Lanza del Vasto

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luglio 19, 2012

Nonviolenza come politica di fede
di Antonino Drago

La mia cultura si è formata non tanto all’Università (dove mi sono laureato in Fisica), quanto conoscendo e frequentando personalità. Ho anche avuto la fortuna di averne incontrate parecchie (nell’Azione cattolica, laici e sacerdoti e suore). Esse mi hanno suggerito delle direzioni di vita sulle quali organizzare le idee e viverle.

Soprattutto mi ha influenzato Lanza del Vasto (1901-1981), che è stato discepolo di Gandhi negli anni 1930 e poi è tornato in Europa per fondare comunità nonviolente. Lo conobbi al tempo del Concilio, dove aveva organizzato un digiuno di venti donne per dieci giorni, affinché il Concilio parlasse di nonviolenza (così come poi avvenne nella “Gaudium et spes”, n. 78). Attirato da un mio amico che gli parlava di un gruppo nonviolento napoletano, egli venne a Napoli per una settimana. Lasciò una profonda impressione in me, mia moglie e gli amici che allora si impegnavano nel lavoro di volontariato tra i baraccati napoletani. Capii che la mia vita spirituale trovava una concretizzazione in quello che diceva e che testimoniava assieme alle persone della sua comunità.

Poi ho verificato ciò nella mia vita seguente, la quale ha attraversato diverse vicende storiche senza perdere la bussola, perché il suo insegnamento mi ha saputo guidare rettamente; e l’ho capito ancora di più da quando sono andato in pensione e ho pensato bene di approfondire il suo insegnamento; da alcuni anni lo studio dei suoi libri mi ha fatto scoprire dei tesori spirituali e intellettuali. Spero che la Chiesa cattolica valorizzi al più presto questo unico discepolo cattolico di Gandhi, rinnovatore del messaggio evangelico, iniziatore del dialogo interreligioso, fondatore di comunità secondo una regola che è la più avanzata tra tutte le regole religiose, innovatore teologico sui temi cruciali nella nostra età (peccato originale, flagelli sociali e potenze negative della organizzazione sociale moderna, senso profondo delle beatitudini e dell’amore che anche nella società sa mettere assieme carità e giustizia).

Il titolo che ho dato è molto impegnativo. Innanzitutto perché dice che la politica è compatibile con la fede, cosa che i fatti quotidiani sembrano sconfessare. Poi perché mette assieme alcune parole grosse per formare una struttura di idee; invece oggi dei filosofi importanti hanno detto che “le ideologie sono morte”; più in generale, si è convinti che il pensare in grande non è più possibile, oppure è segno di una utopia che mai si realizzerà nella storia; per cui si propongono “pensieri deboli”, rivolti alla sopravvivenza quotidiana e non si fa attenzione a chi presenta un “pensiero forte”. Invece vedremo una serie di fatti che dicono che la nonviolenza ha la capacità di pensare in grande, perché è proprio la storia che lo suggerisce; infatti la storia ha preso un nuovo corso, che resta inspiegato alle vecchie ideologie, ma appare chiaro quando la si veda alla luce dei fatti nonviolenti che hanno caratterizzato il XX secolo.

Certo, dovremo superare dei pregiudizi radicati. Il primo è che il buono può nascere solo dall’Europa, o al massimo dal mondo occidentale. E siccome Gandhi non era un occidentale, anche i più importanti dizionari di dottrine politiche non lo nominano, come se la liberazione di 360 milioni di persone avvenuta senza guerre, contro il grandioso impero coloniale britannico sia stato un avvenimento periferico e fortuito della storia dell’umanità. L’altro pregiudizio è: può mai essere che un non cristiano abbia da insegnare ai cristiani? Certo, per noi cristiani è una banalità che il Cristianesimo è la religione più progredita e più approfondita del mondo, perché crediamo che è stato lo stesso Figlio di Dio a rivelarcela. Ma poi noi riusciamo a praticarla? Nella storia di 2000 anni abbiamo avuto tante deviazioni e dimenticanze fondamentali! Gesù stesso ci ha insegnato di dire “Siamo servi inutili e infedeli”.

Nel seguito svilupperò il titolo cercando di rispondere a tre domande; le loro risposte, assieme, danno un quadro minimo, ma completo della nonviolenza come impegno di fede e impegno politico. 1) Che cosa è la nonviolenza rispetto all’amore cristiano? 2) Quale è la politica della nonviolenza? 3) Esistono rivoluzioni nonviolente?

La prima domanda: Che cosa è la nonviolenza rispetto all’amore cristiano?

Lanza del Vasto è stato discepolo di Gandhi; ma lo è stato da cattolico che portava una croce sul petto. Il che non ha affatto ostacolato il suo rapporto con l’indù Gandhi, e viceversa. Grazie a lui io capii che la fede cristiana deve avere un respiro universale, cioè, come si dice in greco, cattolica. E che in questo tipo di rinnovamento consisteva l’ondata dello Spirito che aveva attraversato la Chiesa del Concilio Vaticano II.

Ma ancor prima, questo tipo di rinnovamento della religiosità era stato realizzato umilmente da un piccolo indù. Gandhi aveva ripensato e ricostruito la maniera di vivere la sua religiosità sulla base di un principio che si presentava da subito come universale per tutti gli uomini; la nonviolenza.

Perché un cristiano che è guidato dall’amore dovrebbe interessarsi della nonviolenza? Perché purtroppo l’amore è una parola generica. Mentre il latino e il greco avevano più parole per indicare i vari tipi di amore, la parola moderna “amore” è troppo ampia, spazia dall’amore spirituale a quello passionale, a quello carnale, a quello mercenario.

La novità della nonviolenza rispetto all’amore sta nel fatto che questa parola dà un criterio universale per capire come ci si deve muovere: bisogna evitare la violenza sugli altri, nei fatti e nelle intenzioni. Questo è un criterio preciso per capire se si ama veramente un altro e soprattutto per capire come comportarci quando l’altro non corrisponde al nostro amore. Perché tutti, proprio tutti, vogliono amare; ma se l’altro non capisce? Se l’altro è testardo? Se l’altro è rabbioso, anzi, mi odia e mi aggredisce violentemente? Come amare in questi casi? Il problema quindi nasce non tanto con se stessi, ma nel rapporto con l’altro.

Tradizionalmente la cristianità è rimasta bloccata su questo punto. In proposito, la nostra tradizione cristiana ha un insegnamento preciso, quello dello schiaffo sulla guancia. Ma esso è rimasto inspiegato. Anzi, l’idea che il cristiano prenderebbe passivamente una serie di schiaffi, a destra e a sinistra, ci ha fatto passare per i cretini della storia.

Eppure quel passo del Vangelo non aveva nemmeno bisogno di essere interpretato; perché Gesù stesso ha mostrato che cosa significa: l’ha attuato durante la sua passione, verso persone che lo stavano schiacciando. Ricorderete che durante l’interrogatorio di Anna (Gv 18, 22-23) un militare si sente in dovere di punire Gesù, perché secondo lui non è stato abbastanza umile davanti al potere costituito; e gli dà uno schiaffo, sicuramente un pesante manrovescio. Gesù non porge materialmente l’altra guancia, ma parla direttamente al soldato: “Se ho sbagliato, dimostramelo; se no, perché mi hai schiaffeggiato?” Cioè gli parla per toccarlo nella coscienza. E, di fatto il militare resta paralizzato. La guancia di Gesù certamente bruciava, ma il soldato, che non ha saputo né rispondere né reagire, ha ricevuto una lezione spirituale che lo invitava a pensare. Ciò significa che il “porgere l’altra guancia” invita prima di tutto a non vendicarsi e poi a fare qualcosa che, per alzare il livello della interazione, colpisca la coscienza dell’altro; questo qualcosa può essere anche il gesto inaspettato dall’aggressore di porgergli l’altra guancia; più intelligentemente, è qualcosa che è adatto a quella circostanza e a quell’aggressore specifico. Allora è chiaro che questo è l’amore cristiano verso chi ci tratta male, l’amore cristiano è proprio il rispondere con la nonviolenza.

Di passaggio notiamo che la nonviolenza non è affatto passività. Così la credono coloro che conoscono solo la legge del taglione (“Occhio per occhio,…”); siccome questi non vedono l’aggredito restituire la pariglia (e magari di più) all’aggressore, lo credono paralizzato. Invece nei conflitti la nonviolenza propone soprattutto di non continuare la catena (potenzialmente infinita) delle violenze reciproche; la quale sarebbe una condanna reciproca a farsi del male crescente. Inoltre propone la ricerca di un metodo adatto a quel conflitto, in modo da risolverlo solo se si vince tutti e due. Questo metodo non è affatto dato a priori, né è l’applicazione di una serie di regole da eseguire meccanicamente (quelle che cerca chi compra il libro “Come scrivere una lettera d’amore alla propria fidanzata”). Perciò richiede tempo opportuno, riflessione e azioni mirate alla coscienza dell’altro; quindi soprattutto uno sguardo spirituale, nonostante il venire strapazzato dal conflitto.

Questo è il sacrificio dell’amore cristiano; per compierlo, occorre far forza su se stessi e poi offrirlo prima di tutto a Dio e poi al fratello avversario. Guidati da questa idea, allora si scopre che nel Vangelo Gesù in realtà intende sempre un particolare tipo di amore: il “sacrificio d’amore”, o “amore sacrificale”; senza questa modalità del sacrificio, necessario per rendere spirituale l’interazione, l’amore rischia di restare un sentimento vago che svanisce alla prima occasione di incontro.

Quindi la nonviolenza di Gandhi non era nulla di nuovo: prima di lui Gesù l’aveva insegnata e praticata. Ma il fatto che Gandhi abbia valorizzato la nonviolenza e applicata sistematicamente nei rapporti personali anche con i nemici inglesi, ci ha fatto capire che c’è una maniera operativa per amare cristianamente i nemici: 1° non fare loro violenza; 2° offrire un sacrificio per la soluzione del conflitto; 3° instaurare un dialogo creativo. Questa è la prima lezione dell’indù Gandhi ai cristiani.

La nonviolenza è una parola che innanzitutto indica che non si dovrebbe fare violenza alle altre persone in maniera materiale (schiaffo, aggressione, insulto). Questa violenza è quella personale. Molti discorsi sulla nonviolenza si fermano dentro questo ambito (e spesso scadono a un livello ancora inferiore: essere nonviolenti significa avere un atteggiamento liscio, semplice, facile, persuasivo, comprensivo, benevolente verso tutte le altre persone; per cui si pensa che chi non è sempre tutte queste cose non è nonviolento).Tutti gli insegnamenti tradizionali, quelli spirituali ma anche quelli psicologici e filosofici, indirizzano la nostra attenzione ai rapporti con le persone.

Questo aspetto personale della nonviolenza è sicuramente basilare. Ma bisogna stare attenti, perché può anche funzionare da trappola; nel senso che gli speculatori edilizi, i capitalisti, i dittatori, i persuasori occulti possono essere delle bravissime persone nei rapporti umani, ma non per questo essere persone che meritano il titolo di nonviolenti.

Infatti c’è da tenere conto di altri due tipi di violenza. Intanto esiste anche una violenza culturale. Ad esempio lo è quella della pubblicità, che ci condiziona al punto che spesso eseguiamo le sue indicazioni come burattini. Oppure lo è quella di essere informati o addirittura educati a senso unico; per cui restiamo confinati in un mondo culturale separato dalla realtà;1 oppure quella di non ammettere culture diverse, spiritualità diverse, religioni diverse. La nonviolenza deve essere attenta a questa violenza, sapendole rispondere, magari anche gridando e suscitando scandalo. Quanti profeti lo hanno fatto.

Infine c’è una terza violenza, quella strutturale, che una persona compie col ruolo istituzionale che ricopre; per cui gli si deve mettere in conto anche ciò che fa strutturalmente.2 Uno speculatore finanziario può essere gentilissimo nei rapporti umani, ma la maniera con cui si guadagna la vita dipende da una struttura che grida vendetta davanti allo Spirito Santo. Se si vive sotto una dittatura in cui si viaggia sempre in orario (Mussolini faceva funzionare i treni), non per questo fatto quella dittatura è nonviolenta. Anzi, quando è sotto una dittatura il nonviolento è colui che crea problemi e non colui che li evita o cerca di mandare avanti la situazione nel modo più liscio per lui e per chi vuole comandare. Quindi, l’aspetto strutturale può far cambiare radicalmente il giudizio sulle persone a seconda del ruolo che ricopre.

Con questa attenzione alla nonviolenza strutturale si capisce che l’impegno contro le violenze non può limitarsi a quelle che si vedono materialmente, ma deve essere rivolto anche agli aspetti che non si vedono con gli occhi e che purtuttavia possono essere molto più importanti.

Questo è il compito formidabile dei nonviolenti: in una situazione di ingiustizia sociale creare nuova coscienza. Ad esempio Don Milani è stato esemplare quando ha creato nuova coscienza sia sulla obiezione di coscienza, sia sulla scuola emarginante.3

Allora poniamoci quella domanda che è cruciale per avere piena coscienza del Cristianesimo: che cosa è venuto a fare il Figlio di Dio, sulla Terra? Ha Lui avuto attenzione per la violenza strutturale, cioè per le strutture negative del mondo?

Ci risponde Gesù stesso nel Vangelo: “Non sono venuto per abolire la Legge, ma per portarla a compimento” (Mt 5, 17). La frase di Gesù dichiara sia la sua missione sia la novità storica del Cristianesimo. Però la frase è tutta da capire.

Intanto la Legge non è quella di Mosé, composta per lo più da prescrizioni, ma è la Legge che aveva dato Dio Padre ad Abramo. Poi dobbiamo dare un senso preciso alla parola “compimento”; allora dobbiamo spiegare perché, prima di Gesù, l’insegnamento della Legge (o meglio: Decalogo, cioè Dieci Parole) non era soddisfacente. Non certo per come era stata concepita dal Padre. Se riflettiamo sulla sua storia, allora capiamo che quell’insegnamento aveva perso di vigore perché gli uomini avevano travisato sistematicamente una “Parola” del Padreterno, quella che dice: “Non uccidere”. Essa valeva a metà, fino a che si trattava di rapporti personali; ma se i rapporti erano collettivi (difesa del gruppo di appartenenza, ad esempio), allora valeva l’esatto contrario: diventava grande merito l’aver ucciso a più non posso i cosiddetti nemici.

Che sia così lo conferma Gesù stesso, che fa capire bene quale è, secondo lui, il “compimento” di questa parola del Padreterno; lo dice in maniera molto chiara e diretta; ma, per non spaventarci con un dovere imperioso e assolutista (“Non uccidere assolutamente mai”), lo dice in positivo e fraternamente: “Amate i vostri nemici” (Mt 5, 43; Lc 6, 27 e 35); e aggiunge che è qui che si diventa “perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 45). In sintesi, Gesù ha invitato gli uomini a crescere a quella pienezza di vita che porta ad applicare la 5° Parola, “Non uccidere”, anche ai nemici, perfino se questi ci stanno uccidendo4. Quindi questo insegnamento porta a superare le guerre, il flagello più tremendo che l’umanità costruisca contro se stessa; e, dopo questa violenza diretta, a superare tutte le altre violenze strutturali, radicate nelle istituziooni sociali.

Per far capire bene il punto, il lungo brano che segue le Beatitudini indica tutta una serie di situazioni sociali concrete nelle quali Gesù invita ad amare i propri nemici; cioè generalizza il “Non uccidere” alle situazioni conflittuali anche minime, che però sono quelle che incominciano quella catena di violenze che non si sa quando e come possano finire. Questi insegnamenti indicano con precisione quell’invito che ci ha fatto; “Chi mi vuole seguire, prenda la sua croce e mi segua” nel risolvere i conflitti che si incontrano amando i propri nemici. La preghiera della Pace di San Francesco esprime questa logica (specie se l’ordine delle tre parti viene ribaltato, scambiando la terza con la prima).

In più, Gesù ne ha dato l’esempio. Lo ha fatto nei rapporti personali (per esempio anche verso colui che ha voluto farlo uccidere, Giuda; ma anche verso quelli che lo hanno arrestato e condannato pubblicamente). Ma soprattutto lo ha fatto verso proprio tutti gli uomini che, per la loro superbia, si costruiscono superbe torri di Babele, da nemici di Dio e quindi anche nemici di Gesù; è questo il peccato originale-strutturale. In generale, il Padreterno col Decalogo aveva indicato le direzioni personali che non generano debiti con Lui; ma non aveva indicato come evitare il debito più grande, quello del peccato originale o strutturale, quello che offende non solo e non tanto il Padre, ma lo Spirito Santo; se non altro, il debito di fraintendere la fratellanza umana nel caso dei conflitti con nemici e, assieme a ciò, di fraintendere il senso del Decalogo (dove è scritto “Non uccidere” sempre, non solo quando non fa troppo problema). Allora capiamo che per insegnarci quella che può ben sembrare un’enormità (voler amare i nemici e, più in generale, voler affrontare il peccato strutturale collettivo dell’umanità), c’era proprio bisogno che venisse lo stesso Figlio di Dio a dimostrarci che ciò è possibile, incarnandosi in uno di noi e dandone l’esempio con la sua vita e la sua morte. Di fatto, egli si è sacrificato sulla croce per insegnare ai suoi nemici come uscire dalla loro inimicizia5.

Allora la Croce non è uno strumento da fachiro, con la quale Dio dimostra di saper soffrire più di qualsiasi altro uomo, ma è l’espressione della sua capacità di amare anche quelli che, in gruppo e dall’alto delle istituzioni più potenti, il Sinedrio e l’impero romano, lo assaltano, lo arrestano, lo processano, lo condannano, lo flagellano e lo mettono a morte.

La croce, che giustamente noi cristiani abbiamo sempre esposto come il simbolo del cristianesimo, significa, se guardiamo la vita e la missione di Gesù, che egli si è accollato il peso del più grande conflitto, per cercare di risolverlo senza violentare l’altro, ma persuadendolo con la forza sia dell’esempio positivo, sia della fratellanza. Quindi con la sua vita, morte e risurrezione Gesù ha insegnato all’umanità una precisa crescita educativa rispetto ai mali strutturali (per prima, la guerra): passare dal “Non uccidere“ solo nei rapporti personali al voler risolvere positivamente i conflitti anche con i nemici. Ciò ha indicato il significato superiore di quella Parola. E giustamente ci voleva lo stesso Figlio di Dio a insegnarci una verità tanto sconvolgente la vita tradizionale dell’umanità.

Il suo atto di amore per i suoi nemici è stato esemplare secondo l’amore cristiano e secondo la nonviolenza; tanto che lo Spirito ha annullato la sua apparente sconfitta e la sua stessa morte facendolo resuscitare. Perciò oggi sappiamo che la sua resurrezione è per noi garanzia del Padreterno che chi lo seguirà vincerà, o qui sulla terra o in cielo. Quindi l’amore cristiano o nonviolenza non è un atto di buona volontà che il cristiano compie quando può e quando vuole; ma è costitutivi della fede cristiana. All’inverso, noi siamo cristiani quando pratichiamo l’amore cristiano o nonviolenza.

Quindi già Gesù nel Vangelo ci aveva spiegato e dimostrato la nonviolenza. S. Francesco ha attuato i suoi insegnamenti in maniera meravigliosa. Ma la cristianità non li ha compresi: li ha pensati come persone estreme, santi superiori. Infatti noi cristiani abbiamo pensato che l’insegnamento di Gesù era troppo spinto: in guerra bisogna comunque uccidere e nella politica sempre bisogna mettere la morale sotto i piedi (Machiavelli).

Nella storia c’è stata una nuova maniera di travisare l’insegnamento divino, in questo caso “la nuova legge di Gesù; quella di intendere l’amore in una maniera evanescente. Perché vale il paragone: mentre gli antichi ebrei, che intendevano la 5° Parola come un comando da obbedire, ci hanno fatto la tara, riducendo quella Parola ai soli conflitti personali; i moderni cristiani occidentali, essendo “troppo intelligenti”, hanno tradotto l’amore dei nemici nella sola parola “amore”, pensata in un senso generalissimo, astratto, realizzato al più da un sentimento; e così si sono esentati da impegni personali concreti. O anche: mentre gli antichi si sono comportati come i servi, che, se ricevono comandi pesanti, fanno finta di non sentire; i moderni si sono comportati come i saccenti, che, se invitati a impegnare la loro vita, se la cavano dichiarando di avere già capito tutto, come se il loro lavoro fosse stato quello di solamente immaginare la novità.

Ma il fatto che Gandhi abbia applicato la nonviolenza anche alle situazioni sociali più incancrenite (colonizzazione) e che, guidato da questo insegnamento, abbia saputo affrontare tutte le strutture sociali del suo tempo (dalle caste allo sfruttamento in fabbrica, dall’economia alla educazione scolastica), cioè abbia fatto diventare la nonviolenza un programma efficace per tutte le situazioni sociali, riuscendo anche a vincere in alcune lotte sociali importanti, ha riportato a galla le parti più profonde della nostra fede cristiana e ci ha interrogati su quanto siamo stati inefficaci nell’applicare il Vangelo in profondità, in particolare alle situazioni negative strutturali. Questa è la seconda lezione di Gandhi ai cristiani.

Ma da qualche anno il preconcetto che i cristiani non abbiano nulla da imparare da un indù come Gandhi, è stato infranto anche dal papa Benedetto XVI, che ha dichiarato la novità (non teorica, ma nella pratica) della nonviolenza:

Giustamente questa pagina evangelica [delle Beatitudini] viene considerata la magna charta della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del “porgere l’altra guancia” (cfr. Lc 6, 29) – ma nel rispondere al male con il bene (cfr. Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia. Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”, una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico. La rivoluzione dell’amore, un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa. Ecco la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei “piccoli”, che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita.6

Cinquant’anni prima di lui, Lanza del Vasto aveva scritto questi stessi concetti: le Beatitudini sono la “Carta della nonviolenza occidentale”;7 e, d’altra parte, la nonviolenza è la sintesi delle Beatitudini.

 

Ma ecco la seconda delle tre domande: in una società come quella occidentale come si può fare politica con la nonviolenza?

Il problema è sicuramente difficile, perché il mondo occidentale da secoli (se non da millenni con l’impero romano) ha esercitato un dominio (violento) sul mondo circostante; e ha anche teorizzato la politica senza etica e senza principi religiosi (vedi il machiavellismo). Queste caratteristiche sono all’opposto della nonviolenza. Dagli uomini politici viene l’accusa più radicale alla nonviolenza, quella di essere solo una utopia; se la si volesse seguire, si dovrebbe cambiare non solo il mondo sociale, ma addirittura il mondo politico, il settore sociale occidentale più combattuto e più consolidato nella organizzazione sociale.

L’accusa ha un forte sostegno anche dal fatto che la Chiesa, sulla politica, non ci offre una luce spirituale che ci indirizzi diversamente. Sappiamo che la Chiesa cristiana è umana e divina; e nel corso dei secoli ha preso direzioni che poi sono state criticate da concili e da papi. Per esempio, una autocritica dei Padri dell’ultimo Concilio è stata quella della “costantinizzazione” della Chiesa. Nel 312, una notte Costantino sognò che il giorno dopo avrebbe vinto la battaglia mettendo per insegna la croce di quella religione che lui stava perseguitando. Mise la croce e vinse la battaglia. Da allora stabilì una alleanza con la nuova religione. Si può dire che da allora finì la Chiesa dei martiri e delle testimonianze personali perché iniziò la Chiesa delle trattative e degli scambi con il potere costituito; questa interazione solo ai vertici arrivò addirittura alla lotta per le investiture (sec. XIII), cioè su quale fosse il potere sociale superiore, se quello della Chiesa o quello dell’imperatore. Ancor peggio con la nascita del protestantesimo, lo si vide come nemico da combattere con la spada; e furono guerre quasi infinite (dei 30 anni, dei 100 anni). Per sanare le lotte fratricide tra cristiani, nel 1642 la pace degli Stati a Westfalia chiuse le Chiese nel privato e le legò alla legislazione laicale dello Stato. Da allora i cristiani non si sono più ripresi il fare politica soprattutto e solo con i movimenti dal basso; anche nell’ultimo secolo i concordati e i partiti parlamentari (Democrazie cristiane) hanno gestito dall’alto le testimonianze politiche dei cristiani. Purtroppo nello stesso periodo siamo passati attraverso tragedie colossali senza riuscire a reagire da veri seguaci di Cristo: dittature feroci (fascista, nazista, franchista, salazariana, per ricordare solo quelle europee), due guerre mondiali (da 75 milioni di morti), due bombe nucleari usate per esperimento sulla popolazione gialla, considerata inferiore.

Nonostante ciò, anche nella sola Italia ci sono sempre state testimonianze personali (Manzoni, Toniolo, don Sturzo, La Pira); ma sono rimaste isolate, perché le istituzioni politiche cosiddette “cristiane” erano troppo invadenti. Ma allora come può una testimonianza cristiana personale recuperare la politica in gruppo nella società? Occorreva una occasione storica in cui quella testimonianza si presentasse direttamente al pubblico e alle istituzioni.

Ecco allora che nel dopoguerra in Italia è incominciata la obiezione di coscienza al servizio militare. Purtroppo in quel tempo la Chiesa insegnava che il problema della guerra e della pace era troppo grande perché un semplice fedele fosse capace di deciderlo. Ma non così pensò, in nome del Vangelo, Franz Jagerstatter, che, per aver obiettato alle SS, fu decapitato; ma che ora è beato e probabilmente diverrà santo tra poco. Non così pensò nel 1960 Giuseppe Gozzini, il primo obiettore cattolico italiano, il cui processo suggerì a P. Balducci di dare una giustificazione a quell’atto, ma venne condannato anche lui dal tribunale. Non così pensò Fabrizio Fabbrini, che da sottufficiale obiettò a dieci giorni dalla fine della leva (e che in carcere non poté ricevere la comunione solo perché era obiettore). Nel 1965 il Concilio Vaticano II, che pure condannò “con estremo rigore” “i metodi sistematici di sterminio” chiese agli Stati solo di “provvedere umanamente” agli obiettori coscienza (“Gaudium et Spes”, n. 79).

Ma queste testimonianze crebbero e nel 1972 ottennero una legge che istitutiva un servizio civile sostitutivo. Allora la politica della testimonianza nel Servizio civile, senza ricevere aiuti dallo Stato, ha realizzato autonomamente una serie di esperienze esemplari tra la gente (nei quartieri popolari, nelle fabbriche, nella sanità, per le energie alternative). Poi ha attirato l’attenzione della Caritas italiana; che nel 1980 decise di accettare gli obiettori di coscienza in servizio civile. Questa scelta di Mons. Nervo e di Mons. Pasini fu, secondo me, illuminata dallo Spirito Santo. Non solo e non tanto perché da allora gli obiettori ebbero una grande Associazione, estesa su tutto il territorio nazionale, che promuoveva un servizio civile serio e indirizzato alla istituzione di una difesa alternativa. Ma soprattutto perché di fatto fece diventare normale la obiezione di coscienza nella vita della Chiesa cattolica (che poi la scoprì anche nella forma della obiezione all’aborto); da allora nella Chiesa di fatto si è passati dalla tradizionale obbedienza assoluta alla obbedienza responsabile e fattiva. E ancora perché questa novità ha generato una rivoluzione nelle curie. Quelli che prima erano luoghi chiusi in cui il nero e la gerarchia dominavano (lo so bene io che in gioventù ero nel palazzo della Curia della mia città come rappresentante dell’Azione cattolica), poi è diventato un luogo aperto di programmazione pastorale delle attività sociali, specie quelle dei servizi civili degli obiettori sparsi nelle parrocchie, con preti e suore che cooperavano secondo una nuova maniera di vivere la comunità diocesana. Secondo me questa è stata una vera e propria rivoluzione burocratica e spirituale all’interno della Chiesa, sempre promossa dal basso.

Grazie all’aumento del numero degli obiettori (80.000 nel 1998), ma soprattutto alla serietà dell’impegno degli obiettori Caritas (oltre a quello degli obiettori dei gruppi nonviolenti) e grazie infine a una Campagna nazionale che ha proseguito l’obiezione fino alla obiezione fiscale alle spese militari (fino a 10.000 aderenti nel 1991) il servizio civile è stato riformato (legge 230/1998), diventando una istituzione nazionale caricata di una finalità pubblica straordinaria: iniziare una “difesa civile non armata e nonviolenta”, perché la Corte Costituzionale, con una decina di sentenze, aveva deciso, sulla base dell’art. 11 della nostra Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…”), che la difesa non armata è equivalente alla difesa armata e che il Servizio civile degli obiettori ne è la prima istituzione. Nel 2004 è stato istituito anche un Comitato ministeriale per suggerire proposte su come attuare questa difesa.

Queste novità giuridiche sono state le prime nel mondo, pari solo alle novità della Agenda per la Pace dell’ONU del 1992 (peacekeeping civile come quello militare). Queste novità sono state conquistate senza che nessun partito le abbia dichiarate proprie; solo i tanti deputati concordi giungevano a formare le maggioranze dei due terzi del Parlamento che hanno approvato quella legge. E’ straordinario che un movimento dal basso, nato cinquant’anni prima da qualche singolo che andava in prigione, del tutto isolato dalla società civile, poi, senza l’appoggio di nessuna istituzione, in quattro decenni è cresciuto fino a ottenere una legge di importanza mondiale. E’ anche il segno che la democrazia in Italia, almeno in quel caso e in quel periodo ha funzionato, perché attraverso gli obiettori il popolo si è fatto sentire sul Parlamento e il Parlamento ha riconosciuto la validità della proposta politica. E’ anche un segno che la Chiesa (in questo caso la Caritas) può fare politica correttamente, dal basso. In totale, è stata una piccola rivoluzione politica.

Certo, in questi ultimi anni la situazione si è quasi ribaltata. I militari, pur di eliminare gli obiettori, hanno sospeso la leva obbligatoria, nonostante ciò vada contro la Costituzione. La Caritas è stata messa da parte dalle altre Associazioni di Servizio civile, le quali oggi lo vedono come occasione di crescita delle Associazioni stesse (inquinate dal no-profit). In silenzio (con un decreto ignorato dalla stampa), il governo ha abolito la legge sulla obiezione di coscienza. Con la loro propaganda per la “pace armata”, i militari soffocano ogni pensiero alternativo sul tipo di difesa della pace; e i cappellani militari (che sono incardinati nelle FF.AA. come ufficiali) formano una loro diocesi indipendente e hanno un loro seminario. Così la guerra è tornata a essere giustificata, in Italia come anche a livello mondiale (vedi la guerra in Libia 2011; che pure fu condannata dal Vescovo Martinelli di Tripoli e dal Vescovo Giudici di Pavia, presidente di Pax Christi)

Ma non c’è da scoraggiarsi. Leggete la Bibbia. Anche il popolo di Dio subiva gli alti e bassi della storia; alle volte in modo rovinoso, fino a essere fatto schiavo da altri popoli. Ma questo popolo, per la sua fedeltà a Dio, aveva la garanzia che al momento opportuno Dio stendeva il suo braccio per fare giustizia e nuova storia. Questi sono i momenti per cui vale la pena di vivere, anzi i momenti in cui la vita è esaltante; perché la si vive nella grazia di Dio per noi e per i nostri fratelli.

Siamo arrivati all’ultima domanda. Ammesso che si possa fare politica nonviolenta, ma possono mai esistere rivoluzioni nonviolente? Se leggete la Bibbia, che pure è piena di guerre e di stragi (anche barbare), essa testimonia che le rivoluzioni nonviolente esistono. Solo che bisogna saperle fare assieme al Padreterno. Basti ricordare la caduta di Gerico per aver mostrato l’Arca; o, ancora di più, il passaggio a piedi del mar Rosso quando gli ebrei erano inseguiti dal Faraone in armi.

Questo però, si può obiettare, riguarda migliaia di anni fa. Ma nel XX secolo, che passa come il secolo più sanguinoso della storia umana? C’è chi ha visto questa novità già dall’inizio del secolo scorso. Nel 1924 il premio Nobel per la letteratura Romain Rolland, introducendo la prima antologia di scritti di Gandhi, terminava scrivendo:

Storico di mestiere, abituato a veder passare il flusso e il riflusso delle grandi maree dello Spirito, io descrivo questa marea che si alza dal fondo dell’Oriente. Essa non terminerà che dopo aver ricoperto le rive dell’Europa.

Un visionario, entusiasta di Gandhi? Non si può dire così, perché certamente dopo quasi cento anni Gandhi è diventato noto in tutto il mondo e gode della più alta autorità morale su tutti i grandi personaggi del secolo scorso.

Ma c’è di più. Trenta anni dopo Rolland, nel 1959, Lanza del Vasto ha scritto su Gandhi:

Nella Storia mai, gli disse uno dei suoi interlocutori intorno al 1934, un popolo si è liberato dai suoi oppressori senza prendere le armi. – Ebbene, Gandhi rispose con semplicità, noi scriveremo una nuova Storia.

Dodici anni dopo era scritta e fatta. … tre miracoli storici sono tutta la sua storia:

Una liberazione senza effusione di sangue

Una rivoluzione sociale senza rivolta

Il bloccare una guerra.8

36. Scoperta della nonviolenza

Quando parliamo di nonviolenza come di una scoperta di questo secolo, conviene precisare che non si tratta della rivelazione di un nuovo valore spirituale o di una rivelazione religiosa, ma dell’ingresso, nella storia dei popoli, di una forza rivoluzionaria e innovatrice…

E’ la scoperta che in questo secolo [il XX] si incomincia a fare, costretti, come si è, a cercare uno sbocco al vicolo cieco in cui ci si è cacciati. 9

Oggi, se guardiamo la vecchia Europa troviamo poco di tutto ciò. Ma se guardiamo l’Europa dell’Est, allora vediamo che nel 1989 ci sono state rivoluzioni in tutti i Paesi (URSS compresa) ed esse sono state quasi tutte nonviolente! Le azioni nonviolente dei popoli dell’Est hanno abbattuto i loro regimi dittatoriali e con ciò hanno cancellato lo scontro Est/Ovest, ma, soprattutto, hanno annullato quell’asservimento di tutti i popoli del mondo che nel 1945 a Yalta fu deciso da quattro persone solamente.

Si può ben dire che nella politica mondiale il 1989 è stato l’anno della nonviolenza. Così l’ha indicato anche la enciclica “Centesimus annus”, celebrativa dei cento anni di dottrina cristiana; al n. 23 dice che la forza che ha rovesciato i regimi dittatoriali dell’Est è stata la nonviolenza.

Sembrava che l’ordine europeo uscito dalla seconda guerra mondiale e consacrato dagli accordi di Yalta, potesse essere scosso soltanto da un’altra guerra [diventata nucleare!]. E’ stato invece superato dall’impegno nonviolento di uomini che, mentre si sono sempre rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità.

Ricordiamoci queste parole sacrosante, perché tuttora, dopo venti e più anni, la propaganda dei poteri politici dominanti vuole cancellare ciò dalla mente della gente facendo ripetere la frase da frastornati: “Il crollo del muro di Berlino”. Notate che in questa frase non c’è il quadro mondiale, né gli attori, né le motivazioni, né le cause; insomma evita volutamente ogni spiegazione. E’ per questo motivo (la incoscienza che ci viene suggerita dai mass media) che non ci accorgiamo della realtà dell’Europa, che negli ultimi decenni è cambiata profondamente.

Ma questo cambiamento sociale radicale è avvenuto anche in tutto il mondo. Infatti uno studio ha elencato tutte le rivoluzioni avvenute tra il 1975 e il 2002.10 I suoi risultati sono stati verificati da un gruppo di autorità accademiche indipendenti e oggi costituiscono un importante punto di riferimento per gli studi politici.

1) In quel periodo storico sono state 67 rivoluzioni. E questo è già un dato sorprendente, tenendo conto che gli Stati del mondo sono meno di 200: un terzo dei Paesi del mondo, ben di più dei soli Paesi dell’Est, ha avuto una rivoluzione.

Lo studio è riuscito a distinguere le rivoluzioni violente e quelle nonviolente. Essendo ogni rivoluzione un fenomeno di masse anche disomogenee, lungo anche degli anni, soggetto ad alti e bassi, allora la distinzione violenta/nonviolenta è delicata, potrebbe essere messa in discussione; ma i risultati che vedremo sono talmente divaricati, che qualsiasi variazione nella definizione non cambierebbe la loro sostanza. Che è la seguente.

2) Le rivoluzioni violente sono state solo 20, mentre quelle nonviolente sono state 47 (più del doppio)!

3) Dopo le rivoluzioni violente, 4 Paesi erano liberi, 12 erano parzialmente liberi e 4 sono rimasti non liberi. Invece dopo quelle nonviolente, 31 Paesi erano liberi, 11 parzialmente liberi e 5 sono rimasti non liberi. Quindi le rivoluzioni violente sono state pienamente vittoriose al 23%, mentre invece quelle nonviolente al 60% (una percentuale più che doppia)!

4) Il risultato precedente è rafforzato dalla considerazione che nei 18 Paesi dove le forze rivoluzionarie erano fortemente motivate alla nonviolenza, le rivoluzioni sono state tutte pienamente vittoriose (salvo una, che comunque è riuscita a rendere il paese parzialmente libero).

Credo che, come è avvenuto a me, ci sia da restare sbalorditi. Sembra di non poter credere a questi numeri. Di fronte a questi risultati che sconvolgono il nostro concetto di rivoluzione, è comprensibile che la nostra mente vada in cerca di qualche spiegazione che ribalti i risultati per riportarci alle tradizionali idee di un cinico ’ordine costituito’. Invece nel 2008 è uscito un altro studio, ancora più completo e più dettagliato del precedente.11 Esso è stato ottenuto costruendo un data-base di tutte le rivoluzioni avvenute nel secolo scorso (più precisamente dal 1900 al 2006).

1) Il numero delle rivoluzioni è risultato 323; ancora una volta questo totale suscita meraviglia: significa la media di un po’ meno di due rivoluzioni per ogni Paese (ovviamente qualche Paese, come l’Italia, non ne ha avute e qualche altro Paese invece ne ha avute tre o quattro). Ciò non appare proprio dalla nostra visione della storia dei Paesi dell’Europa, i quali invece nel secolo scorso erano impegnati in due catastrofiche guerre tra loro, diventate mondiali. Cioè: mentre i padroni del mondo si facevano guerra tra loro, la maggioranza dei popoli del mondo cercavano di liberarsi dai gioghi dittatoriali che erano stati loro imposti.

2) I risultati (di un’analisi statistica sofisticata) sono che sul centinaio di rivoluzioni nonviolente il 56% è stata vittoriosa. Le altre rivoluzioni violente sono state vittoriose al 26%.

3) Fattore cruciale per la vittoria delle prime è stata la frattura nelle forze di sicurezza dello Stato e, in secondo luogo, uno Stato estero che le sostiene.

Personalmente, ne ricavo queste conclusioni:

1.                         La politica mondiale è fatta soprattutto dai popoli, più che dagli Stati.

2.                         I popoli hanno ricondotto anche gli atti politici collettivi estremi, le rivoluzioni, da una progettualità catastrofica e schiacciante le minoranze, a esperienze etiche e costruttive (della democrazia).

3.                         La Chiesa (come in Polonia 1980-89) può fare politica, fino a fare delle rivoluzioni, ma agendo dal basso e nonviolentemente (Per spiegare il successo della propria rivoluzione Solidarnosc ha detto: “Abbiamo preso Dio per un braccio”). Allora sarà socialmente profetica, così come fu quando, sotto l’impero romano, praticò la fratellanza anche con gli schiavi, portandoli alla liberazione collettiva.

 

Quale profezia politica oggi in Europa, in particolare in Italia?

Riprendiamo il filo progettuale della migliore esperienza politica, anche cristiana, avvenuta in Italia con gli obiettori di coscienza in servizio civile. La loro progettualità era un sistema di difesa non solo armato, cioè una prima istituzione di difesa alternativa; e la legge l’ha permessa.

Ma perché, quale è il sistema di difesa nazionale? Sul nostro territorio ci sono cinque basi USA, provviste di bombe nucleari; il loro uso è regolato da un accordo che prevede “la doppia chiave”; cioè un bombardamento nucleare (contro civili indiscrirminatamente!) viene deciso anche dall’Italia. La quale fa parte integrante della NATO, patto militare Europa-USA che dal 1999 è cambiato, da solo difensivo ad anche aggressivo; e che dal 2001 ha la strategia di un “primo colpo nucleare” contro qualsiasi “entità politica” (quindi non solo altri Stati nucleari, ma qualsiasi Stato e magari anche gruppi politici; per esempio i palestinesi; 80 vescovi USA protestarono pubblicamente contro questa nuova strategia).

Ci si dice che la difesa nazionale è così perché il mondo moderno vuole una difesa tecnologicamente avanzata. Ma è vero? Guardiamo semplicemente gli Stati confinanti con il nostro.

Certo è così quella della Francia, che a primo colpo ha il coraggio (morale?) di fare 60 milioni di morti contro qualsiasi Paese nemico, Italia eventualmente compresa (dichiarazione del ministro della difesa francese degli anni 1970). Ma ora vediamo che non è vero che l’unica difesa nazionale di un Paese avanzato è quella nucleare; infatti la avanzatissima Svizzera ha una difesa solo difensiva (grande mobilitazione popolare difensiva e rifugi antiatomici); l’Austria è neutrale e si dà un esercito con armi non nucleari di sola difesa. Anche un Paese moderno può sicuramente scegliere una difesa non nucleare; addirittura la ex-Jugoslavia, per contrastare un eventuale attacco nucleare da parte dell’URSS, si era data una difesa di tipo partigiano (Difesa territoriale totale).

E’ su questa constatazione che si basa il Movimento per la Pace: esso non crede nel progresso delle armi nucleari per risolvere i conflitti internazionali; ma ne cerca soluzioni a livelli di armamento il più basso possibile, compreso il livello senza armi e nonviolento. Infatti la tradizione teorica dei maestri della nonviolenza e la tradizione storica di tante azioni nonviolente anche di massa propongono per la vita sociale, invece della scelta dello sviluppo dominante in Occidente, quello che ha avuto per asse portante un accumulo infinito di armamenti, la scelta dello sviluppo della solidarietà con le persone (e con la natura). Quindi, non solo gli obiettori di coscienza, ma anche i Paesi confinanti con noi propongono con forza una opzione sul tipo di sviluppo della difesa della pace.

Questa opzione di fatto coincide con la opzione sul tipo di sviluppo per la energia (grosso modo: il solare contro il nucleare), della economia (microeconomia invece della economia industriale e finanziaria), nella medicina (quella naturale invece di quella biochimica), nella agricoltura (quella biologica invece di quella biochimica industrializzata), nei trasporti (bici e treno invece di auto e aerei).

Inoltre la tradizione nonviolenta e in generale del Movimento per la Pace compartecipa la scelta tipica del Movimento operaio, la scelta della giustizia sociale; e quindi l’autogestione di una organizzazione rivolta a risolvere in maniera operativa il problema delle disuguaglianze sociali: invece della organizzazione verticale (così come è l’organizzazione capitalista), che è quella che sorge inevitabilmente quando si lascia ai più abili la libertà sociale di ottenere sempre più potere sociale.

In definitiva, la teoria e la prassi sociale nonviolenta aggiungono la opzione sul tipo di sviluppo (o l’incremento assolutistico delle armi, OA, oppure quello della solidarietà tra le persone, IP) alla opzione tipica del Movimento operaio sul tipo di organizzazione (o autoritaria, OA, o rivolta a risolvere un problema centrale, OP). Quindi propongono due opzioni fondamentali.12

 

Difesa militare distruttiva (IA)

ROSSO BLU

URSS USA

Cina I UK F Isr

India e Pak

ex-Ju

Popolare (OP) Autoritaria (OA) Pacifisti

Svi Islam

Odc Giappone

Popoli poveri Nonv. occ. .

Nonv. gandhiani

VERDE GIALLO

Difesa nonviolenta (IP)

Distribuzione dei principali Paesi, popolazioni e movimenti rispetto ai quattro modelli di difesa

Legenda: Isr = Israele; GB = Gran Bretagna; F = Francia; Pak = Pakistan; ex-Ju = ex-Jugoslavia; Svi = Svizzera; Odc = Obiettori di coscienza; Nonv. occ. = Nonviolenti occidentali; Nonv. gandhiani = Nonviolenti gandhiani.

E siccome ogni opzione è indipendente dall’altra e altrettanto radicale, e siccome per ogni opzione abbiamo due scelte in alternativa,le coppie di scelte possibili sono quattro. Ogni coppia di sceltesulle due opzioni dà luogo a un concetto nuovo, di tipo globale (olistico): il modello di sviluppo (MDS). Questo è il concetto fondamentale della politica nonviolenta; ed è il concetto nuovo per la politica occidentale; perché indica subito che ci sono più tipi di progresso (come da qualche decennio anche altri movimenti, l’ecologia, la decrescita felice, ecc., suggeriscono); e che la vita politica deve essere innanzitutto pluralista, non la gestione autoritaria di chi ha vinto su tutti gli altri.

Ma come incominciare questo modello alternativo nelle istituzioni? A livello mondiale c’è già dal dopoguerra un minimo di pluralismo: l’organismo internazione dell’ONU è finalizzato a “scongiurare alle nuove generazioni il flagello della guerra”; cioè, in concreto, è finalizzato a una difesa della Pace in alternativa a quella unicamente militare degli Stati; quindi (ancor più con la Agenda per la Pace del 1992) a utilizzare forze anche non armate mentre quelle armate lo sono di mezzi distruttivi limitati, e mai per aggredire. Ma nel complesso oggi l’ONU è in una situazione ambigua, perché il suo organo decisionale, il Consiglio di sicurezza, non include rappresentanti del modello di sviluppo verde né gli Stati arabi; anche perciò è dominato USA, Inghilterra e Francia, come abbiamo visto nel decidere la guerra in Libia.

E per iniziare un nuovo modello di sviluppo nazionale, andando oltre la legge sulla difesa alternativa? E’ chiaro che fino a che l’Italia è vincolata a quel patto militare nucleare aggressivo, che prevede anche l’attacco nucleare a primo colpo, al suo interno è vincolata a una politica aggressiva, che per di più si copre con la propaganda delle cosiddette “missioni di pace” (vedi l’Afganistan o l’Iraq). In questi giorni si vede come le spese militari siano ad altissimi livelli (anche per comprare caccia bombardieri avanzatissimi (gli F-35 e anche quelli europei concorrenti, gli EFA), mentre la gente si suicida per disperazione sul proprio futuro.

Anche ammesso e non concesso, che occorra difendere la propria sopravvivenza (cristiana) con armi nucleari, di fatto non vedo alcun motivo cristiano per restare nella NATO; né oggi c’è più “l’impero del male” dell’URSS, né è problema mondiale il “terrorismo islamico”, che ormai è stato superato dalle rivoluzioni arabe del 2011. Io ritengo che oggi questa contraddizione è grande agli occhi dei popoli: noi cristiani siamo forse i difensori spirituali di una politica militare tradizionale, decaduta in un progetto di dominio mondiale con mezzi di distruzione apocalittici per l’uumanità?

Chiudo questa panoramica sulla nonviolenza con brevi considerazioni che sono d’obbligo qui a Reggio Calabria, uno dei luoghi che storicamente ha dato origine a una delle tante forme che nel mondo assume la mafia: la ‘ndrangheta. Come fare politica cristiana per risolvere questo problema decisivo nella vita sociale locale?

Purtroppo qualche anno fa il Procuratore Vigna affermava sconsolato che, dopo un decennio di lotta statale alla mafia si era ottenuto il risultato di avere in carcere un numero mai visto di mafiosi, ma con la mafia nazionale più forte di prima. Perché?

Una prima constatazione è che purtroppo non c’è accordo su che cosa è la mafia, nonostante i tanti libri scritti su di essa (per lo più descrittivi, o, addirittura, romanzati). Le poche definizioni che vengono date sono sempre complesse, perché le categorie politiche del passato non la riescono ad afferrare. Invece con la categoria della nonviolenza essa è chiara: La mafia è una risposta sbagliata ad un modello di sviluppo sbagliato.13

Infatti è il modello di sviluppo dominante che genera la mafia (qui in Calabria come in Cina – le triadi -, Giappone – yakuza-, ecc.); perché esalta la crescita solo materiale, che in economia si basa sull’egoismo personale a scopo di potere sulla società. La mafia non fa che seguire questa tendenza sociale, ma con i mezzi culturali e tradizionali che si ritrova un gruppo sociale che ha la tradizione opposta a quella di questo modello di sviluppo individualista, la tradizione di formare gruppo coeso e identitario, che vuole restare attaccato alle sue tradizioni.

E’ chiaro che questa definizione non può essere assunta da coloro che gestiscono questo modello di sviluppo e questo Stato, si dovrebbero autocriticare. Ma di fatto si comportano secondo questa definizione: per loro la mafia è un accusatore radicale, tanto che non si sa rispondere con un’altra ideologia economica; quindi è un nemico da combattere come in guerra, salvo che si usa la polizia invece dell’esercito.

Invece la risposta dello Stato dovrebbe essere innanzitutto sociale, tale cioè da togliere le cause della nascita della mafia. Quindi dovrebbe ammettere un pluralismo nella economia, che però non ci sarà mai finché non sarà eliminata la disoccupazione che addirittura impedisce la sopravvivenza stessa delle persone. E proprio la disoccupazione dà alla mafia il motivo fondamentale di giustificare tutti i mezzi che essa usa al fine di far sopravvivere le loro famiglie e il loro gruppo. In questo senso ristretto, io dico che la mafia ha ragione: uno Stato che non persegue la politica della piena occupazione non è degno di essere chiamato Stato; tanto più quello italiano che all’articolo 1 della Costituzione, il patto fondamentale, dichiara che “La Repubblica italiana è fondata sul lavoro”. D’altronde non c’è dottrina sociale cristiana (e cattolica) che possa giustificare la programmazione della disoccupazione per far funzionare la economia nazionale. “L’uomo prima dell’economia” è stato detto sempre da tutta la dottrina sociale cristiana. Se, come alternativa alla disoccupazione, si lascia solo la appartenenza mafia, la coesione sociale è persa e la fede è ridotta alla sopravvivenza della propria religiosità rituale.

Ma perché poi la risposta della mafia è sbagliata? Perché essa, non arrivando a percepire le alternative culturali, politiche e storiche a questo modello di sviluppo, usa quella alternativa che la tradizione popolare conosce come dominante, quella violenta, tanto più quando si è in lotta con la polizia armata. Incurante allora di infrangere leggi dello Stato, la mafia si pone come alternativa “popolare” alla organizzazione del territorio; motivo di più perché lo Stato la veda come nemico mortale (“Dove è lo Stato?” grida giustamente la popolazione giovanile davanti alla disoccupazione) e lo Stato per sopravvivere su quel territorio si permette, a sua volta, di usare tutti i mezzi e anche di più.

Il vescovo di Acerra (NA), Mons. Ribaldi, si intendeva di mafia, per aver lavorato in Sicilia e poi nella zona campana; dove è riuscito a convertire anche un capo mafioso napoletano (Alfano). Egli ha sempre osteggiato la soluzione adottata dallo Stato per combattere la mafia: il pentitismo; per cui lo Stato dà sconti di pena ai delinquenti di mafia che confessano e accusano gli altri; cioè questi diventano delatori della polizia e della magistratura; con conseguenze gravissime per i familiari, che dalla mafia vengono anche uccisi per vendetta. Mons. Ribaldi aveva sostenuto che al massimo lo Stato può, come è sempre successo, dare sconti di pena a chi confessa i propri delitti, ma senza accusare gli altri. Questa soluzione giuridica è quella che fu adottata nella lotta contro il terrorismo; perché non applicarla anche contro la mafia, senza stringere, con chi si è macchiato di delitti alle volte tremendi, patti immorali e illeciti (plastica facciale, stipendio, protezione per lui e per la sua famiglia, espatrio, ecc.)?

Purtroppo anche la società civile delle associazioni di base non ha colto l’occasione per mettere in discussione la causa determinante il fenomeno: il modello di sviluppo e la disoccupazione. La fondazione di “Libera” ha avuto un gran successo nel far convergere il più grande numero di associazioni italiane mai visto; ma in un progetto politico che è di puro volontariato che non compie nessuna azione, a parte il sostegno morale (!) alla polizia e alla magistratura che combatte la mafia (anche con mezzi illeciti e immorali). Le associazioni di Libera sono state attirate anche dalla prospettiva di gestire i beni confiscati ai mafiosi. Ma per motivi vari, che qui sarebbe lungo analizzare, la prospettiva non si è realizzata come si prevedeva. Lo dichiara Don Tonio dall’Olio (ex segretario di Pax Christi e presidente di “Libera internazionale” su Mosaico di Pace maggio 2012 p. 45 ultima col.). Libera non è stata una rivoluzione nella lotta contro la mafia; dobbiamo costruire un’altra prospettiva, più coinvolgente la società civile, più aderente ai veri problemi, più rispettosa delle leggi dello Stato e con più fede nella superiorità della onestà sulla delinquenza.

Come fare di meglio? Non debbo spendere molte parole perché qui la presenza della comunità dei Gesuiti e delle loro opere sociali indica la strada della alternativa: la comunità in tutte le sue forme, da quella parrocchiale, a quella solidale, a quella economica, a quella culturale. Questa direzione di vita è connaturata con la Calabria; la quale, come tutto il Sud, ha conservato più del Nord il senso della famiglia e il suo primato sulla vita associata; dal punto di vista cristiano e dell’impegno politico testimoniale l’amore familiare deve essere esteso oltre la famiglia. Tutti i tipi di comunità che si riescono a realizzare fanno un lavoro di base che alla lunga darà i suoi frutti a tutti i livelli sociali.

Coraggio allora, la storia è aperta davanti a noi! Ci attende una nuova stagione di testimonianza cristiana, che sa anche fare politica e anche politica rivoluzionaria.

Reggio Calabria 29 novembre 2011

Note

1 La cultura insegnata a scuola fa violenza di questo tipo. Ad esempio perché non si insegna logica, quando lo si faceva già nel medio evo? Si imparerebbe a ragionare autonomamente , e soprattutto a ricercare, non tanto ad eseguire. Inoltre per ogni materia della scuola media Don Milani (in Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, LEF, Firenze, 1967, pp. 20-30) indica esempi di cultura scolastica che è stata mutilata a quella riguardante le classi sociali superiori.

2 Questo aspetto della nonviolenza strutturale è nato, nella storia intellettuale occidentale, negli anni 1960 per opera di Johan Galtung, un norvegese che è il maggiore teorico vivente sulla nonviolenza e sui temi della pace. Di lui vedasi ad esempio Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano,1999.

3 Oltre il testo precedente, vedasi Don Milani: L’obbedienza [sociale] non è più una virtù, LEF, Firenze, 1983.

4 Questo punto è stato sostenuto da Lanza del Vasto: Che cosa è la non violenza, Jaca book, Milano, 1978, p. 81 (in realtà il brano è stato scritto nel 1957) edillustrato da altri, per esempio O. Cullmann: Cristo e il tempo, Il Mulino, Bologna, 19694, pp. 263-264.

5 Intendo il peccato originale secondo la lezione di Lanza del Vasto (Lezioni di Vita, LEF, Firenze, 1976, pp. 37-45; I Quattro Flagelli (orig. 1959), SEI, Torino, 1996, parr. 4-19; La Montée des Ames Vivantes, Denoël, Paris, 1968, cap. III). Infatti non tanto Gesù, ma Giovanni Battista confessava le persone, una a una, dai peccati individuali e le battezzava; egli le preparava a seguire Colui cha fa uscire “da il peccato del mondo” (Gv 1, 29; sott. aggiunta). Allora capiamo che Gesù ha insegnato a liberarci non tanto dai peccati personali, ma dal peccato strutturale. Il quale, inteso metafisicamente nel paradiso terrestre, è il peccato originale di due persone simboliche, Adamo ed Eva; mentre, inteso in concreto sulla terra, è il peccato incardinato nella struttura della società; per primo, è il peccato di uccidere, assieme agli altri, i nemici collettivi.

6 Benedetto XVIII: “Angelus” del 16-2-2007.

7 Lanza del Vasto: I Quattro Flagelli, op. cit., § 51, p. 551.

8 Ibidem, pp. 503-504.

9 Ibidem, p. 482.

10 P. Ackerman e A. Karatnycky: How Freedom is Won. From Civic Resistance to Durable Democracy. Freedom House, Washington, 2005.

11 M. Stepohen e E. Chenoweth: “Why Civil Resistance Works”, Int. Security, 33 (2008) 7-44. Ho riportato e commentato ambedue le suddette ricerche nel libro: Le rivoluzioni nonviolente nel secolo scorso. I fatti e le interpretazioni, Nuova Cultura, Roma, 2010.

12 Don Milani le ha espresse quando ha scritto le due famose lettere (già citate); quella contro la (bocciatura, l’atto cruciale della) organizzazione gerarchica della scuola, per invece organizzare la scuola autogestita, come quella che lui aveva fondato; e la lettera contro il progresso della corsa degli armamenti, il quale portava i cappellani militari a disprezzare la scelta degli obiettori di coscienza, per invece sviluppare una difesa alternativa basata sulla solidarietà (come è stata in buona misura la Resistenza italiana).

13 Vedasi la trattazione che ne ho dato nel libro: La difesa popolare nonviolenta, EGA, Torino, 2006, pp. 274-281.

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