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Lunedì, 28 luglio 2014

Un periodo di instabilita’ senza precedenti?
David Rothkopf Intervista Zbigniew Brzezinski
traduzione di Fa Ranco

Una conversazione con Zbigniew Brzezinski sul trambusto politico di questi giorni, enfatizzando la minaccia nucleare iraniana ormai prossima e perché un ritorno all’ordine globale potrebbe andare in stallo sulle relazioni USA-Cina.
Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter, è tuttora uno dei più eminenti strateghi degli Stati Uniti per le successive tre decadi e mezzo. Recentemente, durante una chiacchierata con il CEO del FP Group ed editore David Rothkopf, ha espresso la sua preoccupazione circa il fatto che potremmo vivere un periodo di instabilità senza precedenti in tutto il mondo. Quando gli è stato chiesto di sviluppare il suo pensiero, ha proposto di discutere sul punto, a seguire una trascrizione della conversazione.

Nonostante le sue preoccupazioni circa l’instabilità mondiale, Brzezinski dà una chiara visione di cosa pensi sia essenziale per stabilizzare la situazione, una visione che comincia con il presupposto che in primis gli Stati Uniti e la Cina devono accettarsi reciprocamente come centri di potere gemelli nel mondo moderno.

Brzezinski è diretto nel menzionare le prove affrontate dagli USA nella loro posizione di leadership, i problemi affrontati dagli Europei e quelli causati da Vladimir Putin e la situazione sempre peggiore in Medio Oriente. La sua è una visione in cui gli Stati Uniti devono sia capeggiare più attivamente sia al contempo porsi dei limiti sul quando e dove intervenire, in modo da offrire un’alternativa alla politica estera attuale, la quale è basata su alcuni temi proposti dal Presidente Obama per la ricomposizione e ristrutturazione del modo di esercitare il potere statunitense. All’età di 86 anni, l’ex professore della Columbia e prolifico autore offre una chiarezza e vastità di esperienza che pochi a Washington possono eguagliare e che dimostra perché così tanti potenti, inclusi quelli che stanno alla Casa Bianca, si rivolgono regolarmente a lui per avere consigli. L’ultimo libro di Brzezinski è Strategic Vision: America and the Crisis of Global Power (“Visione Strategica: gli Stati Uniti e la crisi del potere globale” NdT).

DR: mi hai detto che hai la sensazione che stiamo vivendo in un periodo di enorme instabilità a livello mondiale, al punto che nella tua memoria recente non trovi un precedente simile. Puoi sviluppare meglio questo pensiero?

ZB: direi addirittura che non ha precedenti storici, nel senso che contemporaneamente grandissime fette di territori sono governate da instabilità populista, rabbia e perdita del controllo statale. Una delle mie sensazioni circa gli USA è che non stiamo declinando verso una crisi per la sopravvivenza, ma che stiamo perdendo il controllo dei nostri massimi livelli di abilità nell’affrontare sfide che, sempre più, molti di noi riconoscono essere fondamentali per il nostro benessere. Per di più non possiamo arruolare forze o creare leadership per gestirle; ciò rende noi, il centro di potere di spicco, sempre più privi di volontà strategica e senso della direzione da intraprendere.

Per quanto riguarda l’Europa, abbiamo visto agli albori di quanto è successo in Ucraina che non ci si può aspettare che l’Europa si imponga internazionalmente (o che tenga effettivamente la nostra parte) quando per la prima volta dal 1939 deve fronteggiare uno stato della regione che mira all’espansione territoriale. L’Asia è pietrificata di fronte alla prospettiva di un predominio cinese e anche dai conflitti nazionalisti tra stati vicini.
Salto intenzionalmente il Medio Oriente, che è in subbuglio, e l’Africa, che sta iniziando ad esserlo. Penso che siamo di fronte ad un mondo pieno di tumulti, frammentazione ed incertezza – nessuna minaccia diretta per nessuno, ma molte differenti minacce per praticamente chiunque.

DR: parliamo delle cause di tutto questo. Perché sta succedendo ora? Cosa rende questo momento diverso? In Medio Oriente ci sono state diatribe fin dalla fine dell’era Sykes-Picot – i poteri stranieri non vogliono o non possono estendere le loro sfere di influenza e i poteri locali non sono in grado di fermare le forze radicali all’interno dei loro confini. Questa situazione – il declino nel meccanismo internazionale di mantenere il mondo stabile, una ritirata da parte degli USA, la non volontà dell’attuale classe dirigente cinese di assumersi un ruolo di dominio al di fuori della propria regione, la confusione e la debolezza europee, il tutto mixato a rafforzate forze destabilizzanti a livello popolare – è la causa dell’era di instabilità che viviamo?

ZB: vedo dei paralleli tra quanto sta accadendo in Medio Oriente e quello che accadde molti secoli fa in Europa durante la guerra dei trent’anni, letteralmente lo sviluppo di un’identità religiosa come motivo principale per l’intrapresa di azioni politiche, con terribili conseguenze distruttive. Ciò è un aspetto.
Secondariamente, in questo momento, concentrandosi sul Medio Oriente, quali nazioni sono davvero autosufficienti in termini di identità, unità e potere nazionali? Turchia, Iran, Israele ed Egitto. Ecco come stanno le cose. Il resto – molti paesi e molto attivi – sono carenti di questi attributi. Sono instabili e facilmente destabilizzabili. Considerando anche l’Afghanistan post-USA. E chi sa cosa succederà in Pakistan?

DR: e nell’Iraq post-Iraq.

ZB: beh, avrei dovuto menzionarlo. In quel contesto, dal mio punto di vista, quello che dovremmo fare è, in primis, concentrarci per intervenire efficacemente sulle nazioni di spicco, il che è traducibile in accordi con l’Iran, che è un vero stato con prospettive di crescita, che non scomparirà. Ovviamente anche con la Turchia. Non può mancare Israele, in parte per questioni legate a comunione di civiltà, ma anche, in quel contesto, in modo che gli USA diano chiarezza su ciò che pensano sia condizione necessaria per il successo di Israele. Ciò significa l’adozione di una prospettiva che accomuni la maggioranza degli Israeliani, ad eccezione del ramo di estrema destra, che governa la loro politica – letteralmente degli accordi fondamentali con le aspirazioni palestinesi.

DR: Uno stato palestinese indipendente.

ZB: sì, l’obiettivo sarebbero due stati che collaborano l’uno con l’altro.

DR: e presumibilmente, aggiungere al quadro alcuni stati imperfetti in via di stabilizzazione, come l’Egitto, dove...

ZB: l’Egitto è una nazione antichissima ed è unica. La ragione per cui i tentativi inglesi e francesi di stabilizzare la regione sono falliti è che erano solo basati sulla forza. Era un sistema coloniale con la pretesa di confini nazionali e identità nazionale per un popolo che non si è mai identificato in concetti così europei di stato-nazione. Quando Francia e Gran Bretagna, per dire, hanno fallito, noi siamo subentrati, giocando con quei presupposti ed è finita male.
La differenza tra le guerra di Bush senior e Bush junior contro l’Iraq è che nella prima, ci siamo appoggiati a sentimenti ed interessi di differenti gruppi nella regione e questi stavano dalla nostra parte. Nella seconda, abbiamo fatto tutto da soli, sulla base di false premesse, con una brutalità estrema e una totale assenza di senso della politica.

DR: in primo luogo, c’era una presa di coscienza circa fattori stabilizzanti nella regione che suggeriva di non rischiare di rovinarli. Quindi, ad esempio, mantenere Saddam nella sua posizione avrebbe precluso altri aspetti e controbilanciato l’influenza iraniana.

ZB: sì, lui odiava anche Al Qaeda, ad esempio. Era un suo strenuo oppositore.

DR: quindi stai dicendo che stiamo iniziando a subire le conseguenze dell’invasione dell’Iraq, che ritirandoci dall’Afghanistan siamo quasi certi di permettere ai Talebani di ridiventare una forza destabilizzante nell’area, che se spingiamo troppo per una democrazia in Egitto potremmo ritrovarci a supportare forze destabilizzanti come era successo quando alcuni al governo sembravano supportare [Mohamed] Morsi e la Fratellanza Musulmana troppo accanitamente. Siamo intervenuti in Libia senza un piano a lungo termine, lasciando campo a forze destabilizzanti. Non abbiamo intrapreso azioni decise in Siria e come conseguenza di ciò e della situazione in Iraq, si è diffuso il malcontento in Siria. I rischi sono ovunque e le forze stabilizzatrici maggiori al mondo – USA, UE e Cina – hanno desiderio di interventi costruttivi in ben poche di queste situazioni. Ci vedi a buttarci in un periodo in cui supportiamo la stabilità, anche se non la troviamo ottimale da un punto di vista politico o democratico? Un approccio per cui ci sono fin troppi esempi nella precedente politica estera statunitense.

ZB: Penso che in parte lo stiamo già facendo, ad esempio in Egitto. Se si guardano le scelte – e le mie preferenze sono sempre indirizzate verso imperativi democratici – ovviamente dovremmo schierarci con la Fratellanza Musulmana. Invece credo con alcune riserve che decideremo di supportare l’esercito nella speranza che consolidi il potere statale, il quale si possa evolvere in qualche modo nella stessa direzione della Turchia. Probabilmente è una scommessa migliore. In senso lato, ciò che voglio dire è questo: penso che ora tutta la regione, in termini di impulsi e intolleranze settari, non sia un luogo in cui gli Stati Uniti dovrebbero tentare di essere dominanti. Penso che dovremmo perseguire una strategia in cui prendiamo atto dei problemi stabili, in espansione e maggiormente diffusi. Le due nazioni che potrebbero maggiormente essere danneggiate da questi sviluppi a lungo termine sono Cina e Russia – a causa dei loro interessi regionali, la vulnerabilità al terrorismo e gli interessi strategici sul mercato globale dell’energia. Di conseguenza dovrebbe essere loro interesse lavorare insieme a noi e noi dovremmo avere la volontà di giocare nella stessa squadra con loro, senza assumerci da soli la responsabilità di gestire una regione che non possiamo né controllare né comprendere.

DR: un’altra domanda circa il Medio Oriente prima di cambiare ambito: visto che parli di accordo con l’Iran e chiaramente questa è una cosa che il presidente Obama ha in mente fin da quando era in campagna elettorale. Dato che gli Stati Uniti sono spinti dagli eventi in Iraq per lo meno a collaborare attraverso qualche sorta di tacito accordo nei riguardi dell’ISIS, o Stato Islamico, e le negoziazioni sul programma nucleare in corso, molti nella regione vedono un principio di disgelo. Sono spaventati perché la maggior parte dei problemi intercorsi nel corso degli ultimi 30 anni erano dovuti alla loro posizione destabilizzante portata avanti da Hezbollah, il loro supporto di stato al terrorismo, il loro supporto ad Assad, Hamas e via dicendo. Possiamo fidarci di loro come alleato?

ZB: di base vedo l’Iran come un vero stato-nazione. Quella identità reale gli dà la coesione di cui la maggior parte del Medio Oriente è priva. In quel senso è uno stato meglio definito ad esempio dell’Egitto, al quale assomiglia, ma che non ha ancora una coesione autentica a livello nazionale. I problemi con il regime iraniano sono ovviamente: in primis i suoi effetti turbativi riguardo i Sunniti, in particolare l’Arabia Saudita e, in secondo luogo, la sua potenziale minaccia ad Israele.

La domanda è, come si risolve tutto ciò? Io di sicuro non accetto l’idea che la migliore soluzione sia che tutte le soluzioni vengano messe al vaglio, che è il modo più educato per dire che andremo in guerra se la questione nucleare non verrà risolta velocemente. Il punto della questione è che Israele ha un monopolio nucleare nella regione e ce l’avrà per lungo tempo. Una cosa che gli Iraniani non faranno di sicuro è intraprendere una missione suicida nel momento in cui avranno una bomba. Quindi l’idea che è stata pubblicizzata negli USA che potrebbe scaturire una folle corsa iraniana per avere la bomba in nove mesi a mio parere è insensata. Cosa ci si può fare con un singolo ordigno di cui si è in possesso per la prima volta, mai testato, mai armato, del quale non si è sicuri dell’esito del lancio e con il quale non ci si potrebbe difendere da una rappresaglia, perché è l’unico a disposizione? Israele ha un esercito molto forte e circa 150-200 bombe. Ciò è sufficiente per uccidere ogni Iraniano. In conclusione penso che la questione sia totalmente falsa.

DR: cosa ne pensi dei nostri tradizionali alleati nella regione, come i Sauditi, gli Emirati Arabi il Bahrain, certamente la Giordania, che sono molto nervosi di fronte a questi potenziali accordi con l’Iran? Reputi importante mantenere equilibrio e coltivare i rapporti anche con questi stati moderati nella regione?

ZB: ciò dipende dalla grande decisione su cosa faranno di loro stessi, dato che stanno acquisendo maggior potenziale bellico moderno e, forse, sono guidati sempre più dalla moralità nazionale, ma forse più da quella settaria. Io, per esempio, sono confuso da tutta la storia delle recenti tragedie in Siria. Non mi è chiaro cosa esattamente pensassero di ottenere i Sauditi e i Qatarioti scatenando una guerra settaria in Siria e sono ancora più frastornato da cosa noi pensassimo avremmo potuto ottenere sostenendoli in una maniera tanto esitante ed inconsistente.

DR: in molti di questi paesi ci sono uno stato forte e la religione, ma non esistono altre infrastrutture che rappresentino in maniera organizzata altri punti di vista. Così in Egitto, quando Mubarak è caduto, l’unica altra scelta possibile era l’Alleanza. C’è la necessità di costituire istituzioni che forniscano un’alternativa moderata, che non è mai stata perseguita veramente.

ZB: in ultima istanza questa spinta deve venire dall’interno, è dalla seconda guerra in Iraq che noi [gli USA] ci siamo squalificati come protettore e promulgatori di qualsivoglia sviluppo positivo. La mia opinione è che sarebbe meglio concludere qualche sorta di tacito accordo con i Cinesi e i Russi, riguardo ciò che riteniamo una minaccia inaccettabile nella regione e ciò che a nostro parere può essere lasciato correre.

DR: Quindi suggerisci che dovremmo trovare un meccanismo collaborativo tra superpotenze che ora non esiste, ma i Cinesi non sembrano pronti ad assumersi un tale ruolo e i Russi di rado si sono dimostrati costruttivi.

ZB: I Russi si sono enormemente danneggiati con la loro invasione della Crimea e le loro azioni in Ucraina, tutto ciò rende la possibilità di assumere tale ruolo complicata. Per di più sono – sia noi sia loro dobbiamo affrontare la cosa – molto più deboli. Alla fine siamo noi e i Cinesi. I Cinesi sono più prudenti, ma a volte insensibili alle aspirazioni e agli interessi personali dei loro piccoli e deboli vicini. Quelle nazioni, più di tutto, vogliono che ci sia il nostro ombrello a proteggerli. Penso che dovremmo essere calmi e prudenti e non diventare automaticamente il contatto di quelle nazioni ogni volta che hanno problemi con la Cina e sembra loro che tutto ciò che debbano fare è alzare il telefono ed ottenere il nostro intervento.

DR: gli Europei si sono in pratica estromessi dai giochi, ritirandosi in una struttura come la UE che in realtà non può formulare o mettere in atto una vera politica estera. Sono fuori dal quadro o esiste una possibile partnership differente?

ZB: non sono fuori dal quadro, ma non penso abbiano capito a sufficienza la portata del chiuso e autoreferenziale nazionalismo europeo, nel quale nazioni e identità nazionali sono stati l’unico collante che ha mantenuto intatta la situazione. Penso che il concetto di un’Europa unita fosse comprensibile subito dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, ma gli uomini di stato europei più visionari si fecero da parte. Dove sono i padri dell’Europa che davvero credono nell’identità europea? Alla fine la UE si è dimostrata essenzialmente una serie di accordi a Bruxelles, basati sul denaro e i quid pro quo, ma con molto poco senso di obiettivi comuni.

DR: ritornando all’Asia, nel Sudest Asiatico si dice che il problema sia il fatto che gli USA non siano lì a controbilanciare il potere cinese. La Cina ha un piano, vanno di nazione in nazione, si offrono di costruire ferrovie e porti e cercano di creare interdipendenza – gli USA non hanno così tanto da offrire. Noi ci abbiamo girato attorno, è sembrato per farla breve, quando i nostri sforzi sono stati sprecati in assenza della leadership di personaggi come Hillary Clinton, Tom Donilon a Kurt Campbell durante il periodo iniziale. Nel frattempo c’è quest’altro fenomeno interessante in atto, il Giappone che sta riconsiderando il suo posizionamento militare difensivo, mentre si accorgono che, data la crescita della Cina, devono stringere rapporti con l’India. Si ottiene questa intesa amicale tra Abe e Modi.

ZB: esattamente così. Essa può diventare in qualche modo un impedimento ad un eccessivo espansionismo cinese. Se invece è motivato da un senso di egemonia regionale come pezzo fondante di una posizione preminente a livello mondiale, è un atteggiamento che non deve passare inosservato.

Io penso che la nostra strategia dovrebbe far in modo che i Cinesi stessi si accorgano che gli ostacoli e i costi di un espansionismo sconsiderato, per l’impatto che inevitabilmente avrebbe sulle nazioni da te menzionate, ad esempio, India e Giappone. Non credo dovremmo starcene in prima linea a gestire tutte queste situazioni. Lasciamo che i Giapponesi prendano il ruolo di leader se vogliono avere un ruolo più attivo nella regione – non mi dispiacerebbe affatto vedere il Giappone più coinvolto a livello internazionale. Ma se vuole impegolarsi in qualsivoglia tipo di conflitto con la Cina, nel quale delle isolette relativamente sconosciute assumono un significato simbolico, non è nei nostri interessi supportarlo.

DR: non lo è. C’è ancora tuttavia un’aspettativa nei nostri confronti.

ZB: a causa del trattato. Ma penso che il trattato vada inteso dalle due parti nella direzione del bene comune di entrambe le nazioni. Come dire che è nostro interesse che il Giappone sia una democrazia di successo con capacità militari che ne aumentino la stabilità a livello globale. Non abbiamo alcun interesse a che il Giappone sia una nazione di successo dal punto di vista economico con capacità militari da sfruttare per perseguire obiettivi nazionalistici molto specifici.

DR: mi sembra che il tuo paragone con la guerra dei trent’anni fosse interessante perché quello fu un periodo di caos duraturo che ricorda i nostri tempi e che, come ben sappiamo, si è concluso con la Pace di Westfalia – la nascita del moderno sistema di stato-nazione.

Allo stesso modo quando parli di Medio Oriente ed Asia, una delle cose che stai dicendo è che la soluzione non è che una superpotenza imponga la sua volontà. È una sorta di condominio di superpotenze – in cui USA, Cina e Russia e/o USA, India e Giappone – trovano un equilibrio e stabiliscono priorità, per definire se gli eventi verranno lasciati alla gestione regionale a meno che non passino una determinata soglia, a quel punto si interverrebbe unitamente, o insieme o all’interno di un forum internazionale. Possiamo considerare questo un nuovo modello evoluto per gestire questo periodo che tu definisci di particolare insicurezza?

ZB: forse. Sarebbe una combinazione di accordi pratici regionali, ma con un meccanismo salva-vita che darebbe la possibilità a USA e Cina di agire congiuntamente, dato che i Russi sono un comprimario, in situazioni di particolare rilievo, ad esempio, come abbiamo detto prima, il Medio Oriente e l’ascesa del risveglio musulmano e del settarismo.

DR: quindi siamo diretti verso un mondo G-2 più

ZB: implicitamente sì.

DR: ok, ma i Cinesi sono riluttanti all’idea

ZB: vero. Ho esperienza di ciò, perché in occasione del 25° e del 30° anniversario della normalizzazione delle relazioni ero in Cina per un evento e ho tenuto un discorso in cui ho detto, in breve, che siamo nella direzione di un mondo G-2. Il pubblico cinese si è elettrizzato, c’era molta emozione attorno al mio discorso. Un paio di settimane dopo è stato messo in chiaro da voci ufficiali che non era lecito applaudire a questo punto di vista, perché è una strategia statunitense per tirare in ballo i Cinesi nei loro diffusi e complicati problemi.

DR: si passa ad un’altra area di instabilità da te menzionata – l’Africa, dove incontriamo estremismo violento, instabilità cronica, conflitti in corso in Sudan, Somalia, Repubblica Centrafricana, Nigeria, Mali e via dicendo. È inoltre una regione in cui, storicamente, gli Europei hanno forti interessi

ZB: per dirla in maniera edulcorata

DR: sì, e ne sono stati parzialmente coinvolti

ZB: e parzialmente hanno avuto successo

DR: esatto, i Cinesi e gli Statunitensi hanno interessi crescenti in quel continente – più i Cinesi al momento. Cosa ne pensi, si deve dire all’Africa di lasciar marcire la ferita già infetta? O serve che questo “condominio” o il “G-2 più” dovrebbe essere operativo anche in un contesto come quello?

ZB: sì. I cinesi sembrano avere interessi a lungo termine in Cina e la mia speranza è definitivamente o in casi specifici, l’Europa possa essere vista, spero, come una nostro tentacolo, a patto che possiamo ottenere, ad esempio, accordi commerciali con gli Europei – uniamo questi ultimi alla NATO, all’annessione dell’Ucraina all’UE, che a sua volta dovrebbe attirare la Russia verso l’Europa, perché l’ombra della Cina sta sempre più estendendosi sopra Mosca. Tutto ciò potrebbe andare nella direzione di un beneficio collettivo.

L’America Latina è un’altra area in cui gli USA hanno grossi problemi e stanno imparando ad essere tolleranti. Abbiamo imparato a convivere con Cuba. Con il Nicaragua. Con il Venezuela. Ci saranno altri che potrebbero diventare anti-statunitensi, ma stiamo imparando a convivere con loro e ad evitare i conflitti. La Cina si sta spingendo in quella direzione, ma non competono ideologicamente con noi. Noi dovremmo tollerarli. Allo stesso modo noi possiamo fare lo stesso per loro in Asia, ovvero, tu ti risolvi i tuoi problemi nelle vicinanze, ma non spingerti oltre. Tolleriamo alcuni sprazzi di autonomia.

DR: un po’ di Dottrina Monroe light?

ZB: sì, è bilateralmente sostenibile

DR: interessante, tuttavia, in Latinoamerica non abbiamo strategie di cui parlare. Ogni tanto un leader ci fa una visita.  Non abbiamo fatto così tanto. Ma finora una delle crisi politiche maggiori è quella dei confini, se si guarda da dove vengono gli immigrati si tratta di paesi come Honduras, che è tormentato dalle guerre di droga ed ha il più alto tasso di omicidi al mondo. Queste sono crisi vicine in cui non ci siamo addentrati, ma che si stanno diffondendo nelle nostre città e nei nostri stati, tutto ciò suggerisce che dovremmo essere un po’ più coinvolti di quanto siamo stati in passato. Parte della tolleranza di cui hai parlato può essere presa come disinteresse da alcuni dei nostri vicini.

ZB: è vero e dobbiamo prenderne atto, a un livello più ampio, basandoci sul nostro senso di interesse nazionale. Consideriamo ovviamente l’aspetto umano, ma non lasciamo che quei governi lo sfruttino in maniera cinica per tirarci in problemi di cui non si vogliono occupare loro, in parte a causa delle loro antiquate strutture sociali, della disuguaglianza, della mancanza di giustizia sociale e via dicendo. Lo stesso si potrebbe applicare alle relazioni tra la Cina e i suoi confinanti che a lungo si sono sentiti minacciati dalla presenza cinese, ma si sono adagiati all’idea che la Cina se ne starà lì per sempre.

DR: torni di nuovo alla centralità del rapporto Cina-USA come maggior forza stabilizzante in questo ambiente in tumulto.

ZB: l’assenza di un conflitto ideologico tra noi e i Cinesi è la sostanziale differenza tra i conflitti con l’Unione Sovietica o con Hitler e la Germania. In entrambi i casi, c’era forte antagonismo, in parte a causa di ragioni geopolitiche, ma in parte anche per profonde e conflittuali differenze ideologiche.

DR: un altro contributo a questa instabilità, credo, è dovuto al fatto che molti meccanismi multilaterali utilizzati in passato sono superati. Molti di essi furono creati alla fine della seconda guerra mondiale. Ci sono stati utili per molto. Molti erano stati concepiti per relazionarsi con la realtà del tempo. Che sia il Consiglio di Sicurezza dell’ONU o l’ONU in toto, il mancato rafforzamento del trattato sugli armamenti nucleari, l’assenza di un controllo sui cambi climatici o sul mondo informatico, sembra che tutte le sovrastrutture internazionali del mondo abbiano bisogno di un upgrade.

ZB: se parli di mondo informatico, parli di una minaccia per tutto il mondo sviluppato. Tradotto sia noi, sia i Cinesi. Penso anche che non si possa avere una soluzione generalizzata. Sono necessari una risposta diretta da entrambi, sia congiunta o in un certo senso anche antagonistica.

Un esempio di cosa intendo: di recente abbiamo messo in luce attacchi cibernetici cinesi ai nostri danni, abbiamo fatto i nomi delle persone coinvolte e pubblicato le loro fotografie; diffuso mandati di cattura e via dicendo. Mi chiedo se ciò sia efficace tanto quanto se noi avessimo usato i loro metodi e fatto un macello con gli edifici e le istituzioni coinvolti, dicendo al contempo molto educatamente alla leadership cinese, che a noi non era piaciuto quello che ci avevano fatto, quindi erano stati ripagati con la stessa moneta. Di smettere, altrimenti la questione si sarebbe accresciuta e si sapeva come sarebbe andata a finire. Penso che sarebbe stato molto più credibile piuttosto che creare ancora maggiore antipatia per i Cinesi, rendendo ancora più difficile il negoziare con loro.

DR: abbiamo anche compiuto gesti insensati. Quando dici che stai denunciando qualcuno che non denuncerai, che non verrà mai nel tuo paese e che non potrai mai perseguire o punire – è senza senso.

ZB: esatto. Ma temo che siamo nella direzione di ritrovarci ad un punto in cui loro potranno farci cose terribili – gli ultimi report dicono ci siano molte più situazioni in ballo di quante ne conosciamo – e che noi ci stiamo lamentando. Invece di protestare, sarebbe molto meglio, dato che non stiamo uccidendo nessuno, di restituirgli con gli interessi quanto da loro fatto, in modo che realizzino che tutto ciò va in una direzione molto pericolosa.

DR: riguardo i problemi più vasti – come ad esempio abbiamo discusso in passato, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non è rappresentativo. Come sai, l’ONU è carente di meccanismi d’intervento; il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare manca di meccanismi d’intervento. Non esistono meccanismi internazionali di intervento sul clima. Che misure multilaterali potrebbero essere d’aiuto per prendere il toro per le corna in questo periodo di instabilità?

ZB: prima di tutto direi di creare nuove istituzioni multilaterali, dobbiamo essere certi che una relazione bilaterale possa essere il punto di partenza per affrontare quei problemi, perchè se la relazione bilaterale – ovviamente intendo la nostra relazione con la Cina – non è stabile e non è guidata da una comprensione dei reciproci interessi nel lavoro congiunto, nessuna istituzione multilaterale potrà mai funzionare.

Bisogna approfondire lo scopo della relazione con i Cinesi (senza che venga proclamata, perché il resto del modo si opporrebbe), in pratica creare una sorta di intesa sulla base di come erano le relazioni tra Roma e Bisanzio. Queste due città avevano molto in comune, erano estensioni dello stesso impero, ma avevano diversi centri di potere. Dobbiamo affrontare il fatto che probabilmente per il resto delle nostre vite – a meno che tutto non vada all’inferno, il che sarebbe molto peggio – gli USA e la Cina sono destinati a cooperare se il mondo vuole avere un sistema efficace. Da entrambe le parti ci si oppone a questo – istituzionale, tradizionale, filosofica e in alcuni casi anche solo umana.

Ci sono differenti cause scatenanti. Ad esempio in Cina penso che l’esercito, specialmente la marina, abbia sentimenti forti nei nostri confronti e che qui nella nostra società alcuni interessi commerciali si sentono minacciati dalle importazioni provenienti dalla Cina, a cui si aggiunge una opposizione indigena latente ai Cinesi. Noi siamo una super-democrazia, loro una dittatura egocentrica. Se soprassediamo al fatto che la nostra super-democrazia di questi tempi non è così perfetta e stiamo affrontando tante e tali debolezze forse dovremmo concentrarci un po’ di più su di loro.

DR: ci siamo appena fatti un tour dell’orizzonte, come ci eravamo prefissati, e parlato eventi e situazioni diversi e in tutti i casi abbiamo trovato un tratto comune: tutte le strade non portano a Roma, ma a Pechino e Washington in un modo o nell’altro.

In Siria c’era un ruolo per la Cina e così anche per le sanzioni all’Iran. La futura stabilità della regione e la futura richiesta di petrolio sono legate alla Cina. La possibilità di infliggere sanzioni alla Russia subito dopo i fatti avvenuti in Ucraina è direttamente connessa al grado in cui i Cinesi e gli altri BRICS vogliono o non vogliono seguirci. Hanno in mano una carta che possono giocare o meno. Chiaramente in tutte le questioni asiatiche la Cina ha un ruolo di spicco; storicamente persino in Pakistan e Asia del sud, economicamente persino in Africa e America Latina.

Ripeto, l’unico altro attore nel mondo – l’unica entità paragonabile a USA e Cina – è l’Europa, che dal punto di vista della politica estera ha assunto una posizione federalista che l’ha di fatto costretta a mettersi da parte.

ZB: il problema è che stai analizzando un concetto – la politica estera studiata e coerente che gli stati hanno fino ad ora utilizzato – che nel caso degli Stati Uniti e della Cina ha un significato sostanziale. Statunitensi e Cinesi si identificano in stati-nazioni che sentono loro e che allo stesso tempo esercitano un potere immenso. Chi sono gli Europei? Se vai a Parigi o in Portogallo, o in Polonia e chiedi “chi sei tu?” ti verrà risposto “Sono Portoghese” “Sono Spagnolo” “Sono Polacco”. Quali sono le persone che sono veramente Europee? Quella Bruxelles, la burocrazia europea. L’Europa non è riuscita a creare un’identità patriottica in questo senso.

DR: hanno provato a fare delle leggi o raggiungere l’obiettivo con sanzioni – nel caso degli USA, per esempio, ci sono voluti 100 anni e la guerra più sanguinosa che si sia mai vista al mondo

ZB: hai ragione

DR: per raggiungere un punto di vista comune

ZB: di certo non auguriamo agli Europei una guerra civile dalla quale emerga un vincitore tra la varietà di nazioni Europee.
Nel frattempo dobbiamo essere cauti su come proveremo a coltivare le relazioni con la Cina in modo cooperativo, per evitare di mettere in moto dinamiche che urtino il loro sentimento di identità. Considerando che sono legati ad una nazione che esiste da 5-6000 anni, probabilmente hanno una predisposizione più rilassata rispetto a chi sono, al fatto che noi siamo diversi da loro e alla situazione di quasi-partner già in atto tra le nostre nazioni, rispetto a noi. Noi possiamo facilmente venire troppo coinvolti emotivamente nei loro problemi interni. Loro non si fanno prendere emotivamente dai nostri.

DR: loro sono anche molto più a loro agio con la programmazione a lungo termine e la “cottura a fuoco lento”

ZB: esattamente

DR: noi siamo più per il tutto e subito riguardo qualsiasi cosa

ZB: per di più i Cinesi non sono mai stati stupidi quanto i Russi, che più di una volta sono venuti a dirci in faccia “Vi distruggiamo”. Non esattamente un invito allettante ad una relazione cooperativa

DR: ultima domanda: abbiamo parlato della creazione di qualche sorta di meccanismo che permetta una stabilizzazione, ma è il centesimo anniversario dell’inizio della prima guerra mondiale e non si può non guardare alla situazione attuale, in particolare in Medio Oriente, e vederci eco distanti della situazione nei Balcani nel periodo immediatamente precedente al conflitto, e più in generale anche nell’Europa centrale.

Se pensi all’ISIS che invade, ad esempio, la Giordania, tutta la situazione cambia in un attimo, perché Israele e gli USA sarebbero costretti a contrattaccare immediatamente, ingigantendo tutto. Si può anche vedere tutto ciò intrecciarsi con una terza intifada. Può vederlo intrecciarsi con quello che sta succedendo in Crimea e Ucraina. C’è la possibilità di un’esplosione, una sorta di detonatore. Ti preoccupa tutto ciò?

ZB: sì, ma fino ad un certo punto. Ci sono similitudini con il 1914, ma nel 1914 le maggiori potenze avevano una visione più ristretta del mondo in generale, si preoccupavano solo dei loro problemi più immediati e pensavano di risolverli con l’uso della forza bruta, fino a ritrovarsi in quella che venne poi definita guerra mondiale.
Non penso che le potenze equivalenti dei giorni nostri abbiano lo stesso orientamento. Non vogliamo affondare nella crisi mediorientale. I Russi preferirebbero di sì, ma restandone fuori. I Cinesi giocano a starsene a guardare da lontano. Tutto ciò fornisce alcune rassicurazioni sul fatto che la situazione non esploderà e non andrà a finire come nel 1914.
Tutto ciò non significa che dobbiamo essere passivi. Significa che dobbiamo essere prudenti nell’uso della nostra forza e concentrarci su quello che può essere modificato.

Questo è il motivo per cui – all’inizio della conversazione – ho molto deliberatamente menzionato gli stati-nazione che già esistono in Medio Oriente e storicamente che hanno peso geopolitico: Turchia, Iran, Israele; potenzialmente l’Egitto, anche se non molto attivo; poi, a livello trascendentale, con la Cina come socio paritario – un socio vago, con quote non ben definite, in una sorta di stabilità globale; con la Russia, non appena avrà superato i dissidi con gli Europei, come alleato potenziale; con India e Giappone come comprimari ed infine con sia noi sia i Cinesi consapevoli della rispettiva supremazia, la loro sulle terre asiatiche, la nostra in occidente ed Europa, con un rapporto speciale con il Giappone. Questo è il meglio che si possa fare e penso che dovremmo lavorare su queste basi nel corso di questo secolo. Sarà dura. Sarà pericolosa e distruttiva, ma non penso che stiamo scivolando verso una nuova guerra mondiale. Penso che stiamo invece scivolando in un’era di grande confusione e caos dominante.

DR: ma ci potrebbe volere un po’ per avere una cognizione ed accettazione del modello appena esposto.

ZB: non è in questione se verrà accettato. La realtà è lì e non abbiamo scelta.

DR: no, ma potrebbe esserci un periodo in cui la gente non agisce. Guarda l’Iraq, uno scenario plausibile a mio parere è che Assad si prenda un pezzo di Siria e che noi decidiamo di non tagliarlo fuori perchè lo vediamo come utile bilanciamento all’ISIS. Poi Maliki ci guarda aspettandosi che lo cacciamo; gli Iraniani sono intenzionati a tollerarlo – lui non vuole essere un loro burattino, ma è un’offerta migliore – e così gli Iraniani e Maliki in qualche modo stabilizzano la parte sciita dell’Iraq. Rimane questa terra di nessuno che comprende parte della Siria e parte dell’Iraq che è sotto il controllo de facto dello Stato Islamico. Quindi nel mezzo della regione non abbiamo solo ridisegnato la mappa, ma al centro di essa ci ritroviamo con uno stato islamico radicale.

ZB: se mantieni la mente aperta, potremmo addirittura essere in una situazione in cui Israele e Iran sviluppano una compartecipazione in cui entrambi posseggano armi nucleari, che era la direzione che avevano preso le cose quando lo Scià era al potere. Intendo, chi stava aiutando il programma nucleare dello Scià e quello israeliano? Si stavano aiutando a vicenda per mezzo dei francesi. Non si immaginavano un gioco a saldo zero come Netanyahu fa oggi. Io vedo Israele e Iran con armi nucleari come fonte di stabilità nella regione.

DR: certamente non sembra l’orizzonte che si profila viste le attuali posizioni di Israele.

ZB: di sicuro è in un circolo vizioso distruttivo in questo momento. Per ciò penso che sia un nostro obbligo parlare con onestà ai nostri amici. Come ho già detto, se la Palestina diventasse un partner genuino ed indipendente di Israele, le due nazioni avrebbero il potenziale per diventare la Singapore del Medio Oriente. Hanno le capacità intellettive, l’iniziativa e potrebbero portare grandi cambiamenti rivoluzionari nella regione. Questo potrebbe essere un modo per risolvere parte dell’attuale trambusto. A differenza che in passato però questa non è la parte dominante, non è più centrale. È solo una di tante crisi in costante evoluzione di cui dobbiamo occuparci oppure affrontare le conseguenze di essercene stati da parte e aver fatto troppo poco.


David Rothkopf

Fonte: http://www.foreignpolicy.com

Link: http://www.foreignpolicy.com/articles/2014/07/21/a_time_of_unprec-edented_instability_a_conversation_with_zbigniew_brzezinski

22.07.2014

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