porta del paradiso con aria iattante, accusa S. Pietro - che non intende farlo entrare, giudicandolo un bandito e non un Papa - di essere uno fuori dal tempo, che pensa ancora di stare ai tempi di Gesu', e lo minaccia. Egli aspettera' che lo raggiunga l'esercito di morti delle sue guerre in corso e "quando saremo in tanti, allora cominceremo a sparare sul Paradiso e vi entreremo con la forza".
Anche Fromm, in Anatomia della distruttivita' umana, distingue fra aggressivita' benigna e aggressivita' maligna: la prima corrisponde a una resistenza attiva, difensiva nei confronti dei pericoli reali, la seconda corrisponde all'iniziativa di attacco distruttivo e a una tendenza necrofilica, di attrazione verso la morte. Qui pero' le radici di riferimento non sono solo di ordine istintivistico, espressione cioe' di spinte organiche, ma soprattutto di ordine esistenziale umano ed espresse nel carattere. Quest'ultima chiave di lettura "ambientale" finisce per essere filosofico-ideologica, e si attribuisce un apparentamento con le speranze rivoluzionarie della borghesia in ascesa nel XIX secolo; mentre la teoria freudiana, "istintivistica", darwiniana - e sia detto per inciso la sua esigenza di scientificita' - e' letta come il riflesso del capitalismo ottocentesco e della sua teoria della competizione e dei conflitti. Fromm confonde nella sua ottica social-ambientale le fonti primarie e biologiche dell'energia vitale con i suoi vettori motivazionali di attivazione, che chiama caratteri. Questi possono essere orientati, in societa' diverse, secondo modalita' e intensità differenti, da fattori come il potere, gli interessi.
In ogni caso - secondo quanto aveva intuito Eraclito - "polemos (la guerra) e' presente in tutte le cose, giustizia e' polemos [...] e tutto accade necessariamente come frutto di una lotta". Si pone qui in evidenza con forza, e senza "buonistiche" ingenuita', il valore anfibolico di polemos. Altrove Eraclito aveva sostenuto che "polemos e' padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi".
Freud aveva gia' segnalato in un suo saggio il valore antitetico delle parole primitive.
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Lo spiraglio che qui ci offre si riferisce al valore anfibolico del suo stesso riferimento, verso l'esterno e verso l'interno. L'aggressivita' si esprime non solo fuori ma anche verso l'interno dell'individuo. Cosi' la coercizione esterna, l'educazione e l'ambiente, esercitano sugli uomini anche un'azione trasformativa della vita pulsionale, in direzione del bene. Queste possono dar luogo a "una conversione dall'egoismo all'altruismo", attraverso premi d'amore, e di altra natura, come le ricompense e le punizioni.
Tralasciamo naturalmente qui le varie idealizzazione della guerra e della morte, come valore in se' per l'umano, o del combattere come - secondo Junger - perfezionamento in se' dei suoi scopi. Si tratta d'idealizzazioni fanatiche, militariste e chiaramente anti-umane, alimentate allo stesso tempo da fantasmi tragici di superiorita' e dominio e da interessi commerciali, che da quelle tragedie hanno tratto e traggono vantaggi di arricchimento. Tralasciamo il delirante "dulce bellum" di coloro che incitano eroicamente alla guerra e indulgono alla sua retorica - come dice in uno dei suoi Adagia Erasmo - senza conoscerla.
Intorno possono facilmente germinare ideologie dell'inconscio puro, della riduzione alla verita' dell'irrazionale e del sangue, di una certa accezione debolmente umanata dell'onore virile come ferinita', soggezione, gerarchia, ubbidienza decerebrata al capo. Vi si aggiunge, a garanzia, un legame con il sacro, con il delitto e il suo tremendum fondativo, con il suo valore totale e totalitario, verticale e assoluto sull'uomo.
C'e' anzi, di piu', il pericolo che le due alternative vengano dal punto di vista totale - del dominio di pochi, con egoismo assoluto, su tutti - posti sullo  stesso piano. E, semmai, si sostenga che l'"idealizzazione fanatizzata" tende ad aumentare nella fase che precede lo scoppio delle guerre, e a diminuire fino alla condanna, quando ci si allontana dagli eventi bellici. Se questi, dal punto di vista ecologico, costituiscono una "fase consumatoria" nella complessa dinamica sociale, determinata da condizioni di frustrazione, di depressione, con difese aggressive-paranoidi, la presenza di facilitazioni inconsce, di componenti eccitatorie e di condanna degli aspetti inibitori, superata la fase bellica tende - come e' noto - ad incrementare i fenomeni criminali interni. I propositi sado-criminali di gruppo, di comunita' o di massa, nei confronti di obiettivi demonizzati paranoicamente, sono allora talvolta rappresentati come dovuti, necessari, quindi "morali", sacri, patrii, qualunque ne sia il prezzo. Anzi, quanto piu' alto ne e' il prezzo, e ribadita, in nuova forma, l'ingiustizia che li ha motivati.
Di fatto, e' una dimensione sociale, diffusa, di umanazione realizzata, basata anche sotto il profilo neurologico su una combinazione di eccitazioni/inibizioni delle spinte emozionali, a costituire un piano equo di relazioni, dove l'esercizio della virtu', attraverso la riflessivita', il riconoscimento dell'altro come se', possono essere a base di una societa' di uomini in pace, di una democrazia delle volonta' dirette di tutti e non solo delle manovre suggestive, che riescono a ottenere "fede" nei valori "ingiusti". Piu' spesso, quando le ingiustizie sono pagate da altri.
Proprio questa potrebbe essere la strada di un incanalamento delle energie che emergono dalla assertivita' del corpo biologico, ma in una forma umanata. Una forma che non solo aborre la "violenza" - come espressione di una speciale "sensibilita'" borghese, "disinteressata" - ma trova disponibile una via di soluzione naturale composta, una determinazione inibitoria, contenitiva. Qualcosa che sia frutto di aspetti in parte etologici, d'inibizione dell'aggressivita' interspecifica, in parte di una maturazione effettiva umana e civile, che fa leva sulla riflessione, sulla riconsiderazione delle motivazioni impulsive, sul disvelamento del loro senso e delle premonitorie modificazioni delle strutture sociali e degli orientamenti giuridici (Bouthoul), e su una ragionevolezza operante, che puo' far leva su strumenti biologici parimenti potenti e regolatori, autonomi, in ciascuno di noi.
Questo puo' accadere, a partire dalle motivazioni inibitorie e dalla critica delle procedure di giustificazione, sul tipo di quelle dei feziali romani, collegio sacerdotale che ritualizzava una "litis contestatio". Si attribuiva, in tal modo, la colpa preventiva al nemico "canaglia", chiamando a testimone il mondo naturale e soprannaturale.
Il fascio di pulsioni aggressive inconsce degli individui della comunita' passava attraverso un indirizzo di verita', dato dall'idealizzazione di una figura di capo. Un capo indiscutibile, difeso a oltranza, e che solo determinate circostanze di sconfitta e di disgrazia potevano far divenire un "capro espiatorio".
Non solo, ma di tutto questo si accettavano i costi immediati per senso di responsabilita', e di sacrificio, a fronte di vantaggi futuri individuali, collettivi e di specie.
Questo va ben oltre la violenza personale, o un'anonima cancellazione tecnologica del nemico per via atomica o chimica. Si dispone piuttosto per un'ottimizzazione morale, attiva e politica, dell'inibizione biologica degli impulsi, come resistenza e franco "No" a una decisione dannosa. Sufficientemente accettata e forte da contenere gli effetti di pregiudizi negativi (il nemico), familiari e ambientali.
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Parliamo di una responsabilita' diffusa, centrata su un processo d'identificazione con l'altro, un processo di solidarieta', attuato per via di una limitazione ragionevole delle ineguaglianze e di un riequilibrio dei diritti pari di ciascuno. Quanto puo' essere ottenuto attraverso processi intrapsichici che modulino la sollecitazione, oggi sempre piu' esclusivamente valorizzata, delle aree nervose "eccitatorie", promuovendo la funzione combinata di altre aree "inibitorie", al fine di ridurre i livelli della risposta aggressiva. Gli esperimenti di Jose' Delgado (1963) hanno, per tempo, dimostrato come sia possibile intervenire per radiostimolazione sui nuclei caudati cerebrali, in modo da modificare le reazioni impulsive e aggressive di animali dominanti, annullando lo stimolo eccitatorio che li espone ad una sindrome da perdita di controllo.
Forme non umanate e ancora brutali espressioni del piu' puro egoismo animale, sono presenti in paesi che la propaganda e la soggezione/alleanza di piu' di mezzo secolo, continua a presentare come le vere fonti della democrazia: Una democrazia vera e liberista per pochi, quelli stessi che riescono ad ottenere grazie ai propri mezzi una giustizia ad personam, guerre ad uso dell'arricchimento di gruppi di profittatori, e insieme la liberta' di porto e di commercio di armi, anche da guerra, e la difesa ad oltranza, vergognosa, della pena di morte. Forme tutt'altro che pienamente evolutive di un'umanita' degna di chiamarsi tale, che pretendono sugli stessi principi della minaccia e della promozione dello stile violento e bullista, di proporsi a giudicare moralmente il mondo.
Se una nuova consensualita' puo' essere ottenuta contro la violenza pura, questa puo' avvenire attraverso un processo radicale di umanazione, che ponga al centro l'uomo, la sua vita e le sue molte culture, l'identificazione piena fra uomini vissuti come pari, e tenga con decisione diffusa fuori dalla porta le armi e la propaganda di lobbies preumane,  assassine, di puro mercato.
Maturare una condizione umanata significa innanzitutto, nei suoi fondamentali, identificarsi con gli altri uomini, superare le barriere criminali di un egoismo paranoico, guardare con occhio da pari e solidale. E sia pure esprimendo le proprie pulsioni aggressive nella conservazione di una dimensione critica e assertiva, mitigata da un afflato fra viventi e dall'esercizio del dubbio, verso l'esterno tanto quanto verso di se'.
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E' ora, dunque - anche per uscire da una crisi finanziaria insidiosa - che questo paese si strappi di dosso il machiavellismo dei segretari, dei consigliori, dei servi-buffoni all'orecchio dei principi, degli invidiati servizi - non solo all'italiana - delle "vite" verminanti, verminanti ed erosive, condotte sotto il letame delle corti. In cerca del miglior compratore per Roma, secondo la profezia di Giugurta. E' di buon augurio che proprio in questo periodo, nel quale sembriamo accorgerci che al peggio del karaoke politico c'e' poca o nessuna alternativa, esca in libreria l'opera - in tre volumi - di un caro maestro e amico Carlo Vallauri, dal titolo L'arco della pace. E' un'opera che esprime un'esigenza esperienziale e morale, prima che accademica, inoltrandosi a disegnare la lunga e complessa narrazione della "nonviolenza attiva", e dei suoi protagonisti nel tempo. Tutti sanno, peraltro, come al seguito delle guerre americane sia ridivenuto difficile, e talora risibile in Italia (il riso dei servi) dichiararsi pacifisti, e recuperare il senso di quella civile esigenza.
La guerra va, tuttavia, non solo costituzionalmente ripudiata come "termine del vocabolario", ma legittimamente impedita, camminando verso una societa' internazionale e plurale di uomini a viso nudo, che finalmente si vergognino di chiamarla "intervento umanitario", portatore di "democrazia". Portatore di "liberazione" dalle tirannidi locali, per tutte le letterali e simboliche "faccette nere" che siedono sui beni segreti del pianeta, cui vengono portate sempre in dono nuove "sfilate", "un'altra legge e un altro re".  Nella convinzione che non c'e' contenimento delle guerre dove non c'e' un previo consenso acquisito, largo, per una lotta effettiva alle disegueglianze, dove manca un'educazione all'autonomia e il coraggio di dire di no alle cooptazioni corruttive e alle mance sociali di qualunque, anche ridicola, figura padronale. In Italia, per esempio, non troverai nessuno che si sia mai vergognato o si vergogni per questo. Talora, anzi, puo' divenire il sogno cercato per i propri figli, dalle famiglie pauperizzate. Ciascuno se ne difende, con volti di legno, attraverso la minaccia di risse pubbliche che confondono nel flusso di parole, davanti a figuri che chiamano "politici", i controllati e i controllori, quanto e' ignobile con chi lo segnala alla pubblica riprovazione.
Uomini, dunque, educati e che educhino al primato umano dell'autonomia del giudizio e alla capacita', e al coraggio, di svelare il pantano di corruzione e menzogna che aiuta i gruppi di capitalismo criminale a modificare dalla radice il senso stesso del mondo, per noi. Ed abbiano per questo la chiara consapevolezza che qualunque "granello di sabbia sollevato dal vento [puo'] fermare una macchina", come osservava Norberto Bobbio. E come alcuni giuristi da Antonio Cassese a Danilo Zolo hanno sottolineato, anche se fosse minima la possibilita' che "il granello sollevato dal vento vada a finire negli ingranaggi e ne arresti il movimento, la macchina che stiamo costruendo e' troppo mostruosa perche' non valga la pena di sfidare il destino". E fuor d'astrazione, questa e' una possibilita' legale alla portata e nelle mani di chiunque abbia deciso, quale mondo dei Molti, di rimanere e di farsi valere, per se' e per tutti gli altri con i quali s'identifica, come cittadino.
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L'aggiunta di questi tratti attivistici, pratici, orientati a una cittadinanza efficace - in un mondo che tende a escludere in teoria la guerra dalle sue costituzioni - e nonostante una nostra sfiducia critica sulle idee correnti di natura, di bene, di finalismo, e perfino di giustizia, e di malignita' naturale dell'uomo, ci consiglia di attestarci alla frontiera del Progetto kantiano per una pace perpetua. Quel progetto di forte tonalita' illuminista affida, con fiducia, alla ragione umana la possibilita' concreta di operare per l'uomo e per la sua vita (dignita' e salute). Il riferimento riflettuto e' a una lettura diffusa e sufficientemente concorde nel tempo. Una lettura storica di uomini che hanno dimostrato di saper orientare nella mitezza i propri e gli altrui istinti, verso cio' che e' un bene etico per tutti.  A partire, cioe', dall'uomo meno avvantaggiato, in nome di un "diritto esterno" e "internazionale" uguale per tutti e di una redistribuzione piu' equa e solidale delle ricchezze comuni. Questo e' kantianamente possibile in un ambiente nel quale "si forma una potesta' legale, che e' contrapposta alla menomazione della liberta' dei singoli, nel loro reciproco contrasto: poiche' il massimo sviluppo delle disposizioni naturali puo' compiersi soltanto in una tale societa'" (Critica del giudizio, 83). Tutto questo, anche per Kant, non e' in grado di garantire una pace perpetua, se non considerando la natura daedala rerum, nel suo procedere complesso verso una sorta di destino, cui alcuni vogliono attribuire il nome di Provvidenza.
E', tuttavia, ancora poco. E' ancora parziale, perche' a questo tipo di evoluzione hanno dato finora il massimo contributo proprio le guerre, e in particolare la domanda di armi tecnologiche piu' letali ed efficaci. In altri termini, l'evoluzione naturale di cui si continua a parlare, negli ultimi secoli, rimane prevalentemente quella tecnologica, e gran parte della sua produzione "civile", nasce proprio da sempre piu' ingenti investimenti per micidiali usi bellici. Si guarda a stento, e in modo "provvidenzialmente" minoritario, a tutto quanto di umano, in senso stretto, va perduto, sostituito da immagini di potenziamento, di lusso, di delirio della pubblicita'. Anche quando si ha l'impressione di essere entrati in un tunnel di crisi, per il quale non sono sufficienti le idee creative della finanza. A queste sembra mancare proprio oggi - in alcune potenze trainanti - il supporto turbo delle industrie di distruzione di massa. In altri termini, le armi un tempo vendute, in segreto, ad antichi alleati e il cui possesso viene oggi denunciato paranoicamente, come possesso di attuali nemici.
Se l'uomo non e' naturalmente cattivo e tendente al male, spesso pero' la sua reale natura e' lontana dall'essere raggiunta, permanendo in condizioni interne e ambientali che premiano la bestialita' e le sue forme di dominanza. Una dominanza attraverso la forza, il diritto del vincitore, le alleanze del commercio internazionale, la soggezione, l'incremento delle disparita' e i vantaggi puramente individualistici, comunque ottenuti.
Il mercato, e il mercato liberista, nella sua forma selvaggia ne e' la rappresentazione. Tanto piu', quanto piu' potenti sono le forze in campo, di gran lungo piu' forti delle loro istituzioni regolatrici .
Per Kant, invece, si poteva evitare la guerra, grazie agli interessi internazionali che incentivano investimenti comuni e cooperazioni, mentre si sarebbe potuto operare - secondo il noto versetto di Matteo - "prudenti come serpenti e candidi come colombe". Affermazioni dal bel suono filosofico, come rilevava a suo tempo Hegel, ma mai verificate, e comunque mai verificate come garanzia, per la tematica di pace che si sta affrontando. L'hanno dimostrato gli effetti delle frizioni commerciali delle grandi multinazionali.
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Occorrera' - nonostante tutto e malgrado le specifiche esperienze di insight sull'uomo - procedere con decisione, come se la ragione potesse trionfare diffusamente nelle nostre valutazioni, e in una parte gia' opportuna delle nostre azioni, e con essa la pace.
Occorrera', inoltre, cogliere ogni occasione per collocare utilmente, nel suo "dover essere", l'azione pratica, storica, del soggetto - fra la temerarieta' e la possibilita'. Fra il suo spettacolo di autorappresentazione, festoso, tumultuoso, e la sua potenziale astuta vanificazione, con l'esibizione di diversi e opposti stendardi. Avendo in questo presente - con senso di realta' - i limiti concreti della sua storia, del suo, del nostro tempo personale di vita.
Condizione, dunque, perche' la relazione fra l'uomo e il male, come sua pulsione "parziale", venga considerata piu' completamente, e' che essa abbia avuto la possibilita' di completare la sua forma evolutiva di umanazione. Qualcosa che passa attraverso un processo d'impasto delle pulsioni brute e di equilibrio del comportamento, attraverso una cultura attenta delle relazioni e del senso delle cose, su cui l'educazione conduca a riflettere.
Questo - pur nei limiti del manque essenziale umano, da imperfezione ad essere -, come noi sosteniamo, ha poi quale modello quello cui aspirano gli uomini di buona volonta'. Il modello  rappresentato da una saggia, pacifica, liberta' regolata, nella costituzione civile della citta'. Di una citta' a democrazia reale. Non piu' solo formale, ne' affidata a democrazie "di trucco", "di copertura".

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