Da: Europa


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sabato 28 aprile 2012

Incontro con Orhan Pamuk e il libro-museo dedicato a Istanbul
di Nicola Mirenzi

Breve viaggio nel museo voluto e dedicato dallo scrittore alla città, alla sua storia, al suo popolo e ai suoi infiniti destini. Fra oggetti, libri e lenzuola famose

Istanbul. Orhan Pamuk arriva per dare le ultime indicazioni ai suoi collaboratori pochi minuti dopo che inizio a visitare il suo museo. Meticoloso, perfezionista, ossessionato dai dettagli, lo scrittore sale le scale che lo portano al primo piano, ci saluta velocemente e inizia a spiegare alle sue due giovani assistenti tedesche come vuole che vengano disposti i volumi del romanzo per la consultazione. «Mettiamo i libri qui sulla panca. In quest'ordine: inglese, francese, italiano, spagnolo e via dicendo, cosicché i visitatori possano leggere i capitoli del libro che corrispondono alle sezioni del museo». Pamuk si ferma ad ascoltare i dubbi e le domande, pure le più banali, che gli sottopongono i suoi collaboratori e li risolve con una decisione. «Non servono qui due saliere. È sufficiente una. Così. così è perfetto». Pamuk scherza, si lascia andare a qualche battuta, sembra sereno. Le persone che lavorano fianco a fianco con lui ormai da mesi, però, mi confidano che al di là delle apparenze è molto teso per l'apertura al pubblico, che avverrà sabato 28 aprile. Sta facendo il possibile per evitare che anche solo una piccola cosa vada storta. Ha stabilito quale deve essere il numero delle persone che possono visitare contemporaneamente le sale e come organizzare la fila. Le poche sezioni del museo che non lo convincono al cento per cento ha deciso di tenerle chiuse e di tornare a lavorarci su più in là. Il museo dell'innocenza (Einaudi) è il primo romanzo nella storia della letteratura che è anche un museo.

A quasi ogni capitolo del libro (ottantatré) corrisponde una sezione del museo (ottanta), nella quale vengono raccolti gli oggetti che sono raccontati nel romanzo. Pamuk ha cominciato a lavorare a questo progetto quindici anni fa. Prima di scrivere, ha iniziato a collezionare degli oggetti di vita quotidiana turca. E solo dopo averne accumulati abbastanza ha iniziato a buttare giù la storia, rigirandosi tra le mani i posacenere dei ristoranti di Nisantası, le vecchie bottiglie del Yeni Rakı - l'alcolico nazionale turco -, descrivendoli minuziosamente e costruendogli intorno una storia d'amore e di ossessione, di felicità e perdizione, sullo sfondo della sua città, Istanbul.

Riusciamo a visitare il museo prima che apra al pubblico. Insieme alla nostra guida raggiungiamo l'edificio che lo ospita - un palazzo di tre piani costruito 1897 - nel quartiere di Cihangir, nella parte europea della città, attraversando le viuzze piene di negozi d'antiquariato nelle quali lo scrittore ha pescato molti oggetti che ha poi deciso di esporre al pubblico. Quando entro nel museo, quasi tutto è ultimato. Al piano terra due ragazze stanno ancora incollando delle vecchie chiavi di ferro su un pannello che verrà esposto all'ingresso. Mentre sulla parete principale proiettano i video che accompagneranno i visitatori nel loro percorso. (Ce n'è uno che raccoglie i baci più belli della storia del cinema turco tra gli anni Settanta e Ottanta). È tutto pronto, ormai. Ma i lettori di Pamuk hanno atteso l'apertura del museo a lungo.

Essa era stata annunciata due anni fa, quando Istanbul è stata capitale europea della cultura. Di tanto in tanto capitava così, aggirandosi per queste strade, di incontrare dei lettori del romanzo spingersi sulla via di Çukurcuma, seguendo la cartina che è pubblicata nell'ultima pagina del libro, per vedere che cosa ne fosse stato di quel progetto e a che punto fossero i lavori. Ogni volta la loro faccia si riempiva di delusione nel constatare che l'edificio era chiuso e che non c'era niente che ne annunciasse l'apertura. All'inizio, infatti, Pamuk aveva accettato di usare parte dei soldi stanziati dall'Unione Europea a favore del governo turco per finanziare il suo progetto. Poi ha cambiato idea. Sia per dissensi con gli organizzatori. Sia per una ragione più generale, diventata chiara pochi giorni fa, quando lo scrittore ha pubblicato sul quotidiano turco Taraf (e poi sui giornali internazionali) il manifesto del suo museo.

In esso Pamuk parla del suo amore per i grandi musei occidentali il British Museum di Londra e il Louvre di Parigi, ma sostiene che «queste istituzioni, diventate simboli nazionali, hanno presentato la storia di una nazione - in altre parole, la storia - come più importante della storia degli individui». La scelta di smarcarsi dal denaro pubblico è stata una scelta di autonomia, di sottrazione dalla ragion di stato, dall'intrusione della retorica nazionale e nazionalista (sempre in agguato in Turchia), dando invece spazio alle storie delle persone, alla loro vita quotidiana in totale libertà. Elsa Morante avrebbe apprezzato questa idea di considerare Storia con la esse maiuscola la moltitudine delle storie individuali e non quella delle grandi astrazioni politiche. «Siamo tutti stanchi - scrive nel suo manifesto Pamuk - dei musei che cercano di costruire le narrative storiche di una società, comunità, gruppo, nazione, stato, popolo, compagnia o specie. Tutti sappiamo che le ordinarie, quotidiane storie degli individui sono più ricche e più umane e molto più gioiose delle storie delle culture colossali».

Secondo Pamuk, il suo romanzo e il suo museo sono animati ciascuno di una vita propria e anche chi non ha letto il libro può benissimo godersi il museo. In effetti la storia che racconta Il museo dell'innocenza - molto più del romanzo, il museo vero e proprio - è la storia di Istanbul e della cultura popolare turca nella seconda metà del Novecento. Lo fa attraverso il racconto dell'ossessione amorosa di Kemal: un rampollo della borghesia istanbuliota, ricco e fortunato (sta per sposare una ragazza bellissima, moderna, che tutti gli invidiano), che si innamora di una giovane commessa, sua lontana parente, di nome Füsun, per la quale si spinge a spezzare la "normalità" della sua vita nell'alta società turca per "perdersi" all'inseguimento di questo amore scandaloso. Attraverso gli oggetti raccolti nel museo - le sigarette che Füsun ha fumato, le lenzuola su cui i due hanno fatto l'amore, il rakı che Kemal beveva per diluire la gelosia - si entra in contatto con la città così come essa era alcuni decenni fa. I suoi ristoranti alla moda, i vestiti che indossavano gli uomini e le donne, le pubblicità che campeggiavano lungo le strade. E ancora: i quartieri poveri di Fatih; le fotografie delle donne ammazzate dai mariti pubblicate sui quotidiani ogni volta che ne davano notizia; gli slogan delle fazioni di destra e di sinistra che si fronteggiavano brutalmente per le strade e che aprirono la strada al colpo di stato militare del 1980.

Quando il racconto di Istanbul si vuole fare lirico, Pamuk ricorre - come ha già fatto nel suo memoriale insignito con il premio Nobel per la letteratura, Istanbul (Einaudi) - alle fotografie del più grande cantore della città, il fotografo Ara Güler. Le sue immagini mostrano le barche che si avventurano sul Bosforo, la tristezza struggente del ponte di Galata in un giorno di pioggia, la dignità dei pescatori che lottano ogni giorno in mare per sfangare la vita. Si passa così da un piano all'altro dell'edificio adibito a museo circondati da migliaia e migliaia di oggetti che trasportano il visitatore indietro negli anni, in un intervallo in cui il tempo sembra non essere mai esistito. La teoria degli attimi e del tempo di Aristotele - ricordata sia nel romanzo che su una parete del museo - sorregge questa impressione. Nella Fisica - ricorda Pamuk - Aristotele scrive che «i singoli istanti sono gli elementi indivisibili e inscindibili, come l'atomo per la materia», mentre invece «il tempo è la linea che unisce questi istanti indivisibili». L'ossessione del protagonista del romanzo, Kemal - come di Pamuk -, è «dimenticarsi del tempo», isolare per sempre gli istanti di felicità, rompendo quell'accumularsi di secondi uno sull'altro che è lo scorrere lineare delle ore. Kemal inizia così a collezionare oggetti per curare l'infelicità del suo amore - reso impossibile dalle circostanze - riproducendo attraverso le cose i momenti di pienezza che ha vissuto insieme a Füsun. La sua vita, giudicata con gli occhi del senso comune, appare come una vita sprecata, una vita persa dietro alla nostalgia. Se non fosse che Pamuk ci tiene a fargli dire, sia nel romanzo che nel museo, l'esatto contrario: «Tutti devono saperlo: ho avuto una vita felice"

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