Una favola per tutti che racconta, attraverso un testo semplice ma puntuale e a delle immagini che rimandano ad un certo Popper, un determinato momento storico che supera la storia e diviene universale. Un monito per tutti noi a non dimenticare, anche quando i problemi che incombono troppo spesso ci fanno chiudere gli occhi.

In neanche quaranta pagine c’è un qualcosa, un’atmosfera forse, che colpisce allo stomaco come soltanto le cose preziose sanno fare. L’America del presente si scontra con quella del passato grazie al metodo più antico, quella della narrazione orale transgenerazionale.

Il nonno parla ad un nipote che a sua volta non capisce l’importanza del messaggio che sta ascoltando: il teorema de Il vecchio e il bambino, splendidamente tradotto in musica da Francesco Guccini, qui ci conduce per mano, in modalità diverse ma con gli stessi strumenti narrativi, attraverso la storia d’America che poi, volenti o nolenti, è anche la storia dell’Occidente, soprattutto nell’ultimo secolo.

L’autobus, un vecchio trabiccolo degli anni sessanta, diventa simbolo della segregazione razziale, dell’odio incondizionato ma anche, e soprattutto, del coraggio. Il coraggio di una donna, Rosa, che non vuole lasciare il posto ad un bianco. Il coraggio di chi non ha paura delle conseguenze. Il coraggio che sconfigge anche la paura dei giusti ma incapaci di reagire.

Bellissimo, a mio avviso, l’ultimo passaggio: il vecchio che legge sul giornale dell’elezione di Barack Obama, l’ultimo tassello delle conquiste degli ultimi quaranta anni, una notizia capace di far dimenticare in un colpo gli odi del secolo passato, gli incubi (vedi il passaggio degli incappucciati), le ingiustizie.

In un periodo di crisi economica e sociale come questo, in cui si cerca di trovare per forza dei capri espiatori è giusto, al di là dei meriti o demeriti dell’uomo politico, ricordare quanto la sua elezione abbia emozionato milioni di persone e offerto una spinta incredibile per chi crede, nonostante tutto, in un mondo migliore.

http://www.unita.it
17 ottobre 2011

La magia di Rosa Parks
che disse "no" sull'autobus
di Chiara Valerio

Hanno arrestato una nostra donna, su un autobus, perché non ha voluto cedere il posto. Noiallora, per protesta, non prendiamo l’autobus. Intesi?». Nelle fa- vole non sempre ci sono folletti, fate, animali parlanti e spade nella roccia, in certe favole c’è solo una donna, gracile e con gli occhiali, che senza alzare, non dico un dito, ma nemmeno un sopracciglio, riesce a fare avverare il desiderio che tutti abbiano almeno per un attimo le medesime possibilità e che poi vedano che farci. Nelle favole non sempre qualcuno fa qualcosa, può succedere pure che qualcuno non faccia qualcosa e che la magia si compia comunque.

Così succede ne L’autobus di Rosa (orecchio acerbo, 2011) di Fabrizio Silei e A. C. Querello che racconta la storia di Rosa, una don- na nera, minuta e con gli occhiali che, nell’Alabama del 1955, mentre la segregazione razziale arriva fino alle seggiole degli autobus, si rifiuta di cedere il posto a un bianco e viene incarcerata. Ma Rosa è quieta, Rosa sorride, Rosa non sa che, dal giorno dopo, nessun nero prenderà piúunautobus per protesta, mettendo così in crisi l’economia dei trasporti pubblici dell’Alabama e costringendo la Corte Suprema ad accelerare una decisione. «Signora! È ancora in tempo, si alzi! Le disse, quasi supplicandola. Lei, quieta, lo guardò, gli sorrise e scosse la testa. Poi l’autista tornò con due poliziotti, la presero di forza e l’alzarono di peso dal sedile. Lei rimase immobile e si lasciò trasportare fino all’auto come una regina sul suo baldacchino. Le misero le manette come a una delinquente e io non feci nulla, niente di niente».

La storia viene raccontata da un uomo che il primo dicembre 1955 è sull’autobus con Rosa ma che non muove un muscolo, né per difenderla né per dissuaderla e al quale l’unica cosa che è rimasta da fare per correggere l’errore di paura è raccontare perché non succe- da ancora. L’uomo è un nonno che porta il nipote in gita in un museo. Così comincia. Una giornata qualsiasi. Invece vuole raccontare al ni- pote che non bisogna mai abbassare lo sguardo di fronte ai soprusi, che non bisogna avere paura, che, anche quando sembra impossibi- le, l’unione è la forza, e che trattare il prossimo come sé stesso è la magia che ha fatto Rosa quella sera sull’autobus. Ha trattato un bianco come un nero, un nero come un bianco, e ha dimostrato, con l’aiuto di tutti, che una persona come una persona senza agget- tivazioni sul colore della pelle, e che sull’autobus le uniche regole che valgono sono quelle della cavalleria, della gentilezza, dell’edu- cazione. «Nel 1955 avevo 26 anni, e vivevo a Montgomery, in Alabama. Non avevo studiato granché, ma sapevo leggere e scrivere. Allora nonc’erano classi di bambini di tutti i colori come la tua. I neri aveva- no la loro scuola, i loro locali, i loro bagni pubblici, la loro vita. (…) Sulla porta di molti locali era appeso un cartello con sopra scritto WHITES ONLY, solo per i bianchi, vietato ai neri insomma».

Manelle pagine curate, colorate e bellissime de L’autobus di rosa, non c’è solo il piccolo gesto di una donna che diventa una grande ri- voluzione per una intera popolazione, c’è tutta la storia dei neri d’America negli anni Cinquanta, le violenze del Ku Klux Klan, i primi passi del reverendo Martin Luther King, e che prosegue, fino a noi, con l’elezione di Obama.

Tutto anche per Rosa e il suo No sull’autobus. Con i disegni che ricordano Hopper ma che sono più assolati e, per le tavole degli anni Cinquanta anche più spavaldi e do- lenti, con Rosa che a un certo punto, in una immagine, ha gli occhi intensi, sereni e intelligenti di Simone Weil, Fabrizio Silei e A. C. Querello ci raccontano la storia della possibilità che viene data a tutti di scegliere, come tutti, e alla quale bisogna essere preparati, perché nessuno sa sotto quale forma si presenterà il futuro. L’autobus di Rosa ci dice che il futuro è sempre intatto e spesso ci si arriva con i mezzi pubblici, insieme agli altri. «quello dove sei seduto tu è il posto che occu- pava Rosa quel giorno. Questo dove sono seduto io era il mio. Il posto che cedetti per paura, per non saper dire No». Perché una storia abbia un lieto fine non ci vogliono fate, folletti, armi magiche ma solo qualcuno che abbia coraggio per tutti. Almeno uno.