L'intera impresa dello Stato ebraico in Palestina è costruita sul rigetto esplicito del diritto internazionale

La continua Nakba: Il costante sfollamento forzato del popolo palestinese
di Amjad Al Qassis 
Le pratiche e le politiche israeliane sono una combinazione di segregazione razziale, occupazione militare e colonializzazione utilizzate come metodo per pulire etnicamente il territorio della Palestina Storica dalla presenza indigena palestinese. Il regime israeliano non si limita ai palestinesi che vivono nei Territori Occupati Palestinesi (TOP), ma altresi ai palestinesi che risiedono nel lato israeliano. All'interno della linea di confine dell’armistizio del 1948, cosi come coloro che vivono in esilio forzato.


Spartizione della Palestina: perdita della Palestina
di Norman Finkelstein ed Eslam al-Rihani
Il 29 novembre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unitela adottato la Risoluzione 181 raccomandando l’attuazione del Piano di spartizione della Palestina.


Palestinians’ Right to Resist
by Stephen Lendman
The Universal Declaration of Human Rights states “(e)veryone has the right to life, liberty and security of person.” No one has the right to deny them.


http://www.palestinarossa.it
13 maggio 2013

La continua Nakba: Il costante sfollamento forzato del popolo palestinese
di Amjad Al Qassis 

Le pratiche e le politiche israeliane sono una combinazione di segregazione razziale, occupazione militare e colonializzazione utilizzate come metodo per pulire etnicamente il territorio della Palestina Storica dalla presenza indigena palestinese. Il regime israeliano non si limita ai palestinesi che vivono nei Territori Occupati Palestinesi (TOP), ma altresi ai palestinesi che risiedono nel lato israeliano. All'interno della linea di confine dell’armistizio del 1948, cosi come coloro che vivono in esilio forzato.

Riflessioni sul fatto se la soluzione a uno o due stati sia il mezzo piu' giusto per porre fine all’ingiustizia e la sofferenza nella Palestina storica, trascurando il fatto che un soggetto giuridico è già stato adottato in tale determinate territorio: in effetti, il trattamento d’Israele dei palestinesi non ebrei in tutta Israele e nei TOP, costituisce un regime discriminatorio finalizzato a controllare la maggior quantita di territorio con la minima quantità di indigeni palestinesi che risiedono su di esso.

Le principali componenti di tale struttura, discriminano i palestinesi in diversi settori quali la nazionalità, cittadinanza, diritti di residenza e di proprietà terriera. Questo sistema è stato originariamente applicato nel 1948, con il fine di dominare e di espropriare le proprietà di tutti i palestinesi sfollati, anche tra i 150.000 palestinesi che erano riusciti a rimanere all'interno dei confini della linea dell'armistizio del "1948, coloro che più tardi divennero cittadini palestinesi di Israele. Dopo l'occupazione della restante parte della Palestina storica da parte delle forze israeliane nel 1967, questo territorio fu sottoposto al medesimo regime israeliano. In sostanza, l'intenzione di colonizzare la Palestina storica sulle spese della sua popolazione palestinese indigena risale agli inizi del movimento sionista, decenni prima della creazione dello Stato di Israele.
 

Il movimento sionista

Il movimento Sionista è stato formato alla fine del XIX secolo, con l'obbiettivo di creare una patria per gli ebrei tramite la formazione di un '... movimento nazionale per il ritorno del popolo ebraico nella loro patria e la ripresa della sovranità ebraica nella terra d'Israele.'iIn quanto tale, l'impresa sionista ha unito il nazionalismo ebraico cui mirava a creare e promuovere, con il colonialismo trapiantando le persone, per lo più provenienti dall' Europa in Palestina, con l'appoggio delle potenze coloniali europee. La storia Ebraica e' stata interpretata con l'intento di creare una specifica identita' nazionale ebraica per giustificare la colonializzazione della Palestina.

Sostanzialmente, il movimento dovette dare una definizione al "popolo ebraico", quindi un'identità nazionale doveva essere creata e questa identità doveva essere legata alla presenza ebraica in Palestina nel primo secolo DC. E' importante notare, che come ogni altra identità nazionale che non si è costituita da un naturale sviluppo sociale ma che invece si è creata sulla base di una concezione e sulla volonta' dei suoi creatori, di conseguenza, gli ebrei di tutto il mondo erano parte di un solo e medesimo popolo, che ha condiviso la stessa storia, che ammirava gli stessi eroi nazionali, e che si sono uniti nel desiderio di ritornare nel loro territorio e nella loro terra d'origine. Tuttavia, come giustamente conclude Ilan Pappe, «il sionismo non era ... l'unico caso nella storia in cui un progetto colonialista è stato perseguito in nome di ideali nazionali e non di ideali colonialisti. I sionisti si sono trasferiti in Palestina alla fine di un secolo in cui gli europei controllavano gran parte dell'Africa, dei Caraibi ed altri luoghi nel nome del 'progresso' o dell' idealismo...». Tuttavia, la cosa unica d'Israele è l'effetto del sionismo sul popolo che ha affermato di rappresentare. Basandosi sul concetto di ebraismo come identita' nazionale, i seguaci della fede ebraica in tutto il mondo diventerebbero, per la legge israeliana, ''cittadini'' ebrei, sia che accettino o meno questa classificazione. Ad oggi, Israele continua a definire la sua cittadinanza extraterritoriale.

La creazione di uno Stato Nazionale ebraico in una terra con una piccola minoranza ebraica poteva essere concepibile solo attraverso lo spostamento forzato della popolazione indigena esistente accanto all'impianto di nuovi coloni ebrei. Per i palestinesi indigeni che sono riusciti a rimanere entro i confini di quello che divenne lo Stato d'Israele, la loro propria identità nazionale è stata relegata a rango inferiore. Per esempio, l'articolo 2 della legge statale sull'istruzione, afferma che ''L'obiettivo dell'istruzione dello stato è…di educare ogni bambino ad amare…il suo popolo e la sua terra…[di] rispettare la propria…eredità ed edentità culturale per impartire la storia della Terra di Israele…[e] di insegnare ... la storia del popolo ebraico, del patrimonio e della tradizione ebraica…".iii Oltre ad essere oggetto di discriminazione istituzionalizzata, i palestinesi che sono riusciti a rimanere all'interno della parte della Palestina storica, usurpata nel 1948 – di cui oggi vi sono oltre 1,2 milioni di palestinesi – sono costretti ad essere cittadini di uno stato in cui non sono ammissibili per la loro nazionalità.

Come accennato in precedenza, la principale manifestazione sionista di segregazione razziale, è stato il trasferimento forzato della popolazione palestinese. Il compito di stabilire e mantenere uno stato ebraico in un territorio prevalentemente non – ebreo, è stato eseguito con la forza spostando la maggioranza della popolazione non ebraica. Oggi il 70% dei palestinesi sparsi nel mondo non sono altro che i discendenti dei palestinesi sfollati con la forza da parte del regime israeliano.iv L'idea di "trasferimento" nel pensiero sionista è stato rigorosamente tracciato da Nur Masalha nel suo libro, ''Espulsione dei Palestinesi: il concetto di "trasferimento" nel pensiero politico Sionista, 1882-1948'', ed è racchiuso nelle parole di uno dei primi pensatori sionisti, Israel Zangwill. Nel 1905, Zangwill affermò, «...Se vogliamo dare una terra ad un popolo che è senza terra, è follia assoluta permettere che il paese sia dei due popoli...»v Yosef Weitz, ex direttore del Dipartimento delle Terre del Fondo Nazionale Ebraico, è stato ancora più esplicito quando, nel 1940 , ha scritto:

...Deve essere chiaro che nel paese non c'è pazio per entrambi i popoli (...) l'unica soluzione è la terra di Israele, almeno una terra occidentale di Israele senza arabi. Non vi è spazio per compromessi (...) Non vi è altro modo che trasferire gli arabi da qui ai paesi limitrofi (...) Non vi deve essere lasciato neanche un paese neanche un (beduino) tribù ".vi

I diritti e l'etica non si dovevano mettere in mezzo, o come ha argomentato Ben Gurion nel 1948, «La guerra ci darà la terra. I concetti ''nostro'' e '' non nostro'' sono solamente dei concetti di pace, e nella guerra questi concetti perdono il loro valore ».vii

L'essenza del sionismo, pertanto, è giustamente riassunta come la creazione e la fortificazione di una specifica identità nazionale ebraica, l'acquisizione della massima quantità di terra palestinese, assicurando che il numero minimo di persone non ebree rimangono su quella stessa terra, e che un numero massimo di cittadini ebrei vengono impiantati su di essa. In altre parole, il sionismo, fin dal suo inizio, ha reso necessario il trasferimento di persone. Nel 1897, il movimento Sionista quando ha messo le basi per la colonializzazione della Palestina Mandataria, sotto il motto, '' un popolo senza una terra otterrà una terra senza popolo'', ha dovuto affrontare tre principali ostacoli:

•   La popolazione indigena palestinese che viveva nel territorio.

•   La proprietà privata e terriera dei palestinesi che vivevano nel territorio.

•   Carenza di una popolazione ebraica sufficiente nel territorio.

Per poter superare questi tre ostacoli, Israele aveva bisogno di creare un sistema legale che gli permetesse di mantenere il nuovo Status quo conseguito. Il movimento Sionista, e dopo Israele, non aveva interesse nel creare un sistema nel quale un gruppo '' raziale'' dominasse l'altro. Lo scopo d'israele era, ed è tutt'ora, non quello di sfruttare la forza lavoro indigena o semplicemente di limitarne la loro partecipazione politica e sociale, ma piuttosto, l'intenzione era quella di stabilire uno stato ebraico-sionista omogeneo prevalentemente per gli ebrei.. Questo era chiaro dai primi anni del movimento Sionista, illustrato dal fatto che Israele ancora oggi non ha confini definiti. Come spiegato da Golda Meir, «…I confine sono determinati in base a dove vivono gli ebrei, non da dove vi è una linea s'una mappaviii» – Questa dichiarazione in combinazione con la famosa dichiarazione di Ben Gurion del 1937: «il trasferimento forzato degli arabi dalle valli dael previsto stato ebraico, ci potrebbe dare qualcosa che non abbiamo mai avuto...dobbiamo attenerci a questa conclusione allo stesso modo in cui abbiamo afferrato la Dichiarazione Balfour, più di questo, allo stesso modo con cui abbiamo afferrato al sionismo..»ix. Il sionismo stesso offre infinite possibilità per trasferire i palestinesi fuori e impiantare i coloni ebrei nel territorio.

Come illustrato da Nur Masalha, tra il 1930 e il 1948, il movimento sionista ha pianificato 9 differenti strategie per il trasferimento forzato della popolazione indigene palestinese, iniziando nel 1930 con lo schema di trasferimento di Weizmann fino al piano Dalet effettuato nel 1948x.

Per poter affrontare i tre ostacoli, il movimento sionista ha avviato una serie di misure pro-attive e preventive sottoforma di leggi, pratiche e politiche. Qui di seguito, verranno elaborate le misure piu' importanti.
 

Migrazione privileggiata

Nel 1950, Israele per potersi assicurare un numero sufficiente di ebrei nei territori colonializzati, adotto la ''legge Israeliana del Ritorno''. Questa legge prevede che oqualsiasi persona ebrea nel mondo ha il diritto alla ''nazionalità ebraica'' e può immigrare in Israele e ottenere la cittadinanza israeliana. Sotto questa legge, un cittadino ebreo è '' colui che è nato da madre ebrea, o che si è convertito al Giudaismo e che non fa parte di un altra religionexi''. L’Articolo 4 (a) della Legge del Ritorno prevede che "I diritti di un ebreo ai sensi della presente legge e i diritti di un olehxii ai sensi della Legge sulla Cittadinanza, così come i diritti di un oleh ai sensi di qualsiasi altro decreto legislativo, sono acquisiti  da un figlio e un nipote di un ebreo, il coniuge di un ebreo, il coniuge di un figlio di un ebreo e il coniuge di un nipote di un ebreo, ad eccezione di una persona che è stata ebrea e che ha volontariamente cambiato la sua religione ". xiii Da un lato, gli ebrei godono del diritto di poter entrare in Israele anche se non sono nati in Israele o se non hanno qualsivoglia connessione con Israele. Dall'altro lato, i palestinesi, la popolazione indigena del territorio, sono esclusi dalla legge del Ritorno sulla base del fatto che non hanno origini ebraiche, e di conseguenza non godono dello status di cittadini sotto qualsiasi legge israeliana,e non hanno un automatico diritto di entrare il paese.

Questa legge mira a semplificare ed incoraggiare l'immigrazione delle persone ebraiche in Israele, con lo scopo di ottenere lo stato ebraico immaginato dal progetto Sionista. Affianco a questo, bisogna evidenziare il ruolo svolto dall'Organizzazione Sionista Mondiale, in quanto gioca un ruolo importante nell'organizzare della migrazione ebraica in Israele e nei TOP. Gli obbiettivi di questa organizzazione furono formulati prima della creazione dello stato di Israele e furono fortificati nel 1952, anno in cui il parlamento israeliano fece passare '' la legge di Stato dell'Organizzazione Sionista'' e la firma di una convenzione tra il governo Israeliano e l'esecutivo Sionista, in base alla quale le aree di responsabilità dell'organizzazione rimasero quelle relative all'immigrazione e il suo assorbimento e l'insediamento delle popolazioni ebraiche all'interno dei territori della palestina storicaxiv.
 

Diritti di Proprietà (xv)

In relazione al secondo ostacolo menzionato prima, la legge israeliana sulla proprietà degli assenti emanata nel 1950, fu utilizzata per confiscare le proprieta legalmente possedute degli sfollati palestinesi, dei rifugiati e degli sfollati interni.

Il termine 'assente' era stato definito in modo cosi ampio da includere non solo i palestinesi che erano fuggiti dopo la creazione dello stato israeliano, ma includeva anche coloro che erano fuggiti dalle loro case ma che erano rimasti all'interno degli stesi confinixvi. In fatti il termine, comprendeva anche molti ebrei. Tuttavia, una disposizione, che all’apparenza non era basata sulla razza, esentava gli assenteisti che lasciarono la loro casa per vari motivi tra cui “la paura dei nemici di Israele”; così di fatto escludendo la popolazione ebraica dalla applicazione della legge. Una volta confiscata, la terra in questione terra divenne proprietà dello Stato.

La legge sull'acquisizione della terra del 1953, è stata emanata al fine di completare il trasferimento allo stato israeliano di quelle terre confiscate ai palestinesi che non erano state abbandonate durante gli attacchi del 1948. Nelle parole dell'ex ministro delle Finanze israeliano Elilezer Kaplan, si afferma lo scopo di tale legge «... era quello di infondere la legalità in alcuni atti compiuti durante e dopo la guerraxvii". Un processo quasi identico ha avuto luogo nei TOP in seguito all'occupazione del 1967, ... l'acquisizione di terre palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza procede [va] lungo diverse linee contemporaneamente».xviii

Come risultato della strategia israeliana di confisca delle terre, i palestinesi oggi posiedono solo una piccola percentuale delle terre della Palestina mandataria o storica. xixL'espansione delle località palestinesi esistenti in Israele e nei TOP è stata drasticamente ridotta a causa della politica israeliana di pianificazione altamente disciminatoria. Dal 1967, data in cui israele occupò la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, Israele non ha permesso la creazione di nuovi comuni palestinesi.xx L'ordine militare israeliano numero 418, permise di creare un regime di progettazione e di costruzione che concedeva allo stato Israeliano il pieno controllo di tutti quesi settori legati alla pianificazione e sviluppo nei TOP. Come risultato, le comunità palestinesi si trovano spesso separate dalle loro terre circostanti. Al contrario, le località ebraiche, anche le piu' piccole, hanno dei piani di progettazione dettagliati e regolamenti edilizi riguardanti l'uso del territorioxxi. Per riassumere la situazione: '' Lo spazio territoriale israeliano è stato molto dinamico, le modifiche sono state principalmente in una sola direzione: gli ebrei espandono il loro controllo territoriale tramite una varietà di mezzi, tra cui la continua costruzione d'insediamenti, mentre i palestinesi sono stati rilegati all'interno di una geografia invariata''.xxii
 

Il trasferimento forzato della popolazione

L'ostacolo fondamentale per il movimento sionista, la popolazione palestinese stessa, è stato affrontato in vari modi nel corso degli ultimi sei decenni. Piu' di sei milioni di palestinesi sono stati sfollati con la forza – inclusi i loro discendenti – dalle loro case, e la legge israeliana ''Prevenzione dall'infiltrazione'' del 1955, e gli ordini militari 1649 e 1650xxiii hanno impedito ai palestinesi di tornare legalmente in Israele e nei TOP. Questo spostamento forzato, deliberato e pianificato equivale ad una politica ed una pratica di trasferimento forzato della popolazione palestinese, o di pulizia etnica.Questo processo ebbe inizio ancor prima del 1948, ed è in vigore tutt'oggi.

Quasi un milione e mezzo di palestinesi sono stati sfollati tra il dicembre 1947 e il maggio 1948. Il più grande deflusso di profughi ha avuto luogo nel mese di aprile e l'inizio del maggio 1948 in concomitanza con l'inizio delle operazioni eseguite dall'organizzazioni paramilitari sioniste.

Il movimento Sionista ha dichiarato la creazione dello stato di Israele il 15 maggio 1948, da qui circa 750.000 palestinesi erano diventati profughi. La maggior parte dei rifugiati sono stati sfollati dalle forze militari israeliane (comprese le milizie sioniste para-statali) che utilizzavano tattiche che violano i principi fondamentali del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani: attacchi sui civili, massacri e altre atrocità; espulsione, distruzione e il saccheggio delle proprietà.xxiv

Questo periodo della recente storia palestinese recente è definito come la Nakba, la catastrofe palestinese. La Nakba ha radicalmente modificato la Palestina. Tuttavia il processo del trasferimento forzato dei palestinesi indigeni non si è concluso con la creazione di Israele nel 1948, ma è tristemente iniziato quell'anno. Quasi ogni anno che passa dalla Nakba si continua comunque ad assistere ad una ondata di trasferimento forzato, in cui, alcuni anni l'onda è più alta che in altri. Per esempio, durante il 1967, altri 400.000 palestinesi divennero profughi.xxv

Lo sfollamento forzato in corso del popolo palestinese, equivale ad una politica ed una pratica di trasferimento forzato della popolazione palestinese. Secondo la Sotto-Commissione sulla Prevenzione della Discriminazione e la Protezione delle Minoranze della precedente Commissione per i diritti umani:

"L'essenza del trasferimento della popolazione rimane un movimento sistematico, coercitivo e deliberato ....della popolazione all'interno o all'esterno di una zona ... con l'effetto o lo scopo di alterare la composizione demografica di un territorio, in particolare quando tale ideologia o politica asserisce la dominazione di un certo gruppo su un altro''. xxvi

Il trasferimento forzato della popolazione è illegale e costituisce un crimine internazionale, affermato dalla ''Risoluzione degli Alleati sui Crimini di Guerra Tedeschi'', adottata nel 1942. La codificazione più forte e più recente del crimine si trova nello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, che definisce chiaramente il trasferimento forzato della popolazione e l'impianto di coloni come crimini di guerra.xxvii

Al fine di conseguire il trasferimento forzato della popolazione palestinese indigena al di là dei confini della Palestina storica, sono state sviluppate e applicate molte leggi, politiche e pratiche israeliane, così come le azioni specifiche di soggetti para-statali e di altri soggetti privati. Oggi, questa pulizia etnica viene portata avanti da Israele nella forma di una politica generale di ''trasferimento silenzioso'' e non piu' tramite le deportazioni di massa che si sono assistite nel 1948 o 1967. Questo spostamento è silenzioso, nel senso che Israele lo compie nel tentativo di evitare l'attenzione internazionale, spostando un piccolo numero di persone su una base settimanale. Esso si distingue dal trasferimento evidente che si era raggiunto sotto la patina della guerra, nel 1948. Qui è importante notare che la politica di trasferimento di Israele non è né limitata da confini geografici di Israele né quelli dei TOP.
 

L'odierna politica di trasferimento silenzioso

La politica israeliana di trasferimento silenzioso è evidente nelle leggi, politiche e nelle prassi dello Stato. Israele usa il suo potere per discriminare, espropriare e, infine, per portar avanti lo sfollamento forzato della popolazione autoctona non ebraica dalla zona della Palestina storica. Per esempio, il sistema di pianificazione territoriale e zonizzazione israeliano ha costretto 93.000 palestinesi di Gerusalemme Est a costruire senza un permesso di costruzione. L'87 per cento di quella zona è off-limits per uso palestinese, e la maggior parte del restante 13 per cento è già costruitoxxviii. 19 Dal momento che la popolazione palestinese di Gerusalemme Est è in costante crescita, ma ha dovuto espandersi in aree non partizionate per la residenza palestinese da parte dello Stato di Israele. Tutte quelle case sono ora sotto la costante minaccia di essere demolite dall'esercito o dalla polizia israeliana, lasciando cosi gli abitanti sfollati e senza un tetto.

Un altro esempio, è il piano approvato dal governo, il piano Prawer, che prevede il trasferimento forzato di 30.000 cittadini palestinesi di Israele a causa di una politica di ripartizione israeliana che non ha riconosciuto più di trentacinque villaggi palestinesi situati nel Naqab (Negev).xxix Israele ritiene gli abitanti di quei villaggi come intrusi illegali e abusivi, e come tale, si trovano ad affrontare la minaccia imminente di spostamento. Questo avviene nonostante il fatto che queste comunità sono precedenti alla nascita dello stato d'Israele.

Nel 2012, La Corte Suprema israeliana, con la sua decisione di vietare il ricongiungimento familiare tra palestinesi con cittadinanza israeliana e le loro controparti all'interno e al di là della linea dell'armistizio del 1948. L'effetto di questa sentenza ha portato alla creazione di diversi Status civili per i palestinesi in base al territorio in cui vivono: cittadino israeliano, Carta d'Identità di Gerusalemme , Carta d'Identità della Cisgiordania o quelli con la Carta d'Identità di Gaza, tra l'altro tutte rilasciate da Israele ma cominque non possono vivere legalmente insieme su entrambi i lati della Linea dell'Armistizio 1948. Quindi, essi si trovano di fronte a una scelta di vivere all'estero, vivere distanti l'uno dall'altro o correre il rischio di vivere insieme illegalmentexxx. Tale sistema viene utilizzato come ulteriore mezzo per dislocare in maniera forzata i palestinesi, cambiando cosi la demografia d'Israele e TOP, a favore di una popolazione prevalentemente ebraica. Questa intenzione demografica, si riflette nel ragionamento della Corte nella sua decisione, in cui si affermava che "... i diritti umani non sono una ricetta per un suicidio nazionale''.xxxi Questo ragionamento è stato ulteriormente enfatizzato da Otniel Schneller, membro della Knesset, che ha dichiarato che "la decisione articola la logica della separazione tra i [due] popoli e la necessità di mantenere una maggioranza ed un carattere ebraico dello stato... xxxii". Questo, ancora una volta dimostra l'immagine dello Stato di Israele come Stato ebraico con un insieme diverso di diritti per i suoi abitanti ebrei e non ebrei, i quali maggiormente sono palestinesi.
 

Nazinalità ebraica

Tutti i diversi mezzi con cui Israele innesca lo spostamento dei palestinesi sono legati al concetto centrale di nazionalità ebraica, in quanto questo è il meccanismo giuridico che consente e garantisce la costante discriminazione contro la popolazione non ebraica. Questo stesso concetto è il legame tra il sionismo e il costruito 'diritto' della nazione ebraica di stabilirsi e occupare il territorio della Palestina storica. In altre parole, il concetto di nazionalità ebraica è il perno del regime israeliano di apartheid in quanto affronta entrambi gli obiettivi del sionismo: la creazione e la manutenzione di una specifica identità nazionale ebraica, e la colonizzazione della Palestina storica, attraverso la combinazione dell'insediamento dell'ebreo colono e il trasferimento forzato di tutti gli abitanti non ebrei.

Il modo in cui questo concetto si incarna in legge, è attraverso la separazione della cittadinanza ('Israeliana'), dalla nazionalità ('ebraica'). Questa separazione è stata confermata dalla Corte suprema israeliana nel 1972xxxiii. Tale distinzione permette ad Israele di discriminare i suoi cittadini palestinesi e, ancor più gravemente, contro i rifugiati palestinesi, garantendo che determinati diritti e privilegi siano subordinati dalla nazionalità ebraica. La principale fonte di discriminazione nei confronti dei profughi palestinesi è legge israeliana del Ritorno del 1950, e la legge sulla cittadinanza israeliana del 1952, che concede automaticamente la cittadinanza a tutti i cittadini ebrei, ovunque essi risiedano, vietando allo stesso tempo i rifugiati palestinesi di ritornare e di risiede legalmente nel proprio territorio. Il regime israeliano ha sostanzialmente diviso il popolo palestinese in diversi stati politico-giuridici distinti, come indicato negli esempi seguenti Nonostante le loro categorizzazioni differenti secondo la legge israeliana, i palestinesi in tutti i livelli mantengono uno status inferiore a quello dei cittadini ebrei che vivono all'interno dello stesso territorio o al di fuori.

Categoria n.1: Status Privilegiato

▪   I Cittadini ebrei --> che vivono all'estero e in Israele --> Completo accesso ai diritti politici, sociali, economici ed alle prestazioni.

Categoria n.2: Status Inferiore

#   I cittadini palestinesi d'Israele --> che vivono all'estero e in Israele --> Minori diritti e accesso limitato alle prestazioni.

#   I cittadini palestinesi che vivono nei TOP --> vivono sotto l'occupazione --> diritti negati / limitati --> dirittio ad entrare in Israele o di muoversi all'interno dei TOP negato / fortemente limitato, diritti politici, sociali ed economici negati / fortemente limitati.

#   I rifugiati palestinesi che vivono all'estero --> Sfollati con la forza, apolidi, nessun diritto di ritornare alle loro case. xxxiv

Approccio per il futuro

Questo è il motivo per cui è molto importante cercare soluzioni radicate in un approccio rigorosamente basato sui diritti. Un approccio basato sui diritti potrebbe essere meglio descritto come normativamente basato sui standard internazionali sui diritti e funzionalmente diretto a promuovere e tutelare tali diritti. "Nell'ambito di un approccio basato sui diritti, i piani, le politiche ed i programmi sono ancorati a un sistema di diritti e doveri stabiliti dal diritto internazionale"xxxv. Pertanto, un approccio basato sui diritti dovrebbe integrare le norme, gli standard e i principi del sistema dei diritti internazionali nei piani, nelle politiche e nei processi che mirano a trovare delle soluzioni del conflitto in questione. Nel caso della Palestina e di Israele, questo approccio potrebbe cercare soluzioni basate sul diritto internazionale, piuttosto che fare affidamento sui negoziati per giungere ad una soluzione duratura e giusta.

L'applicazione del diritto e degli standard internazionali dovrebbe essere rivendicazione e non una richiesta attraverso dei negoziati. Semplicemente parlare come in qualsiasi altro caso di una violazione del diritto sia a livello nazionale o internazionale, l'autore del reato non dovrebbe ricevere una posizione privilegiata, attraverso negoziati, per riformulare il conflitto e le possibili soluzioni ad esso. Questo dovrebbe essere lasciato alla legge stessa, oltre ad eventuali corti o comitati. Nello stesso modo in cui si sarebbe lasciato al giudice nazionale di decidere su un furto, reati internazionali dovrebbe essere affrontata con la stessa serietà e determinazione. In altre parole, le violazioni del diritto internazionale devono soddisfare gli stessi standard delle violazioni della legge all'interno delle impostazioni nazionali.

In realtà, questo continua assenza di responsabilità israeliana nel conflitto israelo-palestinese, mina la legittimità del diritto internazionale, in particolare i diritti umani, il diritto umanitario e il diritto penale internazionale. E 'quindi il momento di garantire che il diritto internazionale è molto più di una retorica utopica, ma invece è un sistema giuridico solido che protegge i diritti, stabilisce obblighi e soprattutto, crea realtà che rispecchiano i suoi valori fondamentali e principali.
 

letture consigliate:

Mercedes Melon, “The Forcible Transfer of the Palestinian People from the Jordan Valley”, al-Majdal Forced Population Transfer in Palestine; Thinking Practically about Return (Spring-Summer 2012), available at: http://BADIL.org/en/al-majdal/item/1766-art6

Salman Abu Sitta, “Living Land: Population Transfer and the Mewat Pretext in the Naqab”,al-Majdal Forced Population Transfer in Palestine; Thinking Practically about Return (Spring-Summer 2012), available at: http://BADIL.org/en/al-majdal/item/1765-art6

Khalil Tafakji, “Jerusalem: A Displacement Master Plan - Interview with Khalil Tafakji”,al-Majdal Palestine's Ongoing Nakba (Autumn 2008 Winter 2009), available at: http://BADIL.org/en/al-majdal/item/8-jerusalem-a-displacement-master-plan-interview-with-khalil-tafakji

Ongoing forcible displacement within and beyond the 1948 Armistice Line

Sami Abu Shehadeh and Fadi Shbaytah, “Jaffa: From Eminence to Ethnic Cleansing”, al-Majdal Palestine's Ongoing Nakba (Autumn 2008 Winter 2009), available at: http://www.BADIL.org/en/al-majdal/item/4-jaffa-from-eminence-to-ethnic-cleansing  

Note:

i Mitchell Geoffrey Bard and Moshe Schwartz, One Thousand One Facts Everyone Should Know about Israel (Rowman & Littlefield, 2005), p. 1.

ii Ilan Pappe, “Zionism as Colonialism: A Comparative View of Diluted Colonialism in Asia and Africa”, South Atlantic Quarterly 107:4 (Fall 2008), pp. 611-633, p. 612.

iii Aticle 2 of the Israeli State Education Law 1953 (amended in 2000).

iv BADIL Resource Center for Palestinian residency and refugee rights, Palestinian Refugees and Internally Displaced Persons Survey of 2008-2009 (BADIL 2009

v Nur Masalha, Expulsion of the Palestinians: The Concept of “Transfer”in Zionist Political Thought, 1882-1948 (Institute for Palestine Studies 1992), p. 10.

vi Benny Morris, 1948 and After: Israel and the Palestinians (Oxford University Press, 1994), p. 121.

vii Masalha, p. 180.

viii Noam Chomsky, “Middle East Diplomacy: Continuities and Changes”, Z Magazine (December 1991).

ix Nur Masalha, Expulsion of the Palestinians: the concept of "transfer" in Zionist political thought, 1882-1948 (Institute for Palestine Studies 1992), p. 210.

x Ibid, p. 140

xi Joseph Schechla, The Consequences of Conflating Religion, Race, Nationality, and Citizenship, Al Majdal, Winter-Spring 2010, 14.

xii An oleh is a Jewish term referring to a Jew who is immigrating to Israel.

xiii See, for example, the reports of the UN Special Rapporteur Prof. John Dugard to the Human Rights Council: A/HRC/4/17 and A/HRC/7/17.

xiv Ambica Bathia, “Israel’s Discriminatory Laws”, BADIL Bulletin No. 26 (September 2012).

xv This section is based on a forthcoming paper by BADIL on the issue of land, planning and zoning laws in the context of Israel and the oPt. On file with author.

xvi Forman, G. and Kedar, A. “From Arab land to ‘Israel Lands’: The Legal Dispossession of the Palestinians Displaced by Israel in the Wake of 1948” Environment and Planning D: Society and Space, Vol 22 (2004), p. 814.

xvii See Forman and Kedar,p.820.

xviii Dajani, S., Ruling Palestine – A History of the Legally Sanctioned Jewish-Israeli Seizure of Land and Housing in Palestine (2005), p. 78.

xix See BADIL, “Palestinian Refugees and Internally Displaced Persons Survey of 2008 - 2009” (2009).

xx See Salman Abu Sitta,Tthe Palestinian Nakba 1948 (The Palestinian Return Centre 2000).

xxi See A. Cohen-Liftshitz and N. Shalev, The Prohibited Zone: Israeli Planning Policy in the Palestinian Villages in Area C (Bimkom, Jerusalem: 2008).

xxii Kedar, S., Khamaisi, R., and Yiftachel, O., “Land and Planning” in After the Rift: New Directions for Government Policy Towards the Arab Population in Israel (Ghanem, A., Rabinowtiz, D., and Yiftachel, O. eds), p. 17.

xxiii Al-Haq, “Al-Haq’s Legal Analysis of Israeli Military Orders 1649 & 1650: Deportation and Forcible Transfer as International Crimes” (April 2010), available at: http://www.alzaytouna.net/english/Docs/2010/Al-Haq-April2010-Legal-Analysis.pdf.

xxiv BADIL Resource Center for Palestinian Residency and Refugee Rights, “Al-Nakba: The Continuing Catastrophe”, BADIL Occasional Bulletin No. 17 (May 2004).

xxv See BADIL Resource Center for Palestinian residency and refugee rights, Palestinian Refugees and Internally Displaced Persons Survey of 2008-2009 (BADIL 2009).

xxvi See the human Rights Dimensions of Population Transfer including the Implantation of Settlers, Preliminary Report prepared by A.S. al-Khawasneh and R. Hatano.

xxvii Emily Haslam, “Unlawful Population Transfer and the Limits of International Criminal Law”, The Cambridge Law Journal Vol. 61, No. 1 (March 2002), pp. 66-75.

xxviii OCHA-OPT, Demolitions and Forced Displacement in the Occupied West Bank (2012).

xxix See Adalah, “The Prawer Plan and Analysis” (October 2011), at:
http://www.adalah.org/upfiles/2011/Overview%20and%20Analysis%20of%20the%20Praw-er%20Committee%20Report%20Recommendations%20Final.pdf.

xxx ]See HCJ 466/07, MK Zahava Galon v. The Attorney General, et al. (petition dismissed 11 January 2012).

xxxi Ben White, “Human rights equated with national suicide”, Aljazeera (12 January 2012) at: http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2012/01/20121121785669583.html.

xxxii Ibid

xxxiii George Raphael Tamarin v State of Israel 1972.

xxxiv Ambica Bathia, “Israel’s Discriminatory Laws”, BADIL Bulletin No. 26 (September 2012).

xxxv See among others, OHCHR, “APPLYING A HUMAN RIGHTS-BASED APPROACH TO CLIMATE CHANGE NEGOTIATIONS, POLICIES AND MEASURES” (2007), available at: http://www.ohchr.org/Documents/Issues/ClimateChange/InfoNoteHRBA.pdf  

Fonte: BADIL Resource Center

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Stephen Lendman Weblog
Oct 13, 2013

Palestinians’ Right to Resist
by Stephen Lendman

The Universal Declaration of Human Rights states “(e)veryone has the right to life, liberty and security of person.” No one has the right to deny them.

Resisting lawless occupation is universally recognized. Palestinians may use “all necessary means at their disposal” to do so. More on that below.

Consider daily life. Longstanding militarized occupation is ruthless. It’s criminal. It’s unrelenting. It’s suffocating. It’s vicious. It denies Palestinians fundamental human and civil rights.

Collective punishment is policy. So is economic strangulation. Free expression, assembly and movement are denied.

State terror, closed borders, isolation, land theft, settlement expansions, exploitation, targeted killings, abductions, political imprisonments, roadblocks, checkpoints, separation walls, other barriers, curfews, and never ending fear reflect daily life.

International law is clear and unequivocal. Self-determination is inviolable. It’s universally recognized.

Article 1 of the International Covenant on Civil and Political Rights states:

“All peoples have the right of self-determination.”

“By virtue of that right they freely determine their political status and freely pursue their economic, social and cultural development.”

“All peoples may, for their own ends, freely dispose of their natural wealth and resources without prejudice to any obligations arising out of international economic co-operation, based upon the principle of mutual benefit, and international law. In no case may a people be deprived of its own means of subsistence.”

“The States Parties to the present Covenant, including those having responsibility for the administration of Non-Self-Governing and Trust Territories, shall promote the realization of the right of self-determination, and shall respect that right, in conformity with the provisions of the Charter of the United Nations.”

Article 1 of the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights repeats the same language.

General Assembly Resolution A/RES/33/24 (November 1978):

“Reaffirms the legitimacy of the struggle of peoples for independence, territorial integrity, national unity and liberation from colonial and foreign domination and foreign occupation by all available means, particularly armed struggle.”

General Assembly Resolution A/RES/3246 (XXIX) (November 1974):

“Reaffirms the legitimacy of the peoples’ struggle for liberation form colonial and foreign domination and alien subjugation by all available means, including armed struggle.”

“Strongly condemns all Governments which do not recognize the right to self-determination and independence of peoples under colonial and foreign domination and alien subjugation, notably the peoples of Africa and the Palestinian people.”

General Assembly Resolution 2649 (1970):

“Affirms the legitimacy of the struggle of peoples under colonial and alien domination recognized as being entitled to the right of self-determination to restore to themselves that right by any means at their disposal.”

According to Princeton University Liechtenstein Institute on Self-Determination director Wolfgang Danspeckgruber:

“No other concept is as powerful, visceral, emotional, unruly, or as steep in creating aspirations and hopes for self-determination.”

The 1960 General Assembly decolonization resolution states:

“The subjection of peoples to alien subjugation, domination and exploitation constitutes a denial of fundamental human rights, is contrary to the Charter of the United Nations and is an impediment to the promotion of world peace and co-operation.”

“All peoples have the right to self-determination; by virtue of that right they freely determine their political status and freely pursue their economic, social and cultural development.”

“Immediate steps shall be taken, in Trust and Non-Self-Governing Territories or all other territories which have not yet attained independence, to transfer all powers to the peoples of those territories, without any conditions or reservations, in accordance with their freely expressed will and desire, without any distinction as to race, creed or colour, in order to enable them to enjoy complete independence and freedom.”

“All States shall observe faithfully and strictly the provisions of the Charter of the United Nations, the Universal Declaration of Human Rights and the present Declaration on the basis of equality, non-interference in the internal affairs of all States, and respect for the sovereign rights of all peoples and their territorial integrity.”

General Assembly Resolution 181 called for an Independent Arab state by October 1, 1948.

It asked “all Governments and peoples to refrain from taking any action which might hamper or delay the carrying out of these recommendations.”

It called for the Security Council to be empowered with “the necessary measures as provided for in the plan for its implementation.”

In the late 1980s, Francis Boyle drafted Palestine’s declaration of independence.

On November 15, 1988, the Palestine National Council (PNC) adopted his Memorandum of Law. It “proclaimed the existence of the new independent state of Palestine.”

It legally qualifies. Its territory is determinable. Its borders are negotiable. Palestine existed for millennia.

It has a fixed population, a functioning government, and capacity to have normalized relations with other states.

Over 140 nations recognize its legitimacy. Militarized occupation denies it. Resisting it is universally recognized. According to Boyle:

“Palestinians have a perfect right under international law to resist an illegal, colonial, genocidal, criminal, military occupation regime of their lands and of their homes and of their People that goes back to 1948 so long as it is done in a manner consistent with the requirements of international humanitarian law.”

UN Charter Article 51 affirms “the inherent right of individual or collective self-defense” against armed attack.

Israel attacks Palestinian civilians repeatedly. Daily examples explain. On Friday, Israel assaulted nonviolent protesters in five West Bank villages.

Bil’in, Nabi Saleh, Kufer Qadum, and Al Ma’ssare were affected. Seven Palestinians were arrested. Dozens were injured.

Four international supporters and three local activists were detained. So were media crews.

Israeli forces used live fire, rubber bullets and tear gas. They did so against nonviolent civilians. Resisters were beaten with rifle butts.

During the week ending October 9, Israel conducted 51 incursions into Palestinian communities. Around three dozen adults were arrested. So were six children.

Seven Palestinians were injured. Hazem al-Syouri was one of many affected. His experience reflects daily life in Palestine.

“I live with my mother and brothers in a 5-story building in the centre of the Old Town in Hebron,” he said.

At around midnight October 3, he awoke to knocks on his front door. Soldiers raided his apartment. They deployed there.

They climbed stairs to “other apartments belonging to (his) mother and brothers.”

They were yelling. They ordered al-Syouri out. They raided the whole building.

His mother, brothers and children were sleeping. They ordered them out. They ransacked the building for hours.

“We heard the sounds of smashing glass and destroying doors. Children were crying all the time.”

“When I tried to talk to the Israeli soldiers to allow me in, a soldier pushed me away…Israeli soldiers ordered women and children to get inside to be personally searched with the metal detector.”

Seventeen month-old Joud was stripped naked. Al-Syouri’s mother fainted. His two brothers were handcuffed.

Soldiers “destroyed the doors and electric appliances, damaged the furniture and closets, mixed the foodstuffs in the kitchen together and took off some of the building bricks on the roof.”

“The damage caused to my brothers’ apartments and mine are above NIS 100,000 (about $25,000).“

Similar incidents occur daily throughout occupied Palestine. Settlers attack Palestinians freely.

Yesh Din is a volunteer human rights organization. It works on behalf of Palestinian civilians.

They face daily “acts of violence committed by Israeli” settlers. They’re “not isolated incidents.” They reflect “hate and anger.”

They’re “part of a sophisticated, wider strategy designed to assert territorial domination.”

Doing so violates international law. Israel is obligated to ensure security and safety. It instigates state terror instead.

Since 1967, Israeli security forces and settlers destroyed over 800,000 Palestinian olive trees. It’s the equivalent of razing New York’s Central Park 33 times over.

Resisting tyranny is a universal right. Hamas Political Bureau head Khaled Mashal called for doing so.

Palestinians “need to take a clear stance,” he said. “(I)t is essential to keep the resistance strong.”

Liberation depends on it. “All factions must agree on a unified strategy and a unified goal.”

UN Special Rapporteur for Palestinian human rights Richard Falk calls resisting occupation “a legally protected right.” It bears repeating. Liberation depends on it.

Stephen Lendman lives in Chicago. He can be reached at lendmanstephen@sbcglobal.net.

His new book is titled “Banker Occupation: Waging Financial War on Humanity.”

http://www.claritypress.com/LendmanII.html

Visit his blog site at sjlendman.blogspot.com.

Listen to cutting-edge discussions with distinguished guests on the Progressive Radio News Hour on the Progressive Radio Network.

It airs Fridays at 10AM US Central time and Saturdays and Sundays at noon. All programs are archived for easy listening.

http://www.progressiveradionetwork.com/the-progressive-news-hour

http://www.dailycensored.com/palestinians-right-resist/

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Originale: Almanar News
http://znetitaly.altervista.org
28 dicembre 2013

Spartizione della Palestina: perdita della Palestina
Eslam al-Rihan intervista Norman Finkelstein
Traduzione di Maria Chiara Starace

Il 29 novembre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unitela adottato la Risoluzione 181 raccomandando l’attuazione del Piano di spartizione della Palestina.

Il Piano era definito come Piano di spartizione con unione economica che, dopo il termine del Mandato Britannico sulla nazione araba, avrebbe portato alla creazione di due stati indipendenti, uno arabo e l’altro ebraico con un Ordine speciale internazionale per la Città di al-Quds (città santa, in arabo, cioè Gerusalemme, n.d.t.)

Il Piano cercava di occuparsi degli obiettivi contrastanti di quelli che esso considerava ‘due movimenti in concorrenza’, cioè il nazionalismo arabo e il nazionalismo ebraico, largamente noto come Sionismo. La I Parte del Piano comprendeva disposizioni riguardanti il termine del Mandato, la Spartizione e l’Indipendenza, mentre la II Parte comprendeva una descrizione dettagliata dei confini proposti per ogni stato. Il Piano chiedeva  anche un’Unione Economica tra gli stati proposti e  la protezione religiosa e i diritti delle minoranze.

Immediatamente dopo aver adottato la Risoluzione – accettata dall’Agenzia ebraica a nome della Comunità ebraica, ma rifiutata dai governi arabi di quel epoca – è scoppiata la guerra civile nella Palestina mandataria e il piano di spartizione non è stato attuato.

In seguito a 40 anni di conflitto continuo, la Dichiarazione di Indipendenza della Palestina del 15 novembre 1988, è stata interpretata come sostegno per una soluzione dei due stati, per rafforzare il Piano di spartizione  dell’ONU del 1947 e per le “risoluzioni dell’ONU dal 1947″ in generale.

Molti palestinesi e israeliani, così come la Lega Araba, hanno dichiarato che avrebbero accettato una soluzione con due stati basata sui Patti di Armistizio  del 1949, a cui si fa più comunemente riferimento come “i confini del 1967″. E in un sondaggio del 2002 condotto dal Programma Americano sugli atteggiamenti politici (PIPA – Program on International Policy Attitudes), il 72%  sia dei Palestinesi che degli Israeliani appoggiavano allora un accordo di pace basato sui confini del 1967, a patto che ogni gruppo potesse essere rassicurato che l’altra parte avrebbe collaborato a fare le concessioni necessarie per tale accordo.

Conferenze di diverso tipo si sono tenute per negoziare la soluzione dei due stati, quella più importante è stata quella degli Accordi di Oslo, che ha ufficialmente diviso la terra Palestinese in tre divisioni amministrative e ha creato la struttura riguardo a quanto dei confini politici dell’entità sionista con i Territori palestinesi funziona oggi, per non parlare del Vertice di Camp David nel 2000 e dei  successivi negoziati a Taba nel gennaio del 2001. Tuttavia non è stato mai raggiunto alcun accordo finale mentre accadevano massacri sionisti contro il popolo palestinese non armato.

Per ricordare il 66° anniversario della Risoluzione 181, il sito web Al-Manar ha intervistato l’autore ebreo-americano, storico e politologo Norman Finkelstein, per evidenziare gli sviluppi più significativi riguardanti la soluzione dei due stati ed il futuro della causa palestinese:

Al-Manar Website:  Lei pensa che “Israele” sarà in grado di far sì che tutto il mondo lo riconosca come uno stato ebraico?       

Dottor Finkelstein:  In questo momento l’obiettivo principale di Israele è di consolidare a livello politico i risultati che ha raggiunto fin da quando è stato firmato l’accordo di Oslo del 1993. Praticamente questo significa che vuole annettersi i più importanti blocchi di insediamenti che costituiscono circa il 10% della Cisgiordania, lungo il percorso del Muro che ha costruito. Vuole anche liquidare la questione dei profughi. I palestinesi non sono mai stati più deboli politicamente.  Nella regione non hanno alleati, e internamente non hanno né una dirigenza, né resistenza popolare. E’ molto probabile che Israele riuscirà a imporre una sconfitta storica ai palestinesi tramite gli attuali negoziati del Segretario di Stato americano John Kerry.

Al-Manar Website: La soluzione con due stati può funzionare ed è fattibile?

Dottor Finkelstein: La comunità internazionale ha chiesto una risoluzione del conflitto israelo-palestinese sulla base dei due stati e lungo il confine del 1967 e una soluzione “giusta” della questione dei rifugiati palestinesi. A giudicare dai voti annuali all’Assemblea Generale dell’ONU tutto il mondo appoggia questa formula, tranne gli Stati Uniti, Israele una manciata di isole del Sud Pacifico. Questa non è una questione filosofica o neanche morale. E’ una questione strettamente politica, sebbene sia anche appoggiata con la forza della legge internazionale. Non vedo alcuna base politica per qualsiasi soluzione del conflitto, perché nessun altra soluzione ha un appoggio politico importante nel mondo.

Al-Manar Website: Come valuta la sicurezza di Israele dopo tutto quello che è successo e succede ora nella regione?

Dottor Finkelstein: Non c’è dubbio che l’esistenza politica di Israele per il prossimo futuro sia sicura. E’ florida economicamente e non deve affrontare minacce militari  importanti. E’ inutile fare proiezioni per il futuro. Ho vissuto abbastanza a lungo per vedere la caduta dell’Unione Sovietica, la fine dell’Apartheid, e un uomo di colore eletto presidente negli Stati Uniti. Il futuro è pieno di sorprese, è soprattutto imprevedibile.

Al-Manar Website: A livello personale a che punto è arrivata il continuo scontro tra lei e la lobby sionista?

Dottor Finkelstein: Negli scorsi 7 anni sono stato disoccupato. Non è stato facile, ma compirò 60  anni tra un paio di settimane. Questo significa che ho vissuto molto di più della media delle persone in Africa. Ho anche un tetto sulla testa, cibo sulla tavola, e vestiti che mi coprono. Considero quindi i lati positivi della mia vita. Continuo a leggere, a pensare, e di quando in quando a scrivere. Continuo anche a fare la mia piccola parte per rendere  il mondo un luogo migliore.


Norman G. Finkelstein ha conseguito il dottorato nel 1988 dal Dipartimento di Scienze Politiche     dell’Università di Princeton, negli Stati Uniti. Per anni ha insegnato Teoria Politica, e il Conflitto sionista-palestinese. E’ un esperto di attualità americane e israeliane. Attualmente scrive e fa conferenze.


http://it.wikipedia.org/wiki/Norman_G._Finkelstein

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte:http://www.zcommunications.org/partition-of-palestine-loss-of-palestine-by-norman-finkelstein

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