Naomi Klein, autrice dei libri innovatori No Logo [pubblicato in Italia con lo stesso titolo] e The Shock Doctrine [pubblicato in italiano con il titolo: Shock Economy], ritorna con una nuova opera rivoluzionaria: This Changes Everything: Capitalism vs. The Climate [Questo cambia tutto: il capitalismo contrapposto al clima].

Il libro resetta il dibattito sul riscaldamento globale focalizzandosi sul modo in cui è collegato integralmente all’attuale sistema economico che si estende in tutto il globo.

Originale: Truthout
http://znetitaly.altervista.org
27 settembre 2014

Il capitalismo è stupido

di Naomi Klein
Traduzione di Maria Chiara Starace

Naomi Klein ha intenzione di cambiare i cuori e le menti riguardo al cambiamento del clima.
Il suo nuovo libro, This Changes Everything: Capitalism vs. The Climate, pubblicato ora da Simon&Schuster, è una vasta sfida a coloro che vogliono un pianeta vivibile: dobbiamo inventarci anche un sistema economico vivibile. Ricco di profonde ricerche e di resoconti personali, il terzo libro della Klein ci porta dalla sabbie bituminose dell’Alberta (“La terra scuoiata viva”) fino alle acque del Golfo del Messico impregnate di petrolio (“un fallimento”), dalle conferenze dove si nega il cambiamento del clima, a un incontro di aspiranti geoingegneri, mentre Naomi traccia la strada della distruzione che il capitalismo e una mentalità che definisce “estrattivismo” – cioè ancora più vecchia – hanno lasciato sulla Terra.
A un certo punto, ammette la Klein, forse sarebbe stato possibile fermare la crisi del clima con qualche regola qui, una tassa sul carbone là. Ma siamo andati troppo oltre per fare questo e nulla tranne un cambiamento totale del modo in cui gli esseri umani si relazionano con la Terra e tra di loro ci potrà ora salvare.
La buona notizia è che ha scritto un libro immensamente ottimista, un libro sulle persone che credono di poter fare un cambiamento e che lo stanno facendo sfidando un sistema politico ed economico che sembrerebbe destinarle al fallimento. Non descrive che cosa verrà dopo il capitalismo, lasciandolo ai movimenti sociali che dice stiano nascendo in tutto il mondo, ma ne delinea i contorni, facendoci sapere a che cosa si oppone questo nuovo movimento per la giustizia del clima – ma anche a che cosa è favorevole – e perora la causa di un ampio movimento di giustizia ridistributiva che comprenderebbe movimenti già esistenti a favore della giustizia razziale, del femminismo e della decolonizzazione.
Sarah Jaffe di Truthout ha raggiunto la Klein alla vigilia della Marcia del Popolo per il clima e del Vertice delle Nazioni Uniute per il clima, a New York, per parlare del perché il liberalismo non basta, del motivo per cui i miliardari non possono salvarci e di che cosa abbiamo bisogno di fare per salvare no stessi.
Sarah Jaffe per Truthout: Lei ha scritto altri due libri: No Logo e Shock Doctrine che hanno contribuito a dare un nome e a capire un particolare momento storico. In che modo questo libro è stato una conseguenza diretta della sua precedente opera e in che modo sono cambiate la sua visione del mondo da quando ha scritto quei due libri?
Naomi Klein: Da più punti di vista questo è una continuazione diretta di The Shock Doctrine, inh quanto quel libro inizia e finisce con l’Uragano Katrina e con uno sguardo al futuro in cui il nostro mondo diventa sempre più incline al disastro, con un clima e un’economia instabili, ed ogni scossa ci spinge sempre più a essere separati con la forza. E’ la visione del futuro che penso diamo così per scontata che continuiamo a ripetere la stessa visione in ogni film di fantascienza di tono apocalittico che viene prodotto. E’ un piccolo gruppo di vincitori e di orde di perdenti che vengono esclusi.
The Shock Doctrine parlava del peggio dell’umanità in crisi. Un sacco di gente mi ha chiesto, dopo che è stato pubblicato, se ci poteva essere una risposta progressista oppure no. Mi ricordo il primo evento che ho fatto per The Shock Doctrine, prima che uscisse, a New Orleans; Sake Soni, http://www.dissentmagazine.org/blog/belabored-podcast-50-the-future-of-work-with-saket-soni
un fantastico organizzatore [con la National Guestwork Alliance e con the New Orleans Workers’Center for Racial Justice), si è alzato e ha detto: “Va bene, loro hanno il capitalismo del disastro, noi abbiamo bisogno del collettivismo per il disastro!” Ho l’abitudine di citarlo sempre. Termino quel libro parlando di come ci sono precedenti progressisti per la crisi che sono momenti di enorme vittoria progressista e di fatto questo è il motivo per cui la destra ha imparato ad entrarci rapidamente prima che accadesse; questa è la Dottrina dello shock.
Tornando a No Logo, che si occupava di più di seguire l’ascesa della catena della produzione globale, parte di cui [in:Questo cambia tutto] dice di essere, sappiamo che stavano perlustrando il mondo alla ricerca della mano d’opera più economica possibile, e conosciamo l’effetto di questo. Penso che quello che era meno chiaro all’epoca è che ci fosse un rapporto diretto tra la mano d’opera a basso costo e l’energia sporca; infatti se si è una grossa azienda e tutto quello di cui ci si preoccupa è di tagliare i costi di produzione, questo soltanto interessa, sarà economico, la mano d’opera maltrattata che non ha la libertà di organizzarsi, e allora ci sarà il carbone, il più economico e sporco dei combustibili fossili.
Quindi l’esplosione della cosiddetta economia globale ha coinciso con un’esplosione di emissioni, e perché dovremmo essere sorpresi da questo, a posteriori? Penso però che quando combattevamo contro quegli accordi di libero commercio, molti di non capivano la dimensione del clima implicita in quella battaglia. E’ tutta una sola lunga storia.
SJ: In questo libro lei dice quello che non si presume dica la gente: che “aggiustare” il clima è incompatibile con il capitalismo. In particolare, lei fa notare i modi in cui il motivo del profitto si è dimostrato un fattore di corruzione, in alcuni casi per i gruppi verdi stessi, in altri casi per le promesse presumibilmente benefiche fatte dai super ricchi. Ci può parlare un poco del modo in cui il profitto non è stato e non sarà in grado di risolvere la crisi?
NK: C’è un capitolo nel libro sui motivi per cui i miliardari non ci salveranno, e il significato di quel capitolo è di non godere quando Michael Bloomberg e Richard Branson fanno degli errori. E’ come dire, va bene, diciamo che questi sono i miliardari più impegnati del pianeta. E diciamo che in vari momenti si sono spaventati moltissimo per il cambiamento del clima. Ma rinchiusi negli imperativi del loro modello, è possibile che Michael Bloomberg comprenda il rischio a medio termine dei combustibili fossili e che contemporaneamente appoggi resoconti come Risky Business** che si occupa di avvertimenti sui miliardi di dollari di costi che provoca un clima destabilizzato, ed è possibile che Michael Bloomberg, in quanto investitore, possa scegliere a brevissimo termine di spendere i suoi miliardi in petrolio e in gas, come in realtà fa.
C’era questa idea che si trattava soltanto di convincere le persone super ricche che questo era davvero un problema, e che realmente ci sarebbero dei costi in seguito e che nel lungo termine sarebbe meglio impedire che avvenga.
Il problema è che il capitalismo è stupido. Conoscete quella copertina della rivista Bloomberg Businessweek ,“E’ il riscaldamento globale, stupido,”, ebbene è il riscaldamento globale, ma il capitalismo è stupido perché in realtà non pensa. Cerca il massimo profitto a breve termine. Penso che la gente stia fraintendendo il fatto che ci sono miliardari là fuori che in realtà capiscono la portata del problema e realmente parlano molto ma fanno poco circa la bolla di anidride carbonica* e il rischio economico, perché hanno l’idea che non si trasformerà in azione. Diventa davvero pericoloso quando che anche l’ONU lo crede. Contino a ricevere comunicati stampa dall’ONU riguardo a come la parte migliore del vertice è che abbia una partecipazione senza precedenti di multinazionali e di amministratori delegati della Bank of America e di Walmart, McDonald’s e Amoco. E’ sempre la stessa idea che far sedere delle persone attorno a un tavolo con le giuste informazioni e i giusti incentivi al proprio posto, risolverà questa situazione dall’alto e non ci sarà bisogno di alcun attrito.
Penso che la vera differenza è che ora c’è un movimento all’esterno che dice no, che capisce che gli imperativi dell’industria dei combustibili fossili sono fondamentalmente incompatibili con un clima vivibile. Questo è lo scopo della ricerca del tracciato dell’anidride carbonica (http://www.carbontracker.org/) che ha dato il via al movimento per il disinvestimento dei combustibili fossili; infatti gli studenti guardano quei numeri e dicono: va bene: la mia università sta investendo in industrie che hanno fatto una scommessa contro il mio futuro. Si può discutere sul disinvestimento dai combustibili fossili come tattica, ma penso che sia importante comprendere con che cosa si è alle prese, e penso che ci sia molta più chiarezza nel movimento adesso di quanta ce ne sia stata da decenni.
SJ: Lei parla del contesto elitario del movimento ambientalista, la gente che di solito andava a caccia con Teddy Roosevelt per convincerlo a occuparsi di conservare qualcosa. Sembrava che spesso i gruppi verdi si dimenticassero delle persone e che si concentrassero sul salvare gli animali, la terra, e che, come lei osserva nel libro, prendono denaro da coloro che inquinano anche professando di combatterli. Lei pensa che questi problemi siano collegati?
NK: Sì, penso che il contesto dell’elite del movimento ambientalista non è un movimento sociale come quelli a cui normalmente si pensa. Non è un movimento di nuovi venuti, e in realtà non lo è mai stato, tranne nel caso del movimento per la giustizia ambientale, che fin dalla sua nascita ha avuto sempre un rapporto segnato da tensioni con le ONG verdi.
Penso che derivi da quelle prime battute di caccia per avere la British Petroleum nel consiglio di amministrazione. Il vero problema è che nelle prime fasi del capitalismo penso che fosse più facile conciliare la salvezza di un fiume o di una montagna con gli imperativi complessivi di espansione e di crescita, ma ora siamo a un punto dove non si tratta di questo, dobbiamo tagliare troppo e troppo in fretta.
L’altro reale momento decisivo, come dico nel libro, è stato ciò che è successo negli anni ’80. E’ stato Nixon a introdurre alcuni dei migliori regolamenti che partono dal vertice per arrivare alla base. In questo paese c’è una tradizione repubblicana di disciplinare coloro che inquinano. Quella tradizione, però, è scomparsa tanto tempo fa. Non vengono più imposte regole a nessuno, compresi gli inquinatori. Quello che è accaduto negli anni ’80 è che è diventato chiaro che allo scopo di tenersi stretti a quella condizione di affiliati questi gruppi verdi avevano necessità di cambiare. Alcuni gruppi hanno deciso di dimenticarla, “continueremo all’ esterno”, e ci sono state delle scissioni e si sono formati nuovi gruppi che erano più militanti. E altri gruppi si sono adeguati ai tempi.
Il Fondo per la difesa dell’ambiente http://www.edf.org/ è un esempio davvero interessante perché i suoi membri sono stati ispirati da Rachel Carson, http://en.wikipedia.org/wiki/Silent_Spring; è il gruppo che merita un enorme credito per il motivo che il DDT è stato proibito. Di solito il loro modello era il libro “Fate causa ai Bastardi,” ed è diventato, nelle parole di Eric Pooley, “Create il mercato per i Bastardi.” E’ il modello che continua fino ai nostri giorni ed è il modello che vedremo all’ONU questa settimana.
Grandi settori del movimento per l’ambiente hanno fatto sempre parte del gioco interno e quando l’interno è cambiato, ed è subentrato il neoliberalismo , il movimento è cambiato. Questo fatto lo ha lasciato non adeguatamente preparato ad affrontare una crisi come il cambiamento del clima. Abbiamo quindi sprecato un sacco di tempo con il commercio dell’anidride carbonica, e con la riduzione compensativa delle emissioni di anidride carbonica e pubblicizzando il gas naturale come combustibile che fa da ponte per il futuro, e fondamentalmente facendo qualsiasi cosa tranne che levare di mezzo i combustibili fossili.
SJ: C’è un movimento che cresce sempre di più per spingere le fondazioni e le università a disinvestire dai combustibili fossili, sebbene i critici abbiano sostenuto che questo non cambierà il comportamento delle compagnie dei combustibili fossili. Nel libro lei sostiene che il valore di questo movimento e parla anche della mossa di “reinvestire” il denaro in tecnologie più pulite. Ci può spiegare perché lei appoggia il movimento per il disinvestimento e che cosa succede con il reinvestimento?
NK: Una delle cose che è stata più notevole nella ripresa e nella comparsa di queste lotte anti-estrattive, in quelle contro l’oleodotto, è che un numero sempre crescente di persone stanno arrivando alla stessa conclusione: non possiamo soltanto dire di no, dobbiamo fornire alla gente delle reali alternative economiche. Potremo soltanto combattere contro le peggiori idee possibili, a meno che possiamo dimostrare alle persone che c’è realmente un altro modello economico che porterà loro impieghi e un miglior modo di vivere. Lo sento ripetutamente, lo vedo ripetutamente, dagli attivisti in prima linea che dicono: “Abbiamo bisogno di costruire un’alternativa economica proprio qui.” Le Comunità in Inghilterra che combattono la fratturazione idraulica hanno deciso di dare inizio alle loro cooperative per l’energia rinnovabile. Le comunità delle Prime Nazioni (cioè dei popoli aborigeni) in Canada dove stanno combattendo le sabbie bituminose, allo stesso tempo stanno dando inizio a progetti di energia rinnovabile perché le industrie estrattive proprio adesso sono le uniche che offrono posti di lavoro. E’ fondamentale che ci siano queste alternative se non vogliamo di continuo arrabattarci per ottenere qualcosa.
Il problema sono sempre i finanziamenti. Non c’è mancanza di grandi alternative in giro che siano basate sulla giustizia. Nel costruirle si rafforza anche l’opposizione ai combustibili fossili. Quello che sentiamo dalla comunità in prima linea è che questa è la cosa più importante per incoraggiare le comunità a reagire. Metto in evidenza una cosa come la Coalizione della Mesa Nera per l’acqua [in Arizona]: hanno fatto chiudere una centrale elettrica a carbone e stanno lottando con successo contro il carbone, ma ci sono del limiti a quanto possono ottenere, dicono, a meno che possano dimostrare che c’è un altro modo di portare risorse alle comunità. Hanno questa grandiosa proposta: avere un progetto di una struttura che genera energia solare da attuare sulla terra dei Navajo, una terra che di solito era una miniera di carbone e che ora è stata messa fuori uso. E’ un bel piano elegante. Questo è un tipo di iniziativa che è necessario finanziare, e non è finanziata dal governo.
Pensiamo quindi al capitale che proprio adesso è stato trasferito dai combustibili fossili: moltissime scuole stanno dicendo di no , ma alcune hanno detto di sì, moltissime città hanno detto di sì; un intero gruppo di fondazioni sono ora “a bordo”. Sono davvero eccitata per la prospettiva che quel capitale vada in investimenti per una giusta transizione; questo può realmente mostrare quanto è possibile e stimolante questa transizione.
Ma non possiamo confondere quello con la portata dell’azione. Ne abbiamo bisogno come quella che vediamo in Germania, dove si ha una tariffa nazionale di riacquisto che sta portando quel paese a velocità incredibile verso l’energia rinnovabile. Nel frattempo, fino a quando non ci arriviamo, abbiamo anche bisogno di esempi realmente buoni che questa funzioni.
SJ: Esistono così tante brillanti tecnologie per sfidare la crisi, lei osserva – proprio questa settimana abbiamo saputo che la città di Burlington, in Vermont, ricava da fonti rinnovabili tutta l’energia che gli serve. E tuttavia le persone si propongono di salvare la terra con la tecnologia sono più interessati a generi orripilanti di geoingegneria. Perché pensa che l’energia solare non sia abbastanza eccitante per loro?
NK: Penso che l’energia rinnovabile sia minacciosa esattamente perché si presta alla decentralizzazione. Non è che non si possano guadagnare soldi, ma è più adeguata a far ricavare più denaro a meno presone. Alcune persone hanno parlato dei combustibili fossili come di tecnologie dell’1%, o dell’1% dell’1% (cioè i più ricchi dell’1% più ricco, n.d.t.), perché appena si ha una tecnologia a base estrattiva – vi includerei anche il nucleare – la risorsa stessa è concentrata in specifiche ubicazioni; non è disponibile dovunque e ci vogliono un sacco di soldi per ricavarla; ci vogliono un sacco di soldi per raffinarla; ci vogliono un sacco di soldi per trasportarla. Questo significa che ci saranno soltanto pochi grossi protagonisti che ne ricaveranno grandi profitti.
Quindi non è che non si possano avere tutti i tipi di opportunità economiche in un’economia basata sulle energie rinnovabili. Sarà però un’economia più livellata perché ci sono così tanti protagonisti.
Questo è ciò che ha funzionato meglio in Germania, il moltiplicarsi di questi progetti su scala ridotta. Ci sono anche dei grossi progetti, ma ci sono anche 900 nuove cooperative per l’energia, centinaia di aziende per le energie rinnovabili su scala municipale che stanno venendo fuori. Non si tratta del fatto che si possa ricavare denaro da questo. Si tratta di sapere se alcune persone continueranno a ricavare gli stupidi soldi che è realmente la barriera al progresso. Penso che la risposta sia no, e che questo è il motivo per cui lottano con le unghie e con i denti per proteggere quel modello, e sono disposti a prendere in considerazione l’idea di offuscare il sole e di concimare i mari prima di considerare di installare i pannelli solari su scala di massa.
SJ: Il sottotitolo che ha scelto è: Capitalismo in opposizione al clima, ma lei in realtà va oltre il capitalismo e contesta tutta la mentalità di quello che chiama “estrattivismo.” Varie volte mi sono trovata a pensare che il libro trattava del “patriarcato opposto al clima” e di “colonialismo opposto al clima.” C’è un tema che ricorre nel libro quando parla della necessità di rivalutare il lavoro di assistenza, i lavori domestici che fanno le donne, cita anche il movimento per il Salario per i Lavori Domestici. Mi piacerebbe molto sentirla parlare di quale è il tipo di lavoro a cui dobbiamo dare importanza, che tipi di valori dobbiamo avere per creare un nuovo sistema che vada oltre il capitalismo.
NK: E’ una domanda importante. Va oltre – ecco perché parlo di estrattivismo come mentalità. Alcune persone ne parlano come di strumentalismo, il che vuol dire più o meno: “ Ti sottrarrò e ti tirerò fuori qualsiasi cosa potrò.” Ecco come ci rapportiamo l’un l’altro ed ecco come ci rapportiamo con la Terra. Non è una relazione di reciprocità, non è una relazione rigenerante. Dobbiamo in primo luogo arrivare al nocciolo di come siamo arrivati qui, quale era questa mentalità di intensa gerarchia tra la gente che presumibilmente aveva importanza e le persone che non erano importanti, tra i luoghi che presumibilmente erano importanti e luoghi che non erano importanti e che perciò potevano venire scarificati.
E’ importante capire lo scontro tra il tipo di crescita economica che abbiamo e i vincoli che ci offre la scienza dell’atmosfera. Non possiamo soltanto continuare a far crescere la nostra economia. Detto, questo, però ci sono parti della nostra economia con basse emissioni di anidride carbonica che vogliamo e possiamo espandere. Quello che non si può avere è una crescita stupida, così come non possiamo avere profitti stupidi. Quello che possiamo avere è una crescita più ponderata, e questo significa valorizzare il lavoro che attualmente non valorizziamo affatto.
Quando ci impegniamo a valorizzare il lavoro che ora sta venendo sminuito e trattato male, quello che iniziamo a fare è il creare altre opzioni economiche per le persone e per la comunità, e questo a sua volta rende meno probabile che le persone facciano quelle scelte impossibili che proprio ora si chiede di fare a molte comunità; se avere l’acqua o avere una miniera, o se avere una raffineria nel loro cortile.
Questo è il motivo per cui parlo anche del minimo salariale, dico che ci deve essere una rete di sicurezza sociale perché quando le persone non hanno delle opzioni, finiranno per fare delle brutte scelte. Cerchiamo di avere scelte migliori a disposizione.
SJ: Lei scrive della speranza che è sorta da quando ha iniziato a lavorare a questo libro, dei nuovi movimenti, della nuova attenzione. Quali altri segni di speranza ha visto da quando ha finito il libro?
NK: Sono eccitata per l’energia di questo momento in cui vedo un sacco di persone che si impegnano per il cambiamento del clima che so non lo erano appena un anno fa. E’ veramente eccitante vedere tante persone che erano impegnate in Occupy Wall Street impegnarsi ora nell’iniziativa Flood Wall Street [http://www.europaquotidiano.it/2014/09/23/clima-che-cose-il-movimento-dellonda-blu-di-floodwallstreet/]. Penso che queste connessioni sono fatte ora davvero in fretta da alcune persone realmente brave che hanno già dimostrato che possono cambiare il tipo di discussione
Dato che ho trascorso alcune settimane a parlare soprattutto con dei giornalisti riguardo al libro, molti dei quali lavorano per la stampa convenzionale e non sono statunitensi, penso che il momento in cui ci troviamo è un momento in cui dobbiamo fondamentalmente domandarci se crediamo nei movimenti sociali oppure no. E’ realmente straordinario, secondo me. Se qualcuno, cioè una persona progressista che ha esperienza di movimenti sociali e che crede in essi, legge il libro, mi dice che si sente motivata e ottimista ed eccitata. Ma un sacco di giornalisti liberali con cui ho parlato, mi dicono che hanno letto il libro e che li riempie soltanto di disperazione perché non credono nell’attivismo. Mi aspettavo che avrei avuto delle discussioni riguardo alla scienza; mi aspettavo che avrei avuto delle discussioni riguardo alla politica; in sostanza non ho avuto nessuna delle due. Discuto del fatto che ci sia oppure un motivo di avere una speranza oppure no. E’ duro doverlo fare tutto il giorno!
Penso che ci sia qualcosa nel cambiamento del clima che – me ne rendo sempre più conto da quando ho finito il libro – che realmente delinea la differenza tra i liberali e i radicali, tra i liberali e le persone di sinistra, nel senso che se si è realmente impegnati in quel tipo di ragionevole modello
Riformista centrista, il modello di cambiamento dall’alto verso il basso, e se siete anche disposti a guardare alla scienza, e di guardare, siate onesti, al tipo di economia in cui siamo, allora siete pieni di disperazione. Guardate a Ezra Klein che scrive circa i “7 motivi per cui l’America fallirà riguardo al cambiamento del clima.” Se credete che l’unico modo in cui cambia il mondo sia con un misto di specialisti della politica e di leader illuminati, allora sarete disperati perché guarderete gli interessi allineati a e radicati in una democrazia disfunzionale, e direte: “Siamo spacciati.”
Se, tuttavia credete che i movimenti sociali abbiano afferrato la ruota della storia prima e che lo potrebbero fare di nuovo, se avete visto di sfuggita questo nella vostra vita, cioè i momenti in cui sembra che ogni cosa stia cambiando, allora vuol dire che non avete ancora abbandonato quella speranza.
Non vedo l’ora di stare in giro per qualche giorno insieme agli attivisti!


Note

*http://it.wikipedia.org/wiki/Shock_economy


**http://riskybusiness.org/


***http://thinkprogress.org/climate/2012/11/01/1122241/bloomberg-businessweek-its-global-warming-stupid/


**** La bolla di anidride carbonica significa che nella valutazione di una società che fa parte del mercato azionario non si tiene conto dei costi reali dell’anidride carbonica nell’intensificazione del riscaldamento globale e neanche della bolla economica influenzata dalla valutazione dei beni basati sui combustibili fossili.” (Da: http://en.wikipedia.org/wiki/Carbon_bubble)


Sarah Jaffe è una giornalista indipendente che si occupa di lavoro, di giustizia sociale ed economica, e di politica per The Atlantic, The Guardian, In These Times, Truthout e per molte altre pubblicazioni. E’ una delle collaboratrici di Belabored, un podcast (un sito da cui è possibile scaricare le puntate di una trasmissione radiofonica) ospitato dalla rivista Dissent, e di frequente è ospite di altri programmi televisivi e radiofonici. Vive a Brooklyn con un cane adottato e troppi libri.