Fonte: la Jornada 

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4 agosto 2015

 

La nuova grande trasformazione

di Raúl Zibechi

 

La prima grande trasformazione è la fine dello stato sociale.

Perfino in America Latina nel secondo dopoguerra abbiamo assistito a un relativo sviluppo industriale, all’assegnazione di diritti alle classi lavoratrici e al loro progressivo e incompleto inserimento come cittadini. La deindustrializzazione e la finanziarizzazione delle economie, sostenute dal Consenso di Washington, hanno sepolto questo sviluppismo.

 

La seconda trasformazione è la fine della sovranità nazionale.

Le decisioni importanti, tanto quelle economiche che quelle politiche, sono passate in mano ad ambiti fuori dal controllo degli stati nazionali. La recente “trattativa” tra il governo greco e l’eurogruppo, mostra chiaramente la fine della sovranità. È certo che molti governanti, di destra e di sinistra, naufragano tra la mancanza di scrupoli e la mancanza di un progetto. Tuttavia è altrettanto certo che, ammesso che esista, il margine di azione dello Stato-nazione è minimo.

 

La terza è la fine delle democrazie.

Di questo non si vuole parlare. Forse perché sono molti coloro che vivono delle briciole degli incarichi pubblici. Tuttavia questo è uno dei nuclei dei nostri problemi. Quando l’un per cento delle popolazione tiene sequestrata la volontà popolare e il 62 per cento è sottomesso all’uno per cento; e quando questo accade più volte in diversi paesi, è perché qualcosa non funziona. E quello che non funziona si chiama democrazia.

Credere nella democrazia, che non è sinonimo di andare alle elezioni, è un grave errore strategico. Perché credere nella democrazia vuol dire smantellare i nostri poteri di classe (cioè quelli dei lavoratori, delle donne povere, degli indios, dei neri e dei meticci, dei settori popolari e dei contadini senza terra, degli abitanti delle periferie, insomma di tutti los abajos). Senza quei poteri, i cosiddetti “diritti democratici” sono carta straccia.

 

La classe dominante ha deciso di passare dall’egemonia dell’accumulazione per riproduzione allargata alla dominazione attraverso l’accumulazione per saccheggio, questo concetto tuttavia, non si ferma al tipo di Stato adatto a questa fase. A mio modo di vedere, è questo il nucleo degli insegnamenti della crisi greca e delle crisi nei vari processi latinoamericani. Ci troviamo davanti alla fine di un periodo. Una nuova grande trasformazione sistemica, che include almeno tre importanti cambiamenti, che dovrebbero avere una loro corrispondenza nell’adeguamento delle tattiche e delle strategie dei movimenti antisistemici … Il primo è la fine dello stato sociale …. La deindustrializzazione e la finanziarizzazione delle economie, sostenute da Washington, lo hanno sepolto …. La seconda trasformazione è la fine della sovranità nazionale. La recente “trattativa” tra il governo greco e l’eurogruppo, lo dimostra chiaramente …. la terza è la fine delle democrazie, strettamente legata alla fine della sovranità nazionale … Quando l’un per cento delle popolazione tiene sequestrata la volontà popolare e il 62 per cento è sottomesso all’uno per cento; e quando questo accade più volte in diversi paesi, è perché qualcosa non funziona. E quello che non funziona si chiama democrazia …. come ci ricorda bene Paul Craig Roberts: “È molto probabile che i greci sappiano che non possono dichiarare la sospensione dei pagamenti e andarsene, perché se lo fanno saranno assassinati. Di certo gliel’hanno fatto capire molto chiaramente”. Craig Roberts sa quello che dice, perché viene da quegli stessi ambienti, là in alto.

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