Originale:Counterpunch

http://znetitaly.altervista.org/

12 aprile 2015

 

Riflessioni sull’eccezionalismo Americano

di Paul Street

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

L’anno scorso, a un certo punto, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha

dichiarato che “credo nell’eccezionalismo americano con ogni fibra del mio essere.” Non era certo una cosa sorprendente o notevole da sentire. Nella cultura politica statunitense, la fede nell’ “eccezionalismo americano” è stata da lungo tempo obbligatoria in senso dottrinale per i politici più importanti, per i decisori politici, e per altre élite. Per quelle persone e per altre, dichiarare la propria lealtà all’ “eccezionalismo americano” non è certo più discutibile che stare in piedi durante l’esecuzione dell’inno nazionale o per un “comandante supremo” dire “Dio benedica l’America” alla fine di un importante discorso alla nazione.

(Soltanto per chiarire, il termine più preciso sarebbe “eccezionalismo degli Stati Uniti,” “perché  “eccezionalismo americano in realtà si riferisce agli Stati Uniti, non alla “America” che tecnicamente comprende il Canada, l’America Centrale le isole e le nazioni dei Caraibi e il Sudamerica).

 

“Gli Stati Uniti sono buoni

Che cosa denota, però, esattamente, il termine? Suppongo che il suo significato dipenda dall’identità e dai valori di chi lo usa e dal contesto in cui si usa, oltre ad altri fattori. Secondo me, osservando l’uso abituale che del temine fanno le personalità politiche e i media statunitensi e alcuni intellettuali, l’espressione ha due significati fondamentali e correlati quando è usata da quei “leader.” La prima di tali connotazioni sostiene che gli Stati Uniti sono unici tra le grandi potenze della storia del mondo  - nelle intenzioni  fondamentalmente benevole, democratiche, umanitarie e non – e perfino anti-imperiali e nella natura delle loro politiche estere – delle loro azioni all’estero.

“Gli Stati Uniti sono buoni,” ha spiegato nel 1999 il Segretario di Stato di Bill Clinton, Madeline Albright. “Cerchiamo di fare del nostro meglio dovunque.” Tre anni  prima, Clinton aveva spiegato che gli Stati Uniti erano “la più grande forza mondiale per la pace e la libertà, per la democrazia e la sicurezza e la prosperità.” Queste erano strane riflessioni fatte circa (tra altre cose) le sanzioni economiche guidate dagli Stati Uniti che hanno ucciso – come la Albright ha riconosciuto alla televisione nazionale nel 1996 – più di mezzo milione di bambini iracheni negli anni ’90 (la Albright ha aggiunto che “pensava che fosse  “valsa la pena pagare il prezzo” di quelle morti per il progresso di quegli obiettivi intrinsecamente nobili della politica estera statunitense).

“Più di qualsiasi altra nazione,” ha annunciato Obama nel dicembre 2009 a West Point, “gli Stati Uniti d’America hanno  fornito  la sicurezza globale per oltre 60 anni. Al contrario delle potenze di una volta, non abbiamo cercato il dominio del mondo. Non cerchiamo di occupare altre nazioni. Siamo ancora eredi di una lotta morale per la libertà.”

Matthew Rothschild della rivista The Progressive, ha dato una risposta con informazioni storiche:

“Ebbene, vediamo: gli Stati Uniti hanno condotto il mondo sulla punta del precipizio dell’annientamento nucleare durante la Guerra Fredda. Gli Stati Uniti hanno invaso, una dopo l’altra, le nazioni latino-americane e hanno sovvertito in segreto altri governi in quella zona. Gli Stati Uniti hanno collaborato a rovesciare i governi in Ghana e nel Congo e hanno appoggiato le forze razziste nell’Africa meridionale.

Gli Stati Uniti si sono  tuffati  nella Guerra di Corea, e hanno poi appoggiato tutta una serie di dittatori nella Corea del Sud. Gli Stati Uniti hanno ucciso tra i due e i tre milioni di persone in Indocina. E gli Stati Uniti hanno appoggiato Suharto in Indonesia il quale ha ucciso circa 1 milione di persone, alcune su richiesta della CIA, dopo che egli aveva preso il potere nel 1965. E gli Stati Uniti hanno anche appoggiato l’invasione di Timor est a opera di Suharto dieci anni dopo, la quale si è portata via altre 200.000 vite…Obama la può chiamare  ‘sicurezza globale’, se vuole, ma questa gronda sangue. Che cosa significa allora avere quasi 1000 basi militari in più di 100 nazioni? Negli scorsi 60 anni gli Stati Uniti hanno invaso molti paesi o ne hanno rovesciato i governi e non hanno bisogno di occuparli se possono installarvi al loro posto dei regimi fantoccio.” (The Progressive, 2 dicembre 2009).

 

“Il faro che  indica al mondo il modo in cui dovrebbe essere la vita”

Il secondo significato di “eccezionalismo americano” indica che la “patria” nazionale degli Stati Uniti è un modello unicamente eccellente e  unico di ruolo globale di democrazia politica e sociale, di libertà e di opportunità. Questo è quello che intendono i politici statunitensi quando abitualmente si riferiscono agli Stati Uniti chiamandoli  “l’invidia del mondo” (un’espressione che Obama ha usato più di una volta), “la più grande nazione sulla Terra,” “il leader del mondo libero,” e simili.  E’ quello che la senatrice statunitense Kay Bailey Hutchinson (Repubblicana, rappresentante del Texas) ha voluto dire quando ha chiamato gli Stati Uniti “il faro che indica al mondo il modo in cui dovrebbe essere la vita” ; questo durante un discorso al Senato per appoggiare il Congresso ad autorizzare George W. Bush a invadere l’Iraq se voleva.

E allora che importanza ha se l’attuale “Nuova età dorata” degli Stati Uniti è ora la società più selvaggiamente ingiusta nel mondo industrializzato, una nazione sempre più apertamente plutocratica dove l’1%  di chi è al vertice  possiede più del 90% della ricchezza una parte probabilmente equivalente dei funzionari della nazione “democraticamente eletti”?

Che importa allora se 6 eredi della Wallmart possiedono in totale tanta ricchezza quanta ne ha il 42%  dei cittadini  (o ex-cittadini) statunitensi mentre 16 milioni di bambini negli Stati Uniti vivono al di sotto del livello di povertà notoriamente inadeguato, fissato dal governo federale, e 1 cittadino su 7 deve contare sui banchi alimentari per il nutrimento di base (tra parentesi, metà di queste persone hanno un lavoro). E a chi importa se questi e altri fatti terribili riflettono più di 30anni di ricchezza deliberatamente costruita verso l’alto e di distribuzione del reddito: una concentrazione spietata da stato capitalista di ricchezze e potere che ha portato la “patria” a una Nuova Età Dorata dell’oligarchia abietta e (lungo la strada) sull’orlo della catastrofe ambientale? O che la ricchezza mediana delle famiglie di bianchi sia 22 volte maggiore di quella della famiglia mediane di neri, anche se i neri costituiscono più del 40% dei 2,4 milioni di detenuti della nazione negli Stati Uniti, il massimo stato-prigione  (uno strano risultato per quella che si autodefinisce Terra della Libertà!) e che 1 su 3 maschi adulti neri abbiano il marchio paralizzante di una fedina penale sporca?

 

La Città su una  collina

I due significati fondamentali di “eccezionalismo americano” si completano e si rafforzano a vicenda, naturalmente. Gli Stati Uniti sono così buoni ed eccellenti all’estero perché sono così  buoni ed eccellenti in patria. La loro eccellenza  in tutto il mondo serve soltanto a promuovere la loro eccellenza in patria. Il pianeta ha tutto da imparare dal modello luminoso che è la “America” (gli Stati Uniti). Il modello non ha nulla da imparare dal resto dell’umanità: che cosa mai altre nazioni e persone potrebbero  avere da insegnare al “faro che  indica al mondo il modo in cui dovrebbe essere la vita”? E chi penserebbe seriamente che un tale modello grandioso di splendore,  di superiorità e di benevolenza potrebbe commettere crimini  spregevoli    e imperiali all’estero?

Questa grandiosa immagine nazionale di sé stessi risale a molto tempo fa. Ha le sue radici nell’insediamento dei fanatici religiosi nel New England, descritto da uno dei suoi fondatori Puritani come una “Città su una collina” imposta da Dio. Compresa una buona parte ricchi proprietari di schiavi, gli architetti dell’indipendenza nazionale statunitense, si vantavano della loro determinazione di “fare di nuovo il mondo.”  Costruirono un “Impero di Libertà”  aprendo una strada  di costante espansione della frontiera ottenuta  sgombrando le radure indiane per farne  campi per i lavori forzati per i loro schiavi neri torturati. Si guardavano sgomenti mentre scrivevano un nuovo progetto per la Libertà su ricchi suoli “vergini  al di là della portata  che stordisce della vecchia Europa feudale, aristocratica, monarchica e satura di contadini. Hanno considerato le morti continue di massa del popolo nativo  “infettato da germi europei, come un messaggio divino che significava il loro splendore senza pari.

 

“Insabbiare crimini che disonorerebbero  una nazione di selvaggi”

Le élite statunitensi si vantavano del loro grande successo nell’eseguire la loro magnifica missione dalla Guerra di Indipendenza in poi. Una persona che non è stata colpita è stato lo schiavo scappato e importante abolizionista, Frederick Douglass.

Faceva le seguenti riflessioni nell’estate del 1852:

“Che cosa è, per lo schiavo americano, il vostro 4 di Luglio?….un giorno che gli rivela, più che tutti gli altri giorni dell’anno, la colossale ingiustizia e crudeltà di cui è costantemente vittima. Per lui la vostra celebrazione è  una falsità,   la libertà di cui vi vantate, un empio permesso ;  la vostra grandezza nazionale, vanità tronfia;  i vostri suoni  di tripudio sono vuoti e senza cuore, le vostre denunce di tiranti, impudenza sfacciata; i vostri gridi di libertà, vuota derisione; le vostre preghiere e inni, le vostre prediche e i vostri giorni del ringraziamento, con tutti i vostri cortei religiosi e solennità, sono per lo schiavo pura ampollosità, truffa, imbroglio, inganno, empietà e ipocrisia –un velo sottile per nascondere i crimini che disonorerebbero una nazione di selvaggi. Non esiste una nazione sulla terra colpevole di abitudini, più impressionanti e cruente come quella  della gente di questi Stati Uniti, proprio a quest’ora…”.

“Americani!.. Vi vantate del vostro amore per la libertà, della vostra civiltà superiore e del vostro cristianesimo puro, mentre l’intero potere politico della nazione (incorporato nei due grandi partiti politici) si è solennemente impegnato ad appoggiare e a perpetuare la schiavitù  di tre milioni dei vostri connazionali!   Vi infiammate tutti quando si nomina la libertà per la Francia o per l’Irlanda, ma siete freddi come un iceberg al pensiero della libertà per le persone che sono in schiavitù   dell’America.  Parlate con eloquenza della dignità del lavoro, e tuttavia sostenete un sistema che proprio nella sua essenza,  stigmatizza il lavoro . Potete affrontare a petto nudo l’assalto dell’artiglieria britannica per eliminare una tassa di tre penny sul tè, e tuttavia   strappare l’ultimo farthing  (un quarto di penny)  guadagnato con fatica dalla mano chiusa dei lavoratori neri del vostro paese… Dichiarate di fronte al mondo, e siete compresi dal mondo che ‘considerate che queste verità siano ovvie, che tutti gli uomini sono creati uguali; che sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili; che tra questi, c’è il diritto alla vita, alla libertà, e al raggiungimento della felicità e, tuttavia, tenete saldamente in una schiavitù che, secondo il vostro Thomas Jefferson ‘è peggiore dei tempi di quella contro la quale i vostri padri si sono sollevati in ribellione per opporvisi’, una settima parte degli abitanti del vostro paese.”

 

Strani liberatori e i tripli mali

La retorica   gonfiata dell’eccezionalismo americano che si auto-congratula, maltratta le brutte realtà connesse della “politica estera” (imperialismo) e dell’ordine interno fino a oggi. E’ stata da tempo rafforzata dalla condizione degli Stati Uniti – prima definitivamente stabilita subito dopo il suicidio dell’Europa e del Giappone durante la I e la II Guerra mondiale come nazione più potente della terra, cosa che è comunemente presa per dimostrare in qualche modo la straordinarietà degli Stati Uniti.

Un altro grande americano di colore che ha rifiutato e perfino capovolto il discorso dell’eccezionalismo, è stato il Dottor Martin Luther King, Jr., secondo il quale l’impero statunitense omicida all’estero, era intimamente collegato alle selvagge disuguaglianze  e all’ingiustizia in patria. Negli ultimi anni della sua vita, King si riferiva ripetutamente a ciò che chiamava “i tripli mali che sono collegati tra loro”  della nazione: razzismo, sfruttamento economico (capitalismo), e militarismo/imperialismo. King era uscito dalla versione imperiale (“relazioni estere”) della    eccezionalista quando, dopo aver studiato le azioni degli Stati Uniti in Vietnam, il 4 aprile 1967 ha definito gli Stati Uniti come il massimo attuale “fornitore”  della violenza nel mondo” e ha citato alcune delle orribili cose che aveva appreso sulle azioni degli Stati Uniti nell’Asia sudorientale:

“[I vietnamiti] devono …considerare gli americani come strani liberatori…la gente legge i nostri opuscoli e riceve regolari promesse di pace e di democrazia e di riforme terriere. Ora languiscono sotto le nostre  bombe…mentre  li portiamo via dalla terra dei loro padri e li raduniamo nei campi di concentramento. Sanno che devono trasferirsi o che saranno distrutti dalle bombe. Guardano mentre avveleniamo l’acqua, mentre uccidiamo un milione di acri delle loro coltivazioni [con le armi chimiche]. Devono piangere mentre le ruspe ruggiscono nelle loro zone preparandosi a distruggere i preziosi alberi. Vagano negli ospedali,  dato che si fanno almeno venti vittime della potenza di fuoco americana per una ferita inflitta da un ‘Vietcong’. Finora abbiamo ucciso forse 1 milione di vietnamiti – per lo più bambini….Che cosa pensano quando proviamo su di loro le nostre armi più recenti, proprio come i tedeschi provavano le nuove medicine e le nuove torture nei campi di concentramento in Europa?”

King ha sfidato la versione nazionale dell’eccezionalismo americano con una carriera dedicata a cercare di far sì che gli Stati Uniti fossero all’altezza delle loro false promesse di uguaglianza e di democrazia, tutte tradite, lo sapeva, dai “tripli mali che sono interconnessi”, mali nel cuore buio della “civiltà occidentale” nel corso degli anni. King, un socialista democratico, ha contestato esplicitamente l’eccezionalismo della patria nell’estate del 1966 quando ha notato la maggiore povertà che esisteva negli Stati Uniti, paragonata ad altri stati del Primo Mondo in Europa. “Forse  qualcosa è  sbagliato nel nostro sistema economico [capitalista],” ha detto King a un intervistatore, osservando che non c’era per niente o poca povertà, non c’erano quartieri degradati  e disoccupazione nei paesi “socialisti democratici” come la Svezia. King suggeriva che il “faro per il mondo” e la “città sulla collina” avevano qualcosa da imparare da altre nazioni. Immaginate.

 

Il paragone rivelatore di Obama

Barack Obama, che ha a lungo rivendicato King come massima ispirazione, ha adottato un approccio molto diverso, di tipo eccezionalista-americano militante, nel suo nauseante libro e memoriale per la campagna del 2006, The Audacity of Hope

[L’audacia della speranza]. In questo libro Obama ha riflettuto in maniera entusiastica su “come se la passano bene anche i “nostri” [degli Stati Uniti] poveri in confronto alle loro controparti realmente infelici in Africa e in America Latina. Obama ha considerato che questo paragone fosse la prova della sua discussione nel suo Audacity che il capitalismo (“la logica del mercato” e la proprietà privata che sono al centro del nostro sistema di libertà” e il “nostro sistema di organizzazione sociale”) avevano portato ai fortunati cittadini americani “una prosperità che è unica nella storia umana.” Obama, naturalmente, ha omesso contrasti considerevolmente meno favorevoli agli Stati Uniti con l’Europa Occidentale, il Giappone e, del resto, anche con Cuba, dove le politiche sociali e pubbliche creano una di gran lunga maggiore uguaglianza e sicurezza sociale di quella che si può trovare in nazioni più gerarchiche in senso militante (tutte con una misura di disuguaglianza ad alto “coefficiente Gini”), come Haiti, Brasile, Botswana, Cile, Nigeria, Peru, Sudafrica, e, a proposito, Stati Uniti.

 

Il Reverendo Wright e la Regola d’oro

Il titolo del libro della campagna di Obama è stato “rubato” dal nome di una predica

Fatta dal predicatore Jeremiah Wright della zona  South Side di Chicago abitata da gente di colore,  un maestro del pulpito nella tradizione di dire la verità tipica del Cristianesimo profetico nero, tradizione  condivisa da Douglass e da King, e oggi da Cornell West. Il lettore forse si ricorda che Wright era stato una volta il predicatore di Obama e il suo consigliere religioso personale, scelta che faceva parte dello sforzo di Obama di acquisire un’identità politica nero-americana. Wright era anche un aspro critico  e  inquisitore  della dottrina eccezionalista degli Stati Uniti, nazionalmente narcisistica, nelle sue dimensioni sia nazionali che globali, una persona che denunciava le strutture e le pratiche interconnesse dell’ impero e la disuguaglianza in patria e all’estero. In una predica che comprendeva la frase “Dio benedica l’America? No, Dio maledica l’America!” Wright ha avuto il fegato di osservare che il governo degli Stati Uniti non era un’eccezione speciale alla regola che “i governi falliscono.” Dopo aver raccontato i precedenti fallimenti del governo imperiale romano, del governo imperiale britannico, del governo russo, del governo tedesco, del governo giapponese, Wright ha avuto l’audacia di osservare che anche il governo degli Stati Uniti aveva fallito quando si è trattato di dare un trattamento giusto e decente alle persone di ascendenza indiana, giapponese e africana. In una predica diversa, Wright ha avuto l’audacia di osservare che gli Stati Uniti avevano aiutato a preparare il terreno per gli attacchi terroristici dell’11 settembre, impegnandosi nel terrore imperiale in tutto il Medio Oriente prima dell’attacco di al Qaida.  Ha avuto l’insolenza imperdonabile ufficialmente di notare che la “America”  (gli Stati Uniti) non godevano di nessuna speciale esenzione rispetto alla legge universale che si raccoglie ciò che si semina o rispetto alla Regola d’Oro di istruire la gente a trattare gli altri come noi stessi vorremmo essere trattati.

Le regole dottrinali dell’eccezionalismo americano richiedevano che Obama  eliminasse  tutti i contatti con il suo ex consigliere religioso se voleva avere una possibilità per il  massimo  incarico della nazione. Ha coscienziosamente ottemperato a questo dovere nel marzo 2008 con un  discorso sulla razza tenuto a Filadelfia, superficiale, ma proclamato istantaneamente (questo comprende un attacco a Jeremiah Wright, n.d.t.).  Il  discorso ha aiutato a preparare la strada per la sua ascesa a una carica i cui occupanti funzionano sempre come agenti avanzati dei tripli mali e di alcuni altri (compresi il patriarcato,  lo stato di polizia,   e la distruzione ambientale) lungo il percorso  – che sono interconnessi. Proprio fin dall’inizio del fenomeno Obama, nel discorso sul fare carriera, che ha pronunciato alla Convention Nazionale Democratica nel luglio del 2004, Obama si era “reclamizzato” come una luminosa personificazione e modello dell’eccezionalismo americano che fornisce una copertura ingannevole a questi mali, la cui attuazione ha zelantemente condotto mentre un busto del Dottor King è posto dietro di lui nell’Ufficio Ovale,  vergogna insondabile.

 


Il libro più recente di Paul Street è: They Rule: the 1% vs. Democracy (Paradigm, 2014) [Essi comandano: l’1%  versus la democrazia].

http://it.wikipedia.org/wiki/Eccezionalismo_americano

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/reflections-on-american-exceptionalism

top