Fonte: http://links.org.au/node/3250
http://aurorasito.wordpress.com
10 marzo 2013

Il controllo della popolazione è una politica anti-capitalista?
di Ian Angus e Simon Butler
Traduzione di Alessandro Lattanzio

La crescita della popolazione è una delle principali cause della crisi ambientale globale? Nel nostro libro, Too many peoples? (Haymarket Books, 2011), si sostiene che “gli ambientalisti che promuovono il controllo delle nascite e/o politiche anti-immigrazione come soluzioni ai problemi ambientali, fraintendono profondamente la natura della crisi“. Siamo d’accordo con il rinomato ambientalista Barry Commoner: “L’inquinamento non inizia nella camera da letto, ma nella sala del consiglio di amministrazione.” John Andrews, che il blog Dissident Voice ospita regolarmente, non è d’accordo. Ci definisce “negazionisti della sovrappopolazione” e ci accusa di avere fede ingenua nella buona volontà delle aziende, un’accusa che sicuramente sorprenderà chiunque abbia familiarità con le nostre opinioni. In una recente risposta di 4600-parole ad un articolo di 960 che abbiamo scritto per Grist, attribuisce la responsabilità dei problemi ambientali su alcuni dei popoli più poveri del mondo, dimostrando profonda incomprensione della natura del potere corporativo, e proponendo soluzioni che fanno più male che bene.

Reminiscenze africane

Andrews comincia con la storia della sua infanzia in quella che lui chiama ancora Rhodesia, anche se è lo Stato dello Zimbabwe da più di trent’anni. Ha frequentato la scuola, privilegio negato alla maggioranza nera, durante il brutale regime d’apartheid del capo razzista Ian Smith. La narrazione di Andrews dimostra perché i più seri scienziati sociali trattano le prove aneddotiche con scetticismo e cautela. Può aver visto le cose che descrive, ma lui non le capiva allora, e non le capisce ora. Andrews ha detto che lui e i suoi compagni di classe andavano in campagna a vedere il contrasto tra le “erbe naturali e ogni sorta di alberi selvatici, sani e arbusti, in fiore” in una azienda agricola a conduzione bianca e la “dura terra cotta dal sole, con appena una striscia di erba” nella cosiddetta Land Trust tribale, al di là di un recinto di filo spinato. Probabilmente i suoi insegnanti intendevano così insegnare la superiorità innata degli europei sui distruttivi africani, ma Andrews dice che ne trasse una conclusione diversa. Dal punto di vista tribale, ci dice, “la gente viveva più o meno lo stesso modo in cui l’aveva fatto per secoli“, avevano grandi famiglie perché era “semplicemente loro costume” e senza pensarci, incrementarono le loro mandrie di bestiame al di là delle capacità del territorio. La terra è stata distrutta dalla sovrappopolazione.
Vi sono tante cose sbagliate in questa immagine che è difficile sapere da dove cominciare. Lungi dal vivere “come avevano fatto per secoli“, gli abitanti del villaggio che videro Andrews vivevano nelle condizioni imposte dagli imperialisti britannici dopo la conquista della zona, allora si chiamava Matabeleland, nel 1890. Dopo l’invasione, ogni soldato britannico ebbe il permesso di fondare una fattoria di 6.000 acri di terra dei popoli Shona e Ndebele. In un solo anno, gli europei sottrassero oltre 10.000 chilometri quadrati di fertili terreni agricoli, insieme a un numero imprecisato di capi di bestiame. Tra il 1899 e il 1905, gli inglesi trasferirono forzatamente più della metà della popolazione africana dalle loro terre tradizionali, in riserve nelle pianure aride. Altri furono costretti a spostarsi nei decenni successivi. Una legge del 1930 impediva agli africani di possedere terre al di fuori delle riserve. Quando Andrews era un bambino, quasi tutti gli africani furono stipati sul 25% del Paese, mentre circa 4500 famiglie bianche possedevano il 70% delle terre più fertili. Il modo tradizionale di vita nel Matabeleland fu distrutto. Le procedure tradizionali per governare i beni comuni e la gestione di mandrie comuni, scomparvero senza lasciare nulla al loro posto. L’opzione dell’agricoltura moderna non era disponibile, perché le banche di proprietà dei bianchi non avrebbero prestato denaro agli agricoltori africani per miglioramenti o attrezzature agricole, e le scuole agricole non ammettevano studenti africani.
Il ben conservato paesaggio che Andrews ha visto in una fattoria bianca, aveva molto a che fare con i programmi fondiari, finanziati dal governo, per il miglioramento, la formazione, l’irrigazione, il drenaggio e la costruzione di strade, servizi che non venivano forniti nelle aree africane. Nei tre decenni che seguirono la seconda guerra mondiale, il governo dei coloni bianchi utilizzò il “sovraffollamento” come scusa per confiscare oltre un milione di bovini agli africani che vivevano in riserve disperatamente povere. Nello stesso periodo, trasferirono con la forza altre 100.000 persone in quelle stesse riserve. Così, quando Andrews sogghigna per gli africani che speravano di avere molte figlie, perché cpsì avrebbero ricevuto del bestiame come dote, e dice che avere una famiglia numerosa “non è una necessità economica“, si rende volontariamente cieco. La “sovrappopolazione” delle cosiddette terre tribali non aveva nulla a che fare con i tassi di natalità, ma con tutto ciò che il brutale sistema di dominio coloniale fece per rendere possibile l’infanzia privilegiata di Andrews.
Il tentativo di spiegare la complessità dei problemi umani contando i bambini, ed ignorando il contesto storico, sociale ed economico, è una caratteristica fondamentale dell’ideologia “populazionista”. La versione di Andrews è più cruda rispetto alla maggior parte, ma tutt’altro che unica.

“Populazionismo” anticapitalista?

Nel suo classico del 1974, sullo studio dei programmi di riduzione della popolazione in India, ‘Il mito del controllo della popolazione’, l’accademico ugandese Mahmood Mamdani conclude che “il controllo della popolazione senza un cambiamento fondamentale nella sottostante realtà sociale è, infatti, un’arma della politica conservatrice“. Abbiamo ampliato questo punto in Too Many People?
“Per più di due secoli, l’idea che i mali del mondo siano causati da persone povere che hanno troppi bambini, è stato un notevole successo nell’impedire un cambiamento dando la colpa della povertà e dell’ingiustizia alle vittime dell’ordine sociale esistente. Aggiungendo la distruzione ambientale ai crimini alimentati dai poveri, ci continua questo processo, distogliendo l’attenzione dai veri vandali ambientali.”
Andrews sostiene esattamente il contrario, affermando che la crescita della popolazione è il fondamento di tutto il sistema capitalistico, che “il profitto che guida le varie corporazioni realmente responsabili della distruzione ambientale, dipende interamente dal numero di esseri umani“. Quindi, dice, la riduzione della popolazione è una misura progressiva. “Se ci fossero meno persone per lo sfruttamento e il consumo, i profitti sarebbero più piccoli, e sicuramente questo è il cuore del problema” Ridurre la popolazione mondiale non solo “darà benefici al pianeta“, ma “dovrebbe anche cominciare a provocare la scomparsa delle aziende“. Va oltre, sostenendo che il potere aziendale non può essere ridotto senza la riduzione della popolazione. “Se il potere delle imprese è sempre da controllare, il collegamento diretto tra la loro forza trainante e la fonte di energia chiave, il massimo profitto, e una popolazione umana sempre in crescita deve essere compresa chiaramente.” La gente come noi, che si oppone al controllo della popolazione, non solo aiuta ad “uccidere il pianeta“, ma anche “gioca a vantaggio di tutto il mondo aziendale”.
Un evidente esempio reale contraddice la sua teoria. Nel corso degli anni in cui la draconiana “politica del figlio unico” è stata in vigore, la Cina ha abbracciato il capitalismo, sperimentando tassi di crescita economica fenomenali, un bel balzo di disuguaglianze sociali ed enormi problemi ambientali. Rallentare la crescita della popolazione non ha assolutamente protetto il territorio, l’aria o l’acqua cinesi dall’inquinamento industriale, né ha causato “la scomparsa delle aziende”. E’ anche degno di nota che la Corea del Sud, con un tasso di natalità molto al di sotto del livello di sostituzione, è una delle economie capitaliste in più rapida crescita del mondo. Ne il capitalismo è in pericolo imminente in Giappone, dove la popolazione è in calo da alcuni anni. Ovviamente il capitalismo necessita di lavoratori e clienti, ma l’idea che i profitti dei capitalisti siano “completamente dipendenti dal numero di esseri umani” è semplicemente assurda, è come l’idea che la riduzione della popolazione, in qualche modo, indebolisca il sistema.
Sul fronte della produzione, anche una più alta intensità di lavoro nelle industrie può sostituire le persone in caso di necessità. Per esempio, nel 1930 il 21% della popolazione degli Stati Uniti  lavorava nel settore agricolo, oggi meno del 2%, anche se una popolazione più grande di due volte  compra generi alimentari. La sostituzione delle persone con le macchine, sostituendo lavoro morto al lavoro vivo, come direbbe Marx, è una costante del capitalismo.
Sul fronte dei consumi, un’enorme crescita delle vendite è stata ottenuta non vendendo a più clienti, ma utilizzando una varietà di mezzi per garantirsi che i clienti esistenti debbano comprare di più. Una statistica dice, secondo l’US Environmental Protection Agency, che tra il 1960 e il 2007, il volume dei prodotti usa e getta nelle discariche comunali è cresciuto oltre due volte più velocemente della popolazione. Da oltre 50 anni, i prodotti per lo smaltimento immediato, o che non possono essere riparati, hanno generato una crescita delle vendite di gran lunga superiore alla crescita della popolazione. E questo è solo una parte della storia. La corsa del capitalismo alla crescita non è una corsa a più clienti, ma una corsa a maggiori profitti, e le aziende hanno innumerevoli metodi per raggiungere tale obiettivo, non importa ciò che accade al tasso di natalità.  L’approccio semplicistico di Andrews, minor numero di persone uguale a meno vendite, quindi, uguale ad aziende più deboli, fraintende del tutto ciò che è accade, e distoglie l’attenzione dei progressisti su “soluzioni” che non avranno alcun effetto sul potere delle organizzazioni e delle persone che distruggono l’ambiente globale.

Che cosa si deve fare?

Forse la strana caratteristica dell’articolo di Andrews è la contraddizione tra la gravità che attribuisce al problema e la debolezza delle soluzioni da lui proposte. Da un lato, dice che “la sovrappopolazione umana… è il singolo fattore più importante che contribuisce alla distruzione umana dell’ambiente“. Si tratta di “uccidere il pianeta“. Dice che la Terra è sovrappopolata dai “secoli XVI o XVII” e, forse, da molto prima. Se lo crede veramente, avrebbe dovuto esigere un’immediata azione drastica. Per tornare ai livelli del XVI secolo, sarebbe necessario un programma accelerato per eliminare più di 6 miliardi di persone, e molto rapidamente. Ma non propone una cosa del genere. Al contrario, vuole una campagna di propaganda (lui la chiama educazione, ma questo è un eufemismo) per promuovere una politica volontaria dei due figli. Se lo facciamo, dice, “la popolazione del pianeta dovrebbe almeno smettere di crescere e fermarsi più o meno a questo livello… In altre parole, una famiglia di due figli sarebbe più che sufficiente per essere efficaci.“
Ci scusi? Se ciò che Andrews ha scritto sulla sovrappopolazione è vero, allora ciò che sta sostenendo è la sovrappopolazione permanente, garantendo la distruzione della vita sulla Terra in un futuro non lontano. Mette in guardia dall’apocalisse della sovrappopolazione, e quindi propone misure che non possono impedirla. Il problema di Andrews, e di molti gruppi populazionisti che prendono una posizione simile, è che non esiste un modo umano, n’è un modo che rispetti i diritti umani, per ridurre il numero di esseri umani ai livelli che loro propagandano essere necessari. Anche la brutale politica del figlio unico in Cina ha rallentato, e non invertito, la crescita. Ecco perché così tante apparentemente volontarie campagne di riduzione della popolazione, si sono trovate ad utilizzare varie forme di coercizione, al fine di raggiungere gli obiettivi demografici promessi dai loro sponsor. Ed è per questo che Andrews qualifica la sua affermazione dicendo che le misure volontarie sono sufficienti, scrivendo: “Io non credo che ci sia bisogno, comunque, di costringere le persone a limitare il numero di figli“: quella parolina “comunque”, la dice lunga. Ogni volta che il controllo della popolazione è all’ordine del giorno, i diritti umani delle persone ritenute un “surplus” sono sempre in pericolo.

Un diversivo pericoloso


La crisi ambientale richiede un’azione rapida e decisiva, ma non possiamo agire con efficacia se non capendone chiaramente le cause. Se una malattia viene mal diagnosticata, nella migliore delle ipotesi si perde tempo prezioso con cure inefficaci, nel peggiore dei casi, faremo ancora più danni. L’articolo di Andrews è un esempio calzante. Perché separa la crescita della popolazione dal suo contesto storico, sociale ed economico, le sue spiegazioni blaterano di grande è brutto e più grande è peggio, e le sue soluzioni sono altrettanto semplicistiche. Se gli ambientalisti adottassero il suo approccio, non solo saranno inefficaci, ma invece di affrontare i veri eco-vandali, si scaglierebbero contro le vittime della distruzione ambientale, le persone che, come abbiamo scritto nel nostro articolo per Grist, “non distruggono le foreste, non cancellano le specie in via di estinzione, non inquinano i fiumi e gli oceani, e non emettono essenzialmente nessun gas serra“.
Il sistema capitalista e il potere dell’1%, e non la dimensione della popolazione, sono le cause profonde della crisi ecologica attuale. Se non capiamo questo, non riusciremo mai a fermare la distruzione ambientale.


Ian Angus e Simon Butler sono i co-autori di Too Many People? Population, Immigration, and the Environmental Crisis, pubblicato da Haymarket Books nel 2011. Ian edita il giornale online Climate & Capitalism. Simon scrive per il quotidiano australiano Green Left Weekly.

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