Un racconto forte, in cui gli elementi autobiografici si mescolano alle vicende siriane che l'A. - schierato dalla parte della rivoluzione - illumina dal di dentro, come può fare solo chi ha lunga consuetudine con un popolo. Ne nasce un'analisi alternativa a quelle spesso affrettate dei mass media, capace anche di prendere in conto le "ragioni" dei "terroristi".

Lotta per la libertà, e strumentalizzazioni di tale lotta; dialogo con i musulmani, e posizioni (differenziate) dei cristiani; negoziati falliti, e impotenza dell'Occidente; la determinazione dei giovani: tutti i grandi temi del dramma mediorientale trovano posto nella mente e nel cuore, nell'umana collera e nella luce della fede di padre Dall'Oglio.

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lunedì 7 ottobre 2013 18:32

Avete sequestrato un uomo, non le sue idee
di Riccardo Cristiano

Grazie alla casa editrice EMI ora è disponibile anche in italiano il libro scritto da padre Paolo Dall'Oglio poco prima del suo sequestro, "Collera e Luce".

Sappiamo chi lo ha catturato, dove e quando. Poco di più. Ma padre Paolo Dall'Oglio non ha smesso di parlare, né al mondo né a noi italiani. Infatti il suo ultimo libro è ora disponibile anche nella versione italiana, curata dalla casa editrice EMI, "Collera e Luce". Un libro che va letto e commentato, perché contiene idee importanti e serve conoscerle e commentandole si conferma a chiunque lo tenga prigioniero che sequestrato è l'uomo, non le sue idee. 

In queste ore deprimenti, nelle quali la comunità internazionale guidata da Stati Uniti e Russia dà attestati di buona condotta al signor Assad, Paolo Dall'Oglio si rivolge in apertura del suo libro a un giovane europeo, cioè a coloro che - traviati da una sapiente manipolazione degli avvenimenti- hanno voltato le spalle alla rivoluzione siriana. Lo hanno fatto, lo ha fatto il giovane interlocutore di padre Paolo, nell'inconsapevolezza di essere manipolato da un regime maestro nella manipolazione e da tanti fili ad esso consapevolmente o inconsapevolmente connessi. E così comincia ricordandogli che lui, padre Paolo, è figlio di un partigiano, e quell'identità non l'ha persa. Ma in Siria la resistenza al totalitarismo è stata combattuta con la più sofisticata delle armi, quella che ha piegato il giovane interlocutore di padre Paolo: la creazione a tavolino di una "rivoluzione antirivoluzionaria". In termini più semplici: all'inizio la rivoluzione di cui Paolo è stata testimone era "pulita", e guardava a noi, al mondo, per recuperare dignità, quella dignità dell'individuo che dal 1970 il regime familistico degli Assad aveva cancellato nel nome del GLEICHSHALTUNG, il coordinamento di tutti con il novo ordine, e il FUHRRERPRINZIP, l'idea che il capo supremo, e i suoi accoliti, non sono chiamati a rispondere mai. Sono i principi "ideologici" che hanno fatto da base all'incontro-alleanza dei "laici" Assad con la teocrazia khomeinista. Ma il mondo ha tardato a rispondere, distratto dalla sue beghe, non ha sentito il grido siriano, gli ha voltato le spalle. Così il regime, con la sua riconosciuta sapienza, ha chiamato la "rivoluzionaria antirivoluzionaria", i terroristi nel nome di Dio, per fornirci il pretesto di seguitare a non sentire. 

A differenza di me, Padre Paolo ha saputo parlare anche con loro, con la prima generazione dei "qaedisti", che tali non erano e forse alcuni non sono neanche oggi. Li ha guardati, ci ha parlato, forte del suo passato italiano, di quegli anni terribili che gli consentirono di frequentare il "movimento", dove molti non seguirono le Brigate Rosse, ma altri sì. E' lì che ha trovato la capacità di vedere nel "terrorista" non un mostro, ma un uomo che sbaglia ( e quindi passibile di "redenzione"). E ci racconta di quei colloqui non facili, anzi.. Sono pagine illuminanti. Paolo va a trattare il rilascio di alcuni cristiani sequestrati da estremisti islamici mentre i lealisti bombardano le città, i villaggi, i civili presso i quali si trova: "esprimo il desiderio di donare il sangue per i feriti del bombardamento e vengo portato nell'ospedale clandestino. Il sangue si dà sotto una tenda all'aperto. Il mio fattore Rh è 0 negativo, sono dunque donatore universale. Il personale dell'ospedale filma il monaco che dona il sangue alla rivoluzione. In seguito, una religiosa molto attiva nella difesa del regime, dirà che ho donato il mio sangue al terrorismo islamico." Ecco come si rende terrorista un popolo, un gruppo religioso, come si rende carnefice la vittima.

Padre Paolo entra in contatto con i "terroristi" e racconta un colloquio con uno di loro: "Padre, non mi interessano né gloria né denaro. Quando saremo liberi, se Dio lo vuole, voglio ritornare, libero, a lavorare la terra dei miei antenati." E lui chiosa: "Misuro l'incredibile distanza tra la manipolazione di stato, che li descrive come dei terroristi e la pietà, la profondità, l'umanità di quest'uomo".

Con i capi non è così semplice, aggiunge subito dopo. Ma anche con loro si apre una crepa: " Mi spiegano il loro desiderio di stabilire il Califfato universale. Sono nutriti da una prospettiva escatologica, armata e militante. E' lì che trovo una via per esprimere una speranza che potrebbe divenire comune. Io so che Gesù, atteso dai musulmani alla fine del mondo, verrà a stabilire la giustizia e l'equità, mediante la forza stessa della sua preghiera di intercessione. Percepisco allora come una grazia che il muro dell'incomunicabilità si rompe." 

Il libro di padre Paolo prosegue, è un'affascinante, lucidissimo e inarrestabile atto di testimonianza e di accusa. Dall'altra parte ci siamo noi. E gli apostoli di un cristianesimo "identitario", nella sua essenza lefebvriano, apprezzato stranamente da tanti "a sinistra". Quello di cui ci occuperemo nel seguito di questa recensione.