Aldo Capitini e le ragioni della nonviolenza
Introduzione
del prof. Mario Martini

http://www.perlapace.it
05.05.2010

Aldo Capitini, la prima Marcia, la nonviolenza e la politica
Riflessioni di Mario Martini
Professore di Filosofia Morale dell’Università di Perugia, Fondazione Aldo Capitini.

La prima Marcia della pace da Perugia ad Assisi del 24 settembre 1961, ideata, promossa ed organizzata da Aldo Capitini segnò, a detta di uno storico dei movimenti pacifisti in Italia (Amoreno Martellini) “il vero punto di svolta nella concezione dell’azione pacifista e nonviolenta”. Cosa intendeva Capitini con la promozione di questa azione particolare e nuova per il nostro paese? Ad un Convegno nazionale sui problemi del disarmo un anno dopo, nel 1962, così egli si esprimerà: “Perché la marcia della pace? Non basterebbe un convegno, uno scambio di idee, un comizio, un giornale? Le marce aggiungono altro: sono accomunamento dal basso e nel modo più elementare, che perciò unisce tutti, nessuno escludendo”. Già, perché a quella Marcia ne erano nel frattempo seguite tante altre, in tutta Italia: la “Marcia dei cento Comuni” a Cortona con oltre 20.000 persone, e poi a Cagliari, a Modena, a Verona, a Bologna, a Ferrara. E ancora sfilate a Roma, Milano, Torino e Napoli con gli stessi striscioni. Fatto che comprova, a detta dello stesso storico, “la validità dell’ultima intuizione del filosofo perugino: vale a dire il coinvolgimento della società civile in grandi manifestazioni pubbliche”.

La Marcia di Capitini avveniva in un momento storico pieno di incognite per il futuro e la convivenza pacifica del mondo, con una serie impressionante di punti di attrito: la guerra d’Algeria, la crisi di Suez e la guerra in Medio Oriente, l’impegno americano in Vietnam, la creazione del muro di Berlino, tutte cose che indicano un crescendo della tensione internazionale, sul cui sfondo si profilava la minaccia atomica. In questo scenario, tutte le correnti del pacifismo del ‘900 o erano giunte a un punto di esaurimento o conoscevano un lungo momento di crisi, sia organizzativa, sia nel confronto tra associazioni che si richiamavano a un pacifismo generico ed altre che praticavano un pacifismo assoluto e nonviolento. La crisi partiva dalla chiusura di queste associazioni verso la società civile, ma anche nei riguardi dei movimenti e dei fatti politici, dal non avere esse, o i loro esponenti, interpretato adeguatamente i fatti e lo spirito dell’epoca. Erano in atto non solo inquietanti segnali di conflitto tra i due blocchi in cui era diviso il mondo, ma anche e soprattutto un conflitto generazionale che porterà di lì a poco i giovani alla ribalta in tutto il mondo, come messaggio di un rifiuto delle logiche violente del potere e come espressione di una nuova visione della vita (è il legame con l’oggi, devo dire, dove la presenza di buon auspicio dei giovani è massiccia nei forum mondiali).

Il pericolo di una guerra nucleare, di cui si facevano portavoce le coscienze più avvertite, da Gunter Anders ai filosofi Karl Jaspers e Bertrand Russell, portava quest’ultimo a fare da punto di coagulo per il pacifismo anglosassone. Da Aldermaston a Londra veniva organizzata nell’aprile del 1960 quella grande Marcia antinucleare che aveva eco in tutto il mondo, ed anche una discreta eco sulla stampa italiana. Capitini fu colpito da questo fatto, soprattutto per la grande partecipazione dei giovani di cui gli era giunta notizia, e capì che questa era la via per aprire alla cultura circostante, alla vita sociale, alla sensibilità della gente, il messaggio della nonviolenza. Voleva quindi organizzare subito una grande Marcia in Italia, ma si rese conto che la preparazione per una manifestazione che volesse riuscire nella sua efficacia, doveva essere accurata e complessa.

E la Marcia riuscì in pieno. In quell’occasione comparve il simbolo stesso delle manifestazioni pacifiste anche odierne. “Il Messaggero” del 25 settembre di quell’anno riporta in un articolo: “C’erano poi le bandiere, bandiere bellissime, quella della pace composta da sette strisce orizzontali con i colori dell’iride…Non si trovano queste bandiere in commercio e chi ha voluto sventolarne una alla marcia della pace se l’è dovuta confezionare a casa. I sette colori splendevano poi separatamente in altre immense bandiere di seta sulle quali campeggiava la parola pace”. Sono a mio parere di grande interesse i ricordi dei vari scrittori che vi parteciparono o che ne furono colpiti. Fra questi, Giovanni Arpino: “Credevo che in vita mia non avrei mai sorretto una bandiera, di qualunque tipo: ed ecco che ho retto per chilometri l’umile tela dei nonviolenti…mi sono sentito, camminando, fratello di tanti, e solidale, e libero”. Pier Paolo Pisolini: “La nonviolenza è l’acme di una concezione razionale della realtà. Se ogni forma del pensiero ha bisogno, nell’atto pratico,di una manifestazione concreta e basata quindi sul sentimento e la persuasione, la nonviolenza è l’atteggiamento sentimentale e persuasivo di chi è totalmente fuori da ogni conformismo, di chi è “liberato” attraverso gli strumenti della ragione e della cultura”. Walter Binni: “ So bene che la realtà politica, economica, sociale, è complessa … e perciò sono e resto uomo di un preciso partito politico, e penso che l’azione politica non possa essere interamente sostituita solo da una posizione, per quanto attivissima, di tipo più morale e religioso. Ma insieme penso che siano cattivi politici quelli che non comprendono e non valutano…un movimento proprio della coscienza e della volontà popolare”.

Ecco, Capitini intuiva che bisognava coinvolgere anche l’ambito politico. Stiamo parlando di un fatto organizzativo, ma la posta non era soltanto strategica. Dietro, vedremo, c’è la trama teorica e pratica della posizione nonviolenta del pensatore. Per essere più chiari, egli sosteneva che la Marcia, come la nonviolenza di cui essa era una delle espressioni, doveva divenire un fatto politico.

Per questo egli cercò di coinvolgere e cointeressare anche i partiti. Qui il discorso si fa più delicato, perché riguarda il rapporto della nonviolenza con le varie forze in campo e non solo un corretto rapporto con esse, ma anche l’apertura di una prospettiva che investisse la politica in quanto tale. Non tanto quindi una politica della nonviolenza, ma la nonviolenza come fatto politico. E cosa aveva fatto in India Gandhi con il suo Satyagraha? Capitini impartisce la lezione del maestro nel cuore dell’Occidente, per cui fare della nonviolenza un fatto politico significa andare a toccare da una parte i presupposti ideologici e dall’altra,contemporaneamente, gli interessi, certi interessi, precisamente quelli di coloro che negano la realizzazione dei diritti umani per tutti. Una politica nonviolenta apre quindi il discorso e la prassi alla questione della giustizia sociale, delle disparità globali, del confronto tra le culture, dell’apertura religiosa e fraterna, in sintesi dello stato dei diritti umani nel mondo.

La prospettiva di Capitini ha alle spalle tutte queste questioni: lo sviluppo e la libertà di ogni singolo essere vivente, la giustizia nei rapporti sociali, l’omnicrazia o potere dal basso. Con la sua prospettiva nonviolenta, Capitini voleva rinnovare la base del pacifismo italiano. Che il suo fosse un impegno di apertura e di allargamento, lo si vede quando egli, inaugurando la prima riunione della Consulta italiana della pace di cui era presidente, ricorda: “Dal momento della marcia di Assisi si sta sviluppando in Italia un pacifismo che è diverso da quello comunista, non perché vi si oppone, ma perché presenta temi diversi”. Capitini pensa non solo ad un livello nazionale ma anche ad uno internazionale. Di fatto però i partiti politici entravano pesantemente nel mondo nonviolento stravolgendone, o cercando di stravolgerne, le logiche. L’unica posizione che poteva mediare tra nonviolenza e politica era quella di Capitini, che di fatto sboccò nella già ricordata Consulta della pace, che si riunì per la prima volta a Firenze nel gennaio 1962, dopo essere stata ricevuta con tutti gli onori dal sindaco Giorgio La Pira.

E’ vero che Capitini nello scritto sulle “Ragioni e organizzazione della Marcia” afferma: “Uno degli errori della politica di opposizione in Italia è quello di aver trascurato l’immensa potenza di ciò che non è potere politico”, ma per questo egli intende lo slancio propulsivo cui danno luogo forze religiose, morali, culturali, sociali, che, dice Capitini, “sono già potere esse stesse, anche se non immediatamente governo”. Il filosofo ha ben presente il problema educativo, di una educazione civile alla democrazia, per una “nuova socialità”, esigenza che così esprime: “Sollecitare quella elevazione della popolazione, nel che è probabilmente l’avvenire del mondo e che è il problema centrale del secolo”. Ma che cosa è questa “elevazione della popolazione” (proprio l’opposto dell’attuale populismo, il populismo mediatico di certe forze politiche), che cos’è se non l’attenzione ai diritti di ciascuno, a cominciare dalla coscienza della propria situazione di sfruttamento e di degrado (come voleva Danilo Dolci) e avere in sé l’arma per rivendicare l’attuazione del proprio diritto al benessere, alla libertà, all’autodeterminazione, insomma l’attuale problema che vogliamo mettere a fuoco nella prossima marcia, dei diritti umani?

Così queste istanze vennero riassunte, al termine della prima marcia in una Mozione del popolo per la pace, in principi e applicazioni concrete:

I principi:

Primo. Nell’idea di “fratellanza dei popoli” si riassumono i problemi urgenti di questo tempo: il superamento dell’imperialismo, del razzismo, del colonialismo, dello sfruttamento: l’incontro dell’Occidente con l’Oriente asiatico e con i popoli africani che aspirano con impetuoso dinamismo all’indipendenza; la fratellanza degli europei con le popolazioni di colore; l’impianto di giganteschi piani di collaborazione culturale, tecnica, economica.

Secondo. Per preparare la pace durante la pace è necessario diffondere nell’educazione e nei rapporti con tutti a tutti i livelli, una capacità di dialogo, una sincera apertura alla coesistenza ed alla pacifica competizione di ideologie e di vari sistemi politici e sociali, nel comune sviluppo civile, ed affermare il lavoro come elemento costruttivo centrale.

Terzo. La pace è troppo importante perché possa essere lasciata nelle mani dei soli governanti; è perciò urgente che in ogni nazione tutto il popolo abbia il modo di continuamente e liberamente informarsi, e sia convocato frequentemente ad esprimere il proprio parere. Ne seguivano altri che qui tralascio per brevità.

Le applicazioni concrete:

1.Tutti nelle Nazioni Unite, e le Nazioni Unite per tutti…in modo da coinvolgere tutti nelle responsabilità, negli impegni, nei provvedimenti, negli aiuti ai paesi sottosviluppati, indipendentemente dagli interessi di un blocco o dell’altro.

Altri punti, tra i quali: 5. diversa impostazione dei bilanci statali di tutti i paesi, ponendoli al servizio dell’assistenza, della scuola, e della elevazione civile di tutti. 6. Massimo sviluppo della vita democratica dal basso di ogni paese. 8. Informazione periodica e popolare mediante una permanente tribuna di politica internazionale alla radio. Ecc.

Il rapporto tra nonviolenza e politica è ben sintetizzato in una citazione fatta dallo stesso Capitini di Enzo Enriques Agnoletti nel commento alla Marcia: “Bisogna riconoscere che siamo entrati in un periodo storico in cui i nonviolenti e i politici realisti si debbono trovare, con reciproca meraviglia, d’accordo; e questo non significa rinunciare alla grande politica, ma scoprire nuovi metodi di politica, così come l’umanità, nella sua storia, lentamente, dall’età delle caverne in poi, li ha scoperti”. Norberto Bobbio, uno dei grandi teorici del diritto, e dei diritti umani, era grande amico di Capitini, con il quale ha dialogato per tutta una vita, fra l’altro nei suoi libri Il problema della guerra e le vie della pace e Il terzo assente (dove riprende il problema della funzione delle Nazioni Unite). Qui egli constata che diventa sempre più difficile, se non impossibile, distinguere una guerra giusta da una guerra ingiusta, di fronte alla sproporzione tra gli scopi di una guerra e le sue possibili conseguenze, e conclude con il richiamo all’amico Capitini e alla nonviolenza con queste parole: “La democrazia come antitesi del dispotismo e la pace come antitesi della guerra hanno un’ispirazione comune nell’ideale della nonviolenza, che in una concezione profetica Aldo Capitini chiamava il “varco attuale della storia”.

Relazione tenuta dal prof. Mario Martini al Seminario nazionale della Tavola della pace che si è svolto ad Assisi il 7 luglio 2007.

Per saperne di più:

A.Capitini (a cura di), In cammino per la pace. Documenti e testimonianze sulla Marcia Perugia-Assisi, Einaudi, Torino 1962;

A.Capitini, Le ragioni della nonviolenza. Antologia degli scritti a cura di M.Martini, Ed. Ets, Pisa 2004;

A.Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell’Italia del Novecento, Donzelli, Roma 2006.

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