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novembre 9, 2012

Studi per la pace con mezzi pacifici
di Johan Galtung
Traduzione di Miky Lanza

Gli studi per la pace sono importanti, tanto quanto quelli sulla salute.

Nasciamo inclini a rifiutare la sofferenza, sia essa dovuta a violenza o a malattia, e a cercare il benessere, lo si chiami pace, o salute. Ma non nasciamo con la conoscenza e la competenza, la teoria e la pratica.

Abbiamo trovato cause e condizioni per la salute nel contesto fisico-mentale-spirituale, come nell’attenzione focalizzata dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla salute come benessere fisico, mentale e sociale. Abbiamo respinto la nozione di malattia come castigo divino per il Male del malato ed esplorato i fattori patogeni – come i traumi (anche da violenza, da guerre), le malattie contagiose, da stress (cardio-vascolari, tumori maligni, disordini mentali), malattie croniche con cui imparare a convivere, ecc. Si è considerato necessario essere nettamente contro la malattia e a favore dello stato di salute – come aggiunta della volontà umana in quanto fattore sanogeno, foriero di sanità. Ma erano necessari studi sulla salute; conoscenza e pratica. Erano indispensabili teorie tanto quanto una buona pratica e viceversa.

Il risultato è stato impressionante: mortalità sconfitta da maggior longevità e morbilità sconfitta da vite più salubri. Ci sono state permesse vite più lunghe e sane, e agli innamorati una ben più durevole intimità. Quanto poi usiamo bene di tali doni è un’altra faccenda.

Così la salute, così la pace. Essere contro la violenza e la guerra e a favore della pace in innumerevoli risoluzioni e dimostrazioni è necessario, stabilendo la rotta. Ma le conoscenze e le competenze per superare i principali fattori belligeni, portatori di guerre, come i traumi subiti per violenza e irriconciliati e i conflitti irrisolti, sono tanto indispensabili quanto le conoscenze e competenze per costruire fattori paxogeni, latori di pace – come l’equità (la cooperazione a beneficio reciproco e uguale) e l’armonia (soffrire la sofferenza dell’Altro, godere del benessere dell’Altro). Invece s’invoca quel Male atavico, ritenuto posseduto da Satana: si vede l’Altro come minaccia alla propria sicurezza; e la pace come il contenimento o l’eliminazione del Male.

Le università intraprendono sempre più studi per la pace in quanto conoscenza, non altrettanto come competenze. E l’ambito è spesso al di fuori di discipline specifiche, per esempio come studi umanistici o giusto come studi per la Pace, equivalenti a studi sulle Donne (Women Studies) o sull’Ambiente, senza privilegiare alcuna particolare disciplina in quanto vettore del settore di ricerca. Come la “medicina” – strano nome per studi sulla salute– che è stata saggiamente estratta da uno specifico campo disciplinare per costituire una facoltà separata. Così avverrà per gli studi per la pace.

Sfortunatamente ci sono alcune contraddizioni incorporate fra la pace e le università per come si sono sviluppate. Sono sì vecchie, ma solo dall’alto Medio Evo e dalla prima era moderna in Occidente, emergendo insieme al sistema statuale (come i media). Lo stato oggi è meno rilevante, cedendo il passo sia alle comunità locali sia alle macroregioni, alle nazioni, alle civiltà e alle aziende multinazionali; la guerra fra stati retrocede rispetto alla violenza diretta che coinvolge nazioni e civiltà, e a importanti incrementi di violenza strutturale. Però le università sono ancora portatrici dei miti della nazione dominante, e quelle occidentali dei miti della civiltà occidentale, come l’universalità. Con le debite conseguenze.

[1] Le università di punta tenderanno a identificarsi con i propri stati accettando ciò che essi definiscono come pace. La libertà accademica di sondare ovunque il mondo in modo transnazionale in cerca di buone idee sui fattori di guerra e di pace, e di costruire pace in modo transnazionale cede facilmente il passo all’essere un buon funzionario pubblico, che promuove i miti nazionali e gli interessi statali. Ne consegue un fondamentale errore intellettuale occidentale: confondere la somma di democrazie statali e con stato di diritto e diritti umani con una democrazia mondiale, un Parlamento ONU, referendum globali, ecc. In alternativa: una normativa mondiale ispirata non solo dal chiodo fisso occidentale sugli atti di commissione ma anche da quello di altre civiltà sugli atti di omissione; diritti umani globali ispirati non solo dall’accento occidentale sull’individuo ma anche dai diritti collettivi delle tante culture-del-noi presenti nel mondo, e con uguale rispetto per le vite umane indipendentemente dai confini, senza sopprimerle con violenza diretta e strutturale.

[2] Le università sono suddivise in facoltà e materie, vettori chiave di cosmogonie, profondamente interiorizzate dal trascorrere segmenti di vita importanti nello studio, nell’insegnamento, nella ricerca, nel promuverle. Le università aderiscono ai propri stati e nazioni come portatrici di pace, e gli accademici sono disciplinati dalle loro materie a stare rigorosamente sul proprio terreno negli studi per la pace anziché andare oltre sondandoli tutti per un approccio transdisciplinare agli studi per la pace in generale, e agli studi sui conflitti in particolare.

[3] La teoria e la prassi di pace si sono enormemente avvantaggiate dall’essere a translivello; occupandosi non solo della vita interiore o dei rapporti interpersonali, della vita sociale o intergruppo, infra- o inter-statale, da nazione a nazione (e anzi: a stato) e mondiale con rispetto per raggruppamenti regionali e per le varie civiltà; per non parlare della vita stessa, la fauna e la flora, la natura. Gli studi per la pace sono ormai tutto quanto sopra riportato, attenti alle analogie nel risolvere i conflitti e nel costruire la pace, imparando dalla guarigione di un matrimonio spezzato per guarire relazioni statali spezzate, e viceversa; concentrandosi più sulle relazioni, la struttura e la cultura e meno sui contendenti individuali. Ovviamente sono anche consapevoli delle differenze lungo l’asse micro-meso-macro-mega.

[4] Le università sono tuttora dominate dall’approccio weberiano, essere “avalutative” nel senso di non prendere posizione allorché attivano le conoscenze accumulate come competenze. Ai medici è permesso fare il salto dalla teoria alla pratica, e ritorno, prendendo posizione a favore della salute. Ovviamente vale lo stesso per coloro che studiano la pace, con un orientamento rivolto alla soluzione, considerato “non scientifico” e “arrogante”.  Beh, la salute serve alle élite, ma alcune élite non sono servite dalla pace.

[5] Le università sono tuttora dominate dal deduttivismo-atomismo cartesiano, che ha indubbiamente aumentato sia la conoscenza sia le competenze. Ma così fanno pure le epistemologie alternative, come la combinazione taoista di olismo e dialettica[i]. Esse non si escludono reciprocamente e il sia-sia è ben più che la somma. Come pure un sia-sia lungo le altre direttrici citate più sopra. Indispensabili, giacché la verità non conosce monopoli.

NOTA:

 [i]. 50 Years: 25 Intellectual Landscapes Explored [50 anni: 25 paesaggi intellettuali esplorati], Transcend University Press, 2008.

5 novembre 2012

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis

Titolo originale: Peace Studies by Peaceful Means

http://www.transcend.org/tms/2012/11/peace-studies-by-peaceful-means/

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