Quando si parla di pace, e anche di nonviolenza, ci si ferma sovente solo agli aspetti teorici generali, di principio, morali. Tutte cose importanti, ma insufficienti. Da tempo, tuttavia, e possiamo risalire sino a Gandhi, c’è chi elabora e sperimenta modalità concrete per prevenire, intervenire e riconciliare là dove i conflitti rischiano di degenerare, o sono già degenerati, in guerre e violenze. E’ quanto stanno facendo, da anni, sia l’IPRI-Rete dei Corpi Civili di Pace (CCP), su scala italiana sia, più in generale, le Nonviolent Peace Force su scala internazionale.

Questo ottimo lavoro di Gianmarco Pisa, ha il pregio di sintetizzare con incisività e chiarezza le linee guida generali, teoriche e pratiche, che contraddistinguono l’azione dei CCP. E’ inoltre un utilissimo ampliamento del fascicolo di Azione Nonviolenta del dicembre 2012 dedicato allo stesso tema.

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La nonviolenza, nella concezione di Gandhi, non è la negazione della violenza,ma il superamento della violenza, la ricerca, cioè, di un o strumento più valido per ottenere quei valori (pace, libertà, giustizia) che spesso si ritiene possano essere raggiunti solo con l’uso della forza armata.

L’azione per il dialogo e la riconciliazione punta alla sperimentazione di corpi nonviolenti di pace per il superamento di quei conflitti che la guerra non ha evidentemente affatto risolto.

 Alberto L’Abate

Se la catastrofe bellica e l’olocausto nucleare avevano rappresentato, con la fine della II Guerra Mondiale, il punto di non-ritorno dei piani di guerra dell’imperialismo delle potenze, aprendo la strada alle Nazioni Unite, alla Carta di San Francisco e alla messa al bando della guerra come “strumento ordinario” per dirimere i conflitti internazionali, varando infine, con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (10 Dicembre 1948), lo strumento più potente sin qui a disposizione per il lavoro di pace; la svolta neo-liberale e la nuova corsa agli armamenti, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, avrebbero rappresentato il punto di svolta, insieme con gli euro-missili e le guerre stellari, la fine dell’esperienza storica del socialismo reale e la disgregazione degli Stati multi-etnici. La caduta del Muro di Berlino (9 Novembre 1989) poteva simbolicamente ricollocare sulla scena il protagonismo delle masse popolari e delle rivendicazioni nonviolente, ma finiva per rappresentare viceversa la smentita più clamorosa delle speranze di protagonismo e di rinnovamento che si erano, intanto, consolidate nei cuori e nelle menti dei popoli d’Europa. Il tracollo dell’Unione Sovietica, la tragedia della Jugoslavia, la riscossa dei nazionalismi rappresentavano, al tempo stesso, la faccia feroce della globalizzazione capitalistica e la sfida decisiva per le forze nonviolente, chiamate a re-inventarsi e a ri-concepirsi. Nel suo appello «L’Europa muore o rinasce a Sarajevo» (25 Giugno 1995), Alex Langer elencava le idee-guida dell’elaborazione dei Corpi Civili di Pace: dal valore del diritto all’offerta dell’integrazione; dal sostegno ai costruttori di dialogo alla “prevenzione del conflitto”. Una sfida, in buona parte, ancora tutta innanzi a noi.

Il volume rappresenta il prodotto della ricerca-azione condotta nell’ambito del progetto per i “Corpi Civili di Pace in Kosovo”, prima sperimentazione promossa da un Ente Locale per la costruzione di Corpi di Pace in area di conflitto. Realizzato dagli “Operatori di Pace – Campania” in partenariato con la IPRI – Rete CCP e, in Kosovo, la Association for Peace Kosovo e il Community Building Mitrovica , in collaborazione con il dipartimento di filosofia della Università di Pristina, il progetto, sostenuto dal Comune di Napoli e tuttora in corso, si propone di formare e di attivare squadre locali per la gestione nonviolenta del conflitto, in primo luogo nella città divisa di Mitrovica, simbolo e cardine del post-conflitto kosovaro. Una proposta nonviolenta, in un conflitto apparentemente intrattabile, nel cuore dell’Europa.

Gianmarco Pisa, Corpi Civili di Pace in azione.
Prefazione di Alberto L’Abate
recensione di Nanni Salio

Quando si parla di pace, e anche di nonviolenza, ci si ferma sovente solo agli aspetti teorici generali, di principio, morali. Tutte cose importanti, ma insufficienti. Da tempo, tuttavia, e possiamo risalire sino a Gandhi, c’è chi elabora e sperimenta modalità concrete per prevenire, intervenire e riconciliare là dove i conflitti rischiano di degenerare, o sono già degenerati, in guerre e violenze.
E’ quanto stanno facendo, da anni, sia l’IPRI-Rete dei Corpi Civili di Pace (CCP), su scala italiana sia, più in generale, le Nonviolent Peace Force su scala internazionale.
Questo ottimo lavoro di Gianmarco Pisa, ha il pregio di sintetizzare con incisività e chiarezza le linee guida generali, teoriche e pratiche, che contraddistinguono l’azione dei CCP. E’ inoltre un utilissimo ampliamento del fascicolo di Azione Nonviolenta del dicembre 2012 dedicato allo stesso tema.
Come chiarisce Albero L’Abate nella prefazione, la filosofia dei CCP si fonda sulla nonviolenza attiva che secondo George Lakey, uno dei più noti e autorevoli formatori alla nonviolenza, con una grande esperienza diretta sul campo, “si caratterizza per tre forme di intervento: 1) il cambiamento sociale; 2) la difesa sociale; 3) l’intervento nonviolento attraverso le terze parti nei conflitti” (p. 12).
E’ a partire da questi presupposti, arricchiti dalle teorie e metodologie di “trasformazione nonviolenta dei conflitti”, da Johan Galtung a Paul Lederach, che il libro si articola offrendo le basi e gli indirizzi generali lungo i quali operano i CCP.
Il caso di studio e di intervento concreto è quello dei Balcani, con l’esperienza dei “Corpi Civili di Pace in Kosovo”, che continua tuttora dopo dieci anni dall’avvio e, pur nella grande complessità della situazione, è una concreta dimostrazione delle possibilità e dell’efficacia del peacebuilding nonviolento.
Ma allora, un po’ ingenuamente, possiamo chiederci: “perché le Nazioni Unite e l’UE non promuovono direttamente la costituzione di CCP su scala regionale e internazionale?”. La risposta è quanto mai semplice e lineare: la politica internazionale, soprattutto delle grandi potenze (ovvero USA e NATO) è orientata alla dominazione e alla costruzione di un sistema imperiale, che sebbene sia in crisi, continua ad assorbire somme ingentissime per creare insicurezza, morte e terrore attraverso il complesso militare-industriale-scientifico-corporativo-mediatico.
Per esercitare il dominio dell’1% sul resto del mondo è necessario, come ha detto con grande chiarezza la Margaret Albright, il “pugno duro”, il “martello” dello strumento militare. “Per ogni euro speso per la prevenzione della guerra, si spendono diecimila euro per fare la guerra” (p. 84). Sino a quando? La grande crisi sistemica globale sta mettendo in discussione i fondamenti di questa civiltà, come aveva preconizzato Gandhi un secolo fa. Per uscirne indenni occorre un lavoro sistematico su attori, strutture e culture attraverso la ricerca, l’educazione e l’azione per la pace e la nonviolenza.
E’ quanto stanno facendo i movimenti nonviolenti e in particolare i CCP, ma occorre unire le forze e costruire un “movimento dei movimenti” capace di raccogliere la miriade di esperienze in corso e tradurla in un’azione politica complessiva di cambiamento sociale.

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