Giselle Dian Intervista Elena Liotta


Elena Liotta, nata a Buenos Aires il 25 settembre 1950, risiede a Orvieto, in Umbria; e' psicoterapeuta e psicologa analista, membro dell'Ordine degli Psicologi dell'Umbria, membro dell'Apa (American Psychological Association), socia fondatrice del Pari Center for New Learning; oltre all'attivita' psicoterapica, svolta prevalentemente con pazienti adulti, in setting individuale, di coppia e di gruppo, ha svolto e svolge altre attivita' culturali e organizzative sempre nel campo della psicologia e della psicoanalisi; tra le sue esperienze didattiche: professoressa di Psicologia presso la "American University of Rome"; docente in corsi di formazione, e coordinatrice-organizzatrice di corsi di formazione a carattere psicologico, per servizi pubblici e istituzioni pubbliche e private; didatta presso l'Aipa, societa' analitica accreditata come scuola di specializzazione post-laurea, per la formazione in psicoterapia e per la formazione di psicologi analisti; tra le altre esperienze parallele alla professione psicoterapica e didattica: attualmente svolge il ruolo di Coordinatrice psicopedagogica e consulente dei servizi sociali per il Comune di Orvieto, e di Coordinatrice tecnico-organizzativa di ambito territoriale per la Regione Umbria nell'Ambito n. 12 di Orvieto (dodici Comuni), per la ex- Legge 285, sul sostegno all'infanzia e adolescenza e alle famiglie, occupandosi anche della formazione e monitoraggio dei nuovi servizi; e' stata assessore alle politiche sociali presso il Comune di Orvieto; dopo la prima laurea ha anche lavorato per alcuni anni in campo editoriale, redazionale e bibliografico-biblioteconomico (per "L'Espresso", "Reporter", Treccani, Istituti di ricerca e biblioteche). Autrice anche di molti saggi apparsi in riviste specializzate e in volumi collettanei, tra le opere di Elena Liotta segnaliamo particolarmente Educare al Se', Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2001; Le solitudini nella societa' globale, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2003; con L. Dottarelli e L. Sebastiani, Le ragioni della speranza in tempi di caos, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2004; Su Anima e Terra. Il valore psichico del luogo, Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2005; La maschera trasparente, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2006; A modo mio. Donne tra creativita' e potere, Magi, Roma 2007



- Giselle Dian: Quale eredita' ha lasciato nella cultura statunitense e mondiale l'esperienza di Martin Luther King, la lotta contro il razzismo e il movimento per i diritti civili?
- Elena Liotta: Quando Martin Luther King e' morto assassinato io avevo 18 anni ed era il 1968. Lo ricordo bene: fu una tragedia per chi si era impegnato in Europa marciando, discutendo, credendo nel diritto della protesta pacifica e nei diritti dei poveri e dei piu' deboli. Mi riferisco alla guerra del Vietnam e alla posizione del governo statunitense verso cui King rivolse parole chiarissime e sferzanti in piu' di un'occasione. Voglio guardare a questo aspetto di solidarieta' verso tutti gli oppressi e contro tutte le guerre che da tempo lo aveva portato oltre le prime battaglie antirazziste domandandomi, se fosse ancora tra di noi, a fianco di chi si sarebbe schierato? Se proviamo a risponderci ecco che la sua eredita' e' ancora vitale.
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- Giselle Dian: La riflessione e la pratica del femminismo hanno avuto un ruolo fondamentale nella formazione dei movimenti sociali impegnati per i diritti umani di tutti gli esseri umani. Come si e' esercitato questo ruolo nel corso degli ultimi decenni a livello planetario?
- Elena Liotta: Da donna che ha vissuto attivamente questi eccezionali decenni di storia mi rendo conto che, al di la' delle lacune e degli squilibri che esistono ancora nelle diverse parti del pianeta il messaggio femminista e' arrivato ormai ovunque e insieme ad esso una sensibilita' nuova verso la qualita' della debolezza, della tenerezza, della gentilezza, della conservazione della vita, paragonata alla precedente e rudimentale violenza maschilista che per secoli e millenni ha letteralmente costituito la mortifera storia occidentale, fatta soprattutto di guerre (i manuali di storia!), colonizzazioni, genocidi. Non che ora siano scomparse le guerre, ma le azioni diplomatiche e i tentativi di pacificazione sembrano essere piu' continui e istituzionalizzati che non in passato. Anche qui si e' trattato di restituire diritti elementari di uguaglianza alle donne, insieme a tanti altri gruppi di esclusi e sfruttati. Sono state le innumerevoli donne che tengono il quotidiano tessuto della societa' civile piu' che le singole femministe, spesso culturalmente discriminate, a produrre questo miracolo ancora in pieno sviluppo e mai del tutto assicurato.
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- Giselle Dian: L'opposizione alla bomba atomica ha caratterizzato la seconda meta' del Novecento; negli ultimi decenni essa si e' sviluppata anche contro le centrali nucleari, cogliendo una serie di decisivi nessi ed implicazioni. Quali sono state le esperienze cruciali e quali sono le riflessioni fondamentali del movimento antinucleare?
- Elena Liotta: Credo che tre esperienze abbiano fortemente inciso nella cultura giovanile del secondo dopoguerra europeo: il nazismo e gli orrori del genocidio, la bomba atomica di Hiroshima e la divisione della Germania con il muro di Berlino. Scissioni, violenza, distruzione, ceneri. La guerra fredda e la persistente paura di una nuova guerra atomica erano l'incubo degli anni '50 e '60, e quando si inizio' a parlare di centrali nucleari - se mai fosse stato possibile prenderle diversamente - questa ombra aleggiava ancora potentemente fino a riprendere forza dopo Chernobyl. Quando le proteste vinsero a Montalto di Castro sembrava di aver allontanato un mostro e si pensava che a nessuno sarebbe piu' venuto in mente un progetto cosi' potenzialmente letale. Il movimento antinucleare e' qualcosa di piu' di una lotta specifica contro le centrali pericolose. E' schierarsi a favore della vita ridimensionandosi, rinunciando ai deliri di onnipotenza, accettando di fermarsi e rivedere radicalmente i nostri stili di vita. Decrescere nei consumi e nello sfruttamento del pianeta anche per quanto riguarda risorse ed energia. Vandana Shiva, una donna uscita dal crogiuolo del secondo Novecento, ce lo ricorda con grande coraggio a ogni suo nuovo scritto.
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- Giselle Dian: Da alcuni anni si ha la sensazione che almeno in alcune parti del mondo finalmente i diritti delle persone omosessuali vengano almeno formalmente riconosciuti, e che il pregiudizio e la violenza omofoba non godano piu' di una complicita' diffusa. E' realmente cosi'? Ed attraverso quali tappe di impegno civile e di progresso culturale si e' giunti a questa situazione, e quanto cammino c'e' ancora da percorrere, e quali iniziative occorre intraprendere affinche' ad ogni persona sia riconosciuto il diritto alla libera autodeterminazione ed autogestione del proprio orientamento sessuale e delle proprie scelte di vita?
- Elena Liotta: Credo che l'impegno civile e collettivo contro tutte le forme di razzismo, discriminazione, oppressione e sfruttamento abbia nei tempi lunghi rinforzato tutti i diritti delle diversita'. Una specie di grande effetto alone potrebbe ipoteticamente cambiare in modo quasi inavvertito atteggiamenti e visioni culturali anche radicate. In fondo, volendolo, basterebbero due generazioni opportunamente educate con tecnologie e mass-media odierni a sostituire le mentalita' ancora violente e autoritarie. Purtroppo accade il contrario e cioe' che con gli stessi media si addormentano le coscienze, si saturano esigenze superficiali, si inducono bisogni fittizi. Ormai da circa trent'anni. Il problema sono gli interessi di corporazioni che non vogliono il cambiamento di sistema e stile di vita e neanche la perdita di opportuni  capri espiatori. Il pericolo di moralismi e integralismi diretti a specifiche fasce di popolazione rimane sempre presente. La cultura, l'esempio personale e il diritto sono gli unici veri argini possibili. Sull'arte ho a volte dei dubbi poiche' spesso mi appare pilotata, selezionata, commercializzata e non spontanea e autentica.
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- Giselle Dian: L'opera di Keith Haring, e piu' in generale il linguaggio dei "graffiti", pone in evidenza il rapporto tra opera d'arte e dimensione urbana, tra performance estetica e vissuto della strada, tra "nonluoghi" e impegno civile, tra forme della cultura di massa e lotta contro l'alienazione e l'emarginazione, tra strutture della vita quotidiana e nuove modalita' di risignificazione dei luoghi e delle esperienze esistenziali. Quali riflessioni le suscita questa prassi?
- Elena Liotta: Credo che oltre a valorizzare le esperienze di protesta e di intervento attivo sulla cultura metropolitana - riconoscendo a Haring tutti i suoi meriti soprattutto quando ha cominciato a sostenere iniziative e strutture sociali per le fasce deboli e a fare della sua malattia una denuncia a favore di altri malati - si debba anche mettere piu' in crisi, altrove che nell'arte, il modello unico della vita cittadina. Cosa che nessuno sembra voler fare. Chi si allontana dalla citta' e' ancora un "alternativo", eccentrico, idealista retro', oppure un pendolare che non regge i costi delle case di citta', nelle quali si immagina che chiunque vorrebbe vivere.  Si dimentica quanto siano recenti i processi di migrazione interna dalla campagna alla citta' e quanto la popolazione italiana sia tuttora diffusa in cittadine o paesi di piccolo taglio in cui i non-luoghi scarseggiano. Non c'e' metropolitana e a volte neanche autobus. Non arriva l'adsl ne' il digitale. Ma gli outlets crescono... La grande citta' e' in realta' fragile e basta un vero black-out a trasformarla in una trappola per topi. Scenari di fantascienza? Come nel dopoguerra? Se continuiamo a pensare che la grande citta' e' il modello di vita assoluto del futuro crolla il discorso di ridimensionamento, mutamento di stili di vita e tutto il resto. Allora davvero ci vorranno le centrali nucleari per tenerle in piedi.
L'arte pubblica, i graffiti, murales, i loft e le gallerie improvvisate, le istallazioni, le performances e altri modi di comunicazione sorti nelle metropoli e nei veri non-luoghi sono un tentato rimedio alla disperazione, il filo d'erba nato nel cemento. Continuo a pensare che ci sia abbastanza terra e natura nel mondo per fioriture piu' libere e gioiose. Poi c'e' il mercato dell'arte, delle mode e tutta una cultura che esporta ovunque i suoi prodotti con chiari risvolti economici (marchi, gadgets, stampe, oggetti, giocattoli, ecc.). New York, la metropoli per antonomasia, patria dell'arte contemporanea, non mi ha mai sedotta. Mi appare caratterizzata da un forte intellettualismo a tratti anche cinico: uno sguardo che osserva, critica, oppure simpatizza, sostiene, a volte distrugge, ma sempre con distanza, e sempre celebrando in qualche modo se stesso. I bisogni sociali, il diritto alla vita e alla condivisione delle risorse del pianeta nonche' lo stato di emarginazione nel resto del mondo di oggi mi appaiono altra cosa. Se poi un artista, un fotografo, un attore, un danzatore o pubblicitario famoso me lo ritraggono o mi ci fanno pensare va bene, ma non e' questa la cura. Non per me.

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