Giselle Dian Intervista Sergio Paronetto


Sergio Paronetto insegna presso l'Istituto Tecnico "Luigi Einaudi" di Verona dove coordina alcune attivita' di educazione alla pace e ai diritti umani. Tra il 1971 e il 1973 e' in Ecuador a svolgere il servizio civile alternativo del militare con un gruppo di volontari di Cooperazione internazionale (Coopi). L'obiezione di coscienza al servizio militare gli viene suggerita dalla testimonianza di Primo Mazzolari, di Lorenzo Milani e di Martin Luther King. In Ecuador opera prima nella selva amazzonica presso gli indigeni shuar e poi sulla Cordigliera assieme al vescovo degli idios (quechua) Leonidas Proano con cui collabora in programmi di alfabetizzazione secondo il metodo del pedagogista Paulo Freire. Negli anni '80 e' consigliere comunale a Verona, agisce nel Comitato veronese per la pace e il disarmo e in gruppi promotori delle assemblee in Arena suscitate dall'Appello dei Beati i costruttori di pace. In esse incontra o reincontra Alessandro Zanotelli, Tonino Bello, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Perez Esquivel, Beyers Naude' e tanti testimoni di pace. Negli anni '90 aderisce a Pax Christi (che aveva gia' conosciuto negli anni Sessanta) del cui Consiglio nazionale e del cui Centro studi fa parte. E' membro del Gruppo per il pluralismo e il dialogo e del Sinodo diocesano di Verona. Opere di Sergio Paronetto, La nonviolenza dei volti. Forza di liberazione, Editrice Monti, Saronno (Va) 2004


 
- Giselle Dian: Quale eredita' ha lasciato nella cultura statunitense e mondiale l'esperienza di Martin Luther King, la lotta contro il razzismo e il movimento per i diritti civili?
- Sergio Paronetto: L’eredita' di Martin Luther King e' presente in almeno tre continenti. La piu' evidente mi sembra quella esercitata da Nelson Mandela e Desmond Tutu in Sud Africa (i loro testi, rispettivamente Lungo cammino verso la liberta' e Non c’e' futuro senza perdono, stanno dentro il sogno plurale degli amici statunitensi della nonviolenza che hanno protestato per l’assegnazione del Premio nobel della Pace ad Obama mantenendo aperta un’interlocuzione costruttiva visto che l’attuale presidente si considera figlio dell’esperienza di King. Tra gli esponenti piu' recenti della nonviolenza statunitense ricordo Thomas Merton, Cesar Chavez, Dorothy Day, Rosemary Lynch, i fratelli Berrigan, Roy Bourgeois, Helen Prejan e l’ampio movimento contro le guerre a partire da quello dei parenti delle vittime dell’11 settembre 2001.
Martin Luther King si inserisce in un movimento per i diritti civili ampio, popolare, ispirato a Gandhi, radicato negli Stati Uniti fin dagli anni Trenta. Anzi e' stato il movimento a volere, a  “inventare” Martin Luther King come suo leader negli anni ’50.
Chi oggi dice di proseguire il lavoro di King e' il monaco buddista Thich Nhat Hanh, che nel 1967, assieme al rabbino J. Heschel, ha convinto King a duri pronunciamenti contro la guerra in Vietnam e che lo stesso King ha proposto come Premio Nobel per la pace. Thich Nhat Hanh e' il promotore del cosiddetto “buddhismo impegnato”, dei “piccoli corpi di pace” attivi in Vietnam, autore di testi legati all’idea che la pace e' il nostro essere, il nostro stile di vita, la nostra ricerca della felicita', l’unica arma da usare per un futuro possibile. Thich Nhat Hanh ritiene che la lezione di King (e di Gandhi) possa insegnare molto ai tibetani oggi al centro della repressione cinese e di tentazioni violente che lo stesso Dalai Lama cerca di superare.
E’ importante e stimolante riflettere su questo monachesimo combattivo e contemplativo a un tempo. I monaci del Tibet e della Birmania, come i bonzi del Vietnam o i monaci cristiani in Algeria o in Iraq e altrove sono votati all’umanizzazione. Col loro silenzio, appena interrotto da marce di protesta, disobbedienze civili o "ciotole rovesciate", annunciano la verita' di una pace che non puo' accettare di farsi servire dalla violenza ma deve incarnarsi in una testimonianza continua di vita per tutta la vita e per tutte le vite.
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- Giselle Dian: La riflessione e la pratica del femminismo hanno avuto un ruolo fondamentale nella formazione dei movimenti sociali impegnati per i diritti umani di tutti gli esseri umani. Come si e' esercitato questo ruolo nel corso degli ultimi decenni a livello planetario?
- Sergio Paronetto: Non mi piace molto il termine “femminismo” che ritengo datato e ideologizzato. Preferisco parlare di nonviolenza femminile che sento tutta interna al movimento nonviolento in generale e alla stessa eredita' di Martin Luther King. In tale contesto opera il movimento birmano guidato da Aung San Suu Kyi che ritiene fondamentale la liberazione dalla paura come primo passo per una lotta di lunga durata (cfr. Liberi dalla paura). In India persone come Vandana Shiva, autrice tra l’altro del saggio India spezzata, si collegano a istanze nonviolente, radicali e graduali, le piu' adatte a sconfiggere i numerosi speculari fondamentalismi - quelli degli scontri di civilta', delle ideologie del nemico, dei nazionalismi culturali, del fanatismo religioso, del mercato assoluto globalizzato, della tecnologia onnipotente, del patriarcato e delle caste.
“Ritengo che la donna sia la personificazione di quella che chiamo 'nonviolenza' che significa amore infinito capace di assumere il dolore. Permettiamo alla donna di estendere questo amore a tutta l'umanita'. A lei e' dato di insegnare la pace a un mondo lacerato". Le parole di Gandhi illuminano la testimonianza di donne coraggiose (che molte “femministe“ occidentali non conoscono) che si basano sull'impegno esistenziale ("Sii tu il cambiamento che desideri realizzare", "tu sei la speranza che vuoi affermare").
Assieme ad Aung San Suu Kyi e' doveroso ricordare Natalia Estemirova, Anna Politkovskaya, Zarema Sadulayeva... Al riguardo, si puo' mettere a fuoco la bellezza di tante figure femminili: studiose come Simone Weil, Edith Stein, Etty Hillesum o vere martiri nonviolente come Marianella Garcia, Annalena Tonelli, Ilaria Alpi, Graziella Fumagalli, Mariella Sgorbiati, Rachel Corrie, Dorothy Stang o viventi come i premi Nobel Mairead Maguire, Rigoberta Menchu', Jody Williams, Shirin Ebadi, Wangari Maathai.
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- Giselle Dian: La solidarieta' internazionale con il movimento antiapartheid in Sudafrica ha caratterizzato gli anni Ottanta; e ad essa anche gli artisti (delle arti visive, della musica, della letteratura, del teatro e del cinema) hanno dato un contributo rilevante, particolarmente sul versante della sensibilizzazione. Poi, negli anni '90, la liberazione di Nelson Mandela, la sua elezione a primo presidente democratico del Sudafrica, e l'esperienza straordinaria della Commissione per la verita' e la riconciliazione, costituiscono eventi di portata mondiale ed epocale. Quali riflessioni si possono trarre da questa vicenda?
- Sergio Paronetto: In Sud Africa e' nata la nonviolenza moderna. Il Sud Africa, nonostante tutto, e' laboratorio mondiale della nonviolenza. Emblematica e' diventata l’azione di Nelson Mandela e Desmond Tutu che ha favorito tante iniziative analoghe e complementari: gli Interventi civili di pace per la prevenzione e trasformazione dei conflitti a livello sia internazionale che locale o interpersonale; l’azione dei gruppi sudamericani "Nunca mas", delle donne africane per i diritti umani, delle Commissioni per la riconciliazione attive in Africa, in Sud America e in Medio Oriente, gestite spesso dalla societa' civile e dalle Chiese; le recenti scuole del perdono e della riconciliazione. Negli ultimi anni sulla scia di Hannah Arendt e degli studi sulla “giustizia ricostitutiva” si e' cominciato a comprendere che il perdono puo' diventare virtu' sociale e politica, uno strumento necessario per superare le cause della violenza, lenire le sofferenze (emotive, mentali, fisiche), favorire il recupero e il reinserimento nella societa' dei colpevoli, ricostruire la vita sociale.
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- Giselle Dian: E' sempre piu' evidente la coerenza e la saldatura tra impegno per la pace, affermazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani, scelta della nonviolenza, femminismo ed ecologia. Come e perche' si realizza questa convergenza? Quali frutti rechera' all'umanita'?
- Sergio Paronetto: La nonviolenza e' una rete di fili multicolori. Un crocevia di cammini. Un cantiere aperto. Una fioritura operante come forza di liberazione, parte integrante della famiglia umana, variamente presente nella "compassione" orientale, nel "satyagraha" gandhiano, nella “misericordia” islamica, nell'"ubuntu" africano, nel "buen vivir" o "suma qamana" andino, nello "shalom" ebraico, nelle "beatitudini" evangeliche: principi operativi indicanti gratuita', pienezza di vita, interdipendenza, convivialita', convivenza di persone accolte e accoglienti, cooperanti al bene comune.
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- Giselle Dian: Quale puo' essere lo specifico contributo dell'arte all'impegno per la pace, l'ambiente, i diritti umani di tutti gli esseri umani?
- Sergio Paronetto: L’esperienza artistica non e' un ornamento aggiuntivo della nonviolenza. Alcuni artisti (io conosco soprattutto poeti) sono amici della nonviolenza. Intendo la poesia come realta' intima e concreta dell’esistenza. Se la pace e' poesia, la poesia e' pace. Per me la pace e' creazione come la poesia. Eros e logos. Agape e caritas. Seme e frutto. Ulivo e colomba. “Cellule e rondini” (Mario Luzi). Tormento di un sogno. Potere di un segno. Giacomo Leopardi direbbe “canto nella notte” o “fiore del deserto”. Il grande poeta di Recanati scriveva che la poesia e' “respiro dell’anima che aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita”, “ci rinfresca”, “ci accresce la vitalita'”. La sua ginestra, fiore gentile e profumato “che il deserto consola”, indica la saggezza del vivere fraterno. Il suo appello e' simile a quello di Martin Luther King: “o nonviolenza o non esistenza. Se non impareremo a vivere assieme come fratelli periremo come stolti”. La nonviolenza e' l’arte di vivere bene assieme. E’ l’azione conviviale che salva la storia e ricrea la grazia del volto.
Nascita-rinascita. Parto di un mondo.

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