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9/03/2015

 

La Germania pensa al riarmo e rivede il suo pacifismo

di Giovanni Zagni

 

La crisi ucraina ha ridato voce a chi pensa che Berlino debba spendere di più per l’esercito

 

Nessuno ha dubbi sul fatto che la Germania abbia un ruolo politico di primo piano in Europa, e non da ieri. Ma fuori dall’Europa? La crisi in Ucraina e la politica di disimpegno degli Stati Uniti stanno costringendo Berlino a ripensare il proprio ruolo nel mondo, tra spinte al riarmo – o per lo meno alla modernizzazione di un esercito da molti considerato inadeguato – e un’opinione pubblica ancora molto cauta riguardo alle questioni militari.

 

«Che cosa non va nella politica estera tedesca?»

Quando il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier entrò in carica come ministro degli Esteri tedesco – un incarico che aveva già ricoperto tra il 2005 e il 2009 – annunciò un’ampia consultazione pubblica su quale dovesse essere il ruolo della Germania in un mondo in cambiamento.

La domanda al centro del dibattito conteneva un tratto di autocritica tipico dell’approccio tedesco alle questioni di identità nazionale: «Che cosa non va nella politica estera tedesca»? I risultati della ponderosa consultazione, chiamata Review 2014 e organizzata in dibattiti online e incontri pubblici in una sessantina di città tedesche, sono stati pubblicati alla fine di febbraio sul sito del ministero.

Il problema, aveva detto il presidente della Repubblica Federale Tedesca Joachim Gauck a gennaio del 2014, era che «qualcuno – sia in patria che all’estero – vede la Germania come la scansafatiche della comunità internazionale», aggiungendo che «non tutte le critiche alle scelte tedesche sono semplicemente ingiuste».

Il rifiuto del militarismo è molto radicato nell’opinione pubblica tedesca, eredità delle due guerre mondiali e delle sue conseguenze per la coscienza nazionale. Ora sembra che qualcosa stia cambiando, sull’onda di trasformazioni che coinvolgono tutto il mondo.

 

La superpotenza riluttante

Per molti anni dopo la caduta dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti sono rimasti senza rivali nel ruolo di superpotenza mondiale, e sono sembrati molto a loro agio nel ruolo. Gli obiettivi e il raggio d’azione si sono allargati, culminando nelle invasioni di Afghanistan e Iraq dopo l’Undici settembre, e la spesa militare è più che raddoppiata da 312 miliardi di dollari nel 2001 a 711 miliardi nel 2011 – il 41 per cento della spesa militare mondiale per quell’anno.

Da allora, però, gli Stati Uniti sono entrati in una fase che si può definire di alleggerimento. Le battaglie politiche intorno al bilancio federale e l’emergere di altre potenze locali hanno portato grandi cambiamenti. Il segretario della Difesa Robert Gates ha lasciato l’incarico nel 2011 annunciando che per i cinque anni successivi il bilancio militare sarebbe stato tagliato di 78 miliardi. Gli obiettivi strategici sono stati rivisti e il disimpegno Usa in Libia nella missione Nato del 2011 – guidata da Francia e Regno Unito – ne è un ottimo esempio.

Mentre gli Stati Uniti si chiedono se sia finito il secolo americano, nel resto del mondo qualcosa si muove per riempire quel vuoto. Il Pil cinese è cresciuto del 140 per cento tra il 2004 e il 2013, e questo risultato è andato insieme a un aumento delle spese militari ancora più spettacolare, del 170 per cento nello stesso periodo.

Oggi la Cina è il secondo paese del mondo nella spesa militare, con 188 miliardi di dollari nel 2013 secondo le stime delloStockholm International Peace Research Institute (SIPRI). E il Giappone non è restato a guardare, approvando poche settimane fa un bilancio record per la difesa. Anche la Russia, complice la politica estera muscolare di Putin, è in piena ripresa negli investimenti militari: il 2015, crisi del rublo permettendo, sarà il quinto anno consecutivo di crescita, dopo l’aumento del 17,8 per cento nel 2014.

 

Al centro della scena

Le risposte alla Review 2014 sono state molto diverse tra loro ed è ancora presto per capire quale saranno le conseguenze concrete della consultazione, ma si è trattato senz’altro di un primo passo deciso dalla leadership tedesca per convincere il pubblico che qualcosa va cambiato. Anche perché il mondo sembra non voler aspettare che i tedeschi arrivino a una conclusione troppo meditata.

La crisi in Ucraina ha riportato i venti di guerra ai confini europei e gli Stati Uniti sembrano convinti che l’Unione Europea debba cavarsela il più possibile da sola. La Francia è storicamente più interessata a un ruolo nei paesi africani, mentre il Regno Unito attraversa un periodo di tagli alle spese militari (meno due per cento nel 2014). La Germania, con l’economia in buone condizioni e il suo ruolo egemone nella politica UE, si è trovata volente o nolente al centro della scena.

Angela Merkel ha fatto buon viso a cattivo gioco e si è imbarcata in un tour de force delle capitali straniere, ripetendo a tutti i suoi interlocutori che la strada maestra in Ucraina deve essere quella del dialogo. Dialogo e consenso, sono le parole d’ordine di questa fase: ad ogni passaggio, sull’Ucraina come sulla crisi greca, la Germania fa tutto il possibile per dare l’impressione di non agire mai da sola.

 

Agire da sola

Quando si parla di usare la forza, infatti, la Germania è da sempre tra i paesi più cauti. Il suo budget per la difesa nel 2014 è stato di 43,9 miliardi di dollari (dati IISS), l’ottavo del mondo, ma molto inferiore a quello britannico (61,8 miliardi), francese (53,1 miliardi), giapponese (47,7) e anche indiano (45,2). A fronte di questa spesa relativamente ridotta, una certa incoerenza si può rilevare nel fatto che la Germania è il terzo esportatore mondiale di armi, secondo solo a Stati Uniti e Russia.

La Germania ha sempre fatto la sua parte nella Nato e inviato soldati in Kosovo e in Afghanistan, ma non ha fornito sostegno di uomini nella recente campagna di bombardamenti contro l’Isis (ha fornito solo armi ai ribelli curdi) ed è rimasta fuori dall’intervento in Libia. Ma la crisi ucraina ha dato voce a diversi politici che vogliono fermare una tendenza in atto in Germania dalla fine della Guerra fredda: quella di ridurre i propri arsenali.

A fine febbraio il ministro della Difesa, Ursula von der Leyen, ha annunciato che l’esercito tedesco smetterà di smantellare equipaggiamento militare in buono stato – per risparmiare sulla manutenzione – e, come riporta il Wall Street Journal, 40 carri armati in precedenza destinati al disarmo sono stati assegnati a una nuova unità. Von der Leyen e il ministro degli Esteri Steinmeier hanno già chiarito che la loro politica è favorevole a un ruolo più importante della Germania nello scenario internazionale.

Negli ultimi anni la spesa militare tedesca è aumentata, anche se a ritmo lento, invertendo una tendenza che andava avanti dalla fine degli anni Ottanta. Dai 34,6 miliardi di euro del 2011 si è passati ai 36,1 del 2012 e ai 36,7 del 2013. Henning Otte, portavoce della Cdu per gli affari militari, ha detto che ci sono «buone possibilità» che un aumento più sostanzioso arrivi a partire dal 2016. La percentuale di spesa nella difesa è oggi intorno all’1,3 per cento del Pil, ben al di sotto del 2 per cento richiesto informalmente ai paesi Nato.

Il problema più immediato è che le forze armate tedesche sembrano tutt’altro che pronte a nuovi impegni militari. A settembre 2014 alcuni esperti hanno riferito al Bundestag, il parlamento tedesco, che le forze armate hanno una drammatica carenza di pezzi di ricambio, il che rende solo pochi carri armati, elicotteri e sottomarini pronti a un impiego rapido.

Un episodio imbarazzante per la politica più assertiva di von der Leyen è avvenuto lo scorso settembre, quando il ministro è volato in Iraq per assistere alla consegna di un carico di armi tedesche. Ma quelle armi non sono arrivate, perché lungo il percorso gli aerei da trasporto si sono dovuti fermare in Germania e in Bulgaria per riparazioni. Lo Spiegel ha scritto che l’episodio si è rivelato «un imbarazzante fallimento che sottolinea il miserabile stato di molti tra i sistemi d’arma più importanti della Bundeswehr», l’esercito tedesco.

Prima dell’arrivo di von der Leyen, numerosi piani per rinnovare l’equipaggiamento militare, come i vecchi aerei da trasporto Transall, hanno subito ritardi e rinvii. Il percorso verso un esercito di soli volontari, al posto dell’esercito di leva, è partito solo nel 2011. Anche all’interno dello stesso governo, Angela Merkel sembra portare avanti un’agenda più cauta rispetto ai suoi ministri della Difesa e degli Esteri. Il tempo dirà se la Germania lascerà da parte decenni di pacifismo per un impegno più diretto sui campi di battaglia.

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