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21 dicembre 2011

I padroni del mondo: Group of Thirty
di Italo Romano

Leggendo l’ultimo scritto di Barnard, vengo a conoscenza dell’esistenza dell’ennesimo gruppo elitario. Faccio ammenda, nonostante sia uno dei temi che affronto e studio maggiormente, ne ero completamente all’oscuro. Il suo nome è Group of Thirty (G30), ovvero Gruppo dei Trenta. Sul web sono riuscito a trovare poche informazioni, per di più in inglese, il che la dice lunga sull’importanza di questo ristretto gruppo globalista. Spulciando nel sito della Banca d’Italia, ho appreso che dal 21 al 23 maggio 2009, si è tenuta in Italia, presso la sede del massimo istituto creditizio, la 61^ riunione plenaria del G30. Addirittura, al termine dei lavori, l’allora presidente del Gruppo, prof. Jacob A. Frenkel, ex Governatore della Banca centrale di Israele, e l’allora Governatore della Banca d’Italia, prof. Mario Draghi, hanno tenuto una conferenza stampa formale dove hanno potuto partecipare solo giornalisti scrupolosamente selezionati.

Sempre sul sito della Banca d’Italia sono riuscito a reperire una brevissima presentazione del G30:

Il Group of Thirty (G30), organizzazione senza fini di lucro, è formato da esponenti di altissimo profilo che ricoprono nel mondo importanti incarichi nel settore pubblico e privato, nonché da accademici delle università più prestigiose. Il G30, fondato nel 1978, si riunisce periodicamente per discutere temi economici e finanziari ed esaminare gli scenari che le autorità nazionali e gli operatori devono fronteggiare.

Formalmente denominato “The Consultative Group on International Economic and Monetary Affairs, Inc.”, il Gruppo è un importante foro di discussione e di elaborazione di idee in materia economica. I membri del G30 – governatori di banche centrali, rappresentanti di governi, economisti ed esperti del settore privato provenienti da 16 paesi diversi – hanno discusso nel tempo diverse questioni e pubblicato una serie di studi e ricerche sui più rilevanti temi di economia e finanza. Il G30 è guidato da Paul A. Volcker e Jacob A. Frenkel.

Insomma, sempre la solita presentazione a filastrocca. Se consultate i diversi siti di queste organizzazioni elitarie potrete constatare di persona.

Questo organismo internazionale svaria su tutto il fronte economico, le tematiche affrontate nelle riunione del G30 sono le più disparate: dall’ambito monetario a quello finanziario; dalle Banche centrali ai mercati internazionali dei capitali; dalla vigilanza dei servizi e dei mercati finanziari, alle questioni macroeconomiche, come mercato del lavoro e l’intera catena produttiva.

Il Gruppo dei Trenta è stato fondato nel 1978 da Geoffrey Campana su iniziativa della Fondazione Rockefeller, che ha anche fornito il capitale iniziale. Il suo primo presidente fu Johannes Witteveen, l’ex direttore generale del Fondo monetario internazionale (FMI). Il suo attuale presidente è Jean-Claude Trichet, ex presidente della Banca Centrale europea, da poco succeduto (22 Novembre 2011) al sopracitato Jacob Frenkel.

La sede del G30 è a Washington DC, negli States. Ogni anno si tengono due riunioni plenarie, oltre a numerosi convegni, seminari e gruppi studio. Monitorano quotidianamente l’andamento dell’economia globale, veicolandola a proprio uso e consumo, nel tranquillo anonimato e nella cortina di disinformazione che li cela agli occhi e alle orecchie della maggior parte, troppo distratte e indaffarate dalla schiavismo giornaliero.

Spostiamoci ora sul sito inglese del Gruppo dei Trenta. Qui troviamo una scarna ma precisa presentazione:
“Il Gruppo dei Trenta è un organismo internazionale privato, senza scopo di lucro, composto da rappresentanti di alto grado dei settori pubblico e privato e il mondo accademico. Il Gruppo dei Trenta si propone di approfondire la comprensione delle questioni internazionali economiche e finanziarie, per esplorare le ripercussioni internazionali delle decisioni prese nei settori pubblico e privato, e di esaminare le scelte a disposizione di operatori del mercato e politici. Il lavoro del Gruppo dei Trenta plasma la struttura attuale e futura del sistema finanziario globale, fornendo raccomandazioni fruibili direttamente alle comunità politiche pubbliche e private.”

Poco spazio all’immaginazione. Si tratta di un gruppo di potere molto influente, i suoi membri sono l’èlite economica mondiale, i veri padroni del mondo, quelli che detengono il potere, e dettano i programmi politici ai burattini che noi andiamo ad eleggere “democraticamente” nella farsa elettorale.

L’organigramma del Gruppo dei Trenta è molto semplice, e si divide in:

Membri attuali; Membri Senior; Membri onorari; Membri del passato;

I membri attuali sono 31, provenienti da ogni parte del globo, sono tutte personalità di spicco, i soliti nomi che compaiono in ogni organizzazione elitaria mondiali sta. Ecco la lista:

Jean-Claude Trichet, presidente del G30, ex presidente della BCE e governatore onorario della Banca di Francia.

Paul A. Volcker, presidente onorario del G30, ex presidente della Federal Reserve , presidente onorario della Commissione Trilaterale, si è diviso per lungo tempo tra il Dipartimento del tesoro degli States e la Chase Manhattan Bank.

Jacob A. Frenkel, presidente del Consiglio di amministrazione del G30, presidente di JPMorgan Chase International, membro del Comitato esecutivo della JP Morgan Chase & Co. e dello JP Morgan International Council.

Geoffrey L. Bell, segretario esecutivo del G30, presidente della GeoffreyBell&Co. (società che si propone come consulente per grandi aziende e banche in tutto il mondo, fornendo consulenza sulle transazioni del mercato dei capitali nonché le attività di analisi del rischio economico e finanziario), ex consulente della Banca del Venezuela, ex consulente finanziaro del governo delle Barbados e della Giamaica, ex presidente della Guinness Mahon Holdings, una delle banche più antiche di Londra.

Abdlatif Al-Hamad, presidente del Fondo Arabo per lo Sviluppo Economico, ex Ministro delle Finanze e della Pianificazione del Kuwait.

Leszek Balcerowicz, professore della Scuola di economia di Varsavia, presidente del Consiglio della Bruegel (acronimo che sta per ”Brussels european and global economic laboratory’, ovvero un think tank elitario), ex presidente Banca di Polonia.

Mark J. Carney, governatore e presidente della Banca del Canada, membro del Consiglio di Amministrazione della Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS).

Jaime Caruana, direttore Generale della Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS), ex governatore della Banca di Spagna.

Domingo Cavallo, presidente e amministratore delegato della DFC Associates e di LLC, ex Ministro dell’Economia argentina. Ha lavorato a lungo nell’amministrazione pubblica ed è noto per il piano di convertibilità che ha stabilito il rapporto di parità tra il dollaro americano e il peso argentino tra il 1991 e 2001, che ha trascinato l’Argentina nell’insolvenza, portando il paese in una crisi economica senza precedenti.

E. Gerald Corrigan, amministratore delegato di Goldman Sachs Group, ex presidente, Federal Reserve Bank di New York.

Guillermo de la Dehesa Romero, direttore del gruppo Santander, ex vice direttore della Banca di Spagna.

Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, ex Governatore della Banca d’Italia, e presidente del Financial Stability Board.

William C. Dudley, presidente della Federal Reserve Bank di New York, ex partner e Amministratore Delegato di Goldman Sachs.

Martin Feldstein, Professore di Economia all’Università di Harvard, e Presidente Emerito del National Bureau of Economic Research.

Roger W. Ferguson, Jr., presidente e CEO di  TIAA-CREF, ex presidente dell’America svizzera Re Holding Corporation.

Stanley Fischer, governatore della Banca d’Israele, ex Amministratore Delegato First, ex amministratore del Fondo Monetario Internazionale.

Arminio Fraga Neto, socio Fondatore di Gavea Investimentos, ex governatore della Banca centrale del Brasile.

Gerd Häusler, CEO Bayerisch Landesbank, ex amministratore delegato e membro del consiglio consultivo di Lazard and Company.

Philipp Hildebrand, Presidente del consiglio di amministrazione della Banca nazionale svizzera, ex partner di Moore Capital Management.

Mervyn King, Governatore della Banca d’Inghilterra, ex professore della London School of Economics, socio della British Academy.

Paul Krugman, Professore di Economia all’Università di Princeton, ex membro del Council of Economic Advisors.

Guillermo Ortiz Martinez, ex Governatore della Banca del Messico, Presidente del Consiglio della Banca dei Regolamenti Internazionali.

Kenneth Rogoff, Professore di Public Policy and Economics ad Harvard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale.

Tharman Shanmugaratnam, ministro delle finanze di Singapore, ex Amministratore Delegato della Monetary Authority di Singapore.

Masaaki Shirakawa, governatore della Banca del Giappone, ex professore della Kyoto University School of Government.

Lawrence Summers, ex Direttore del Consiglio Economico Nazionale, ex presidente dell’Università di Harvard, ex segretario al Tesoro Usa

Lord Adair Turner, presidente della Financial Services Authority, membro della Camera dei Lord del Regno Unito.

David Walker, Senior Advisor di Morgan Stanley International, ex presidente del consiglio Securities and Investments.

Yutaka Yamaguchi, ex Vice Governatore della Banca del Giappone, ex presidente Euro Valuta Commissione Permanente.

Ernesto Zedillo, direttore del Centro di Yale per lo studio della globalizzazione, ex Presidente del Messico.

Zhou Xiaochuan, governatore Banca Popolare Cinese, ex presidente Banca cinese costruzione, ex Asst. Ministro del commercio.

Poi abbiamo i membri senior:

William R. Rhodes, presidente e CEO della William R. Rhodes Global Advisors, e Senior Advisor, Citigroup, membro del CFR,

Marina v N. Whitman, professore all’Università del Michigan ed ex membro del Council of Economic Advisors.

E, infine, ma non come importanza, i membri onorari:

Richard A. Debs, ex presidente della Morgan Stanley International, ex COO dela Federal Reserve Bank di New York.

Jacques de Larosière, presidente di Eurofi, consigliere di BNP Paribas ed ex direttore del FMI.

Gerhard Feld, ex direttore de Institut der Deutschen Wirtschaft, membro del Comitato delle Nazioni Unite del programma sviluppo.

Toyoo Gyohten, presidente dell’Istituto Internazionale per gli affari monetari ed ex presidente della Banca di Tokyo.

John Heimann, senior Advisor per la stabilità finanziaria dell’Istituto Comptroller of the Currency.

Erik Hoffmeyer, presidente Politiken-Fonden ed ex presidente del consiglio della Banca nazionale di Danimarca.

Peter Kenen, professore di Economia all’Università di Princeton ed ex socio senior del Council on Foreign Relations (CFR).

William McDonough, ex Vice Presidente di Bank of America, ex presidente della Federal Reserve Bank di New York;

Shijuro Ogata, vice Presidente della Commissione Trilaterale, ex Vice Governatore Banca del Giappone.

Silvia Ostry, socio ricercatore del Center for International Studies ed ex ambasciatore per i negoziati commerciali del Canada

Ernest Stern, senior Advisor del Gruppo Rohatyn ed ex Amministratore Delegato della Banca Mondiale.

Anche tra gli ex membri risultano figure preminenti dell’ambito economico-finanziario internazionale, sul sito possiamo consultare la lista. Tra essi figura Tommaso Padoa-Schioppa, deceduto poco più di un anno fa, ma come ricordiamo ha fatto parte delle più alte istituzioni finanziarie italiane, europee e mondiali. E’stato vice presidente della Banca d’Italia, Ministro dell’economia della finanza nel governo Prodi II, membro della Commissione europea e della BCE. Convinto europeista, ha fatto parte del Comitato Delors che ha disegnato la strada per la creazione della moneta unica. Inoltre è stato un dirigente del FMI e consigliere economici del governo greco di Papandreou, di cui conosciamo bene la tragica fine.

Ora vogliamo dire che tutti questi pezzi da novanta non hanno nessuna influenza sul “regolare” decorso della storia? Suvvia, questi club esclusivi di potere dirigono il mondo e scrivono la storia, hanno il diritto di veto sulla vita di miliardi di persone. E’ da qui che vengono decise e create a tavolino le crisi economiche. Nei meandri di questi gruppi elitari si decide il tracollo economico di una nazione o di un intero continente.

Questa rete di organizzazioni internazionali di cui fa parte il Gruppo dei trenta, insieme alla Commissione Trilaterale, il CFR, il RIIA, la Round Table, il Bilderberg, l’Aspen Institute e il Club di Roma, sono il nuovo olimpo degli dei. Essi giocano a dadi con il mondo, come in un risiko a grandezza naturale. Per loro siamo solo pedine, un mezzo da usare per un fine ben preciso, il controllo totale del globo.

Noi, nella nostra infinita arroganza, crediamo di essere liberi, di vivere in democrazia, nel migliore dei mondi possibili. Siamo troppo indaffarati nella nostra schiavitù quotidiana per renderci conto di ciò che realmente ci circonda. Siamo succubi, siamo schiavi, e nella maggior parte dei casi siamo fieri di esserlo. Dibattiamo, sprecando preziose energie, sulle cose più assurde, a volte anche pensando di essere dei fini intellettuali e delle menti illuminate. Ognuno si sente superiore a qualcun altro, la presunzione è tale da creare una gerarchizzazione prima morale che materiale. Le armi di distrazioni di massa hanno anestetizzato i cervelli, la pigrizia ancestrale e la stupidità genetica han fatto il resto, cullandoci in fallaci certezze e in comode convinzioni, indotte artificialmente, e non certo frutto di un pensiero autonomo e indipendente.

I più si rifiutano a credere quando gli si dice o scrive talune cose. A scuotere lo status quo dominante si rischia di incamminarsi in un percorso di solitudine. Quando il l’uomo-bradipo cade dall’albero su cui sonnecchia pancia all’aria più o meno sereno, sbatte il culo per terra, e non ha occhi per vedere, e non ha orecchie per intendere. Il mondo artificioso in cui galleggia è talmente radicato nel suo pensiero da non poter accettare nessun’altra definizione della realtà che lo circonda. La presunzione e l’eccessiva autostima han fatto molto più vittime di una guerra. Chi osa far ciò, lo fa a suo rischio e pericolo, e l’isolamento è una delle peggiori arme che il branco tende ad usare per istinto di sopravvivenza e di autoconservazione. Poi ci sono anche alcune persone molto intelligenti, ma anche tanto furbe quanto affariste e opportuniste, che han fatto loro l’inganno, e lo sfruttano a proprio vantaggio, elevandosi sulla spalle degli altri, e nonostante ciò ricevono la stima e l’adulazione della stesse persone su cui questi soggetti usano far leva per raggiungere i loro scopi egoistici. Essi sono i più grandi servi del sistema.

“… Pochi comprenderanno questo sistema, coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo, il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi.”

Niente di più vero.

Dormite gente, e sorridente nella vostra infima presunzione, siete schiavi, e della peggior specie, perchè pensate arrogantemente di non esserlo, mentre rappresentate lo schiavo tipo, che il sistema ama e accudisce.

Scendete dal vostro piedistallo, informatevi, riscoprite i valori essenziali della vita, dall’amore all’amicizia, tornate umani, svegliatevi.

Fonti:

http://www.bancaditalia.it/media/notizie/G30_roma

http://www.group30.org/index.shtml

http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-1001522/trichet-nominato-presidente-group/

http://en.wikipedia.org/wiki/Group_of_Thirty

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libreidee.org
11 maggio 2012

Secondo Paolo Barnard il famigerato “Group of 30” ricatta il mondo
di Edoardo Capuano

Attenti a quei Trenta: ricattano il mondo truccando le regole. E nessuno li può fermare, perché maneggiano 650.000 miliardi di dollari, cioè otto volte il Pil del pianeta. In dieci anni, hanno messo in ginocchio l’economia reale. E sono ancora lì, a dettar legge, a cominciare da uno dei loro specialisti, Mario Draghi.

Teoria del complotto? No: storia. Quella del famigerato “Group of 30”, creato alla fine degli anni ’70 da personaggi come David Rockefeller.

Obiettivo: piegare le nazioni ai diktat della speculazione finanziaria. Missione compiuta: oggi l’intera Europa è nelle loro mani, e un paese come l’Italia – membro del G8 – è agli ordini della super-lobby che ha commissariato il governo affidandolo al fido oligarca Mario Monti, tecnocrate targato Goldman Sachs, veterano del Bilderberg, della Trilaterale e della micidiale Commissione Europea, quella che oggi dispone il suicidio sociale degli Stati mediante il pareggio di bilancio.

Un capolavoro, in sole tre mosse. Primo: attraverso la “superstizione o isteria del debito pubblico”, si distrugge la capacità dello Stato di creare e Mario Draghi controllare qualsiasi ricchezza finanziaria significativa, che a quel punto resta unicamente nelle mani dei mercati di capitali, da cui gli Stati finiscono per dipendere in toto. Seconda mossa: i dominatori finanziari, che ora spadroneggiano, per ottimizzare la rapina globale incaricano la super-lobby dei tecnocrati di ridisegnare leggi e regole, con adeguata propaganda. Terzo: gli oligarchi impongono le loro condizioni-capestro ai governi, ormai privati della facoltà di creare ricchezza finanziaria e quindi dipendenti dal ricatto, pronti cioè a ingoiare qualsiasi aberrazione speculativa. Parola di Paolo Barnard, autore del saggio “Il più grande crimine” sul complotto mondiale della finanza. Promotore italiano della Modern Money Theory – sovranità monetaria per avere democrazia reale e benessere sociale – Barnard è reduce dalla caserma dei carabinieri nella quale ha sporto denuncia contro Monti e Napolitano per “golpismo finanziario”.

C’era un piano ben congegnato per mettere nel sacco l’Italia: occorreva creare una sofferenza finanziaria artificiosa per consentire alla super-lobby di prendere direttamente il timone. Peccato che i “salvatori”, dice Barnard, fossero gli architetti stessi del piano: «Non ci vuole un genio a capire che il poliziotto iscritto al club dei ladri che gli pagano laute prebende finisce col tradire il suo mandato». Mario Draghi, per esempio: «Poteva fermare la loro mano semplicemente ordinando alla Bce di acquistare in massa i titoli di Stato italiani». Acquisto che avrebbe abbassato drasticamente i tassi d’interesse di quei titoli, la cui impennata stava portando l’Italia alla caduta nelle mani degli “investitori-golpisti”. Se Draghi avesse mosso un dito, i mercati si sarebbero fermati, «resi inermi di fronte al fatto che la Bce poteva senza problemi mantenere a un livello basso e costante i tassi sui nostri titoli di Stato». Ma Draghi, che pure siede sul trono della Banca Centrale Europea, Carlo De Benedettisi guarda bene dall’intervenire. Motivo? Non è solo l’ex governatore di Bankitalia: è anche, e soprattutto, un uomo di punta dei “terribili Trenta”.

Cosa ci fa un personaggio pubblico come Draghi dentro il club di coloro che hanno impedito al mondo di fermare la finanza criminale planetaria? Purtroppo, aggiunge Barnard, il presidente della Bce «dovrebbe vigilare proprio su coloro che condividono il suo club con intenti criminosi». Del resto, chi era il funzionario italiano che – da direttore generale del Tesoro – lungo tutti gli anni ’90 «supervisionò la svendita del nostro Paese alle privatizzazioni selvagge che non hanno sanato di nulla il debito pubblico ma che hanno sanato di certo imprenditori falliti come De Benedetti e fatto incassare miliardi in parcelle alle investment banks?» E chi era il funzionario italiano che «non ha detto una parola contro la micidiale separazione fra Banca d’Italia e Tesoro», divorzio «che ingrassò le medesime banche?». Sempre lui, l’ineffabile Draghi, «uomo “Group of 30”, uomo Bilderberg, uomo Goldman Sachs, e anche “bugiardo-Sachs”», visto che «ha sempre negato di essere stato in forza alla Goldman quando la banca di Wall Street organizzò la truffa per truccare i libri contabili greci in collusione col governo di Atene». E invece, dice Barnard, alla Goldman lui c’era, eccome: e ne dirigeva proprio gli affari europei.

È stato lui, Mario Draghi, a “inventarsi” un trilione di euro, in piena agonia dell’Eurozona, per regalarlo alle banche, praticamente senza condizioni. E tutto questo, dopo aver chiuso i rubinetti della Bce per far collassare il governo Berlusconi e consegnare l’Italia all’uomo del super-potere, Mario Monti. Manovra orchestrata dai maxi-speculatori, gli inventori della più spaventosa truffa planetaria, quella dei “derivati”, «astrusi prodotti finanziari del tutto comprensibili a non più di 200 individui nel mondo». Ma il “derivato dei derivati”, aggiunge Barnard, è proprio la crisi finanziaria 2007-2012, innescata dal virus dei titoli fasulli spacciati da Joseph Cassano, boss finanziario della City londinese. Il flagello dei “derivati” si è abbattuto su una situazione già catastrofica, provocata dalla bolla speculativa immobiliare americana dei mutui subprime, infettando quasi tutte le maggiori banche del mondo. Fino all’attuale “spirale della deflazione Joseph Cassanoeconomica imposta”, la famigerata austerity, che ora i “golpisti” – sempre loro – usano per depredare a sangue interi Stati europei.

I “derivati”, dice Barnard, sono vere e proprie armi di distruzione di massa, visto che questi “Frankenstein-assets” vagano per il pianeta senza più controllo né regolamentazione, per una cifra di circa 650.000 miliardi di dollari. Il primo allarme nel lontano 1994, coi miliardi-fantasma della banca d’affari Merrill Lynch. Un pozzo senza fondo, che ha travolto anche i Comuni italiani, invitati a “privatizzare” il debito. Ancora oggi, i contratti Otc (“over the counter”) sono «liberamente usati per distruggere, e lo stanno facendo gli hedge funds come quello del criminale John Paulson, che scommettono in queste ore contro l’euro». Usando i “derivati”, continua Barnard, un pugno di speculatori può affondare persino uno Stato sovrano. Può ricattarlo e sospingerlo oltre il baratro del default. Con conseguenze agghiaccianti: disoccupazione e sotto-occupazione, suicidi, morti anzitempo, abbrutimento sociale, svendita-truffa del patrimonio pubblico, usura sullo Stato. E soprattutto: perdita di democrazia, a favore dei super-profitti dei soliti speculatori, grazie anche al “fascismo finanziario” dell’Unione Europea, che oggi fa gridare allo scandalo persino il “Financial Times”, di fronte ai trattati-capestro imposti senza mai un referendum.

«Domanda: come si è arrivati a questo? Perché non lo si è evitato? Risposta: “Group of 30”». Proprio i Trenta, secondo Barnard, sono la punta di lancia dell’operazione “golpista”. Una lobby di tecnocrati eccezionali, varata nel 1978 con l’aiuto dei Rockefeller: 30 membri, a rotazione, accuratamente designati. «Sono quasi tutti uomini che hanno lavorato con la mano destra nella speculazione finanziaria, e poi con la sinistra nella regolamentazione statale». Missione: piegare le leggi ai propri voleri, naturalmente all’insaputa dei cittadini. Il “Group of 30”, scrive Eleni Tsingou nel più devastante lavoro accademico sulla super-lobby planetaria, «non solo ha legittimato il coinvolgimento del settore privato nelle politiche di Stato, ma ha anche permesso all’interesse privato di divenire il cuore delle decisioni di politica finanziaria». Un trust di cervelli, potentissimo e imbottito di miliardi. E’ proprio il “Gruppo dei 30” a intuire le immense potenzialità dei “derivati”: Eleni Tsingousono stati loro, gli adepti della super-setta egemone, a inquinare il mondo con la peste dei titoli tossici, per riuscire infine a mettere in ginocchio interi Stati.

Nel 1993, racconta Barnard, il gruppo pubblicò il primo manuale d’uso sui “derivati”, destinato ai controllori statali, europei e americani, delle transazioni finanziarie: non sapevano come maneggiare quei titoli, quindi accolsero con favore lo studio del gruppo e l’ignoranza tolse loro ogni potere di contrastarne le pericolose conclusioni. Primo: i “derivati” sono indispensabili perché “rappresentano nuovi modi di capire, misurare e gestire il rischio finanziario”. Ovvero: «Gli strumenti più “rischiogeni” della storia della finanza avrebbero, secondo loro, ridotto il rischio». Poi: si sottolineava che “la chiave per l’uso dei “derivati” è l’autoregolamentazione”, visto che “le regole statali intrusive e basate sulla legge ne rovinerebbero l’elasticità e impedirebbero l’innovazione in finanza”. Ergo: si prega di non disturbare il manovratore. E i controllori? «Per evitare di apparire ignoranti che brancolavano nel buio si aggrapparono alle raccomandazioni del Gruppo, sia in Usa che in Europa, sospinti in modo decisivo proprio dai loro colleghi senior che erano membri di spicco di questa lobby».

Ma il “Group of 30” osò anche di più, continua Barnard: la super-lobby scrisse che i controllori avrebbero dovuto “aiutare a rimuovere le incertezze legali dei regolamenti in vigore”, e fornire un trattamento fiscale favorevole ai “derivati”. «L’intero lavoro era stato abbondantemente oliato con i fondi della mega-banca speculativa JP Morgan». Eppure, «nonostante la sfacciataggine di quelle righe – osserva Barnard – tre fra i maggiori organi di controllo del mondo, il Comitato di Basilea, il Congresso degli Stati Uniti e la Federal Reserve Usa, trovarono l’idea dell’autoregolamentazione accettabile». Di più: «Gettarono il loro peso contro i pochi controllori ed economisti che già allora suonavano le campane d’allarme», tra questi un prestigioso portavoce della Modern Money Theory come William Black. Al che, si mossero due delle più potenti lobby finanziarie anglosassoni: l’Iif di Washington (Institute for International Finance) e la Liba di Londra David Rockefeller(Investment Banking Association): i due colossi «buttarono sul tavolo della trattativa le loro proposte per l’autoregolamentazione della trasparenza sui “derivati”, a pieno sostegno del “Group of 30”».

Per dare un’idea agli scettici del complotto, aggiunge Barnard, basta ricordare che proprio la Iif è la lobby che, poche settimane fa, ha dato gli ordini nella trattativa suicida della povera Grecia verso la trappola del secondo “bailout”. E dire che l’occasione per capire e controllare la distruttività dei “derivati” Otc si era presentata già all’inizio degli anni ’90: ma il “Group of 30” fu il primario attore nell’annullamento di ogni tentativo di portare questi killer sotto il controllo pubblico, con le conseguenze che sappiamo: crimini globali. Utile riflettere, dice Barnard, su «cosa questi mostri hanno fatto alla vita di centinaia di milioni di famiglie, a milioni di aziende e alle democrazie dei maggiori paesi occidentali, per non parlare degli orrori nel Terzo Mondo e sull’ambiente». Oggi, in pratica, «viviamo tutti su un ordigno termonucleare finanziario fuori controllo che si chiama 650.000 miliardi di “Frankenstein-Derivatives” in grado di far fallire il pianeta». Apriamo gli occhi: «Nessuna Tommaso Padoa-Schioppademocrazia ha un senso, quando tutta la ricchezza è nelle mani di queste lobby senza pietà, a cui tutti i politici devono rispondere a bacchetta, invece che ai propri elettori».

E tanto per non far nomi, Paolo Barnard avverte che il “Gruppo dei 30” è fatto di persone in carne e ossa, ovviamente potentissime. Come gli americani Paul Volcker e Gerald Corrigan, passati dalla Fed a gruppi come Chase Manhattan Bank, Goldman Sachs, Morgan Stanley. Ci sono gli inglesi come lord Richardson of Duntisbourne (Banca Centrale d’Inghilterra, Lloyds Bank), l’ex ministro Geoffrey Bell, dirigente anche di Schroders, e lo stesso Mervyn King, governatore della Banca Centrale d’Inghilterra. Se dominano gli esponenti della finanza anglosassone come gli statunitensi William McDonough (Dipartimento di Stato e First National Bank of Chicago) e Lawrence Summers (Segretario del Tesoro Usa, fedele del Bilderberg) non manca il resto del mondo: l’israeliano Jacob Frenkel (Banca Centrale d’Israele e Merrill Lynch), il giapponese Toyoo Gyohten (Ministero delle Finanze del Giappone, dirigente della Banca di Tokyo), il brasiliano Arminio Fraga Neto (Banca Centrale del Brasile, Solomon Brothers Ny, Soros Management Fund), l’iberico Guillermo de la Dehesa (Banca Centrale di Axel WeberSpagna e ministro delle finanze, nonché banchiere del Banco Santander Central Hispanico e di Goldman Sachs).

Alcuni membri del “Group of 30” hanno legato il proprio nome a famosissimi disastri: è il caso dell’ex ministro argentino dell’economia, Domingo Cavallo, padre della catastrofe che travolse il paese latinoamericano e “diligente allievo” del super-clan, i cui esponenti sono specializzati nel doppio incarico: Bundesbank e Dresdner Bank per il tedesco Gerd Hausler, Banca Centrale di Francia e Bnp Paribas per il transalpino Jacques de Larosière. Oltre a quello di Draghi, fra gli italiani spicca il nome dell’ex ministro prodiano Tommaso Padoa-Schioppa, quello dei “bamboccioni”, membro del Bilderberg come il francese Jean-Claude Trichet, già ministro delle finanze a Parigi e poi a capo della Bce. Conflitti d’interesse permanenti: chi lavora per la speculazione è chiamato a anche a presiedere le autorità europee di controllo sulla finanza. E’ il caso del tedesco Axel Weber: Bundesbank, poi Ubs, quindi “European Systemic Risk Board” e “Financial Stability Board”.

Grottesco, annota Barnard: uno che lavora per il profitto speculativo con la super-lobby che ha scatenato il peggior rischio sistemico della storia della finanza mondiale, poi siede anche fra i funzionari che valutano il rischio sistemico in Europa, dichiarando di vigilare sulle crisi. Altro controllore, l’inglese Adair Turner, presidente della Financial Services Authority della Gran Bretagna, l’istituto nazionale deputato a controllare l’industria dei servizi finanziari. Eppure: «Eccolo a busta paga della super-banca speculativa Merrill Lynch Europe come vice-presidente, e in bella mostra al “Group of 30”», dopo aver anche fatto parte, a Londra, delle commissioni per le pensioni e per i salari minimi. Un altro controllore, il tedesco Gerd Häusler (Global Financial Stability Report e Financial Stability Forum) ce lo ritroviamo come direttore dell’Institute of International Finance di Paolo Barnard Washington, altro deregolamentatore dei “derivati”. Membro del “Group of 30”, Häusler compare anche a New York nell’agguerrita agenzia Lazard, che nel caso-Grecia «faceva il doppio gioco», come consulente sia degli “investitori-strangolatori”, sia del governo di Papademos.

Questi, dice Barnard, sono gli uomini che hanno creato le leggi-capestro che oggi dissanguano la nostra economia e confiscano la nostra sovranità: «Stiamo parlando del sistema che ha messo in ginocchio l’economia del mondo in meno di un decennio». È il super-potere che, anche in Italia, ha minato il futuro dei nostri bambini, regalandoci le immense sofferenze di cui ormai sono piene ogni giorno i titoli del giornali, con buona pace di qualsiasi residua democrazia reale. «Questo è il “Group of 30”, la lobby che ha aiutato in modo decisivo a causare questo allucinante scenario, questo livello di crimine internazionale», conclude Barnard: «Trenta individui a rotazione, ma solo trenta, col nostro Draghi in prima fila. Roba da far apparire Goldfinger un patetico principiante».

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12/8/12

Padroni del mondo: la mappa del super-potere invisibile

Conflitto di interessi per Mario Draghi, presidente della Bce e al tempo stesso esponente di punta del “Group of 30”, la super-lobby planetaria con sede a Washington che mira a condizionare le legislazioni a favore degli interessi delle grandi corporation, le multinazionali globalizzate e i colossi finanziari speculativi, registi occulti della grande crisi. Spesso abbreviato in G30, scrive Checchino Antonini nel blog “Il Megafono Quotidiano”, il super-gruppo si definisce un organismo internazionale di finanzieri, leader e accademici che mira ad “approfondire la comprensione” delle questioni economiche e finanziarie e ad “esaminare le conseguenze delle decisioni” prese nei settori pubblici e privati. Il clan è composto di 30 membri e comprende i capi delle principali banche private nonché delle maggiori banche centrali, così come illustri membri del mondo accademico e delle istituzioni internazionali.

Il G30, aggiunge Antonini, tiene due riunioni plenarie ogni anno e organizza anche seminari, convegni, e gruppi di studio. Fondato nel 1978 da Geoffrey Campana su iniziativa della Fondazione Rockefeller, sua sostenitrice finanziaria fin dall’inizio, ha avuto come primo presidente Johannes Witteveen, ex direttore di gestione del Fmi, il Fondo monetario internazionale. Oggi il “Group of 30” è presieduto nientemeno che da Jean-Claude Trichet, predecessore di Draghi a Francoforte. Sempre gli stessi i nomi che ricorrono nelle super-lobby internazionali: lo stesso Rockefeller, cinque anni prima, aveva fondato la Trilateral Commission, nome che deriva dalle tre aree a maggior sviluppo capitalistico (Nord America, Europa e Asia-Pacifico). Ognuna delle tre aree ha un suo presidente: per l’Europa è stato Mario Monti, finché non è divenuto premier. A sostituirlo ha provveduto l’onnipresente Trichet, mentre l’attuale referente italiano della Trilaterale è l’ex rettore della Bocconi, Carlo Secchi.

Della Commissione, strettamente collegata al G30 ma decisamente più affollata, fanno parte circa 400 persone: banchieri, politici, editori, giornalisti e accademici. Dato il profilo anche istituzionale (ex capi di Stato e di governo) l’organismo planetario si presenta in una veste quasi “ufficiale”, ma vi si entra solo su invito. La Trilateral Commission – aggiunge Antonini – è considerata una filiazione diretta del Gruppo Bilderberg, di cui condivide membri e ideologia. «Il nome, stavolta, deriva dall’albergo in cui s’è riunito la prima volta nel ‘54, l’hotel Bilderberg di Oosterbeek, per iniziativa del principe Bernardo d’Olanda». Il Bilderberg è «la più ristretta, esclusiva e segreta delle società (o sette) “internazionaliste”». E’ governato da un comitato esecutivo di cui fanno parte circa 30 persone, rielette ogni quattro anni, tra le quali per l’Italia lo stesso Monti e Franco Bernabè.

«Il Gruppo – continua il “Megafono Quotidiano” – si riunisce una volta l’anno in località esclusive e hotel di lusso, protetto da guardie armate che non fanno avvicinare nessuno, tantomeno la stampa». Le date e i luoghi sono segreti e chi vi è invitato ha l’obbligo della riservatezza, pena l’esclusione. Tra i nomi italiani l’ex ministro Giulio Tremonti, John Elkann (gruppo Fiat), Paolo Scaroni dell’Eni e, prima di loro, l’ex ministro prodiano Tommaso Padoa-Schioppa, super-tecnocrate di alto rango, tra i massimi padrini dell’euro. «Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che manovra contro gli interessi degli Stati Uniti», scriveva nelle sue memorie David Rockefeller, consapevole dei sospetti di “internazionalismo”. Ovvero: «Cospirare con altri nel mondo per costruire una struttura politica ed economica integrata – un nuovo mondo, se volete». Il miliardario più famoso del globo non si lasciava certo intimorire: «Se questa è l’accusa, mi dichiaro colpevole e sono orogoglioso di esserlo».

Secondo Rockefeller, gli innocenti “Bilderbergers” sono «in cerca dell’era del post-nazionalismo». E spiegava, a modo suo, che si trattava di contribuire a costruire il “nuovo mondo”, quello in cui «non avremo più paesi, ma piuttosto regioni della Terra circondate da valori universali». Una visione in apparenza filantropica, in realtà fondata su «un’economia globale» guidata da «un governo mondiale». Attenzione: un governo «selezionato, piuttosto che eletto», e naturalmente illuminato da «una religione universale». Per raggiungere questi obiettivi egemonici, ammantati dalla luce sublime dell’amore universale, i “Bilderbergers” si concentrano «su un approccio maggiormente tecnico», meglio ancora “tecnocratico”, e «su una minore consapevolezza da parte del pubblico in generale», scriveva sul “New York Times” un certo William Shannon, ambasciatore in Irlanda per Jimmy Carter e naturalmente membro del Bilderberg. Parola d’ordine, per il “democratico” Shannon: “minore consapevolezza da parte del pubblico in generale”. Ovvero: sistematica manipolazione, preventiva, dell’opinione pubblica occidentale.

Quello dei “Bilderbergers”, scrive ancora Checchino Antonini, è uno sforzo costante contro quelli che vengono definiti, testualmente, gli «eccessi della democrazia». Alla lettera: troppa trasparenza e troppa condivisione a livello popolare finiscono per costituire un intoppo al libero corso dei buoni affari. Accesso alle informazioni e alla vita pubblica? No, grazie: si prega di non disturbare il manovratore. Le élite mondiali temono che la democrazia possa  rallentare il capitalismo globalizzato, con un vero e proprio «sovraccarico del sistema decisionale», che può essere «all’origine della crisi economica». Meglio quindi pilotare gli avvenimenti e fornirne una versione manipolata, ad uso e consumo degli ignari cittadini. Il barone Denis Winstop Healey, due volte ministro britannico a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, ne era convinto: «Quel che accade nel mondo non avviene per caso; si tratta di eventi fatti succedere, sia che abbiano a che fare con questioni nazionali o commerciali». E attenzione: «La maggioranza di questi eventi – aggiunge il barone Healey – sono inscenati da quelli che maneggiano la finanza».

Le idee e la linea politica che vengono fuori dagli incontri annuali del Gruppo Bilderberg – scrive Daniel Estulin, un giornalista spagnolo che ha scritto un libro molto informato (“The true story of the Bilderberg Group”, TrineDay) – sono poi usati per «creare le notizie di cui si occuperanno le maggiori riviste e i gruppi editoriali del mondo». Lo scopo, aggiunge il reporter iberico, è proprio quello di «dare alle opinioni prevalenti dei “Bilderbergers” una certa attrattiva, per poterle poi trasformare in politiche attuabili». Altro obiettivo dichiarato: «Far pressione sui capi di Stato mondiali per sottometterli alle “esigenze dei padroni del mondo”». Sottomissione, padroni: il dispotismo neo-medievale del Bilderberg, perfettamente consonante con la visione della Trilaterale e del “Gruppo dei 30”, ha bisogno di sostegno quotidiano e propaganda mediatica, per trasformare l’ideologia in verità comunemente accettata. Nessuna illusione: «La cosiddetta “stampa libera mondiale” – conclude Estulin – è alla completa mercè del gruppo e dissemina propaganda da esso concordata».

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25 luglio 2012

Paradisi offshore, i buchi neri della finanza mondiale
di Luca Manes

Strategie globali 50 banche hanno gestito offshore 12 trilioni di dollari

Sarebbero almeno 17 trilioni di euro i capitali nascosti nei paradisi fiscali. È quanto emerge dalla ricerca realizzata dall'economista James Henry per il Tax Justice Network. Un libro, "The Price of Offshore Revisited", frutto di ricerche che incrociano dati di Bana mondiale, Fondo monetario internazionale e numero governi

L’elite globale dei super ricchi nasconderebbe nei paradisi fiscali sparsi per il Pianeta ben 21 trilioni di dollari (circa 17 trilioni di euro). È il dato più eclatante che emerge dal libro “The Price of Offshore Revisited”, scritto dall’economista James Henry, il quale dimostra in maniera molto circostanziata e documentata come, alla fine del 2010, i capitali “nascosti” ammontassero al valore dell’economia statunitense e di quella giapponese messe insieme. Henry, ex figura di spicco della società di consulenza McKinsey, ha realizzato il tomo per conto del Tax Justice Network, la rete internazionale che da anni si batte per l’eliminazione dei paradisi fiscali. Sebbene alcuni esperti britannici, tra cui il consulente governativo John Whiting, siano molto scettici sulle cifre presentate nel libro, è lo stesso Henry ad avvertire che la sua è una valutazione di natura conservativa. Il “bottino”, infatti, potrebbe addirittura attestarsi sui 32 trilioni. Per circostanziare le sue affermazioni, Henry ha impiegato dati pubblici reperibili nei documenti di Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e di numerosi governi. Sono stati presi in esame solo i flussi di denaro depositati in banche e fondi di investimenti offshore, non quelli adoperati per acquistare beni immobili o yacht.  “I super ricchi muovono i loro soldi in giro per il mondo grazie a un nutrito contingente di professionisti che operano nel settore bancario, fiscale e delle consulenze su materie giuridiche” ha dichiarato Henry alla BBC, evidenziando come la quantità di risorse sottratte alle finanze degli Stati potrebbe “fare la differenza” nella maggior parte dei casi. Secondo l’economista, tutto sommato in questi tempi di crisi nera sapere che c’è una così grande quantità di denaro che potrebbe essere utilizzata per risolvere i più impellenti problemi globali non è una cattiva notizia. Il problema, però, è riuscire a mettere le mani su quelle risorse. Anche alla luce di vari vertici internazionali di peso, tra cui lo strombazzatissimo G20 di Londra del 2009, si può affermare senza timore di smentita che gli esecutivi dei principali Paesi ricchi non hanno fatto abbastanza per porre un freno al fenomeno dei paradisi fiscali. Detto che una buona fetta di risorse occultate nelle Cayman piuttosto che a Jersey viene sottratta alle autorità fiscali delle realtà in via di sviluppo, che così trovano sempre più difficile il compito di superare il loro stato di indigenza, val la pena rammentare qualche alta cifra contenuta nel libro di Henry. Sempre alla fine del 2010, si è calcolato che i 50 principali istituti di credito mondiali  avevano gestito poco più di 12 trilioni di dollari in fondi di clienti privati per investimenti in asset transfrontalieri. Le banche più attive offshore sono UBS, Credit Suisse e Goldman Sachs. Per finire, 9,8 trilioni di ricchezza preservata nei paradisi fiscali farebbero capo a un totale di meno di 100mila persone.

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