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giovedì 10 marzo 2016

 

Zika: storia sociale del virus

di Antonio Moscato

 

Jean Batou. Membro della direzione di SolidaritéS, un movimento svizzero anticapitalista, femminista ed ecologista, e redattore dell’omonimo quindicinale. È professore di Storia Contemporanea Internazionale presso l’Università di Losanna. È autore di numerose pubblicazioni sulla storia della globalizzazione e sui movimenti sociali.

 

L’infezione da virus Zika non comporta, in genere, alcun sintomo; in un caso ogni cinque sembra una blanda influenza ed eccezionalmente può portare a una malattia autoimmune: la sindrome di Guillain-Barré. Tuttavia, la conseguenza più grave di questa malattia, sembra riguardare le donne incinte, alcune delle quali partoriscono bimbi microcefalici e, a volte, ciechi. Comunque, il rapporto tra Zika e queste malformazioni non è ancora provato scientificamente con certezza.

 

Il virus predilige il sangue umano

Il virus è stato identificato per la prima volta nel 1947, in Uganda, allora colonia britannica, ed è per questo che prende il nome da una delle foreste di quel paese. Era trasmesso da una zanzara silvestre, Aedes Africanus, i cui parenti più prossimi, Aedes Aegypti e Aedes albopictus (zanzara tigre) proliferano nelle zone disboscate per monocoltura e sfruttamento minerario, comprese le aree urbane contigue dove pure trasmettono il germe.

Naturalmente, mentre nel complesso ecosistema boschivo numerosi agenti patogeni vivono in equilibrio con i loro ospiti, le cose cambiano parecchio quando si invade l’ambiente circostante in cerca di profitti nell’epoca della mondializzazione capitalistica, e si determinano conseguenze per vettori – i trasmettitori – abituati a vivere in stretto contatto con le società umane.

Con la deforestazione generalizzata, l’espansione della monocoltura e la galoppante urbanizzazione del Sud globale, il virus Zika è andato contaminando il Sud-Est asiatico, la Polinesia francese, prima di arrivare in Colomba nel 2014 e poi l’anno successivo in Brasile, dove il suo epicentro, nell’Ovest dello Stato di Bahia, corrisponde all’attuale confine dell’espansione neoliberista.

In quella regione, milioni di ettari sono stati trasformati in aziende agricole a monocoltura irrigua di soia, cotone, mais, caffè, alberi da frutta ecc. destinati all’esportazione. A tal punto, che tali sconvolgimenti ecologici hanno provocato l’invasione di zanzare antropofiliche, cui piace soprattutto il sangue umano, del tipo Aedes albopictus, Aedes Aegypti, nonché altre specie portatrici di virus.

 

Zika e microcefalia

Sul piano epidemiologico, per il momento non c’è altro che una certezza: le politiche economiche di austerità hanno provocato miseria endemica e smantellato i servizi pubblici e le prestazioni sociali esistenti, per quanto fossero rudimentali, in materia di alimentazione, alloggio, distribuzione idrica, bonifica, sanità, ecc. Sono perciò responsabili dell’esposizione crescente delle popolazioni più povere alle malattie trasmesse in particolare dalle zanzare.

Se però il virus Zika ha subito focalizzato l’attenzione di tutto il globo e ha indotto l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a decretare lo stato d’urgenza sanitaria mondiale è perché si sospetta che abbia provocato un’epidemia di microcefalia tra i neonati recenti in Brasile, dove finora sono state infettate oltre un milione e mezzo di persone.

Perché però queste malformazione non si sono riscontrate in Colombia, dove pure sono state infettate 2.000 donne incinte? Perché i primi casi di microcefalia si sono moltiplicati nel Nordeste brasiliano, anche prima dell’irruzione provata del virus? Forse perché, secondo due associazioni mediche di Argentina e Brasile, queste malformazioni hanno colpito regioni in cui è stato versato sistematicamente nelle riserve di acqua potabile un pesticida (che distrugge le larve di zanzara).

Da lì l’idea interessante che almeno parte dell’epidemia di microcefalia in corso possa essere stata causata da un’agente chimico prodotto da un socio giapponese della Monsanto: il Pryproxyfen di Suminoto Chemical. Questo prodotto è stato effettivamente iniettato nelle reti di acqua potabile di alcune regioni del Brasile, in particolare nel Nordeste (1.500 casi di microcefalia registrati), su raccomandazione dell’OMS, per lottare contro la proliferazione delle zanzare responsabili del dengue.

Ora, il periodo di siccità e di razionamento dell’acqua (da luglio a dicembre) ha potuto favorire l’ascesa anomala della concentrazione di questo agente chimico nell’acqua consumata, e questo spiegherebbe il gran numero di casi di malformazioni congenite osservati tra l’ottobre 2015 e il gennaio 2016. Naturalmente, questa ipotesi non è ancora riuscita ad avere conferma da ricerche più avanzate.

 

Un affare d’oro per Big Pharma

In ogni caso, la prevenzione dal virus Zika costituisce un buon affare per i laboratori farmaceutici, soprattutto da quando l’OMS ha assunto la cosa a proprio carico spettacolarmente. Le imprese farmaceutiche sono implicate nella corsa per scoprire, testare e produrre massicciamente un vaccino, al punto che Barack Obama ha appena chiesto al Congresso 1,6 miliardi di dollari per sostenere la ricerca negli Stati Uniti e conquistare questo mercato. Una buona operazione anche per restaurare il prestigio e sostenere la presenza degli Stati Uniti in America Latina, in un momento in cui le sinistre al potere in quell’area si trovano in crescenti difficoltà.

Apprendisti stregoni stanno anche lavorando a sviluppare zanzare transgeniche, che possano eliminare e soppiantare l’attuale principale vettore della febbre gialla, del virus del Nilo occidentale, del dengue, del chikungunya, del virus Zika, ecc.: l’Aedes Aegypti. È il caso della società Oxitec, che sperimenta questo organismo geneticamente modificato (OGM) che svolazza sulle isole Canarie, la Malesia, il Panama e il Brasile (soprattutto nel Nordeste), mentre le autorità europee hanno respinto questi tentativi alle nostre latitudini visti i pericoli che si corrono.

In realtà, secondo l’ONG Gene Watch, sembra che queste zanzare geneticamente manipolate tendano a espellere l’Aedes Aegypti verso le zone limitrofe, favorendo la proliferazione di altri vettori più difficili da sradicare, ad esempio l’Aedes Albopictus. Poco importa: la ricerca sulle zanzare transgeniche comporta anche tecniche più sofisticate e potenzialmente terrificanti, basate soprattutto sull’impiego di “gene drives” che, modificando geneticamente alcuni membri di una popolazione, possono propagare questa mutazione all’insieme degli individui.

Tali manipolazioni potrebbero, ad esempio, sterilizzare una specie e contribuire a distruggerla in poche generazioni. Potrebbe anche, perché no, trasformare un insetto in arma da guerra biologica. Denunciate come estremamente pericolose da numerosi ricercatori, queste tecnologie hanno di nuovo, nonostante questo, il vento in poppa, nell’attuale quadro di drammatizzazione del virus Zika.

 

Riscaldamento climatico e agenti patogeni

Che l’epidemia brasiliana di microcefalia sia causata dal virus Zika, dall’insolita concentrazione di un pesticida nell’acqua potabile, o da una combinazione di fattori ancora ignoti, più al fondo deriva dagli sconvolgimenti sociali ed ecologici connessi alla globalizzazione neoliberista. Nel frattempo, le zanzare portatrici di numerosi virus non cessano di estendere il loro raggio d’azione in tutto il mondo.

Molto diffuse in Asia, Africa e America Latina, ormai cominciano ad arrivare in Europa e in America del Nord, il che sicuramente spiega la forte mediatizzazione di questo nuovo pericolo. Ma che cosa si sa delle cause di tale espansione? Si spiegano certamente con l’accelerato sviluppo del trasporto aereo, ma sono in larga misura tributarie del surriscaldamento climatico del globo.

Per tornare all’esempio delle zanzare, in genere si alimentano del polline dei fiori e solo quando le femmine depongono le uova hanno bisogno di sangue come integrazione di proteine. Ovviamente, questo ciclo riproduttivo viene accelerato dal calore come dal tempo di incubazione del virus nell’organismo degli insetti portatori prima che possano trasmetterlo attraverso la puntura.

L’aumento delle temperature spiega anche l’espansione geografica delle patologie connesse a questi insetti. Sicuramente è la causa dell’irruzione della malaria negli altipiani dell’Est dell’Africa, che finora non ne erano colpiti. Del pari, Città del Messico sembra che non sarà più protetta per molto, data la sua altitudine (2.500 metri sopra il livello del mare), dalla febbre gialla, dal dengue e dal chikungunya. Le stesse ragioni contribuiscono sicuramente a spiegare il diffondersi del morbo di Lyme (o borreliosi, dal nome del batterio, trasmesso da una zecca) in America del Nord o dalla febbre catarrale ovina (FCO, o malattia della lingua azzurra) tra le greggi europee (New York Times, 20/2/2016).

Come l’epidemia dell’Ebola, non si tratta di “catastrofe naturale”. Entrambe dipendono dalle trasformazioni sociali, ecologiche e climatiche accelerate indotte dalla mondializzazione capitalista, che sottopone società umane e ambiente a uno stress sempre più insostenibile. La distruzione delle foreste tropicali per sfruttarne il legname, per l’incessante ricerca di nuove risorse minerarie, per la crescita senza tregua delle grandi monocolture da esportazione e per l’urbanizzazione demenziale non ha cessato, quindi, di provocare cataclismi, ormai fatti sistema. Il diffondersi di nuovi agenti patogeni rappresenta oggi uno degli aspetti più pericolosi e largamente sottovalutati di questa corsa verso l’abisso.

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