Tratto da:
Convivalita’ delle differenze

Introduzione di Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto

La Messa crismale è per un Vescovo un’ora singolare di grazia e di comunione col suo popolo e il suo presbiterio: nel giorno del dono supremo di Gesù, introdotto da Giovanni con le parole “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1), quando il Redentore consegna ai suoi il testamento dell’amore totale e lo sigilla col dono di sé nel pane di vita, pane dei pellegrini fino alla fine del tempo, il Pastore – presenza sacramentale del Cristo in mezzo al suo popolo – si sente chiamato a un coinvolgimento senza riparo, quasi debba mettere più che mai in gioco se stesso. Circondato dai suoi sacerdoti e da tutte le altre componenti della Chiesa comunione di vita e d’amore, il Vescovo dice il Giovedì Santo le parole della confidenza, dell’impegno e della condivisa speranza, e lo fa nel conforto della Spirito, in ascolto del cuore di Cristo, parlando al cuore di ciascuno e di tutti: “cor ad cor loquitur”. Così, nelle omelie della Messa Crismale si offre come la fotografia di un Pastore, il suo segnare di anno in anno il passo della sua storia d’amore col popolo a lui affidato, ed insieme si disegna il volto di una Chiesa che dal Vescovo riceve e al Vescovo dona impulsi di vita, di fede, di speranza e d’amore. Forse perciò a don Tonino Bello la preparazione dell’omelia della Messa crismale costava tanto: “L’omelia della messa crismale la scrivo sempre di notte. Quando la sera del mercoledì santo torno a casa, stanco per le fatiche pastorali, mi chiudo in cappella e, come Giacobbe, mi metto a lottare con Dio. Quanto poco riesca a concludere, lo vedete voi stessi. Se non zoppico all’anca, il più delle volte incespico nel ragionamento. E se non presento traumi all’articolazione del femore, forse ne evidenzio di ben più gravi nelle articolazioni del discorso. Una cosa, però, è certa: che, sospesa tra rimorsi antichi e voglia di ricominciare, la notte tra il mercoledì e il giovedì santo diventa per me la specula suprema da cui contempo l’anno trascorso. Una specie di osservatorio, insomma, che mi permette di cogliere con uno sguardo di sintesi l’arco del cammino compiuto”. E quanto dirà al suo popolo come frutto di quella lotta con Dio, dovrà per il Vescovo avere un unico scopo: far sì che nessuno senta più freddo, che a tutti giunga il calore dell’amore che dà vita, l’amore dello Sposo divino, l’amore del Padre e Pastore di tutti. “Vicino a noi nessuno deve restare al freddo”!
Generata nella notte – notte di lotta, di preghiera, di consegna – l’omelia della Messa crismale sarà la voce di un sogno, non quello evasivo e consolatorio di chi fugge la storia o chiude gli occhi davanti al male del mondo, ma il sogno ad occhi aperti di chi è pronto a pagare il prezzo più alto perché il sogno prenda corpo nella vita degli uomini e sia il sogno di Dio con noi, il nostro sogno con Lui: “Non rassegniamoci a lasciare nel cassetto dei sogni questo sogno incredibile, che può divenire realtà solo che lo si alimenti di più con la preghiera, con l’amicizia fraterna, con la condivisione pastorale, con la pratica dell’accoglienza, con la magnanimità dei giudizi, con la messa in crisi dei nostri vecchi schemi di valutazione, con uno stile di gratitudine reciproca, con il ricorso a Maria Madre degli Apostoli”. È il sogno della comunione, che sia nel tempo icona di Dio Trinità Amore, e abbracci tutti, toccando il cuore di ognuno, per tessere fra tutti patti di giustizia e di pace. “Se è vero che la pace è l’insieme dei beni messianici, e noi oggi ci riconosciamo solennemente davanti all’altare come un popolo di messia, titolari e amministratori di questi beni, dobbiamo fare della pace il nostro annuncio fondamentale. Non l’accessorio delle nostre esuberanze omiletiche. Non la frangia marginale dei nostri discorsi. Non l’appendice del nostro impegno cristiano… Se infatti pace è, come oggi si dice, convivialità delle differenze, dobbiamo concludere che pace è la definizione più vera del mistero principale della nostra fede, in cui contempliamo tre Persone uguali e distinte che siedono attorno al banchetto dell’unica natura divina”.
Per questo annuncio di pace, per accendere e rendere realtà il sogno di questo possibile, impossibile amore, don Tonino si coinvolge senza risparmio, facendo appello a tutti i suoi sensi, come ai sensi e al cuore di tutti. Entra in gioco il tatto: “Sì, cari fratelli miei, io quest’oggi voglio sedermi accanto a voi, immergermi nel flusso del sacerdozio profetico e regale del popolo di Dio”. Viene coinvolto lo sguardo: “Su di Lui che ci parla, che ci innamora, che ci tormenta, che ci redime… devono appuntarsi gli occhi”. Con lo sguardo è attirato l’olfatto: “Solo se il profumo del Vangelo si sprigionerà dalla nostra vita, coloro che nell’impietosa danza dei secoli si accompagneranno al nostro cammino volgeranno finalmente lo sguardo, senza più distoglierlo, a Colui che è stato trafitto”. È profumo di oli, di aromi, di lino, fragranza di fiori di campo, simboli del profumo di Cristo che cambia il cuore e la vita! E mentre le parole e i canti entrano nel profondo di ognuno, Colui che si fa cibo per tutti ci invita a farci uno in Lui: “Che cosa ci manca: la convivialità o la differenza? Lo stare insieme o la genialità pastorale? L’essere solidali attorno a un progetto comune o la fantasia di quegli originali percorsi alternativi che nascono dall’amore? … Ci stringiamo a tavola perché gli altri stiano più comodi? O ci infastidisce ogni arrivo fuori orario? … Spezziamo il pane di grano della comunione e mesciamo il vino della letizia, o serviamo le erbe amare del tradimento, con l’aceto del disprezzo e la mirra dell’indifferenza?”. Coinvolto così, con tutti i sensi, con tutto se stesso, in questo dono d’amore, don Tonino si prepara a scrivere l’omelia della Messa crismale più bella, quella dell’ultimo passo verso l’incontro con lo Sposo, per amore dei suoi: “Prenditi tutto di noi, Signore. Per il bene dei nostri fratelli. Te lo diamo con gioia. Esultando. Perchè sappiamo che tutto sfocerà in un estuario di beatitudine senza fine, e in un esito di salvezza per il tuo gregge”.
Sarà l’omelia dei suoi ultimi tempi, del dono totale di sé: “Mettiamo a tua disposizione i nostri giorni, i nostri beni, i nostri affetti. Non vogliamo trattenere nulla per noi. Neppure la salute. Neppure la reputazione. Neppure il nome. Che se poi, oltre che col cuore, vuoi prenderti la nostra vita, noi te le doniamo gratis. Senza le lusinghe dell’eroismo. Con l’umile atteggiamento della restituzione. Felici che possa servire a qualcuno. Seppelliscici, Signore, nella fossa comune. Con gli altri. Ci basta la tua croce, sul cumulo di terra che ci coprirà. Non ti chiediamo null’altro in contraccambio. Se non la gioia di sentirci nell’ora suprema della morte, non solo pienamente conformati a te, Capo, Pastore e Sposo, ma anche legali rappresentanti di te, Salvatore della tua Chiesa. Per la vita del mondo”. Così, il silenzio della morte diventa parola più eloquente della vita: e la frase di Agostino, scelta a motto del suo servizio di pastore, continua a dirsi contagiosa per noi, per l’invisibile presenza di questo Pastore bello, che ora nella gloria contempla la bellezza di Dio: “Ecco il mistero che si dipana sotto i nostri occhi, e sul quale ancora desidero indugiare per aiutarvi a comprenderne tutta la bellezza. In questa esplorazione riconoscente, proprio perché voi fedeli abbiate a ringraziare il Signore per il timbro che vi ha messo sulla fronte, ma anche perché abbiate a ringraziarlo per il marchio di origine controllata, più intenso e profondo, con cui ha contrassegnato la vita di alcuni tra noi, desidero utilizzare una splendida espressione di Sant’Agostino. Il quale, presentandosi al popolo con i suoi presbiteri, diceva così: ‘Pascimus vobis - siamo pastori per voi - et pascimur vobiscum - siamo con voi nutriti -; det utinam Dominus eam amandi vim pro vobis aut effectu mori possimus aut affectu - il Signore ci dia la forza di amarvi a tal punto da poter morire per voi, o di fatto o col cuore’”. Grazie, don Tonino, Vescovo innamorato di Dio, Padre e Fratello dei poveri, trasparente riflesso del Vescovo eterno, Gesù! Aiutaci con la Tua intercessione a seguire il Tuo esempio, a dire con la vita l’amore, a dirlo con il dono di noi stessi, più eloquente di ogni parola, fino alla fine, oltre ogni fine…

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