“Il potere delle persone è più grande delle persone al potere”. Revolution 2.0 il libro autobiografico di Wael Ghonim, classe 1980, “ex executive di Google e ideatore della pagina facebook We Are All Khaled Said che con i flashmob silenziosi dell’estate 2010 sul lungomare di Alessandria d’Egitto mise in moto la complessa organizzazione anonima (o, come lo chiama Ghonim nel suo libro, lo tsunami digitale)”. La descrizione è di Marina Petrillo (@alaskaRp) giornalista che ogni giorno sintetizza le sua trasmissione su Radio Popolare in un post che pubblica nel suo blog. Segue da vicino ogni giorno quello che accade durante la Primavera Araba, alaskaRp è tra le voci indipendenti dell’anno secondo il quotidiano britannico The Independent.


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gennaio 19, 2012

Tutta la storia
di Marina Petrillo

Lo si attendeva già dall’estate scorsa, ed è valsa la pena di aspettare. Poche ore fa è uscito per il mercato anglosassone per la Fourth Estate (e dovrebbe essere disponibile subito in traduzione italiana per Rizzoli, e in arabo, cioè nella versione originale in cui è stato scritto, il 28 gennaio, anniversario della prima strage di Tahrir) Revolution 2.0, il libro autobiografico di Wael Ghonim – classe 1980, ex executive di Google e ideatore della pagina facebook We Are All Khaled Said che con i flashmob silenziosi dell’estate 2010 sul lungomare di Alessandria d’Egitto mise in moto la complessa organizzazione anonima (o, come lo chiama Ghonim nel suo libro, lo tsunami digitale) che avrebbe portato centinaia di migliaia di persone in piazza Tahrir dal 25 gennaio, e diciotto giorni e molte centinaia di morti più tardi, alla inimmaginabile caduta di Mubarak. Ghonim trascorse in carcere di isolamento undici dei diciotto giorni della rivoluzione.

Fra meno di una settimana cade l’anniversario del #Jan25, fra tensioni a Tahrir e celebrazioni roboanti dell’esercito egiziano, che sta gestendo in modo impresentabile la transizione verso la democrazia consegnatagli undici mesi fa. Qualcosa di molto grosso potrebbe bollire in pentola, e vedremo che cosa accadrà nella piazza dopo la giornata simbolica del 25.  Negli ultimi mesi, salvo le inevitabili conferenze e interviste e qualche intervento scritto di alto profilo nei momenti di maggiore tensione, Ghonim si è tenuto in disparte, un po’ cercando di smarcarsi dal ruolo di celebrità della rivoluzione, un po’ perché sta di nuovo lavorando per creare un gruppo trasversale di pressione politica e alfabetizzazione digitale, un po’ appunto perché stava finendo di scrivere quella che scopriamo essere la sua giovane autobiografia. Il libro si apre, naturalmente, con la scena del suo arresto nei giorni di Tahrir e il primo pestaggio che subì dagli agenti di sicurezza prima di essere messo in isolamento.  Poi da lì fa un flashback al 2007 e racconta della prima volta che venne convocato dalla sicurezza segreta egiziana, cosa che gli dà l’occasione di raccontare la storia dei servizi segreti egiziani e della psicologia nazionale che hanno creato.

Ghonim racconta del suo iniziale impegno online accanto al candidato alle presidenziali El Baradei, e poi per esteso tutto quello che nelle interviste restava relegato a mero titolo, dissipando le nebbie mitologiche sulla storia della pagina dedicata a Khaled Said – come si organizzò, cosa si dicevano i giovani che partecipavano ai flashmob aggirando la sorveglianza della polizia, come funzionava tecnicamente, e col grande merito di tradurre frammenti da un dibattito che si svolse soprattutto in arabo.  Ghonim racconta l’effetto della rivoluzione tunisina sui flashmob egiziani; rivela il ruolo che di dall’inizio ebbero nell’organizzazione del 25 gennaio gli ultrà delle quattro squadre di calcio del Cairo, a cui lui si appellò direttamente; come rientrò di nascosto  in Egitto dagli Emirati Arabi il 23 gennaio, lasciando la sua famiglia a Dubai; il sesto capitolo è interamente dedicato alla giornata di cortei del 25 gennaio, con una ricostruzione finalmente estesa del manifesto della convocazione, delle parole d’ordine e della strategia organizzativa. Nel settimo capitolo racconta i fatti del 28 gennaio e il suo arresto, nell’ottavo la sua detenzione bendato in isolamento, nel nono la sua liberazione poche ore prima della caduta di Mubarak. Per tutto il libro, Ghonim tiene un tono umile  e racconta con precisione soltanto i dettagli del suo ruolo diretto nella rivoluzione, dando finalmente respiro a racconti che finora erano stati relegati alla brevità dei tweet o delle interviste occidentali.  Ne esce un documento storico essenziale a capire cosa accadde nella parte più clandestina del #Jan25.


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Egitto e Facebook tempo di aggiornare il suo status

Secondo alcuni, quella che ha avuto luogo in Egitto sarebbe stata una "Rivoluzione 2.0". Non è esatto, afferma Will Heaven. E adduce prove evidenti sulla propensione dell’Occidente a vedere gli eventi in Egitto attraverso una lente occidentale.

Wael Ghonim è stato uno yuppie dei nuovi mezzi di informazione prima di diventare un eroe della rivoluzione. A metà del 2010, avreste potuto trovare il trentenne manager di Google nella piscina della sua villa di Dubai, o in giro con i suoi amici in quelle che chiama "macchinoni".

Nel breve giro di sei mesi il quadro è cambiato radicalmente. Un Ghonim esausto tiene un microfono in piazza Tahrir, nella sua nativa Cairo, grida slogan in arabo a decine di migliaia di dimostranti: è stato rilasciato dal regime di Hosni Mubarak dopo 12 giorni di prigione. Il giorno successivo, Ghonim si mostra alla folla vittorioso. "Questa era una rivoluzione di Internet", dichiara alla CNN, "la chiamerò rivoluzione 2.0".

Cosa ha fatto tornare a casa Wael Ghonim? Ed è esatta la sua definizione della rivoluzione egiziana?

La risposta alla prima domanda comincia con il brutale assassinio di un ventottenne uomo d'affari egiziano, Khaled Said, nel giugno 2010. Per caso, Said entra in possesso di prove in base alle quali funzionari di polizia corrotti si spartivano droga e soldi sequestrati. Si ritiene che tali prove gli siano pervenute casualmente, attraverso Bluetooth, mentre era tranquillamente seduto in un Internet caffè di Alessandria. Ma Said non cancellò il video incriminante: coraggiosamente, lo mise online.

I dettagli sull’uccisione sono confusi. Ma sappiamo che alcune settimane più tardi, due di quei poliziotti videro Khaled Said che camminava fuori dall’Internet caffè. Lo portarono dentro, e lo aggredirono. I testimoni dicono che la sua testa fosse stata sbattuta ripetutamente contro un tavolo di marmo, prima di essere trascinato fuori e percosso a morte.

Per la seconda volta Internet entra in gioco. Un rapporto di polizia affermava che era morto dopo aver ingoiato una bustina di marijuana. Ma la famiglia di Said ottennne delle foto del suo malconcio cadavere da un inserviente dell’obitorio. La sua mascella, distorta dallo stivale di un poliziotto, costituì una prova sufficiente di insabbiamento. Così, sfidando le autorità egiziane, le foto vennero pubblicate online dai cugini di Said. Queste produssero una sensazione scioccante, che si diffuse.

E raggiunsero anche Wael Ghonim a Dubai - così il manager di Google per il Medio Oriente e il Nord Africa decise di agire. Creò una nuova pagina di Facebook per mostrarle, titolandola "Siamo tutti Khaled Said", utilizzando lo pseudonimo "ElShaheed" (il martire) per celare la propria identità. Per la fine di gennaio 2011, la pagina aveva più di 350.000 contatti. È stato allora che Ghonim ha invitato costoro a manifestare contro il regime egiziano il 25 gennaio.

Ma altri osservatori – tra cui il sottoscritto - non sono così sicuri che Ghonim abbia organizzato una rivoluzione

Questo semplice racconto, se non altro parti di esso, ha affascinato il pubblico occidentale. La storia spiega perché Wael Ghonim è tornato in Egitto. Ma è quanto accaduto dopo che pone degli interrogativi.

In breve, alcuni osservatori pensano che il semplice racconto continui. Che il gruppo Facebook di Ghonim abbia ispirato decine di migliaia di contestatori a scendere in piazza il 25, il che – in ultima istanza - avrebbe portato alla caduta di Mubarak. Il 30 gennaio, per esempio, Newsweek si chiedeva: "Chi è ElShaheed?". L'anonimo attivista, affermava il settimanale, stava "dietro alla rivolta in Egitto".

Una volta rivelata la propria identità, lo stesso settimanale ha definito Wael Ghonim come "il combattente di Facebook per la libertà". Nel frattempo, senza indugi il New York Times dava una descrizione "dell’Egitto di Wael Ghonim": Ghonim, diceva l'articolo, "avrebbe proclamato la nascita di un Egitto liberato".

Ma altri osservatori – tra cui il sottoscritto - non sono così sicuri che Ghonim abbia organizzato una rivoluzione. O che fosse dietro alla rivolta in Egitto. O, in verità, che questa sia stata una rivoluzione di Internet - "una rivoluzione 2.0". Il semplice racconto, sembra, sia stato esagerato e abbellito, ma non è affatto esatto. Da parte sua, il manager del marketing di Google è indubbiamente un uomo coraggioso. Ma non ha necessariamente ragione.

Primo, cominciamo con gli elementi di base. Quanti dei 3,4 milioni di egiziani che sono utenti di Facebook seguivano la pagina di Wael Ghonim "Siamo tutti Khaled Said" nel gennaio 2010? Non abbiamo ottenuto elementi su quanti fossero effettivamente nel paese. Al momento in cui scrivo, era possibile leggere la pagina dall’Inghilterra usando il mio account Facebook. Quanti altri hanno seguito la pagina da fuori l’Egitto? Quante decine di migliaia appartenevano alla diaspora araba – egiziani-americani, per esempio? Nessuno lo sa.

L’affluenza del 25 gennaio stabilì un precedente storico. La pagina di Wael Ghonim, presente da sei mesi su Facebook, ebbe parte in ciò? Quasi certamente sì. Ma altri fattori ridimensionano largamente il suo significato, non ultimo il fatto che la Tunisia aveva defenestrato il suo dittatore solo nove giorni prima. Le proteste – si può presumere - sarebbero avvenute probabilmente senza l'aiuto di Facebook o di altri social network come Twitter. Il 25 gennaio è festa nazionale in Egitto.

La rivoluzione di Twitter è stata esagerata

Poi c'è da considerare la televisione. I media occidentali - e la maggior parte di quelli egiziani - prima ebbero notizia di Wael Ghonim quando apparve su Dream TV, intervistato a qualche ora dal suo rilascio dopo 12 giorni di detenzione. Raccontò la sua storia e pianse per i contestatori uccisi durante la sua prigionia. Ciò, come ha affermato un giornalista egiziano, dette alla rivoluzione "una scarica di adrenalina al cuore". La partecipazione crebbe enormemente.

Ma è importante distinguere: una significativa intervista televisiva con un esperto di social media – per quanto potesse incarnare le future speranze dell’Egitto - ha poco a che fare con i social media in sé. I due media sono stati mescolati, e verosimilmente è stata la televisione (specialmente la televisione satellitare) che ha avuto un enorme impatto sulla rivoluzione egiziana. Come Fares Braizat, del Centro arabo per gli studi politici e la ricerca del Qatar, ha detto: "Al-Jazeera ha dato alla gente una voce che prima non aveva".

L'Occidente ha un’idea erronea quando sopravvaluta l'impatto dei social media. La Rivoluzione Verde del 2009 in Iran è stata conosciuta con un altro nome: la "rivoluzione di Twitter" (l’hanno descritta in questo modo, tra gli altri, il Washington Times e la BBC World Service). L'uso dei social media da parte dei movimenti di opposizione ha occupato le prime pagine di tutto il mondo. Come Clay Shirky ha dichiarato in quell’occasione: “È questa. La più grande. Questa è la prima rivoluzione ad essere catapultata su un palcoscenico globale e trasformata dai social media".

Ma la rivoluzione di Twitter è stata esagerata. Nel libro di Evgeny Morozov “The Net Delusion” egli dimostra che, in base all’analisi effettuata da Sysomos (una società di analisi dei social media), c'erano "solo 19.235 contatti Twitter registrati in Iran (cioè lo 0,027% della popolazione) alla vigilia delle elezioni del 2009". In altre parole, come Hamid Tehrani, il direttore iraniano di Global Voices, disse un anno dopo: "L'Occidente si è focalizzato non sul popolo iraniano, ma sul ruolo della tecnologia occidentale… Twitter è stato importante nel pubblicizzare ciò che accadeva, ma il suo ruolo è stato sovrastimato".

È probabile che ciò risulti altrettanto vero per la rivoluzione in Egitto e per le insurrezioni arabe più in generale. I media occidentali si sono focalizzati principalmente sul ruolo della tecnologia occidentale, ma meno sul fatto che sono state le attive proteste nelle strade, un ben noto veicolo di rivoluzione, a far cadere i dittatori. La caotica realtà delle proteste di strada arabe - ad un certo punto, cosa assai bizzarra, al Cairo ha avuto luogo una carica di cammelli - è stata rimodellata per un pubblico occidentale. Senza dubbio, i 30 milioni di utenti di Facebook in Inghilterra, e le decine di milioni che utilizzavano lo scorso anno il social network, lo hanno apprezzato.

Veniamo alla seconda domanda: Wael Ghonim era nel giusto per quanto riguarda la rivoluzione in Egitto? Era questa una rivoluzione Internet? Era questa una "rivoluzione 2.0”? No, probabilmente non lo era.

E quando si considera un'altra affermazione di Ghonim - "se si vuole una società libera, occorre dare alla gente accesso ad Internet" - l'idea comincia ad apparire naif.

Will Heaven scrive sul quotidiano Daily Telegraph.