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Sui Sentieri di Isaia

I Sogni dei Poveri
di Don Tonino Bello

"Tutti a teatro! Paga la speranza!"
Qualcuno ha detto che il sogno è il teatro dei poveri.
La battuta mi piace.
Non tanto perché in questo teatro si può entrare senza biglietto, e ci si può sedere in prima fila senza spendere una lira, quanto perché, se è vero che a teatro ci si interessa dei guai degli altri per dimenticare i propri, è anche vero che, in fondo, uno ci va per cercare le chiavi di lettura dei suoi personali problemi.
A meno che non si tratti di uno spettacolo di evasione.
Ecco, allora, la domanda: i poveri vanno a teatro per evadere o per trovare i criteri interpretativi della loro realtà di sofferenza?
Fuori metafora (si fa per dire): di che genere sono i sogni dei poveri? Sono il ripostiglio dove vanno a finire i loro desideri repressi, o il laboratorio dove si confezionano i segmenti per costruire il futuro?
Sono il rifugio dove, andando a ritroso, raggiungono una improponibile età dell’oro o la spiaggia dove fanno le prove generali dei cambi decisivi della storia?
Sono l’isola felice che essi contemplano dai relitti delle loro disperazioni, o l’approdo dove sono collocati i cantieri delle loro speranze?
Non so dare una risposta.
Posso dire, però, tre cose circa i sogni dei poveri.

Sognare per conto terzi

Anzitutto, solo i poveri sanno veramente sognare: anche per conto terzi.
Chi si trova in situazioni di disagio, chi tocca con mano l’ingiustizia quotidiana, chi sperimenta le piccole amarezze che gli vengono fatte inghiottire dai faraoni della terra... è portato a progettare rinnovamenti globali, vive in simbiosi con le categorie del cambio, familiarizza non tanto con i "colpi di scena" quanto con gli "scenari" di un nuovo assetto della società.
È sorprendente notare che i sogni dei poveri hanno il perimetro molto più vasto di quello dei loro bisogni personali. Ho chiesto agli sfrattati che ho in casa quali siano le loro speranze immediate, e mi hanno risposto così: "Ci auguriamo che venga il tempo in cui tutti i poveri abbiano una loro dimora".
Mi ha sempre molto colpito la contestualizzazione planetaria entro cui i diseredati sistemano la soluzione dei loro problemi particolari. Forse perché temono più degli altri la precarietà di scelte che non siano ancorate a un quadro universale di valori? O perché la carenza dei beni materiali è per loro solo il segno di una fame più radicale di solidarietà e di giustizia?
Non lo so, ma mi pare proprio che il paradigma della celebre pagina di Martin Luther King, in cui egli sogna la felicità dei suoi quattro bambini nella cornice di una palingenesi più vasta, si ripeta ancora oggi in tutti i sogni dei poveri: "Ho il sogno che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli degli schiavi e i figli degli antichi schiavisti saranno capaci di sedere insieme alla tavola della fratellanza. Ho il sogno che un giorno anche lo stato del Mississippi, uno stato soffocante per l’afa dell’oppressione, sarà trasformato in un’oasi di pace e giustizia. Ho il sogno che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per il contenuto del loro carattere. Ho un sogno...".

"Servi dei sogni" o "notai della realtà"?

La seconda cosa che mi sembra di poter dire è questa: i poveri sognano, ma hanno bisogno di chi interpreti i loro sogni.
Mi viene in mente un episodio del libro della Genesi, laddove si racconta del coppiere e del panettiere del faraone, detenuti nel carcere, ai quali una mattina Giuseppe, prigioniero con loro, chiese: "Perché quest’oggi avete la faccia così triste?". Ed essi risposero: "Abbiamo fatto un sogno e non c’è chi lo interpreti".
Ho l’impressione che oggi manchino gli interpreti degli spartiti musicali dei sogni dei poveri. Ci sono pagine stupende su cui è riversata la speranza, ma ancora non ci sono esecutori all’altezza della situazione. I cassetti dei sogni sono stracolmi di planimetrie, ma si ha paura di aprirli. C’è il prevaricare della prudenza dei dotti, c’è la lentezza dei tecnici della vita sociale, c’è l’intoppo dei burocrati del disegno particolareggiato.
Il terrore che saltino all’aria sistemi consolidati di potere fa da freno alla fantasia, sterilizza i germi del rinnovamento, e crea degli assurdi "gap" tra le mete intraviste e i cortili del pianto.
Anche la Chiesa, a cui spetterebbe il compito primordiale di interpretare le aspirazioni dei poveri, ha spesso disertato il suo dovere di "ministra dei sogni" per diventare la "notaia della realtà".
Se c’è una conversione che dobbiamo chiedere alle nostre comunità cristiane, è proprio quella di essere capaci di liberare la speranza, di saperla organizzare, di dare carne e sangue agli aneliti dei poveri, di additare, sì, le grandi sporgenze utopiche del Vangelo, ma anche di disegnare i percorsi concreti per poterle raggiungere.

Rivoluzione: l’arte di sognare insieme

L’ultima riflessione desidero riservarla alla necessità di aggregare i sogni dei poveri.
È fin troppo sfruttata, ma è giusto riportarla ugualmente, la frase che dice: "Se uno sogna da solo, il suo rimane un sogno. Ma se sogna insieme agli altri, il suo è già l’inizio della realtà".
Ma a chi tocca cucire i lembi dei sogni individuali perché diventino un grande mantello?
La risposta è scontata anche qui.
Se tale dovere incombe su tutti gli uomini di buona volontà, esso grava in particolare sulla Chiesa, che, oggi più che mai, è chiamata a incoraggiare le attese collettive, ad alimentare i sogni "diurni", e contrastare le forze di disgregazione del potere, il quale tollera molto di più mille splendidi sogni separati che mille minuscoli sogni messi insieme.
Una Chiesa che, per giunta, deve anche lei sognare con i poveri.
Una Chiesa che non sogna non è Chiesa: è solo apparato. Non può recare lieti annunci chi non viene dal futuro.
Solo chi sogna può evangelizzare. Anche se gli toccherà una brutta sorte, come avvenne per il figlio di Giacobbe, contro cui tramarono i fratelli, dicendo: "Ecco, arriva il sognatore. Uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna!".
Possa anche oggi toccare alla Chiesa il destino della cisterna, se questo è il prezzo da pagare per farsi perdonare quei sogni, grazie ai quali i poveri, come un tempo i fratelli di Giuseppe, potranno riscattarsi di tutte le carestie della storia.

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