"Don Milani vedeva sé stesso come il maestro che deve risvegliare la libertà e lo spirito critico dei futuri cittadini"

Un libro che raccoglie l’eredità intellettuale e civile di don Lorenzo Milani. In particolare, gli atti del processo che lo vide imputato per aver difeso gli obiettori di coscienza che non vollero arruolarsi e furono imprigionati. Lo stesso Vaticano condannò l’obiezione di coscienza. Don Milani, da solo, scrisse un appello spiazzante e di straordinaria forza retorica in difesa di coloro che scelsero di dire: “Io non ci sto”. Lo dissero non per fare il favore a qualche potente, ma semplicemente per coerenza con se stessi. Persone pulite e specchiate di cui oggi tanto si sente la mancanza. Introduce il testo la filosofa Roberta De Monticelli.

LM MAGAZINE n. 19
19 settembre 2011
supplemento a LucidaMente, anno VI, n. 69, settembre 2011

Perché anche oggi è bello leggere don Milani
di Francesca Gavio

Alcune epistole del priore di Barbiana raccolte in “A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca” (Chiarelettere)

In risposta all’indifferenza e all’inerzia, un monito che deve indurre a impegnarsi, a battersi per gli ideali in cui si crede e contro le ingiustizie: A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca (Chiarelettere, pp. 92, € 7,00) di don Lorenzo Milani. In una parola, responsabilità. A questo l’autore voleva indurre attraverso i suoi scritti, alcuni dei quali raccolti in questo libro, in cui discute di obiezione di coscienza al servizio militare, acqua pubblica, educazione e differenze tra le classi sociali. A più di cinquant’anni di distanza le sue idee risultano più che mai attuali e suggestive.

«In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. [...] C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni». Parole contenute nell’intervento del priore, dal titolo L’obbedienza non è più una virtù, presentato al processo a suo carico per apologia di reato.

Don Milani aveva infatti difeso ed encomiato l’obiezione di coscienza di alcuni giovani toscani nel 1965. Appellandosi all’articolo 11 della Costituzione della Repubblica italiana («L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali») e alla morale cattolica, egli considerò l’azione di quei ragazzi un atto coraggioso di disobbedienza critica; li definì inoltre profeti, criticando aspramente quei cappellani militari che apostrofarono l’obiezione di coscienza come atto di viltà nei confronti della patria.

Dalle parole del sacerdote si evince un profondo rispetto per lo Stato e per le leggi da esso promulgate e il dovere del cittadino di cercare di modificarle, se inique. Strumenti atti a tale scopo sono in primis il voto, ma anche lo sciopero e la parola, che permette all’individuo di dissentire e dare il buon esempio agli altri. Don Milani probabilmente plaudì non solo la scelta di quei giovani di non arruolarsi, auspicando una futura legge giusta sull’obiezione di coscienza, ma anche il fatto che essi presero tale decisione non per fare un favore a qualche politico, bensì per rimanere fedeli ai propri valori e alle proprie idee.

Leggendo le altre missive contenute nel testo, nelle quali descrive la miseria che costringeva i contadini e gli allevatori a migrare verso le città per offrire alla propria famiglia una vita dignitosa, sembra di veder scorrere le immagini di Novecento di Bernardo Bertolucci. Difatti, egli scrive lucide dissertazioni sulle differenze tra città e campagna, sui privilegi dei cittadini rispetto alle condizioni sfavorevoli nelle quali versavano i contadini e gli allevatori. A loro i padroni promettevano migliorie e maggiori comodità, ma non mantenevano mai le promesse, costringendoli ad andarsene.

«L’Acqua è di tutti». Critico nei confronti della proprietà privata, don Milani si è battuto perché i propri parrocchiani potessero ottenere l’acqua e l’elettricità come qualsiasi altro cittadino. Sosteneva che, se essi avessero avuto maggiore proprietà di linguaggio, non avrebbero avuto tante difficoltà nel gestire la propria vita e il proprio lavoro. Anche per questo motivo concepì la sua scuola come un “luogo del fare”, dove si discuteva anche di attualità e cultura, leggendo insieme ai ragazzi i quotidiani e la Costituzione, fornendo loro gli strumenti per poter comprendere i mutamenti del proprio tempo.

Attento ai cambiamenti sociali, egli si espresse sempre con un linguaggio semplice e diretto, fruibile da un vasto pubblico. Educatore instancabile e promotore di una Chiesa che “concede” la parola a tutti e ascolta tutti, fu anche «un guerrigliero», come lo definì padre Ernesto Balducci. Non a caso il suo motto era I care. Egli non si limitava a diffondere i precetti religiosi, ma cercava di divulgare la cultura, il sapere e il saper fare. Può essere definito uno dei fautori di una “teologia della liberazione” tutta italiana, insieme a don Primo Mazzolari e allo stesso Balducci. Nella Premessa del libro, Roberta De Monticelli ci suggerisce che è giunta l’ora di riprendere in mano i testi del priore di Barbiana, per scrollarci di dosso la politica stagnante di oggi, il servilismo – che non è sinonimo di obbedienza – e le iniquità che affliggono il Belpaese.

Le immagini: la copertina del libro edito da Chiarelettere che raccoglie gli scritti di don Milani; la locandina del film Don Milani – Il priore di Barbiana (miniserie Rai del 1997, diretta da Andrea e Antonio Frazzi, con Sergio Castellitto nel ruolo del religioso); un’altra antologia edita dalle edizione Paoline.