PREMESSA 1:2

In un bar di Grbavica ho raccolto questa dichiarazione: - In nessuna terra si lavorava così poco e così bene si guadagnava come nella Jugoslavia di Tito. E adesso tutti ne parlano male, lo criticano, ha fatto questo, ha fatto quello ... mah! ... E' un tempo ormai passato, un tempo che non tornerà mai più.-

Tito, con la sua politica del non allineamento, aveva permesso alla Jugoslavia una qualità della vita, sconosciuta negli altri paesi dell’est europeo. Alla sua morte e soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino, la Jugoslavia perde la sua funzione di cuscinetto tra il blocco comunista e l’Europa, e così l’occidente non ha più alcun interesse nel continuare a finanziarne l’economia in declino. A causa di ciò si innesca nel paese una spirale inflazionistica che determina, di fatto, le spinte separatiste della Slovenia e della Croazia, che godono di economie più vivaci di quella serba. Purtroppo i serbi non trovano di meglio che inviare i carriarmati.

La guerra non bussa alla porta, la sfonda e saccheggia tutto ciò che trova. Distrugge il presente e lo colma di tragedie. Esclude di colpo il futuro e la frequenza delle morti mette fine ad ogni casualità. La speranza rimane schiacciata dagli interessi militari in gioco. Le libertà civili e i diritti umani si vendono e si comprano al mercato nero. Le popolazioni, vittime indifese, rimangono in balia del delirio della logica, che fà perdere la testa alla morte, la quale inghiotte le persone. Urla la loro agonia. Esplode, dilaniando i corpi. Si insinua nel buio, muta, cinica, crudele.

L’uso strategico dell’assedio ad oltranza, applicato alla capitale di uno stato sovrano, riconosciuto dalle Nazioni Unite, calpesta tutte le conquiste umane, civili ed etiche di quest’ultimo secolo. Appare chiaro che nessun governo occidentale é in grado di coinvolgersi in uno scontro armato in Bosnia, ed é proprio questo atteggiamento che favorisce la logica del terrore indiscriminato e del logoramento psicologico prodotto da un assedio perpetrato con brutali maniere razziste e supportato da armi e propaganda moderne. Questo particolare accanimento rende insopportabili le ragioni degli aggressori. I serbo-bosniaci umiliano la dignità dell’uomo imponendo alla popolazione di Sarajevo di sopravvivere rinchiusa in un serraglio. Esposta al loro sanguinoso arbitrio e al delirio di un assedio totale che entra nella storia moderna con un nuovo termine “urbicidio”, trascinandola indietro di un millennio, fino ai tempi oscuri e barbari del medioevo.

Ma quando l’esistenza é minacciata da tanta ferocia, proprio allora la solidarietà si fà più forte e la resistenza umana viene accresciuta da una determinazione incrollabile che rende assoluto il primato della vita sulla morte. Neanche quando le possibilità di sopravvivenza sono meno che scarse, neppure di fronte alla volontà di sterminio la più devastante, nemmeno quando le granate cadono come la grandine, neanche allora la morte riesce a piegare la continuità e la caparbietà della vita.

Proprio a Sarajevo, culla della pacifica convivenza fra diversi, dimostrata dai numerosissimi matrimoni misti. Proprio a Sarajevo, situata sul confine europeo di quel fronte intercontinentale di conflitto tra nord cristiano e sud islamico. Proprio a Sarajevo i musulmani vivono e combattono accanto ai cristiani senza alleati e senza discriminazioni razziali, difendendo, ognuno con la propria vita, il diritto alla libera convivenza delle confessioni, delle politiche, degli atteggiamenti culturali e di costume. Rivendicando la loro sovranità entro i confini riconosciuti dalle nazioni. Quelle stesse nazioni che hanno scatenato due guerre mondiali in difesa degli stessi principi. Questa particolare condizione in cui gli abitanti di Sarajevo sono costretti a vivere, sostenuti dalla sola dignità della ragione, riveste il conflitto di un primato simbolico che investe e scuote le coscienze di tutte le persone.

Durante ventisei mesi di frequentazione e di impegno simbolico, ma anche concreto, per spezzare, o almeno far breccia nella logica dell'assedio - negazione, odio, martirio di civili, - ho incontrato tanta sensibilità e solidarietà e tolleranza, tra quelle persone barricate per anni dentro la loro città, a difendere il fermo convincimento del diritto alla libera convivenza. Questo contrasto, così come le contraddizioni infinite che produce, contiene in sé il perpetuarsi di logiche umane che appaiono disperatamente inalienabili. Esplorare questo contrasto e le sue contraddizioni mi ha permesso di condividere la realtà quotidiana dell'assedio.


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Da questa esperienza nasce l'esigenza di ricostruire la dinamica degli eventi; per non dimenticarli, per renderne testimonianza, per evidenziarne il valore morale e universale. Ricostruire soprattutto per capire un evento così unico nella storia moderna. Una guerra senza regole che, apparentemente presuppone l'annientamento del nemico, come dichiara la propaganda, ma in realtà per l’impossibilità di praticarne lo sterminio viene finalizzata al suo martirio. Così ho cercato di ricostruire gli eventi, mettendo insieme gli aspetti della vita quotidiana con la logica dell'assedio, le azioni di guerra con il ritmo delle trattative, le interviste, le testimonianze, le esperienze personali. Nell'intento di salvare la memoria della resistenza di un intero popolo che ha superato, nella propria convinzione, i limiti delle differenze, siano esse razziali, religiose, politiche o culturali.

Tutt'ora mi chiedo come sia possibile che l'esercito nazionale non sia in grado di prendere il controllo della propria capitale? Ed é proprio questo dubbio irrisolto che mi fà pensare, che la logica del martirio fosse prevalente su quella della distruzione del nemico.


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