Giselle Dian Intervista Ettore Masina


Ettore Masina, nato a Breno (Bs) il 4 settembre 1928, giornalista, scrittore, fondatore della Rete Radie' Resch, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura e della prassi di pace. Sulle sue esperienze e riflessioni si vedano innanzitutto i suoi tre libri autobiografici: Diario di un cattolico errante. Fra santi, burocrati e guerriglieri (Gamberetti, 1997); Il prevalente passato. Un'autobiografia in cammino (Rubbettino, 2000); L'airone di Orbetello. Storia e storie di un cattocomunista (Rubbettino, 2005). Tra gli altri suoi libri: Il Vangelo secondo gli anonimi (Cittadella, 1969, tradotto in Brasile), Un passo nella storia (Cittadella, 1974), Il ferro e il miele (Rusconi, tradotto in serbo-croato), El Nido de Oro. Viaggio all'interno del terzo Mondo: Brasile, Corno d'Africa, Nicaragua (Marietti, 1989), Un inverno al Sud. Cile, Vietnam, Sudafrica, Palestina (Marietti, 1992), L'arcivescovo deve morire. Monsignor Oscar Romero e il suo popolo (Edizioni cultura della pace, 1993 col titolo Oscar Romero, poi in nuova edizione nelle Edizioni Gruppo Abele, 1995), Comprare un santo (Camunia, 1994; O. G. E., 2006), Il volo del passero (San Paolo, tradotto in greco), I gabbiani di Fringen (San Paolo, 1999), Il Vincere (San Paolo, 2002). Un piu' ampio profilo di Ettore Masina, scritto generosamente da lui stesso per il nostro foglio, e' nel n. 418 de "La nonviolenza e' in cammino"; un'ampia intervista raccolta da Diana Napoli e' ne "La domenica della nonviolenza", n. 151


 
- Giselle Dian: Quale eredita' ha lasciato nella cultura statunitense e mondiale l'esperienza di Martin Luther King, la lotta contro il razzismo e il movimento per i diritti civili?
- Ettore Masina: Martin Luther King. Sono abbastanza vecchio per poter dire che sono stato educato a un razzismo patriottico e dunque violento. Mio padre, i miei nonni e un certo numero di miei zii e cugini piu' grandi di me erano ufficiali pluridecorati. Mia madre era figlia di un generale. Da bambino ho abitato tre anni in Cirenaica, parte della Libia ridotta a colonia italiana. Ho imparato a considerare gli arabi un popolo inferiore. Durante la seconda guerra mondiale, mio padre ha combattuto in quei luoghi contro gli insorti libici, considerandoli banditi senza nobilta'. Dopo la Liberazione, ho  potuto rivedere molte convinzioni che mi erano state instillate in famiglia e a scuola, dove mi insegnavano a marciare, in divisa, a cantare “Nell’Italia dei fascisti / Anche i bimbi son guerrieri...” e a smontare e rimontare un moschetto. Sono diventato piu' consapevolmente cristiano e ho cominciato a cogliere la perversione della violenza. Ho letto Tolstoj e mi ha conquistato con il suo messaggio d’amore. Ho letto Gandhi e ho fatto a tempo a seguire, fra il 1945 e il 1948, le sue vicende. Non so perche', tuttavia, ho provato nei suoi confronti, come nei confronti di Tolstoj, un certo distacco emotivo. (Ben piu' profondamente mi avrebbero scosso le testimonianze di due donne: Rosa Luxemburg e Simone Weil). Forse fu la sensazione di un contesto ambientale e (quanto a Gandhi) anche culturale e religioso a mantenermi in uno stato di superficialita' critica che oggi non riesco a comprendere. Ero comunque piu' maturo quando Martin Luther King comparve sulla scena internazionale. Aggiungo che egli arrivo' sui mass-media mentre la cultura afro-americana (una letteratura di grande vigore: romanzi e poesia, per non parlare di musica) aveva un forte impatto anche fra noi. Le capacita' oratorie del leader nero, il suo rifiuto a consolidare un movimento razzista di segno contrario, con la visibilita' data ai “bianchi” che condividevano il suo sogno (del resto egli non nascondeva di muoversi nel solco del “bianco” Richard Gregg), il suo intuito nel cogliere le emersioni di nuovi valori, la creativita', il coraggio suo, dei suoi familiari e dei suoi seguaci, la straordinaria coerenza evangelica, tutto questo porto' molti di noi ad accettarlo come maestro. Il suo assassinio fu la conferma della grandezza della sua rivoluzione nonviolenta; se Tolstoj era stato un profeta isolato dalla sua stessa classe sociale e Gandhi il condottiero di masse che poi si erano divise nella separazione (forzatamente violenta) di due stati (dunque, alla fine, un profeta sconfitto) il sogno di Martin Luther King non fu ucciso dai razzisti. Credo che non vi sia stato da allora movimento autenticamente rivoluzionario nel mondo (e certamente nessuno dei movimenti con i quali io sono stato in contatto in America Latina, in Africa e in Palestina) che non si sia interrogato sulla nonviolenza e, almeno in certe occasioni,  non abbia cercato di utilizzarne le tecniche. I gruppi argentini delle Madres, delle Abuelas, dei Familiares de la Plaza de Mayo sono esempi ammirevoli di questa scelta.


- Giselle Dian: La solidarieta' internazionale con il movimento antiapartheid in Sudafrica ha caratterizzato gli anni Ottanta; e ad essa anche gli artisti (delle arti visive, della musica, della letteratura, del teatro e del cinema) hanno dato un contributo rilevante, particolarmente sul versante della sensibilizzazione. Poi, negli anni '90, la liberazione di Nelson Mandela, la sua elezione a primo presidente democratico del Sudafrica, e l'esperienza straordinaria della Commissione per la verita' e la riconciliazione, costituiscono eventi di portata mondiale ed epocale. Quali riflessioni si possono trarre da questa vicenda?

- Ettore Masina: Ho avuto il privilegio e l’onore di poter visitare Nelson Mandela nella sua casa di Soweto, cinque giorni dopo la sua liberazione. Mi e' sembrato un uomo stremato dalle emozioni e dalla fatica di ricevere continuamente personaggi pubblici e vecchi amici. Inflessibile nella sua scelta della nonviolenza. Disse subito a me e ai miei colleghi (un gruppo di deputati italiani) che di li' a pochi giorni, nella prima grande manifestazione di massa avrebbe chiesto a tutti di deporre le armi se davvero volevano costruire uno stato libero e giusto. Le sue parole ci emozionarono per la forza etica e politica che contenevano, ma non ci meravigliarono. Sapevamo di una scelta lungamente maturata. Quello che mi colpisce maggiormente, ricordando quei giorni, e' un incontro avuto con il signor Meyer, ministro dei rapporti con il Parlamento nel governo Botha. Ci disse, a un certo punto, che i suoi colleghi avevano compreso la necessita' dell’uscita dall’apartheid. Si arresto' un istante e torno' sul discorso: ”compreso anche emotivamente”, chiari'. Meyer era (e') un boero, dunque appartenente alla minoranza afrikaner, la piu' razzista. Quel suo discorso conteneva dunque una preziosa lezione: nonviolenza vuol dire anche controllo delle emozioni, riscatto delle emozioni.
In quegli stessi giorni avemmo la fortuna di poter parlare a lungo con Desmond Tutu. Questo piccolo uomo dai capelli candidi e dal volto color carbone si muoveva disinvolto nella grande sede dall’arcivescovado anglicano di Cape Town, senza nessun imbarazzo per i  grandi ritratti dei suoi predecessori inglesi che sembravano guardarlo con sospetto dalle pareti. Sorridendo diceva cose enormi, sottolineando i progressi del popolo nero piuttosto che le lotte sopportate. Stava studiando la Commissione per la verita' e la riconciliazione, di cui sarebbe stato il presidente. Mirava a una pacificazione inter-razziale, da realizzarsi pero' senza la cancellazione della storia e senza lasciare in solitudine le vittime e i loro parenti. I colpevoli di tante violenze avrebbero ottenuto il piu' ampio perdono se l’avessero richiesto ammettendo le proprie colpe. A questo modo verita', giustizia e amore si sarebbero abbracciate.

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