Hanno messo a ferro e a fuoco Roma, hanno incendiato i boschi della Val di Susa, hanno saccheggiato Londra, dieci anni fa hanno devastato Genova, Praga, Seattle.
Hanno un nome, ma non un volto. Le loro azioni sono note, ma non il perché le compiono. I black bloc sono temuti, odiati, talvolta idolatrati, ma nessuno li conosce veramente. Di loro si dice che sono anarchici, che sono poliziotti infiltrati, che sono pagati da chi vuole sabotare le manifestazioni e i movimenti di protesta, che sono fascisti camuffati, che sono semplici sbandati carichi d’odio e con la voglia di annichilire il mondo che li circonda.
Black bloc è un’inchiesta che ha la pretesa di svelare i segreti del blocco nero, un viaggio attraverso la più segreta tra le formazioni politiche e sociali. Un racconto, talora scioccante, narrato dagli stessi protagonisti, da chi li ha conosciuti e da chi ha indagato su di loro, inseguendoli per molti anni, in Italia e all’estero. Un argomento di grande attualità, in un momento in cui tutte le contestazioni popolari vengono percepite come il risultato di un disegno sovversivo, a volte violento e quindi - per riflesso - guidato dai soliti “neri”, ma che in realtà con loro non hanno niente a che fare. E’ solo il classico modus operandi che cerca a tutti i costi un colpevole piuttosto che fare autocritica. Il solito brutto vizio di chi detiente il potere. 

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Scritto il 30/3/12

Strana violenza: se il potere ha paura, scatena i black bloc

Un mondo diverso è possibile? In teoria, sì. Ma appena la svolta si avvicina, ecco che arrivano loro: sfasciano tutto, devastano città, terrorizzano manifestanti e adesso scatenano anche la guerriglia con la polizia, dando al governo di turno il pretesto perfetto per seppellire sotto la repressione qualsiasi domanda di cambiamento. Loro sono i neri, gli incappucciati: da più di dieci anni, puntualissimi guastatori di qualsiasi “primavera” civile. Sono i migliori alleati del potere che dichiarano di voler combattere, dice senza esitazioni Franco Fracassi, che dopo il saggio “G8 Gate” sulla catastrofe genovese del 2001 ha dedicato ai black bloc un accurato studio monografico. Il libro prova a far luce sull’origine del più ambiguo fenomeno degli ultimi anni, regolarmente in campo ad inquinare qualsiasi pacifica contestazione sociale: molti di loro sono ragazzi ingenui, alcuni di estrema destra, manovrati però da un’abile regia.

Alzare il livello dello scontro: formula sinistra, che ricorda gli “anni di piombo”. E’ la strategia invariabile del “blocco nero”, che secondo il generale Fabio Mini, già a capo delle forze occidentali in Kosovo, pratica alla perfezione la tattica dello “swarming”, lo sciame: è il mordi e fuggi pianificato dalla Nato per le formazioni clandestine come Gladio e Stay Behind. Teoria e pratica del sabotaggio perfetto: piccoli nuclei organizzatissimi, mimetizzati all’interno del corteo pacifico, fulminei nel colpire all’improvviso e pronti a scomparire subito dopo, prima dell’intervento della polizia. Profilo paramilitare, affidato a gruppi scelti. Pochi “combattenti”, ciascuno con compiti precisi: chi raccoglie sul posto sassi e spranghe, chi scaglia pietre e sfonda vetrine, chi vigila sulla sicurezza del team coprendogli le spalle. In caso di emergenza, c’è sempre una via di fuga libera. Da Genova in poi, i gruppi vengono continuamente smistati nel dedalo dei vicoli grazie a misteriose “guide”, in contatto telefonico con “qualcuno” che conosce alla perfezione la città e, probabilmente, anche i movimenti dei reparti antisommossa.   

«Non siamo violenti, non abbiamo mai attaccato persone», protestano i “veterani” del blocco nero intervistati da Fracassi in Francia, negli Usa, in Germania. «Non è violenza distruggere i simboli del capitalismo selvaggio, dello sfruttamento, della globalizzazione». Negozi, bancomat, auto di lusso. Emerge il codice d’ingaggio dei primi black bloc: mai girare armati, meglio trasformare in armi improvvisate semplici oggetti di uso comune trovati sul posto, come pietre, cassonetti da incendiare, cartelli stradali e tubi d’acciaio reperibili nei cantieri edili lungo il percorso del corteo. L’importante è restare imprevedibili e inafferrabili, visibili solo nel breve momento dell’azione grazie al mascheramento inconfondibile e alla “divisa” nera. E’ il colore dei “cattivi”, dicono gli analisi consultati da Fracassi: il colore perfetto per raggiungere l’opinione pubblica e, attraverso i media, lanciare un messaggio chiarissimo: le manifestazioni sono pericolose, meglio restare a casa. «Non importa se il 99% del corteo è pacifico: la violenza dell’1% oscura mediaticamente le sacrosante ragioni della stragrande maggioranza. E non importa neppure se poi, l’indomani, qualche giornalista riuscirà a rimostrare che i “neri” erano addirittura protetti da infiltrati dell’intelligence o della polizia: ormai il danno è fatto, l’obiettivo è raggiunto».

Wayne Madsen, ex agente dell’Nsa – il servizio di intelligence più potente del mondo, quello che “ascolta” ogni tipo di comunicazione per conto della Cia – sostiene che la realtà è di una banalità sconfortante: «Nel 2001, il sistema di potere americano aveva più paura dei no-global che di Al Qaeda». Madsen non parla solo del clan Bush, giunto a coprire la verità sull’11 Settembre e ad invadere l’Iraq col pretesto delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam: lo 007 “pentito” accusa direttamente le grandi corporation multinazionali e i santuari della finanza mondiale, che attraverso le fondazioni foraggiano direttamente ampi settori della Cia per elaborare strategie anti-popolari. «Quella gente ha una paura matta di chi osa contestare il sistema globalizzato, e ricorre a qualsiasi mezzo pur di screditare i manifestanti: dopo Seattle e Praga, Genova è stato l’atto finale di quella “guerra sporca” condotta contro i no-global». Dopo dieci anni di silenzio, il 15 ottobre 2011, la protesta si è risvegliata contro Wall Street: e la imponente manifestazione di Roma è stata puntualmente devastata dai “neri”, provvidenziali salvatori del potere impaurito dalla contestazione civile.

«Chi organizza le manifestazioni dovrebbe ringraziarci», dice una ragazza del centro sociale “Gramigna” di Padova che, dietro la garanzia dell’anonimato, professa la sua militanza nel “blocco nero”: «Senza il nostro aiuto, la notizia della protesta finirebbe a pagina 25 di qualsiasi quotidiano». La pensavano così anche i commandos che il 3 luglio si sono infiltrati tra i No-Tav a “combattere” contro la polizia. Fracassi li ha intervistati: vivono in Francia, a pochi chilometri dalla valle di Susa, e conducono una regolare vita professionale e familiare. Poi, al momento giusto, indossano la maglietta nera, il casco e la mascherina. «Ci sono molte più persone dalla nostra parte di quante possano immaginare coloro che ci attaccano», dice ancora la ragazza di Padova, pensando agli scontri di Roma: «La cosa pazzesca è che molti di coloro che ci applaudono, o che addirittura ci aiutano in piazza, davanti ai media ci accusano di essere violenti, di aver sbagliato tutto, di essere dei vigliacchi: i vigliacchi sono loro, sono dei violenti e si nascondono dietro un pacifismo di maniera».

Parole che rivelano un radicale cambiamento in atto, figlio della disperazione indotta dalla nuova crisi finanziaria e dalla paura del futuro: non è più vero che i black bloc si astengano dalla violenze sulle persone, dopo le devastazioni di Londra nell’estate 2011 e la comparsa di cartelli-fantasma come Acab, secondo cui “All cops are bastards”. Dettaglio illuminante: alla vigilia degli scontri, il governo Cameron era letteralmente terrorizzato dalle dimensioni inaudite della mobilitazione di massa contro gli storici tagli al welfare, con la capitale britannica completamente invasa da centinaia di migliaia di manifestanti. Poi, come al solito, sono arrivati loro, i neri: hanno anche attaccato la polizia, scatenando la guerriglia che ha messo in fuga la folla oceanica degli inglesi. Ora il “cuore di tenebra” del blocco nero è la Grecia, martirizzata dalla “cura” imposta dai boss della finanza mondiale che dominano l’Unione Europea. E nel quartiere Exarchia di Atene raccontano che diversi poliziotti travestiti da black bloc sono stati visti attaccare in modo violentissimo alcuni loro colleghi in assetto antisommossa.

(Il libro: Franco Fracassi, “Black bloc. Viaggio nel pianeta nero”, Alpine Studio editore, collana “A voce alta”; 143 pagine, 11 euro).